Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19665 del 27/03/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19665 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da Barbati Pasquale Felice, n. a Taranto il 12.7.67, Domo
Gilberto n. a S. Giorgio Jonico il 21.6.57, De Michele Luigi, n. a Carosino il
25.11.70, e Mastropietro Michele, n. a Carosino 1’11.4.66;
avverso l’ordinanza dell’8.11.13 del Tribunale di Taranto in funzione di giudice
del riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita in Camera di consiglio la relazione del Consigliere Dott. Antonio Manna;
udito il Procuratore Generale nella persona del Dott. Francesco Salzano, che ha
concluso per il rigetto dei ricorsi;
uditi gli Avv.ti Gaetano Vitale (difensore del solo Mastropietro) e Biagio Lezzi
(difensore di tutti i ricorrenti), che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza dell’8.11.13 il Tribunale di Taranto, sezione riesame,
confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 13.10.13 dal
GIP dello stesso Tribunale nei confronti di Pasquale Felice Barbati, Gilberto
Domo, Luigi De Michele e Michele Mastropietro, indagati per i delitti di
associazione per delinquere finalizzata a commettere più delitti di rapina, nonché

Data Udienza: 27/03/2014

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per tentate rapine, furti, ricettazioni, incendio, detenzione e porto illegali di armi e
munizioni.
Tramite il proprio difensore i suddetti indagati ricorrevano contro l’ordinanza
del riesame, di cui chiedevano l’annullamento per i motivi qui di seguito
sintetizzati:
a) vizio di motivazione nella parte in cui l’impugnata ordinanza aveva ritenuto
che il Barbati e il Domo fossero presenti sul luogo della tentata rapina avvenuta il

Lecce; in particolare, sul luogo della tentata rapina era stato trovato un telefonino
cellulare che, dall’esame della relativa SIM e del traffico telefonico (in relazione
alle “celle” agganciate la notte prima e il mattino della tentata rapina), risultava
essere in uso ad uno degli autori del delitto, telefonino che aveva avuto contatti
con un altro ritenuto in uso ad altro correo; i ricorrenti Barbati e Domo
obiettavano, invece, che la loro presenza sulla scena del crimine (desunta in via
logico-indiziaria dai giudici del merito) era smentita dalla prova diretta (per nulla
esaminata dalla gravata pronuncia) costituita dalle dichiarazioni del teste oculare
Pietro Illume, che aveva riconosciuto quale soggetto coinvolto nel furto
dell’autocarro utilizzato per la rapina, avvenuto la notte prima, Pietro Rochira,
marito di Gloria De Padova, intestataria del telefonino rivenuto sulla scena del
delitto; quanto al Barbati, risultava che questi aveva utilizzato una delle due
utenze telefoniche incriminate solo per poco più di un’ora e mezza il 6.2.12,
mentre in tutte le altre occasioni era stato utilizzato e ricaricato in luoghi lontani
da quelli in cui il Barbati medesimo si trovava; quanto al De Michele, dall’esame
delle celle agganciate non risultava provata una sua presenza sul luogo della
tentata rapina del 2.5.13, mentre il solo Mastropietro si trovava nei pressi, ma
soltanto perché nella stessa zona egli aveva la propria autodemolizione e la
contigua abitazione;
b) vizio di motivazione là dove l’impugnata ordinanza aveva considerato
indiziante la circostanza dei due tentativi di chiamata telefonica tra il De Michele
e il Barbati nella notte del 2.5.13 sol perché nei mesi anteriori e successivi non vi
era stato alcun contatto telefonico notturno fra i due;
c) vizio di motivazione nella parte in cui l’impugnata ordinanza aveva
illogicamente valutato il tenore delle conversazioni oggetto di intercettazioni
telefoniche, ambientali e audiovisive, da cui non emergevano frasi che potessero

2.5.13 in agro di Monteiasi ai danni di un furgone portavalori della Sveviapol di

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incriminare i colloquianti: anzi, vi erano altre conversazioni intercettate il cui
tenore collideva con l’assunto accusatorio; e comunque, mentre i colloquianti
parlavano di altri reati, in tali conversazioni non facevano riferimento alla tentata
rapina del 2.5.13; inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici del riesame,
la conversazione tra il Barbati e il Mastropietro, nella quale l’ordinanza ravvisava
addirittura la “firma” della tentata rapina del 2.5.13, risultava in gran parte
incomprensibile e priva di qualsiasi specifico riferimento ad essa;

criminale, detenzione basata unicamente sull’asserita partecipazione degli
indagati alla tentata rapina del 2.5.13; ma, una volta dimostrata l’insussistenza di
elementi indizianti relativi a tale reato, si rivelavano insussistenti anche quelli
concernenti la detenzione delle armi; né essa poteva desumersi dal preteso
riferimento ad un bazooka nella conversazione iscritta alla progressiva 1244, visto
il tono manifestamente sarcastico e scherzoso della conversazione medesima fra il
De Michele e il Barbati;
e) violazione dell’art. 56 c.p. in ordine alla tentata rapina ai danni di una
rivendita di tabacchi di cui al capo M) della rubrica provvisoria: ad avviso dei
ricorrenti era una mera indimostrata congettura quella secondo cui gli autori
avrebbe desistito dall’azione sol per il sopravvenuto transito d’una autovettura
della polizia e non, invece, in base ad una volontaria desistenza basata su mere
personali ed intrinseche valutazioni da parte degli indagati; si trattava, in altre
parole, d’un “tentativo abbandonato”, in quanto tale non punibile, e non d’un
“tentativo impedito”, come, invece, forzatamente inteso dal Tribunale del riesame
(tale motivo veniva fatto valere solo nei ricorsi del De Michele e del
Mastropietro);
f) vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi dell’esistenza
dell’associazione per delinquere di cui al capo A) della rubrica provvisoria, non
distinguibili da quelli relativi ad un mero concorso nei reati; quanto all’illegale
detenzione di munizioni di cui al capo N), nell’impugnata ordinanza nulla si
specificava che potesse ricollegare il reato al De Michele o al Mastropietro (tale
motivo veniva fatto valere solo nei ricorsi di costoro);
g) mancanza di motivazione circa le esigenze cautelari e l’adeguatezza di quella
intramuraria (tale motivo veniva fatto valere solo nei ricorsi del De Michele e del
Mastropietro);

d) omessa motivazione circa la detenzione delle armi da parte del gruppo

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h) illegittimità delle intercettazioni eseguite con la tecnica della cd.
remotizzazione, contrastante con gli artt. 268 e 271 c.p.p. e con il diritto alla
privacy costituzionalmente garantito (motivo fatto valere solo nel ricorso del
Mastropietro);
i) violazione degli artt. 267 e 271 c.p.p. e nullità del decreto n. 484/13 per
mancanza di collegamento fra il reato di tentata rapina (quella del 2.5.13) e il

CONSIDERATO IN DIRITTO
1- I motivi che precedono sub a) e sub b) si collocano all’esterno dell’area di
quelli spendibili ex art. 606 c.p.p., atteso che le differenti letture ipotizzate nei
ricorsi circa il materiale acquisito scivolano sul piano dell’apprezzamento di
merito, che presupporrebbe un accesso diretto agli atti e una loro delibazione in
punto di fatto incompatibili con il giudizio innanzi a questa Corte Suprema.
Ad essa spetta soltanto il sindacato sulle massime di esperienza adottate nella
valutazione degli indizi di cui all’art. 192 co. 2° c.p.p., nonché la verifica sulla
correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni
sostenute per qualificare l’elemento indiziario come grave, preciso e concordante,
senza che ciò possa tradursi in un nuovo accertamento, ovvero nella ripetizione
dell’esperienza conoscitiva propria dei gradi precedenti (cfr., ad es., Cass. Sez. VI
n. 20474 del 15.11.02, dep. 8.5.03).
A sua volta il controllo in sede di legittimità delle massime di esperienza non
può spingersi fino a sindacarne la scelta, che è compito del giudice di merito,
dovendosi limitare questa S.C. a verificare che egli non abbia confuso con
massime di esperienza quelle che sono, invece, delle mere congetture.
Le massime di esperienza sono definizioni o giudizi ipotetici di contenuto
generale, indipendenti dal caso concreto sul quale il giudice è chiamato a
decidere, acquisiti con l’esperienza, ma autonomi rispetto ai singoli casi dalla cui
osservazione sono dedotti ed oltre i quali devono valere; tali massime sono
adoperabili come criteri di inferenza, vale a dire come premesse maggiori dei
sillogismi giudiziari di cui alle regole di valutazione della prova sancite dal co. 2°
dell’art. 192 c.p.p.
Costituisce, invece, una mera congettura, in quanto tale inidonea ai fini del
sillogismo giudiziario, tanto l’ipotesi non fondata sull’id quod plerumque accidit,

Mastropietro (motivo avanzato solo nel ricorso di quest’ultimo).

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insuscettibile di verifica empirica, quanto la pretesa regola generale che risulti
priva, però, di qualunque pur minima plausibilità (cfr. Cass. Sez. VI, n. 15897 del
15 aprile 2009; Cass. Sez. VI n. 16532 del 13.2.07, dep. 24.4.07, rv. 237145).
Ciò detto, si noti che nel caso di specie i ricorsi non evidenziano l’uso di
inesistenti massime di esperienza né violazioni di regole inferenziali, ma si
limitano a segnalare soltanto possibili difformi valutazioni degli elementi raccolti,
il che costituisce compito precipuo del giudice del merito, non di quello di

Né la motivazione della gravata ordinanza appare manifestamente illogica o
contraddittoria, avendo i giudici del riesame evidenziato l’iter che nelle indagini
ha consentito di risalire agli odierni ricorrenti muovendo dal ritrovamento, sul
luogo della tentata rapina del 2.5.13 di cui al capo B) della rubrica provvisoria,
d’un telefonino cellulare, la cui scheda SIM, con il numero di utenza 3896873812,
era stata utilizzata in maniera pressoché esclusiva per contattare altra utenza
telefonica (n. 3891645960), di guisa che le due utenze funzionavano praticamente
in sincrono, al punto da venire ricaricate, quattro volte su cinque, negli stessi
giorni, orari e rivendite.
Fra le due utenze, per di più, risultavano numerosi contatti proprio nelle ore
immediatamente precedenti il delitto di cui al capo B) della rubrica provvisoria,
con aggancio di celle telefoniche compatibili con il luogo di tale tentata rapina, a
dimostrazione del fatto che il telefonino in questione era in uso a persona facente
parte del gruppo di fuoco che aveva invano cercato di rapinare il furgone
portavalori della Sveviapol.
Una volta escluso, all’esito delle indagini, un coinvolgimento nel delitto della
formale intestataria dell’utenza, il passaggio decisivo per risalire agli odierni
indagati è stato l’uso, in una precedente occasione, del telefonino abbinato
all’utenza n. 3891645960 con altra diversa scheda relativa all’utenza n.
3206853959, in uso al Barbati, per chiamare l’utenza n. 3204162723 in uso al
Domo.
Incrociando questi dati con la presenza, nell’aggancio della cella del luogo della
tentata rapina (in orari ad essa assai prossimi), anche delle utenze intestate al
Mastropietro e al De Michele, si è risaliti agli odierni ricorrenti.
Ancora la gravata pronuncia ha segnalato che, dopo la perdita del telefonino
rinvenuto sul luogo della tentata rapina del 2.5.13, il Domo ha acquistato due

legittimità.

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nuovi telefonini, uno dei quali è stato reclamato proprio dal Barbati, a riprova del
fatto che l’altro telefonino (non perduto nel corso dell’azione) non era stato più
usato dal Barbati, per evitare di orientare verso di sé le indagini; ciò aveva indotto
all’acquisto di due nuovi telefonini (al che aveva provveduto — appunto — il
Domo).
Ulteriore riprova del coinvolgimento del Domo (e degli altri indagati che con lui
si mantenevano in contatto nell’immediatezza della tentata rapina) è stata dedotta

gli spostamenti di furgoni portavalori.
A corroborare numero, tipologia e significatività dei contatti fra gli odierni
ricorrenti si sono poi aggiunte le successive risultanze delle intercettazioni
telefoniche ed ambientali.
Le obiezioni svolte nei motivi che precedono sub a) e sub b), lungi dal
dimostrare manifeste illogicità o contraddizioni nelle argomentazioni svolte
dall’impugnata ordinanza, si limitano soltanto a sollecitare una terza lettura del
materiale investigativo e a formulare mere ipotesi alternative rispetto a quelle
ritenute in sentenza: ma è noto che la possibilità di un’ipotesi alternativa non
basta a fondare un vizio di motivazione spendibile mediante ricorso ex art. 606
co. 10 lett. e) c.p.p. (a riguardo la giurisprudenza di questa S.C. è antica e
consolidata: cfr. Cass. Sez. I n. 12496 del 21.9.99, dep. 4.11.99; Cass. Sez. I n.
1685 del 19.3.98, dep. 4.5.98; Cass. Sez. I n. 7252 del 17.3.99, dep. 8.6.99; Cass.
Sez. In. 13528 dell’11.11.98, dep. 22.12.98; Cass. Sez. In. 5285 del 23.3.98, dep.
6.5.98; Cass. S.U. n. 6402 del 30.4.97, dep. 2.7.97; Cass. S.U. n. 16 del 19.6.96,
dep. 22.10.96; Cass. Sez. I n. 1213 del 17.1.84, dep. 11.2.84 e numerosissime
altre).
Quanto al carattere indiziante dei due tentativi di chiamata telefonica tra il De
Michele e il Barbati nella notte del 2.5.13, si noti che nell’impugnata ordinanza
esso non è stato ravvisato sol perché nei mesi anteriori e successivi non vi era
stato alcun contatto telefonico notturno fra i due, ma perché tale contatto è stato
letto in chiave a tutti gli altri analoghi avvenuti nell’immediatezza dell’assalto al
furgone portavalori della Sveviapol.
In ordine, poi, alla rilevanza delle dichiarazioni del teste Pietro Illume, non
esaminate dall’impugnata ordinanza, va ricordato che è denunciabile per
cassazione soltanto un eventuale travisamento della prova e non già un

dall’avere il Domo medesimo effettuato numerosi appostamenti per monitorare

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travisamento del fatto: questo attiene alla generale ricostruzione della vicenda alla
luce delle acquisizioni processuali e non può dedursi come vizio, neppure alla
luce del nuovo testo dell’art. 606 co. 1° lett. e) c.p.p. (come modificato dalla legge
n. 46/2000), mentre quello fa sì che la Corte Suprema, lungi dal procedere ad una
(inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prenda in
esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo
contenuto è stato veicolato o meno, senza distorsioni, all’interno della decisione.

12.10.2009, rv. 244623; Cass. n. 15556 del 12.2.2008, dep. 15.4.2008; Cass. n.
39048/2007, dep. 23.10.2007; Cass. n. 35683 del 10.7.2007, dep. 28.9.2007; Cass.
n. 23419 del 23.5.2007, dep. 14.6.2007; Cass. n. 13648 del 3.4.06, dep.
14.4.2006, ed altre) può considerarsi ormai consolidata.
Tuttavia, nel dedurre un travisamento della prova la parte deve necessariamente
trascriverla od allegare in copia il documento in cui essa è consacrata (il che non è
avvenuto nel caso di specie), evidenziando l’esatto passaggio in cui si annida il
vizio: diversamente, il ricorso non è autosufficiente (cfr., da ultimo, Cass. Sez. F
n. 32362 del 19.8.10, dep. 26.8.10).

2- Anche il motivo che precede sub c) è da disattendersi.
In proposito è appena il caso di ricordare che la giurisprudenza di questa Corte
Suprema — da cui non si ravvisa ragione di discostarsi – ha costantemente statuito
che l’interpretazione del linguaggio adoperato nel corso di colloqui intercettati,
anche quando esso sia criptico o cifrato, resta questione di mero fatto, sottratta al
giudizio di legittimità se la valutazione compiuta dai giudici del merito risulta
logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (cfr., ad es., Cass. Sez. VI
n. 17619 dell’8.1.2008, dep. 30.4.2008; Cass. Sez. VI n. 15396 dell’11.12.2007,
dep. 11.4.2008; Cass. Sez. VI n. 35680 del 10.6.2005, dep. 4.10.2005; Cass. Sez.
IV n. 117 del 28.10.2005, dep. 5.1.2006; Casse. Sez. V n. 3643 del 14.7.97, dep.
19.9.2007).
3- Il motivo che precede sub d) è infondato perché, proprio una volta che sia
stata ammessa la correttezza — alla stregua dei rilievi che precedono sub 1 – della
motivazione esposta in relazione al concorso degli odierni ricorrenti alla tentata

In proposito la giurisprudenza (cfr. Cass. Sez. III n. 39729 del 18.6.2009, dep.

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rapina del 2.5.13, va da sé la detenzione da parte loro delle armi impiegate in
quella occasione.

4- Del pari infondato è il motivo che precede sub e), perché l’essersi trattato
d’un tentativo impedito — e non abbandonato — è stato desunto dal tenore della
conversazione intercettata il 30.9.13 fra il Barbati e il Mastropietro.
In tale conversazione i due, vista la presenza in loco delle forze dell’ordine,

Anche a tale proposito si verte in materia interpretazione di conversazioni
oggetto di intercettazione, ossia in tema di accertamenti squisitamente in fatto.

5- Il motivo che precede sub f) è infondato.
L’impugnata ordinanza ha dedotto — con motivazione immune da vizi logici o
giuridici — l’esistenza d’un vincolo associativo fra gli indagati dai ripetuti
commenti, tratti da colloqui intercettati, del Barbati e del Mastropietro circa i
criteri di ripartizione del bottino di varie imprese criminose: in particolare, i
giudici del riesame hanno evidenziato che i due si lamentavano della pretesa del
Domo di ottenere una quota doppia — anziché paritaria — del provento dei reati
commessi insieme con gli altri.
Sempre in alte conversazioni oggetto di intercettazione, il Barbati e il Domo
rievocavano passate azioni criminali (risalenti anche a due anni addietro) e il
secondo spiegava altresì che prendeva il doppio degli altri perché,
nell’organizzare i reati, spendeva e si esponeva di più per il gruppo.
Ciò dimostra il permanere fra gli indagati di un accordo tutt’altro che
occasionale e limitato, ma protrattosi nel tempo e destinato a durare ancora in
futuro: diversamente, non avrebbe avuto senso il discorso relativo alle consuete
modalità di ripartizione dei proventi dei delitti.
In altre parole, l’impugnata ordinanza ha fatto corretta applicazione della
costante giurisprudenza di questa S.C. in tema di distinzione fra reato associativo
e mero concorso di persone nel singolo delitto (cfr., da ultimo, Cass. Sez. II n. 933
dell’11.10.13, dep. 13.1.14).
Per quanto concerne, poi, l’illegale detenzione di munizioni di cui al capo N),
non è esatto che l’impugnata ordinanza non abbia motivato circa la posizione del

decidevano di soprassedere alla rapina.

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De Michele e del Mastropietro, che in proposito sono stati ritenuti attinti da gravi
indizi emergenti dal tenore delle conversazioni intercettate.

6- Il motivo che precede sub g) è infondato, perché le esigenze cautelari
riguardo al De Michele e al Mastropietro (gli unici due che hanno fatto valere tale
motivo di doglianza) sono state adeguatamente motivate — nell’impugnata
ordinanza — mediante rinvio alla pericolosità sociale desunta dai precedenti

Quanto all’adeguatezza della sola misura della custodia intramuraria, essa è
stata ricavata dal concreto pericolo di fuga dei due, considerati non solo i legami
associativi risalenti nel tempo, ma anche il permanere in libertà di altri
concorrenti non ancora identificati, che ben avrebbero potuto aiutare gli odierni
ricorrenti nel sottrarsi all’esecuzione di altra meno afflittiva misura.

7- Il motivo che precede sub h), relativo all’uso della cd. remotizzazione, è
infondato.
Per ormai consolidata giurisprudenza di questa S.C. (cfr., per tutte, Cass. S.U. n.
36359 del 26.6.08, dep. 23.9.08), cui va data continuità, condizione necessaria per
l’utilizzabilità delle intercettazioni è che l’attività di registrazione – che, sulla base
delle tecnologie attualmente in uso, consiste nell’immissione dei dati captati in
una memoria informatica centralizzata – avvenga nei locali della Procura della
Repubblica mediante l’utilizzo di impianti ivi esistenti, mentre non rileva che
negli stessi locali vengano successivamente svolte anche le ulteriori attività di
ascolto, verbalizzazione ed eventuale riproduzione dei dati così registrati, che
possono dunque essere eseguite “in remoto” presso gli uffici della polizia
giudiziaria.
Invero l’attività di riproduzione – e cioè di trasferimento su supporti informatici
di quanto registrato mediante gli impianti presenti nell’ufficio giudiziario – è
operazione estranea alla nozione di “registrazione”, la cui “remotizzazione” non
pregiudica le garanzie della difesa, alla quale è sempre consentito l’accesso alle
registrazioni originali.

8- Del pari infondato è il motivo che precede sub i), concernente la pretesa
violazione degli artt. 267 e 271 c.p.p. in relazione al decreto n. 484/13 di

penali.

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autorizzazione alle intercettazioni per mancanza di collegamento fra il reato di
tentata rapina (quella del 2.5.13) e il Mastropietro, giacché tale collegamento fra il
soggetto intercettato e il reato (su ciò v. Cass. Sez. VI n. 12722 del 12.2.09, dep.
23.3.09) è stato in realtà spiegato (come risulta a pag. 6 dell’impugnata ordinanza)
con il rilievo che l’interlocutore del Domo (tale Michele) poteva effettivamente
identificarsi con Michele Mastropietro (una volta esclusa ogni attinenza con altro
“Michele”, che pur era stato individuato come possibile interlocutore del Domo),

Dunque, la motivazione del decreto vi era ed era idonea.

9- In conclusione, i ricorsi vanno rigettati. Ex art. 616 c.p.p. consegue la
condanna dei ricorrenti alle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale,
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processu li.
Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, in data 27.3.14

in considerazione del monitorati spostamenti del Domo medesimo.

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