Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19663 del 15/01/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19663 Anno 2018
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: CORBETTA STEFANO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Bettini Olinto, nato in Belgio il 23/07/1971
Brancatisano Giovanni, nato a Locri il 19/07/1988
Bruzzaniti Sandro, nato a Colonia (Germania) il 11/08/1983
Buttiglieri Marco, nato a Tradate il 10/07/1960
Carminati Claudio, nato a San Donà del Piave il 19/08/1954
Carminati Denis, nato a Desio il 03/03/1980
Commisso Antonio, nato a Siderno il 29/10/1962
Curinga Domenico, nato a Rosarno il 01/07/1948
Fazzari Vincenzo, nato a Rosarno il 27/01/1950
Ferrara Carlo, nato a Napoli il 18/12/1966
Fiorito Cosimo, nato a Catania il 08/08/1964
Fiorito Salvatore, nato a Catania il 12/05/1944
Ielo Carmelo, nato a Staiti il 24/09/1960
Maviglia Geremia, nato a Africo Nuovo il 20/02/1975
Maviglia Maurizio, nato a Africo il 07/12/1979
Mollica Mario Francesco, nato a Locri il 22/10/1973
Pizzata Bruno, nato a Melito Porto Salvo il 08/03/1959
Rechichi Filippo, nato a Locri il 06/04/1983

Data Udienza: 15/01/2018

Strangio Francesco, nato a San Luca il 11/09/1946
Strangio Francesco, nato a Locri il 10/07/1980

avverso la sentenza del 18/04/2016 della Corte d’appello di Reggio Calabria

visti gli atti, il-provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi
Cuomo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi di Olinto Bettini,

Vincenzo Fazzari, Cosimo Fiorito, Salvatore Fiorito, Maurizio Maviglia, Mario
Francesco Mollica, Bruno Pizzata, Filippo Rechichi, Francesco Strangio (classe
1946), Francesco Strangio (classe 1980); l’annullamento senza rinvio quanto al
trattamento sanzionatorio, il rigetto nel resto per Sandro Bruzzaniti;
l’annullamento con rinvio quanto a Claudio Carminati e Denis Carminati;
l’annullamento con rinvio quanto al trattamento sanzionatorio, rigetto nel resto
per Carlo Ferrara; l’annullamento con rinvio quanto al trattamento sanzionatorio,
rigetto nel resto per Carmelo Ielo;
udito i difensori, avv. Alberto Talamone, del foro di Busto Arsizio, per Claudio
Carminati e Denis Carminati, avv. Giuseppe Nardo, del foro di Reggio Calabria,
per Francesco Strangio (classe 1946), avv. Maria Claudia Conidi, del foro di
Catanzaro, per Maurizio Maviglia, avv. Antonio Mazzone, del foro di Locri, per
Francesco Strangio (classe 1980), avv. Francesco Lojacono, del foro di Roma,
anche in sostituzione dell’avv. Gianni Russano, del foro di Catanzaro, per Sandro
Bruzzaniti e Bruno Pizzata, avv. Luca Cianferoni, del foro di Roma, anche in
sostituzione dell’avv. Domenico Putrino, del foro di Palmi, e dell’avv. Fabio
Menichetti, del foro di Roma, per Sandro Bruzzaniti, Francesco Strangio (classe
1946), Marco Buttiglieri, Filippo Rechichi, Giovanni Brancatisano, avv. Adele
Manno, del foro di Catanzaro, per Vincenzo Fazzari, Giovanni Aricò, del foro di
Roma, per Francesco Strangio (classe 1980), avv. Enzo Barbetta, del foro di
Milano, per Cosimo Fiorito e Salvatore Fiorito, avv. Rosario Scardò, del foro di
Locri, anche in sostituzione dell’avv. Armando Gerace, del foro di Locri, per
Carmelo Ielo, avv. Roberta Pessina, del foro di Milano, per Carlo Ferrara, che
hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.

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Giovanni Brancatisano, Marco Buttiglieri, Antonio Commisso, Domenico Curinga,

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, in riforma della sentenza resa in data 29
aprile 2014 dal g.u.p. Tribunale di Reggio Calabria all’esito del giudizio
abbreviato, appellata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Reggio Calabria e dagli imputati Olinto Bettini, Giovanni Brancatisano, Sandro
Bruzzaniti, Marco Buttiglieri, Claudio Carminati, Denis Carminati, Antonio _

Salvatore Fiorito, Carmelo Ielo, Francesco La Cava, Pasquale Marte, Geremia
—Maviglia, Maurizio Maviglia, Francesco Meduri, Domenico Molè, Mario Francesco
Mollica, Pasqualino Morabito, Vincenzo Morgante, Bruno Pizzata, Filippo Rechichi,
Francesco Strangio cl. 1946, Francesco Strangio cl. 1980, la Corte d’appello di
Reggio Calabria escludeva, in relazione al capo A) della rubrica, le aggravanti di
cui agli artt. 74, comma 3, d.P.R. n. 309 del 1990 e 4 I. n. 146 del 2006,
ritenute, in relazione al capo Z), la fattispecie consumata contestata (in essa
assorbito il tentativo di importazione) e l’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R.
309 del 1990, così provvedeva:
assolveva Giovanni Brancatisano dai reati di cui ai capi A), per non aver
commesso il fatto, M) e N) perché il fatto non sussiste, e ritenuta, quanto al capo
O), l’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, rideterminava la
pena in anni cinque di reclusione ed euro 22.000,00 di multa;
assolveva Sandro Bruzzaniti dai reati ascrittigli ai capi A), K), Z) per non aver
commesso il fatto, e al capo N perché il fatto non sussiste; ritenuta, quanto al
capo J), l’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, n. 309 del 1990, rideterminava la
pena in anni otto e mesi quattro di reclusione ed euro 26.000,00 di multa;
nei confronti di Marco Buttiglieri, con le già applicate attenuanti generiche
ritenute equivalenti all’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990,
rideterminava la pena in anni sei di reclusione ed euro 20.000,00 di multa;
nei confronti di Claudio Carminati, con le già applicate attenuanti generiche
ritenute equivalenti all’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990,
rideterminava la pena in anni sei di reclusione ed euro 20.000,00 di multa;
nei confronti di Denis Carminati, con le già applicate attenuanti generiche
ritenute equivalenti all’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990,
rideterminava la pena in anni sei di reclusione ed euro 20.000,00 di multa;
nei confronti di Antonio Commisso rideterminava la pena in anni dieci e mesi
otto di reclusione ed euro 42.000,00 di multa;
assolveva Domenico Curinga dal reato di cui al capo U) perché il fatto non
sussiste, e ritenuta, quanto ai capi O), P), Q), R) e S), l’ipotesi delittuosa di cui

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Cornmisso, Domenico Curinga, Vincenzo Fazzari, Carlo Ferrara, Cosimo Fiorito,

all’art. 73, comma 5, n. 309 del 1990, rideterminava la pena in anni due e mesi
quattro di reclusione ed euro 3.000,00 di multa;
nei confronti di Vincenzo Fazzari, escluso il ruolo primario di cui all’art. 74,
comma 1, n. 309 del 1990, rideterminava la pena in anni dodici e mesi otto di
reclusione ed euro 60.000,00 di multa;
nei confronti di Cosimo Fiorito, ritenuta la continuazione con i fatti già giudicati
con sentenza 5 giugno 2014 della Corte d’appello di Milano (irr. il 20 maggio
2015), e ritenuto più grave il fatto reato per cui si procede, rideterminava la

reclusione ed euro 56.000,00 di multa;
nei confronti di Salvatore Fiorito, ritenuta la continuazione con i fatti già
giudicati con sentenza 5 giugno 2014 della Corte d’appello di Milano (irr. il 20
maggio 2015), e ritenuto più grave il fatto reato per cui si procede, rideterminava
la pena complessivamente inflitta per tutti i reati in anni tredici e mesi quattro di
reclusione ed euro 56.000,00 di multa;
nei confronti di Carmelo Ielo, ritenuta la continuazione con i fatti già giudicati con
sentenza 5 giugno 2014 della Corte d’appello di Milano (irr. il 20 maggio 2015), e
ritenuto più grave il fatto reato per cui si procede, rideterminava la pena
complessivamente inflitta per tutti i reati in anni quattordici e mesi otto di
reclusione ed euro 62.000,00 di multa;
assolveva Francesco La Cava dal delitto ascrittogli per non aver commesso il
fatto;
assolveva Pasquale Marte dal reato ascrittogli per non aver commesso il fatto;
assolveva Domenico Molè dal delitto ascrittogli per non aver commesso il fatto;
assolveva Mario Francesco Mollica dal reato di cui al capo K) per non aver
commesso il fatto, e, ritenuta la continuazione con i fatti già giudicati con
sentenza 5 giugno 2014 della Corte d’appello di Milano (irr. il 20 maggio 2015), e
ritenuto più grave il fatto reato di cui al capo 26 già giudicato, determinava in
anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 4.000,00 di multa l’aumento di
pena inflitto per i fatti di cui al presente processo sulla pena già definitiva;
assolveva Pasqualino Morabito dal reato ascrittogli al capo A) per non aver
commesso il fatto;
assolveva Vincenzo Morgante dal reato ascrittogli al capo A) per non aver
commesso il fatto;
assolveva Bruno Pizzata dai reati allo stesso ascritti ai capi N), C1) e H1) perché
il fatto non sussiste e rideterminava la pena in anni venti di reclusione ed euro
90.000 di multa;
nei confronti di Filippo Rechichi rideterminava la pena in anni quattordici e mesi
otto di reclusione ed euro 60.000,00 di multa;

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pena complessivamente inflitta per tutti i reati in anni tredici e mesi quattro di

assolveva Francesco Strangio (cl. 1946) dai reati ascrittigli ai capi C1) perché il
fatto non sussiste, e Il) per non aver commesso il fatto, e rideterminava la pena
in anni quindici e mesi otto di reclusione ed euro 78.000,00 di multa;
nei confronti di Francesco Strangio (cl. 1980) rideterminava la pena in anni
quattordici di reclusione ed euro 60.000,00 di multa.
Confermava, nel resto, la sentenza impugnata e condannava al pagamento
delle ulteriori spese processuali del grado Olinto Bettini, Carlo Ferrara, Geremia
Maviglia, Maurizio Maviglia e Francesco Meduri; revocava, altresì, le pene

legale applicata a Giovanni Brancatisano, e riduceva ad anni cinque l’interdizione
dai pubblici uffici a quest’ultimo applicata. •

2. Avverso l’indicata sentenza propongono ricorso per cassazione gli
imputati Olinto Bettini, Giovanni Brancatisano, Sandro Bruzzaniti, Marco
Buttiglieri, Claudio Carminati, Denis Carminati, Antonio Commisso, Domenico
Curinga, Vincenzo Fazzari, Carlo Ferrara, Cosimo Fiorito, Salvatore Fiorito,
Carmelo Telo, Geremia Maviglia, Maurizio Maviglia, Mario Francesco Mollica,
Bruno Pizzata, Filippo Rechichi, Francesco Strangio (cl. 1946) e Francesco
Strangio (cl. 1980) per i motivi di seguito indicati.

3. Il ricorso presentato da Olinto Bettini è affidato a due motivi.
3.1. Con il primo motivo si denuncia vizio motivazionale con riguardo all’art.
192 cod. proc. pen.
3.1.1. Assume il ricorrente che è del tutto carente la prova in relazione al
fatto di cui al capo G). In particolare: a) nella conversazione telefonica
intercettata il 20 maggio 2010 tra Sebastiano Pizzata e Sandro Bruzzaniti, in cui
i due concordano un incontro presso il Mc Donald’s di Milano, non sarebbe
menzionato anche il Bettini, sicché non è dato comprendere come mai anche
costui sia stato ritenuto presente all’incontro; b) la prova della presenza del
Bettini all’incontro del 20 maggio 2010 non potrebbe trarsi dalla conversazione
telefonica tra il Bettini e un uomo non identificato, localizzato in Belgio, in cui il
primo evidenziava “come si fanno i sughi, in modo che la maionese non risulti
troppo liquida. Sebastiano avrebbe sbagliato”, in quanto non vi sarebbe alcun
riferimento all’incontro del 20 maggio e, comunque, non sarebbe dimostrativa
dell’avvenuta cessione di droga.
3.1.2. Deduce, poi, il ricorrente che la prova sarebbe carente anche in
relazione al fatto di cui al capo H). In particolare, gli elementi posti alla base del
giudizio di responsabilità – ossia il contenuto di una comunicazione captata tra
Sandro Bruzzaniti e il Bettini e la presenza, in data 30 maggio 2010, tra le ore

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accessorie applicate a Mario Francesco Mollica e Domenico Curinga, l’interdizione

14.10 e le ore 15.07, della vettura di Sebastiano Pizzata, in uso al Bruzzaniti,
presso il Mc Donald’s di Buccinasco, rilevata mediante sistema GPS – non
proverebbero anche la partecipazione del Bettini a quell’incontro, tanto più che
non risulterebbe dimostrato che il Bruzzaniti avesse in uso, quel giorno,
l’autovettura del Pizzata. La denunciata lacuna argomentativa, secondo il
ricorrente, non potrebbe essere colmata dalle spontanee ‘dichiarazioni rese dal
Bettini, stante la loro assoluta genericità.
3.2. Con un secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 606, comma 1,

Convenzione europea di assistenza giudiziaria penale, firmata a Strasburgo il 20
aprile 1959. Deduce il ricorrente che le operazioni di intercettazione delle
comunicazioni, i cui risultati sono posti a fondamento del giudizio di penale
responsabilità, sono state compiute dall’A.G. tedesca e hanno riguardato utenze
straniere, in uso a soggetti che non erano presenti sul territorio dello Stato
italiano. Nel caso in esame, gli atti procedimentali relativi all’attività di
intercettazione sono stati trasmessi all’A.G. italiana a seguito di rogatoria;
tuttavia, avendo eseguito intercettazioni nel territorio italiano e nel territorio
belga, la polizia tedesca, prima di procedere, avrebbe dovuto fare ricorso alla
rogatoria, pena la sanzione dell’inutilizzabilità prevista dall’art. 191 cod. proc.
pen., attesa la violazione della Convenzione e la mancata applicazione delle
norme di diritto internazionale pattizio regolanti i rapporti tra Stati.

4. Il ricorso presentato nell’interesse di Giovanni Brancatisano si articola in
due motivi.
4.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale in
relazione all’art. 62 bis cod. pen. Invero, ad avviso del ricorrente, i presupposti di
fatto, in forza dei quali è stata negata l’applicazione, nella sentenza di primo
grado, delle circostanze attenutati generiche, ossia l’inserimento del delitto
associativo di cui al capo A) e l’assenza di elementi da valutare positivamente
nella condotta tenuta dall’imputato, elementi richiamati

per relationem nella

sentenza impugnata, sarebbero venuti meno in sede di appello, posto che il
Brancatisano è stato assolto dal capo A) e ha ammesso la propria responsabilità
in maniera completa. La Corte reggina, quindi, avrebbe motivato il diniego dela
circostanze in esame in maniera apparente, senza prendere in esame,
quantomeno per disattenderli, gli elementi poc’anzi indicati.
4.2. Con il secondo motivo si eccepisce violazione di legge in relazione agli
artt. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, 81, comma 2, e 133 cod. pen. Ad
avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe applicato, per la continuazione,
un aumento di pena eccessivo, senza addurre una specifica motivazione, e,

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lett. c) cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 191, 696, 720 cod. proc. pen. e 3

ancora, avrebbe determinato la pena base in maniera sproporzionata, essendo il
fatto di cui al capo O) scarsamente offensivo.

5. Sandro Bruzzaniti propone ricorso per cassazione, integrato da motivi
nuovi ex art. 585, comma 4 cod. proc. pen., entrambi a mezzo del difensore di
fiducia.
5.1. Il ricorso introduttivo, presentato con due distinti atti, è articolato in
nove motivi.
5.1.1. Con il primo motivo si eccepisce violazione di legge processuale e vizio

ricorrente che il reato di cui al capo A), più grave, si sarebbe consumato in
Milano, dove alloggiava Bruno Pizzata, organizzatore indiscusso dell’associazione,
e dove questa operava; di conseguenza, la competenza territoriale andrebbe
incardinata presso l’A.G. di Milano.
5.1.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge penale e vizio
motivazionale quanto al capo I). Assume il ricorrente che l’elemento posto a
fondamento del giudizio di penale responsabilità – ossia il riconoscimento vocale
operato dalla p.g. – sarebbe superato dall’ammissione di responsabilità del
Brancatisano, il quale avrebbe ammesso di aver utilizzato l’utenza n.
380/7838515, con la quale teneva i rapporti con gli acquirenti Varano e
Acampora, circostanza che la Corte reggina avrebbe omesso di valutare.
5.1.3. Con il terzo motivo si eccepisce violazione di legge penale e vizio
motivazionale quanto al capo J). Anche in relazione a tale capo, la difesa contesta
l’identificazione del Bruzzaniti quale utilizzatore dell’utenza n. 380/7838515, a
fronte, come detto, della piena ammissione del Brancatisano di aver avuto la
disponibilità esclusiva di quell’utenza, argomento non superabile, ad avviso della
difesa, dal collegamento tra i fatti di cui ai capi F) e I), essendo tale collegamento
di tipo oggettivo, ma non soggettivo. A ciò si aggiunga che per il capo K), in cui
l’elemento di prova sarebbe incentrato su una conversazione intercettata
sull’utenza n. 380/7838515, il Bruzzaniti è stato assolto, mentre per il
Brancatisano è stata confermata il giudizio di penale responsabilità.
5.1.4. Con il quarto motivo si lamenta, con riguardo ai capi G) e H),
violazione di legge, in relazione agli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del
1990. Nella prospettazione del ricorrente, la Corte reggina avrebbe replicato ai
motivi di appello in maniera acritica e senza confrontarsi con le deduzioni
difensive, in particolare: a) non vi sarebbe prova che, in data 20 maggio 2010, vi
sia stato l’incontro tra Sebastiano Pizzata e Bruzzaniti; b) l’incontro del 30
maggio 2010 sarebbe dimostrato in maniera congetturale, sulla sola base di una
nota dalla p.g. tedesca, secondo cui, tre giorni prima, il Pizzata sarebbe giunto a

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motivazionale in relazione agli artt. 8, 21 e 22 cod. proc. pen. Deduce il

Cantù per pernottare presso l’abitazione del Bruzzaniti, senza che tale circostanza
sia stata dimostrata.
5.1.5. Con il quinto motivo si lamenta violazione di legge penale e manifesta
illogicità della motivazione, con riguardo agli artt. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del
1990, 81, comma 2, e 133 cod. pen. Assume il ricorrente che, pur avendo la
Corte territoriale riqualificato i fatti di cui ai capi 3), V) e W) ai sensi dell’art. 73,
comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, per tali ultimi due capi l’aumento di pena, a
titolo di continuazione, sarebbe stato operato come se tali imputazioni

5.1.6. Co’ n il sesto motivo si eccepisce l’omesso esame di un motivo di
appello specificatamente devoluto e apparenza della motivazione, in relazione al
capo V). Assume il ricorrente che la Corte reggina non avrebbe preso in esame la
tesi dell’uso di gruppo di sostanza stupefacente, pure articolato dalla difesa in via
subordinata.
5.1.7. Con il settimo motivo si deduce vizio motivazionale e violazione della
legge penale in relazione agli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 con
riguardo al capo W). Ad avviso del ricorrente, dal mero “fare guardingo” dei
soggetti coinvolti da tale imputazione (Bruzzaniti, Ferrara e Pisano) non potrebbe
trarsi la prova – come ritenuto nella sentenza impugnata – che costoro avessero
la disponibilità, attuale e concreta, della sostanza stupefacente.
5.1.8. Con l’ottavo motivo si deduce violazione della legge penale e illogicità
della motivazione in relazione agli artt. 133 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990
con riguardo al capo G). Ad avviso del ricorrente, la pena individuata per tale
capo sarebbe sproporzionata, tenuto conto che è stata inflitta in misura inferiore
per altri coimputati, i quali, a differenza del Bruzzaniti, incensurato, risultano
gravati da precedenti penali.
5.1.9. Con il nono motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale
in relazione all’art. 62 bis cod. pen. La Corte territoriale, con una motivazione
“omniconnprensiva”, avrebbe escluso per tutti gli imputati l’applicazione delle
circostanze attenuanti generiche, senza tener conto, quanto a Bruzzaniti,
dell’intervenuta assoluzione per i capi A) e Z), e della riqualificazione dei fatti
nell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
5.2. Con atti depositati in data 29 dicembre 2017 e 2 gennaio 2018, di
identico contenuto, il difensore ha presentato motivi nuovi, a corredo e
approfondimento dei motivi principali di ricorso.
5.2.1. Con il primo motivo si insiste nell’eccezione di incompetenza
territoriale (cfr. par. 5.1.1.), facendo leva sul principio di diritto affermato da
Cass., Sez. U, n. 53390 del 26/10/2017, secondo cui, ferma restando la necessità
di individuare un effettivo legame finalistico fra i reati, non è richiesta l’identità

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integrassero ancora l’ipotesi di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990.

tra gli autori ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista
dall’art. 12, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., ciò che, ad avviso del ricorrente,
radicherebbe la competenza dell’A.G. di Milano, atteso che Pizzata aveva la
propria base operativa nel capoluogo lombardo.
5.2.2. Con il secondo motivo si reitera vizio motivazionale in relazione ai capi
G) e H) (cfr.-par. 5.1.4.), avendo la Corte territoriale omesso di confrontarsi con
le deduzioni difensive, posto che, da un lato, il Pizzata, ossia il presunto
combinatore dell’accordo, nemmeno sarebbe stato imputato del reato di cui al

Locri in data 29 giugno 2016 (in particolare, p. 82), dall’altro non vi sarebbe
prova del’avvenu-ta cessione dello stupefacente.
5.2.3. Con in terzo motivo si insiste nell’eccepire violazione in legge in
relazione al computo della pena inflitta, a titolo di continuazione, per i capi V) e
W), riqualificati dalla Corte territoriale ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n.
309 del 1990, senza che ciò abbia comportato una rimodulazione in melius della
pena (cfr. par. 5.1.5).
5.2.4. Con il quarto motivo si reitera violazione di legge e vizio motivazionale
in relazione all’art. 62

bis

cod. pen., in considerazione dell’intervenuta

assoluzione del Bruzzaniti dal delitto associativo, circostanza che era stata
valorizzata per negare l’applicazione delle circostanze in esame (cfr. par. 5.1.9.).
5.2.5. Con il quinto motivo si lamenta illogicità della motivazione in relazione
alla determinazione della pena ai sensi dell’art. 133 cod. pen. Assume il ricorrente
che la pena sarebbe stata commisurata in maniera irragionevole, specie se
confrontata con quella, più mite, inflitta a coimputati aventi la medesima
posizione, come il Brancatisano.

6. Il ricorso presentato nell’interesse di Marco Buttiglieri è affidato a due
motivi.
6.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale in
relazione agli artt. 125, comma 3, 546, comma 1, lett. e), 533 cod. proc. pen.
con riguardo al capo Z). Ad avviso del ricorrente, la motivazione offerta dalla
Corte reggina per ravvisare l’ipotesi consumata di importazione, e non tentata,
come ritenuto dal g.u.p., sarebbe affetta da illogicità, non potendo desumersi
dallo sbarco ad Anversa della nave con il carico di stupefacente l’esistenza di un
previo accordo tra gli imputati i narcotrafficanti stranieri, in assenza di qualsiasi
minimo elemento di riscontro. Il ricorrente richiama espressamente un
precedente giurisprudenziale, espresso da Cass., Sez. 6, 04/06/2013, n. 33144,
la cui motivazione viene ampiamente riportata nel ricorso, la quale, in una
vicenda che si assume identica a quella in esame, nemmeno si sono ravvisati gli

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capo G) ed è stato assolto dal reato di cui al capo H) con sentenza del tribunale di

estremi del tentativo di importazione dello stupefacente. Un ulteriore profilo di
illogicità della sentenza viene individuato nel fatto che all’imputato era ascritto il
ruolo di recuperare lo stupefacente dalla nave, dopo lo sdoganamento, che però
non è nemmeno avvenuto, sicché non vi sarebbe prova che il Buttiglieri abbia
contribuito all’importazione dello stupefacente; in ogni caso, un eventuale
-intervento successivo potrebbe al più integrare gli estremi del reato di cui all’art.
379 cod. pen. Ancora, il difensore censura la motivazione nella parte in cui, in
maniera apodittica, ha ravvisto la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80,
comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, senza alcun accertamento sul principio attivo,

stupefacente proveniente’ dalla Colombia sarebbe dotato da un elevato grado di
purezza.
6.2. Con un secondo motivo si lamenta violazione di legge e vizio
motivazionale in relazione agli artt. 125, comma 3, 546, comma 1, lett. e), 533
cod. proc. pen. in riferimento alla determinazione della pena. La Corte
territoriale, secondo il ricorrente, da una parte, non avrebbe indicato la pena
base, sulla quale operare l’aumento per l’aggravante di cui al comma 6 dell’art.
73 d.P.R. n. 309 del 1990; dall’altra, avrebbe erroneamente operato l’aumento
per l’aggravante di cui all’art. 4 I. n. 146 del 2006, nonostante sia stata ritenuta
insussistente dai giudici di appello.

7. Il ricorso proposto congiuntamente da Claudio Carminati e Denis
Carminati, a mezzo del comune difensore di fiducia, è affidato a quattro motivi.
7.1. Con il primo motivo si deduce vizio motivazionale in relazione all’art. 81
cod. pen. Secondo i ricorrenti, la Corte territoriale non avrebbe dato risposta ai
motivi nuovi, depositati in data 16 settembre 2015, e ribaditi con memoria del 28
settembre 2015, con cui si è chiesto il riconoscimento del vincolo della
continuazione con i fatti giudicati con sentenza emessa dal g.u.p. del tribunale di
Milano rispettivamente in data 2 luglio 2013, irrevocabile il 16 novembre 2013, a
carico di Claudio Carminati, e in data 17 ottobre 2013, irrevocabile il 8 febbraio
2014, a carico di Denis Carminati; con nota di deposito del 28 dicembre 2017, il
difensore ha prodotto nuovamente le due sentenze in esame.
7.2. Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione della legge penale
con riguardo agli artt. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 e 59, comma 2, cod. pen. Da un
lato, la Corte territoriale avrebbe ravvisto l’aggravante dell’ingente quantità” in
assenza di qualsivoglia analisi circa la presenza di principio attivo; dall’altro, in
ogni caso, stante il ruolo ricoperto dai ricorrenti, non risulterebbe provato che
costoro fossero a conoscenza dell’esatto quantitativo di droga importato e del
relativo grado di purezza.

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e facendo unicamente affidamento sulla massima di esperienza, secondo cui lo

7.3. Con il terzo motivo si lamenta vizio motivazionale in relazione all’art.
133 cod. pen. I ricorrenti contestano l’eccessività della pena base, in relazione
alla quale, peraltro, mancherebbe qualsivoglia motivazione.
7.4. Con il quarto motivo si eccepisce vizio motivazionale con riguardo all’art.
69 cod. pen., non avendo la Corte territoriale esplicitato la ragioni della ritenuta
equivalenza delle attenuanti generiche con l’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n.
309 del 1990, stante il ruolo marginale ricoperto dai ricorrenti e il loro

8. Il ricorso presentato nell’interesse di Antonio Commisso è articolato in tre
motivi.
8.1. Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 56, 110 cod. pen.,
73 e 80 d.P.R. n. 309 del 1990 in riferimento al capo Z). Assume il ricorrente che
il Commisso, indicato come soggetto addetto allo sdoganamento dello droga,
peraltro, mai avvenuto, non sarebbe stato riconosciuto con certezza da Claudio
Carminati nell’esame reso in data 23 ottobre 2013, e non sarebbe mai
menzionato da Denis Carminati, nonostante il ruolo di primo piano svolto
nell’affare dai fratelli Carminati. Sotto altro profilo, il ricorrente evidenzia come
non sarebbe emerso alcun elemento concreto per ricollegare al Commisso
l’utenza telefonica n. 328/5623108, peraltro in uso a ben quattro soggetti.
Ancora, nella conversazione ambientale n. 843 del 28 novembre 2010 non si
parlerebbe mai del Commisso e in quella n. 373 del 29 novembre 2010 non vi
sarebbe alcuna menzione di sostanza stupefacente o di altri fatti illeciti.
8.2. Con il secondo motivo si deduce violazione della legge penale con
riferimento agli artt. 56 cod. pen., 73 e 80, comma 2, d.P.R. n. 39 del 1990 in
relazione al capo Z). Il ricorrente contesta la sentenza impugnata, sia nella parte
in cui ha qualificato il fatto come consumato, in quanto il mero accordo tra i
soggetti interessati all’operazione integrerebbe, al più, l’ipotesi del tentativo di
importazione, sia laddove avrebbe ravvisato l’aggravante dell’ingente quantità”,
in assenza di una perizia sull’esatta individuazione di principio attivo.
8.3. Con il terzo motivo si eccepisce violazione di legge e vizio motivazionale
sotto plurimi profili. In primo luogo, la Corte territoriale, con riguardo al capo Z)
avrebbe errato nel ravvisare sia l’ipotesi consumata, anziché tentata, sia
l’aggravante di cui all’art. 4 I. n. 146 del 2006. Inoltre, il ricorrente censura la
sentenza impugnata, laddove ha escluso l’applicazione delle circostanze
attenuanti di cui agli artt. 114 e 62 bis cod. pen., in considerazione del ruolo
marginale svolto dal Commisso.

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atteggiamento processuale.

9. Il ricorso proposto nell’interesse di Domenico Curinga è articolato in due
motivi.
9.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale in
relazione all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 con riguardo ai capi O), P),
Q), R) e S). Assume il ricorrente che la sentenza di secondo grado avrebbe
pedissequamente seguito la motivazione di primo grado, senza un necessario
approfondimento critico delle doglianze difensive.
9.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale

avviso del ricorrente, la motivazione, con cui è stata negata l’applicazione delle
circostanze attenuanti generiche, sarebbe stereotipata e sganciata da elementi
fattuali.

10. Il ricorso proposto nell’interesse di Vincenzo Fazzari si articola in cinque
motivi.
10.1. Con il primo motivo si eccepisce violazione di legge in relazione agli
artt. 56 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 con riguardo al capo Z). Come
ritenuto da altri ricorrenti, la difesa contesta la qualificazione del fatto alla
stregua dell’ipotesi consumata, e non, invece, tentata.
10.2. Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione dell’art. 80 d.P.R.
e vizio motivazionale, in relazione al capo Z), per aver la Corte territoriale
ravvisato l’aggravante dell’ingente quantità” sulla mera base del quantitativo
sequestrato e della provenienza dello stupefacente, in assenza di un esame
tossicologico.
10.3. Con il terzo motivo si eccepisce illogicità della motivazione in relazione
al capo Z). Secondo il ricorrente, la Corte reggina, in maniera contraddittoria,
avrebbe ascritto al Fazzari il ruolo di finanziatore dell’operazione, nonostante che,
come emergerebbe dalle intercettazioni riportate nella sentenza, il finanziamento
non sia nemmeno andato a buon fine.
10.4. Con il quarto motivo si lamenta erronea applicazione della legge in
relazione all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e illogicità della motivazione. Da un
lato, ad avviso del ricorrente, difetterebbe la prova di un rapporto stabile e
continuativo tra i presunti associati, posto che la Corte territoriale ha ritenuto che
l’apporto del Fazzari si sarebbe protratto sino al 13 novembre 2010, in relazione
dell’operazione di importazione dello stupefacente dalla Colombia, peraltro
consumatasi nel febbraio 2011; dall’altro, l’affermazione della Corte reggina,
secondo cui il Fazzari si sia adoperato per “reperire fondi da destinare ai diversi
affari del gruppo”, sarebbe sfornita di qualsiasi riscontro probatorio.

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in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., con riguardo all’art. 62 bis cod. pen. Ad

10.5. Con il quinto motivo si deduce travisamento della prova e vizio
motivazionale. Sostiene il ricorrente che, nei motivi di appello, si sollecitava la
Corte a valutare la conversazione in data 28 giugno 2010, ore 22.40, intercorsa
Francesco Strangio e Bruno Pizzata, in grado di scagionare il Fazzari, come
peraltro da costui riferito nel corso degli interrogatori resi sia al p.m., sia al g.i.p.,
in cui avrebbe sempre negato di essersi occupato di affari di droga; nondimeno la
Corte territoriale avrebbe omesso ogni valutazione sul punto.

motivi.
11.1. Con il primo motivo si lamenta manifesta illogicità e mancanza di
motivazione con riguardo ai capi W) e X). Ad avviso del ricorrente, la Corte
territoriale avrebbe dato certezza a quello che, secondo quanto accertato
nell’ordinanza applicativa delle misure cautelari e nella sentenza di primo grado,
era una mera ipotesi investigativa, e cioè che l’amico del Ferrata, che il Bruzzaniti
avrebbe dovuto incontrare il 12 ottobre 2010, era da identificarsi in Vincenzo
Liberato Pisano, il quale, il 16 ottobre 2010, si lamentava con l’interlocutore di un
problema rimasto irrisolto, e tenendo conto che il Pisano, per come accertato
dalla Corte reggina, si riforniva di sostanza stupefacente anche da altri soggetti.
11.2. Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione della legge
penale in ordine alla mancata rideterminazione della pena, a seguito del
riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990
quanto ai capi W) e X). Lamenta il ricorrente che, a fronte della qualificazione del
fatto come di “lieve entità”, la Corte territoriale non avrebbe provveduto a
rideterminare la pena in maniera consequenziale, così incorrendo in un evidente
errore di quantificazione della sanzione.
11.3. Con il terzo motivo si eccepisce l’erronea applicazione della legge
penale in ordine al mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma
5, d.P.R. n 309 del 1990, in riferimento ai capi W) e X). Ove ritenuto infondato il
motivo di cui al precedente par. 11.2, la difesa chiede il riconoscimento
dell’ipotesi del fatto di “lieve entità”, in considerazione della mancanza di
elementi certi in ordine alla quantità e alla qualità dello stupefacente.
11.4. Con il quarto motivo si deduce vizio motivazionale in ordine alla
mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e alla quantificazione
della pena secondo i criteri dell’art. 133 cod. pen. Nel far propria la motivazione
della sentenza di primo grado, che non aveva ravvisato, nella condotta del
Ferrata, elementi da valorizzare ai fini dell’applicazione delle attenuanti in esame,
la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto dell’occasionalità della condotta,
del fatto che l’assenza di confessione non può essere valutata contra reum, e

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11. Il ricorso presentato nell’interesse di Carlo Ferrara è affidato a cinque

che, comunque, uscito dal carcere, il Ferrara ha aperto un negozio di
parrucchiere, distaccandosi dall’attività criminale.
11.5. Con il quinto motivo si lamenta mancata motivazione ed erronea
applicazione della legge penale in relazione all’art. 133-bis cod. pen. A fronte
della motivazione della sentenza di primo grado, che aveva operato l’aumento
della pena pecuniaria ai sensi dell’art. 133-bis cod. pen. ritenendo insufficiente il
massimo edittale, la difesa aveva prodotto documentazione attestante le
condizioni reddituali e di vita dell’imputato al momento dell’arresto, senza però

12. Il ricorso presentato congiuntamente da Cosimo Fiorito e da Salvatore
Fiorito, per il tramite del comune difensore di fiducia, è affidato a due motivi.
12.1. Con il primo, articolato, motivo si deduce violazione di legge e vizio
motivazionale in relazione agli artt. 56 cod. pen., 73 e 80 d.P.R. n. 309 del 1990,
4 I. n. 146 del 2006, con riguardo al capo Z). Nel riprendere le argomentazioni
già dedotte, al proposito, da altri ricorrenti, in primo luogo si evidenzia, che,
secondo quanto ritenuto dai giudici di merito, Domenico Molè, il quale aveva
buoni uffici di Colombia, era il finanziatore dell’operazione; orbene, poiché il Molè
è stato assolto dall’imputazione in esame, ne deriverebbe che l’eventuale
accordo, in precedenza intercorso, non potrebbe definirsi serio, ciò che
escluderebbe la sussistenza della fattispecie consumata; ancora, la circostanza,
affermata nella sentenza impugnata, secondo cui era stato effettuato il
pagamento della droga, sarebbe sfornita di ogni supporto probatorio. In ogni
caso, i ricorrenti sarebbero dovuti intervenire nella fase dello sdoganamento, fase
che non vi è stata, sicché essi non hanno contribuito all’ipotizzato tentativo di
importazione. In secondo luogo, si censura la sentenza impugnata, laddove ha
ravvisato l’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, in
assenza di qualsivoglia accertamento sulla quantità e sulla qualità dello
stupefacente. In terzo luogo, non sarebbe dato ravvisare alcun elemento per
ascrivere ai ricorrenti, quantomeno dal punto dì vista dell’elemento soggettivo, la
circostanza aggravante di cui all’art. 4 I. n. 146 del 2006.
12.2. Con il secondo motivo si denuncia erronea applicazione delle legge
penale e difetto di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, con
riguardo agli artt. 62-bis, 63, comma 4, 81, 133 cod. pen. e 73, 80 d.P.R. n. 309
del 1990. La Corte territoriale, in particolare, avrebbe omesso di motivare in
ordine all’aumento di pena derivante dall’applicazione delle suindicate aggravanti
e dalla continuazione, nonché in ordine alla mancata applicazione delle
circostanze attenuanti generiche.

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che la Corte territoriale abbia fornito alcuna risposta.

13. Il ricorso promosso nell’interesse di Carmelo Telo è articolato in quattro
motivi.
13.1. Con il primo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1,
lett. b), c), e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 56 cod. pen., 73 e 80 d.P.R.
n. 309 del 1990, 187 e 192 cod. proc. pen., con riguardo al capo Z). Assume il
ricorrente, che sarebbe errata la qualificazione del fatto alla stregua del delitto
consumato, come ritenuto dalla Corte territoriale, essendo, per contro,
ipotizzabile il tentativo di importazione.

talune carenze argomentative riguardati elementi del fatto di cui al capo Z),
ossia: a) l’arrivo della nave con l’asserito carico di droga in Anversa; b) la
perquisizione della nave; c) l’accertamento circa la quantità e la qualità dello
stupefacente, mancando il quale non sussisterebbero i presupposti fattuali per
ritenere l’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990
13.3. Con il terzo motivo si eccepisce vizio motivazionale in relazione gli artt.
73 d.P.R. n. 309 del 1990 e 110 cod. pen. La Corte territoriale, come
argomentato da altri ricorrenti, avrebbe errato nel ravvisare, con riguardo al capo
Z), l’ipotesi consumata, stante la diversità ontologica e la non contestualità della
condotta, nonché il differente grado di coinvolgimento dei diversi imputati;
peraltro, lo Telo sarebbe rimasto estraneo alla fase sia della trattativa, sia
dell’accordo, essendo presente unicamente in relazione alla fase del tentativo di .
sdoganamento della merce. Sotto altro profilo, il ricorrente contesta la serietà
dell’accordo intercorso, come ritenuto dalla Corte territoriale, tanto più che, in un
episodio analogo, in relazione al quale si è espressa la Cassazione (Cass., Sez.
III, n. 2428 del 20 maggio 2015), si sono ravvisati gli estremi del tentativo.
13.4. Con il quarto motivo si denuncia erronea applicazione della legge
penale e difetto di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, con
riguardo sia alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche,
stante il ruolo marginale dello Telo, sia all’omessa motivazione in ordine
all’aumento a titolo di continuazione con i fatti giudicati dalla Corte d’appello di
Milano in data 5 giugno 2014, sia all’aggravante di cui all’art. 4 I. n. 46 del 2006,
ritenuta sussistente sulla base di mere formule di stile, prive di riferimenti alle
risultanze processuali.

14. Il ricorso promosso nell’interesse di Geremia Maviglia è articolato in un
unico, composito, motivo, con cui si denuncia erronea applicazione della legge
penale e vizio di motivazione in relazione all’art. 62 bis cod. pen. La Corte
territoriale, deduce il ricorrente, avrebbe negato l’applicazione delle attenuanti in

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13.2. Con il secondo motivo si deduce vizio motivazionale in relazione a

esame con una motivazione “generalista” e indistinta, senza prendere in esame
gli elementi dedotti, nel singolo caso, dal Maviglia.

15. Il ricorso promosso nell’interesse di Maurizio Maviglia è affidato a un
unico motivo, incentrato sulla violazione’ di legge in relazione all’art. 8 I. n. 203
del 1991. Assume il ricorrente che, erroneamente, la Corte territoriale avrebbe
negato l’applicazione della circostanza attenuante in esame, pur ricorrendone i
presupposti, in quanto, da un lato, la condotta collaborativa rientrerebbe nella
previsione di legge, trattandosi di illeciti commessi in un contesto criminoso

contributo conoscitivo apportato dalle dichiarazioni del Maviglia avrebbe
rafforzato il quadro- probatorio a carico dei correi del presente procedimento.

16. Il ricorso promosso nell’interesse di Mario Francesco Mollica è affidato a
un unico, articolato, motivo, incentrato sulla violazione di legge e relativo vizio
motivazionale in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., con riferimento agli artt.
110 cod. pen., 73 d.P.R. n. 309 del 1990, con riguardo ai capi F) e V). Deduce il
ricorrente che l’impianto probatorio a carico dell’imputato sarebbe esclusivamente
fondato sull’attività captativa posta in essere dalla p.g., in assenza di qualsivoglia
accertamento e monitoraggio visivo da parte delle forze dell’ordine e di prove di
carattere dichiarativo. Secondo la prospettazione difensiva, nella sentenza
impugnata sarebbe del tutto carente la ricerca di elementi di conferma dell’ipotesi
accusatoria, non avendo una valenza dimostrativa i contatti tra il Mollica e il
Bruzzaniti, che, di per sé soli, non sarebbero idonei a integrare la condotta
concorsuale, in assenza di un contributo apprezzabile arrecato alla commissione
del reato.

17. Il ricorso promosso nell’interesse di Bruno Pizzata è articolato in dodici
motivi.
17.1. Con il primo motivo si eccepisce mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 546, comma 1, lett. e)
cod. proc. pen. Assume il ricorrente che il g.u.p. prima, la Corte territoriale poi,
avrebbero omesso di valutare una prova decisiva offerta dalla difesa, ossia la
consulenza grafologica, a firma dott. Antonio Milicia, su alcuni fogli attribuiti
all’imputato sequestrati in un appartamento asseritamente attribuito al Pizzata,
posti a sostegno del capo Z). La Corte reggina, inoltre, avrebbe erroneamente
rigettato la richiesta ex art. 603 cod. proc. pen. di acquisizione di una prova che
si assume essere decisiva, ossia le dichiarazioni rese in dibattimento da Giuseppe

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caratterizzato dalle condizioni di cui all’art. 416-bis cod. pen.; dall’altro, il

Pizzata, volte a dimostrare la non riconducibilità dell’appartamento in questione al
ricorrente.
17.2. Con il secondo motivo si lamenta inosservanza e/o erronea
applicazione della legge penale in relazione all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Evidenzia il ricorrente chè, – nei suoi confronti, non era stata applicata alcuna
misura in relazione al delitto associativo e, in assenza di impugnazione del p.m.,
si era cristallizzato l’impianto probatorio con riguardo a tale imputazione. La
Corte reggina avrebbe, perciò, errato nel desumere la prova della partecipazione

capo Z), in assenza di altre condotte riconducibili nello schema dell’art. 74 d.P.R.
n. 309 del 1990. Nel caso in esame, sarebbero sforniti di prova gli elementi
costitutivi della fattispecie associativa, ossia la presenza di una struttura
permanente, stabile e funzionale, di più persone che, in maniera continuativa,
svolgono determinati compiti in forza di un’unificante affectio societatis.
17.3. Con il terzo motivo si lamenta inosservanza e/o erronea applicazione
della legge penale con riferimento al capo Z). Ad avviso del ricorrente, dall’analisi
dell’attività di captazione effettuata il 19 ottobre 2010 emergerebbe che: vi
sarebbero stati tre gruppi interessati all’importazione di sostanze stupefacente, e
non di uno soltanto; non si sarebbe perfezionato alcun accordo; non vi sarebbe
prova della supposta importazione dello stupefacente. Secondo la difesa, la Corte
territoriale avrebbe omesso di motivare in ordine ai profili dedotti in sede di
appello, in quanto l’estraneità del Pizzata, rispetto alla presunta importazione, si
ricaverebbe dal confronto tra le captazioni, che non provano alcun collegamento
tra Pizzata, Carminati e Buttiglieri, e dagli interrogatori resi da Denis Carminati in
data 23 gennaio 2013 e 14 febbraio 2013 e da Marco Buttiglieri in data 22 marzo
2013.
17.4. Con il quarto motivo si lamenta inosservanza e/o erronea applicazione
della legge penale con riferimento al capo Y). Deduce il ricorrente che
mancherebbe qualsivoglia collegamento tra Pizzata, Morgante e Francesco
Strangio, non essendo probanti le captazioni tra Morgante e Strangio, perché
l’utenza attribuita a quest’ultimo non sarebbe a lui riferibile e, comunque, le
conversazioni proverebbero esclusivamente un rapporto tra i due e null’altro,
specie in relazione al Pizzata. In ogni caso, lo stupefacente sequestrato a
Morgante sarebbe per uso personale ovvero, a tutto concedere, potrebbe al più
integrare l’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
17.5. Con il quinto motivo si lamenta inosservanza e/o erronea applicazione
della legge penale con riferimento ai capi Al) e B1). La difesa contesta, in primo
luogo, la genericità delle imputazioni in esame, e, secondariamente, il fatto che le
conversazioni captate nell’abitazione di via Venezian, in Milano, non avrebbero

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del Pizzata all’associazione di cui al capo A) unicamente dalle risultanze relative al

alcuna valenza dimostrativa, essendo vanterie del passato, e, comunque, i fatti
riferiti sarebbero annoverabili tra quelli di “lieve entità”.
17.6. Con il sesto motivo si eccepisce mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione in relazione al capo D1). Anche in tal caso,
assume il ricorrente, si sarebbe in presenza di mera “droga parlata”, e non
sarebbe dato conoscere la provenienza dello stupefacente, i fornitori, le modalità
di trasporto, il principio attivo.
17.7. Con il settimo motivo si eccepisce mancanza, contraddittorietà e

ricorrente, di un capo di imputazione generico e privo di concludenza probatoria,
non essendovi elementi da cui desumere l’identità dei fornitori e il luogo di
importazione dello stupefacente.
17.8. Con l’ottavo motivo si eccepisce mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione in relazione al capo F1). Deduce il ricorrente
che il contenuto della conversazione, posta a fondamento del giudizio di penale
responsabilità, sarebbe sostanzialmente incomprensibile, sicché non sarebbe
dato comprendere il ragionamento che ha condotto a ritenere provata la
colpevolezza del Pizzata per il fatto in esame.
17.9. Con il nono motivo si eccepisce mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione in relazione al capo L1). Ad avviso del
ricorrente, la conversazione, indicata come prova dell’imputazione in esame, in
realtà sarebbe costituita da mere vanterie dei conversanti, di talché la
motivazione, sul punto, sarebbe apparente.
17.10. Con il decimo motivo si eccepisce mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione in relazione al capo M1). Deduce il
ricorrente che la Corte territoriale si sarebbe limitata a riportare la fonte di prova,
senza indicare il percorso inferenziale alla base del giudizio di responsabilità, il
che integrerebbe il vizio di motivazione apparente.
17.11. Con l’undicesimo motivo si lamenta inosservanza e/o erronea
applicazione della legge penale in relazione all’aggravante di cui all’art. 80,
comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, ritenuta al capo Z). Assume il ricorrente che la
Corte territoriale non avrebbe correttamente applicato i principi elaborati dalla
giurisprudenza di legittimità, in quanto il superamento del dato quantitativo,
variabile a seconda del tipo di sostanza stupefacente, vale solo in negativo, e, in
ogni caso, nella vicenda in esame, in assenza di qualsivoglia accertamento, non
sarebbe dato sapere il numero di dosi ricavabili dallo stupefacente sequestrato.
17.12. Con il dodicesimo motivo si lamenta inosservanza e/o erronea
applicazione della legge penale in relazione al trattamento sanzionatorio. Assume
il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente operato un aumento

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manifesta illogicità della motivazione in relazione al capo D1). Si tratta, lamenta il

di pena di reclusione per l’aggravante di cui all’art. 4 I. n. 146 del 2006, la quale,
tuttavia, sarebbe stata esclusa dagli stessi giudici d’appello.

18. Il ricorso presentato nell’interesse di Filippo Rechichi si articola in quattro
motivi.
18.1. Con il primo motivo si deduce inosservanza di legge e vizio
motivazionale in relazione agli artt. 125, comma 3,546, comma 1, lett. e), 533
cod. proc. pen. con riferimento all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 di cui al capo A).
Ad avvio del ricorrente, dal compendio probatorio, non emergerebbe alcun

dei crediti dell’associazione o abbia contribuito al reperimento di finanzlatori e/o
-canali di spaccio; peraltro, dalla disamina delle conversazioni captate, si
desumerebbe come il Rechichi sia stato presente solo ad alcune di esse e
proferendo poche battute, ciò che denoterebbe, al più, una mera connivenza in
traffici illeciti; parimenti, in altre conversazioni Richichi si limiterebbe ad ascoltare
le lamentale del Pizzata sui suoi collaboratori e sulla carenza di liquidità, senza,
dunque, apportare alcun contributo causale. Secondo il ricorrente, dal materiale
probatorio emergerebbe la sussistenza non di un’associazione, caratterizzata dal
vincolo stabile tra gli associati, strumentale alla realizzazione dei delitti, ma di
una collaborazione occasionale di soggetti dediti alla ricerca di un “guadagno
facile”. In ogni caso, Richichi, dal 2005 al 2010, non risulterebbe in contatto con
il Pizzata, né partecipe in episodi specifici di vendita di stupefacenti, ovvero alla
ricerca di risorse per finanziare traffici illeciti. Peraltro, il contributo offerto dal
Richichi potrebbe, semmai, integrare gli estremi del delitto di cui all’art. 378 cod.
pen. nei confronti del Pizzata.
18.2. Con il secondo motivo si deduce inosservanza di legge e vizio
motivazionale in relazione agli artt. 125, comma 3, 546, comma 1, lett. e), 533
cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 73 e 80 d.P.R. n. 309 del 1990 di cui al
capo Z). Secondo il ricorrente, l’affermazione, contenuta nella sentenza
impugnata, secondo cui, dallo sbarco della nave ad Anversa, discende l’esistenza
di un previo accordo tra gli imputati e i narcotrafficanti stranieri, sarebbe illogica,
in assenza di qualsivoglia elemento di riscontro. Inoltre, dal compendio delle
captazioni emergerebbe un confuso tentativo di importazione di stupefacente,
senza alcuna certezza in ordine al quantitativo e alla somma pagata. Le
medesime doglianze valgono anche in relazione all’aggravante di cui all’art. 80
d.P.R. n. 309 del 1990, ritenuta sussistente dalla Corte territoriale con
motivazione che il ricorrente assume essere illogica, sulla base di una massima di
esperienza errata, ben potendo la droga proveniente dalla Colombia essere stata
“tagliata” o modificata prima di approdare ad Anversa.

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elemento che possa dimostratore che il Rechichi si sia adoperato per il recupero

18.3. Con il terzo motivo si eccepisce inosservanza di legge e vizio
motivazionale in relazione agli artt. 125, comma 3, 546, comma 1, lett. e), 533
cod. proc. pen. con riferimento all’art. 648 cod. pen. contestato ai capi M1) e
Ni). Deduce il ricorrente che, nella conversazione captata, posta a fondamento
del giudizio di responsabilità per fatto di cui al capo M1), Richichi non avrebbe
mai preso la parola e, in ogni caso, a quella conversazione non sarebbero seguiti
ulteriori riscontri presso il meccanico incaricato di effettuare le modifiche
sull’autovettura. Anche con riguardo al fatto di cui al capo Ni), le dichiarazioni

prescritto.
18.4. Con il quarto motivo si lamenta inosservanza di legge e vizio
motivazionale in relazione agli artt. 125, comma 3, 546, comma 1, lett. e), 533
cod. proc. pen. con riferimento alla determinazione della pena. Assume il
ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe esplicitato la pena base, al fine di
verificare la correttezza dell’aumento ex art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 e, inoltre,
avrebbe applicato l’aumento per l’aggravante di cui all’art. 4 I. n. 146 del 2006,
sebbene esclusa dai giudici d’appello.

19. Francesco Strangio (cl. 1946) propone due distinti ricorsi per cassazione,
presentati dai rispettivi difensori di fiducia.
19.1. Il ricorso presentato dall’avv. Giuseppe Nardo è affidato a sette motivi.
19.1.1. Con il primo motivo si eccepisce violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione agli artt. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, 192, commi 1 e 2,
125 cod. proc. pen., 111, comma 6, Cost. Deduce il ricorrente che, in relazione al
presunto ruolo di organizzatore e finanziatore dell’associazione di cui al capo A),
ascritto allo Strangio, la Corte d’appello avrebbe pedissequamente aderito alla
sentenza di primo grado, omettendo di motivare in ordine alle deduzioni sollevate
con l’atto di appello. In particolare: a) lo Strangio avrebbe partecipato in maniera
esigua alle conversazioni captate nell’appartamento di Milano, in via Venezian, e,
comunque, non alle riunioni del 18 e 19 ottobre 2010, in cui si sarebbe
progettato l’acquisto dello stupefacente; b) l’occasionalità dei contatti non
dimostrerebbe l’esistenza di un rapporto stabile e duraturo tra i presunti
associati, peraltro smentito dalle numerose defezioni avutesi dopo i primi contatti
con il Pizzata; c) l’esistenza dell’associazione non potrebbe essere desunta dalla
tentata importazione di cui al capo Z), peraltro miseramente fallita; d) lo Strangio
sarebbe presente in un arco temporale limitato, da fine ottobre al 2 dicembre
2010, e a lui subentrano altri personaggi, sconosciuti allo Strangio; e) la
dimostrazione della stabilità dell’accordo non potrebbe desumersi dagli
innumerevoli contatti tra gli imputati, potendo, un dato del genere, essere

20

del Richichi non risulterebbero riscontrate e, in ogni caso, il reato deve intendersi

dimostrativo anche della fattispecie del concorso di persone nel reato; f) non
sarebbe stata dimostrata la presenza di una struttura, che abbia a disposizione
mezzi e risorse comuni, mancando, inoltre, un’unità di intenti, come
emergerebbe dalle conversazioni intercettate.
19.1.2. Con il secondo motivo si eccepisce violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione agli artt. 56, 100 cod. pen., 73 d.P.R. n. 309 del 1990,
192, commi

1 e 2, 125 cod. proc. pen., 111, comma 6, Cost. Assume il

ricorrente, con riguardo al capo Z), che lo Strangio non avrebbe preso parte alle

dello stupefacente; egli ebbe contatti solo con alcuni imputati e le conversazioni
intercettate nel periodo 28 novembre 2001-2 dicembre 2010, data del suo
arresto, dimostrerebbero come l’affare fosse sfumato, quantomeno nel momento
in cui lo Strangio uscì di scena. La sentenza non indicherebbe specifici elementi a
carico dello Strangio, in relazione al sequestro avvenuto ad Anversa in data

1

febbraio 2011, quando l’imputato si trovava ristretto in carcere.
19.1.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione agli artt. 73 e 80 d.P.R. n. 309 del 1990, 192, commi 1 e
2, cod. proc. pen. Deduce il ricorrente che, in maniera erronea, con riguardo al
fatto di cu al capo Z), la Corte territoriale avrebbe ravvisato l’aggravante
dell’ingente quantità, nonostante non si conosca il principio attivo presente nello
stupefacente sequestrato. Sul punto, la motivazione si fonderebbe su una mera
congettura.
19.1.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione agli artt. 73, commi 1 e 5, d.P.R. n. 309 del 1990, 192,
commi 1 e 2, cod. proc. pen., 81 cod. pen. Lamenta il ricorrente, con riguardo al
fatto di cui al capo Y), che la terminologia attinente la materia sanitaria, utilizzata
dallo Strangio, troverebbe un preciso riscontro nel fatto che, in quel periodo, la di
lui moglie, Caterina Pizzata, si trovava ricoverata presso il Centro Tumori di
Milano. Inoltre, le conversazioni captate il 3 e il 4 ottobre 2010 dimostrerebbero
non la penale responsabilità dell’imputato, ma la sua estraneità al fatto, come
attesta un’attenta lettura della conversazione del 3 ottobre 2010, n. 176, in cui lo
Strangio comunica al Pizzata di recarsi in albergo per ritirare una cartella,
dovendosi intendere, con tale locuzione, la cartella clinica.
19.1.5. Con il quinto motivo si eccepisce violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione agli artt. 110, 81, 648 cod. pen., 192, commi 1 e 2, 125
cod. proc. pen., 111, comma 6, Cost. Deduce il ricorrente, con riguardo al capo
M1), che la prova, relativamente a tale imputazione, si fonderebbe unicamente
sul contenuto di un’unica conversazione ambientale intercettata il 26 ottobre
2010, contenuto che, tuttavia, sarebbe in larga parte incomprensibile, sicché non

21

riunioni del 18 e 10 ottobre 2010, in cui furono decise le modalità di importazione

sarebbe dato comprendere come mai lo Strangio si sia personalmente interessato
alla vicenda.
19.1.6. Con il sesto motivo si eccepisce violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione agli artt. 4 I. n. 146 del 2006, 192, commi 1 e 2, cod.
proc. pen. Assume il ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe ritenuto la
sussistenza dell’aggravante della transnazionalità con motivazione illogica e
viziata. Invero, pur avendola esclusa in relazione al delitto associativo, la Corte
-territoriale ha ritenuto l’aggravante con riguardo al capo Z), nonostante manchi
la prova che il reato sia Rotato commesso con il contributo di un sodalizio

19.1.7. Con il settimo motivo si eccepisce violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione agli artt. 62 bis, 69, 416 bis, comma 4, 132, 133 cod.
pen. La Corte territoriale avrebbe omesso di motivare in relazione alla mancata
applicazione delle circostanze attenuanti generiche, peraltro già escluse in primo
grado in maniera illegittima, sulla mera base del titolo e della gravità del reato,
senza tener conto di elementi quali l’età, l’incensuratezza, la qualità di
pensionato, le gravi condizioni di salute, che giustificherebbero l’applicazione
delle attenuanti in parola, anche in regime di prevalenza rispetto alle aggravanti,
ciò che consentirebbe di individuare una pena più adeguata al caso concreto.

19.2. Il proposto dall’avv. Luca Cianferoni si articola in sette motivi.
19.2.1. Con il primo, complesso, motivo si deduce illogicità e carenza
motivazionale in relazione alla riqualificazione del reato di cui al capo Z) dalla
forma del tentativo in quella del reato consumato. Deduce il ricorrente che la
sentenza impugnata, da un lato, in maniera apodittica, avrebbe ritenuto che lo
stupefacente fosse stato caricato su una nave in partenza da Santa Maria e
trasportata ad Anversa; dall’altro, e soprattutto, non avrebbe fornito una
motivazione sufficiente in ordine all’ascrivibilità del fatto allo Strangio, il quale, al
momento dell’asserito ritiro dello stupefacente, era sottoposto alla misura
cautelare della custodia in carcere da circa due mesi, e cioè fin dal 2 dicembre
2010, nell’ambito delle indagini condotte dalla DDA di Catanzaro nel
procedimento penale denominato “Overruling”. In particolare, la Corte territoriale
avrebbe ancorato la prova della responsabilità dello Strangio a una fase in cui
l’accordo non si era perfezionato, né erano chiare le modalità di finanziamento
dell’operazione, né erano individuati i soggetti incaricati del reperimento dello
stupefacente in Colombia. Del resto, evidenzia il ricorrente per censurare
l’illogicità della motivazione, due coimputati – Domenico Molè e Pasquale Marte sono stati assolti dal capo in esame perché, proprio come lo Strangio, avrebbero
preso parte alla sola fase ideativa del progetto criminoso. Ancora, la Corte

22

criminoso organizzato e impegnato in attività criminali in più Stati.

reggina avrebbe errato nell’equiparare le posizioni dello Strangio e di Bruno
Pizzata, il cui operato, invece, si prolungò fino all’arrivo della nave nel porto di
Anversa, avvenuto il 31 gennaio 2011, e quindi dopo due mesi dell’arresto dello
Strangio. Del resto, come emergerebbe dalle conversazioni captate dal 22
dicembre 2010 al 9 gennaio 2011, l’unico soggetto in grado di decidere sulla
prosecuzione o sull’annullamento dell’operazione sarebbe stato Denis Carminati.
In ogni caso, assume il ricorrente, dal compendio probatorio, analiticamente
analizzato (p. 18-24), non emergerebbero elementi da cui possa dedursi che,

gli acquirenti sulla quantità, qualità e prezzo della sostanza stupefacente, come
emergerebbe dalle conversazioni captate fino al 29 ottobre 2010, in cui- non vi
sarebbe alcun riferimento all’arrivo imminente della droga. Breve: il
ragionamento della Corte territoriale poggerebbe su una duplice congettura: da
un lato, che, essendo stato lo stupefacente caricato sulla nave, sarebbe stato
precedentemente raggiunto l’accordo tra fornitori e acquirenti; dall’altro, che
nell’operazione sarebbe coinvolto lo Strangio, circostanza indinnostrata perché
egli fu tratto in arresto quando la trattativa non si sarebbe nemmeno
perfezionata.
19.2.2. Con il secondo motivo si eccepisce violazione di legge in relazione
agli artt. 81 cpv., 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e carenza e illogicità
della motivazione con riguardo al capo Y). Assume il ricorrente che la motivazione
della sentenza impugnata, che si fonda sul linguaggio utilizzato nel corso delle
conversazioni captate, in cui si fa riferimento alla richiesta al Pizzata di ritirare
una “cartella”, troverebbero giustificazione nel ricovero della moglie dello
Strangio, sorella di Bruno Pizzata, presso il Centro tumori di Milano, sicché
oggetto della conversazione sarebbe il ritiro di una cartella clinica, ciò che
escluderebbe la matrice illecita dei rapporti intrattenuti dallo Strangio con il
cognato.
19.2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e carenza e illogicità
della motivazione in relazione agli artt. 110 e 648 cod. pen. con riferimento al
capo M1). Ad avviso del ricorrente, il contenuto della conversazione, posta a
fondamento del giudizio di penale responsabilità, non legittimerebbe la
conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata, atteso che, nel dialogo, si
parlerebbe di un “pezzo originale” e, in ogni caso, l’oggetto di quella
conversazione sarebbe costituito dalla riparazione dell’autovettura. Ancora, si
censura la sentenza laddove ha escluso il vincolo della continuazione tra il reato
in esame e gli altri ascritti al ricorrente, attesa l’identità del contesto temporale e
relazionale dei fatti.

23

prima dell’arresto dello Strangio, fosse stato raggiunto l’accordo tra i fornitori e

19.2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e carenza e
illogicità della motivazione in relazione all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990. Secondo
la prospettazione del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente
ravvisato il delitto associativo di cui al capo A), desumendolo unicamente dalla
prova dell’unica condotta, finalizzata alla tentata importazione di stupefacente
dalla Colombia, senza accertare la stabilità e la permanenza del vincolo
associativo, né la sussistenza di un’affectio societatis, che, contrariamente a
quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, non potrebbe automaticamente

Milano, ove il procedimento era originariamente incardinato, aveva escluso il
requisito della gravità indiziaria con riguardo al delitto associativo e, sul punto,
non era stata proposta impugnazione da parte del p.m. Ad ulteriore conferma
dell’insussistenza del delitto associativo, militerebbero gli epiloghi assolutori nei
confronti di numerosi soggetti, pure originariamente imputati del delitto di cui al
capo A), ciò che stravolgerebbe la struttura stessa dell’asserita associazione.
Sotto altro profilo, si lamenta come la sentenza impugnata non avrebbe fornito
una motivazione esaustiva in ordine al ruolo capo promotore, ritenuto in capo allo
Strangio, considerando che il finanziamento della tentata importazione di cui al
capo Z) sarebbe avvenuto per il tramite di Antonio Commisso, ritenuto estraneo
all’associazione, al pari di Denis e Claudio Carminati e di Carmelo Ielo, sebbene
anche costoro siano stati condannati per il capo Z).
19.2.5. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n.
309 del 1990, nonché violazione degli artt. 603 cod. proc. pen. e 6 CEDU.
Lamenta il ricorrente che l’aggravante in esame, esclusa dal g.u.p. in primo
grado, sarebbe stata ravvisata dalla Corte territoriale sulla base di mere
congetture, peraltro in violazione del principio di motivazione rafforzata su cui
soltanto può fondarsi la reformatio in pejus della sentenza assolutoria emessa in
primo grado, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità e dalla
Corte EDU, ampiamente documentata dal ricorrente (p. 48-56).
19.2.6. Con il sesto motivo si lamenta violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione all’aggravante di cui all’art. 4 I. n. 146 del 2006.
Sebbene la Corte reggina, deduce il ricorrente, abbia espressamente escluso la
sussistenza dell’aggravante, nondimeno sarebbe stata conteggiata in sede di
determinazione della pena. In ogni caso, non vi sarebbero elementi per ravvisare
i presupposti fattuali dell’aggravante, non essendo stato accertato alcun
collegamento tra la struttura associativa italiana e un corrispondente sodalizio
criminoso operante in Colombia.

24

desumersi dai meri contatti tra gli imputati; peraltro, il g.i.p. del tribunale di

19.2.7. Con il settimo motivo si deduce violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione all’art. 62 bis cod. pen. Eccepisce il ricorrente che i
giudici di merito avrebbero negato l’applicazione delle attenuati generiche sulla
base della gravità del delitto associativo e del ruolo apicale asseritamente
ricoperto dallo Strangio, nonostante che, a tutto concedere,- l’imputato abbia
avuto una partecipazione all’associazione per un periodo molto limitato e
circoscritta al solo episodio di cui al capo Z), e senza tener conto
dell’incensuratezza, della buona condotta, dello svolgimento di regolare attività

19.3. Con atto depositato in data 29 dicembre 2017, l’avv. Luca Cianferoni
ha presentato motivi nuovi, a corredo – e approfondimento dei motiyi principali di
ricorso.
19.3.1. Con il primo motivo si insiste nell’eccepire violazione di legge in
relazione agli artt. 56, 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e vizio
motivazionale in relazione al fatto di cui al capo Z) (cfr. par. 19.2.1.). La difesa,
in particolare, contesta, in maniera analitica, i passaggi motivazionali della
sentenza impugnata, laddove: a) avrebbe ritenuto che il progetto criminoso di
importazione dello stupefacente dal Sudamerica sarebbe stato

ab initio

univocamente e precisamente definito, circostanza che sarebbe smentita, tra
l’altro, dal messaggio di Pizzata a Strangio in data 10 ottobre 2010, in cui lo
informava che “la finanziaria è saltata perché non c’è niente di concreto”,
chiedendo un nuovo incontro, e dall’intervenuta assoluzione del Molè, avente una
posizione pressoché identica a quella del ricorrente, essendo intervenuto nella
fase ideativa del progetto di importazione dello stupefacente; b) avrebbe escluso
la sussistenza del tentativo, senza compiere, a differenza di quanto ritenuto dal
g.u.p., un attento vaglio della serietà e della completezza dell’accordo con i
fornitori sudamericani; c) avrebbe ravvisato, nei confronti del ricorrente, una
contributo rilevante ex art. 110 cod. pen., nonostante la condotta dello Strangio
si sia esaurita in uno stadio iniziale delle trattative, in cui nemmeno era
prefigurabile il tentativo, e, con riferimento alla seconda fase, era sopraggiunto
lo stato di detenzione in carcere.
19.3.2. Con il secondo motivo si insiste nel censurare la sentenza impugnata
sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale in relazione
all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 di cui al capo A) (cfr. par. 19.2.4.). Il ricorrente,
in particolare, contesta la sentenza impugnata, laddove avrebbe dedotto
l’esistenza del delitto associativo dalla realizzazione dell’importazione di
stupefacente contestata al capo Z), trattandosi di fatti distinti sotto il profilo della
tipicità, richiedendo il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 l’esistenza di
uno stabile vincolo associativo, che trascende la realizzazione dei singoli reati

25

lavorativa e dalla corretta condotta processuale.

fine, elemento che, invece, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ricavato
dall’esistenza di una forma organizzativa per il compimento di un singolo affare
illecito.
19.3.3. Con il terzo motivo si ribadisce violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n.
309 del 1990, nonché- violazione degli artt. 603 cod. proc. pen. e 6 CEDU (cfr.
par. 19.2.5.). Assume il ricorrente, che, nel solco tracciato dalla Corte di
Cassazione a Sezioni Unite (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016 – dep. 06/07/2016,

riqualificazione del fatto di cui al capo Z) alla stregua del delitto consumato (e
non tentato, come ritenuto dal g.u.p.), avrellbe dovuto comportare la
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, che deve sempre essere disposta,
ogniqualvolta il giudice dell’appello intenda assumere una decisione lato sensu
peggiorativa per l’imputato.

20. Francesco Strangio (cl. 1980) propone due distinti ricorsi per cassazione,
presentati dai rispettivi difensori di fiducia.
20.1. Il ricorso presentato dall’avv. Giovanni Aricò è affidato a sette motivi.
20.1.1. Con il primo motivo si lamenta inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale e vizio motivazionale in relazione all’art. 8 cod. proc. pen. La
Corte territoriale, ad avviso del ricorrente, avrebbe erroneamente individuato il
luogo di consumazione del delitto associativo in San Luca e zone limitrofe,
nonostante poi abbia attribuito un ruolo centrale, ai fini dell’accertamento del
reato associativo, alle conversazioni intercettate all’interno dell’appartamento di
Milano, sito in via Venezian 14, luogo ove, appunto, deve ritenersi consumato il
delitto in esame.
20.1.2. Con il secondo motivo si eccepisce violazione di legge e vizio
motivazionale in relazione agli artt. 110 cod. pen. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, con
riguardo al capo Z). Assume il ricorrente che la sentenza impugnata non avrebbe,
in concreto, individuato il contributo concorsuale del ricorrente alla ritenuta
condotta di acquisto dello stupefacente, dato che lo Strangio “irrompe” nella
vicenda in esame solo dal 26 ottobre 2010, senza che, prima di quella data,
risulti un suo interessamento alla vicenda, e considerando che l’acquisto sarebbe
stato deciso il 18 ottobre 2010.
20.1.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio
motivazionale in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante
prevista dall’art. 80 d.P,R. n. 309 del 1990, con riguardo al capo Z). Nel solco
delle argomentazioni evidenziate, al proposito, da altri ricorrenti, la difesa
censura la sentenza, nella parte in cui avrebbe ravvisato la sussistenza

26

Dasgupta, e Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017 – dep. 14/04/2017, Patalano), la

dell’aggravante in esame, sulla base di una massima di esperienza che si assume
essere fallace; inoltre, non sarebbero stato indicati elementi sulla base dei quali
ascrivere soggettivamente allo Strangio l’aggravante, anche in considerazione al
ruolo marginale da costui svolto nella vicenda.
20.1.4. Con il quarto motiva- si deduce violazione di legge e vizio
motivazionale :in ;relazione alla sussistenza degli elementi costitutivi della
fattispecie associativa, • nonché alla ritenuta partecipazione dello Strangio al
sodalizio criminoso. Secondo la prospettazione difensiva, la Corte territoriale, in

elementi non probanti, ossia gli innumerevoli contatti con i pretesi sodali e
l’utilizzo, tra costora-, di un linguaggio_.criptico, che, in ogni caso, non spiegano
alcuna capacità distintiva rispetto all’ipotesi concorsuale continuata. Peraltro, le
conversazioni captate nell’appartamento milanese di via Venezian sarebbero tutte
riferibili al fatto di cui al capo Z), e nulla direbbei-o in ordine alla sussistenza di un
accordo che dia conto di un programma criminoso indeterminato e della stabilità
del vincolo associativo. In ogni caso, nessuna prova sarebbe stata indicata in
relazione al ritenuto ruolo di partecipe dello Strangio, indicato come colui che, in
maniera sistematica e continuativa, acquistava dosi di sostanza stupefacente, ciò
che sarebbe rimasto non provato, essendo peraltro lo Strangio chiamato a
rispondere del solo capo Z).
20.1.5. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge e vizio
motivazionale in relazione all’art. 62 bis cod. pen. Nel rigettare l’istanza di
applicazione delle circostanze attenuanti generiche con un una motivazione
“cumulativa” per tutti gli imputati, la Corte territoriale avrebbe violato il disposto
dell’art. 62

bis

cod. pen., che, invece, richiederebbe una valutazione

individualizzante.
20.2. Il ricorso proposto dall’avv. Antonio Mazzone si articola in tre motivi.
20.2.1. Con il primo motivo si lamenta inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale e vizio motivazionale in relazione all’art. 74 d.P.R. n. 309 del
1990. Dopo una lunga rassegna delle decisioni di legittimità sulla fattispecie
associativa in esame, il ricorrente censura la sentenza impugnata, la quale
avrebbe svuotato di contenuto l’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, non cogliendo, in
particolare, la differenza con il concorso di persone nel reato continuato.
20.2.2. Con il secondo motivo si eccepisce inosservanza ed erronea
applicazione della legge penale e vizio motivazionale in relazione agli artt. 110
cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990, con riguardo al capo Z). Ad avviso del
ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe correttamente applicato il disposto
dell’art. 110 cod. pen., ravvisando la responsabilità concorsuale dello Strangio
per il reato di cui al capo Z) nella mera presenza di costui all’interno

27

primo luogo, avrebbe affermato la sussistenza dell’associazione sulla base di

dell’appartamento milanese di via Venezian, senza accertare un contributo
causalmente rilevante, concreto ed effettivo, nella realizzazione del reato in
esame.
20.2.3. Con il terzo motivo si lamenta vizio motivazionale e inosservanza di
norme processuali stabilite a pena di nullità, in relazione agli artt. 125 e 546 cod.
proc.;- pen. Deduce il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe omesso di
confrontarsi con gli argomeRti difensivi articolati con l’atto di appello, riportati in
sintesi nel ricorso, in relazione alla ritenuta sussistenza, in capo allo Strangio, sia
del ruolo di partecipe all’aSsociazione di cui al capo A), sia del concorso nel fatto

proposito, la motivazione ostentata dalla Corte sarebbe del tutto carente, sicché,
in ultima analisi, sostanzialmente mancante.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

I ricorsi presentati da Sandro Bruzzaniti, Claudio Carminati, Denis

Carminati, Carlo Ferrara, Cosimo Fiorito, Salvatore Fiorito, Carmelo Telo,
Francesco Strangio (classe 1946) sono fondati limitatamente ai motivi di seguito
indicati; i ricorsi proposti da Olinto Bettini, Marco Buttiglieri, Antonio Cornmisso,
Vincenzo Fazzari, Bruno Pizzata, Filippo Rechichi e Francesco Strangio (classe
1980) sono infondati; sono, invece, inammissibili i ricorsi proposti da Giovanni
Brancatisano, Domenico Curinga, Geremia Maviglia, Maurizio Maviglia e Mario
Francesco Mollica.

2. Avendo, in ipotesi, carattere assorbente, va preliminarmente esaminato il
motivo, dedotto dalle difese di Sandro Bruzzaniti e di Francesco Strangio (classe
1980), incentrato sull’asserita incompetenza territoriale del tribunale di Reggio
Calabria, in favore dell’a.g. di Milano, luogo dove alloggiava Bruno Pizzata,
organizzatore dell’associazione.
2.1. Il motivo, già rigettato in entrambi i gradi dei giudizi di merito, è
manifestamente infondato, in quanto reitera la censura mossa con l’atto di
appello, senza indicare elementi di critica al ragionamento svolto dalla Corte
territoriale.
2.1.1. Invero, con riguardo al più grave delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309
del 1990, che radica la competenza per territorio, ai sensi dell’art. 16, comma 1,
cod. proc. pen., deve osservarsi che, trattandosi di reato di natura permanente
trova applicazione il criterio di cui all’art. 8, comma 3, cod. proc. pen., secondo

28

di cui al capo Z), nonché nell’episodio di ricettazione di cui al capo M1). A tal

cui è competente per territorio il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la
consumazione del reato.
2.1.2. Sebbene la giurisprudenza di legittimità, in ragione delle fattispecie
esaminate, circa la determinazione del momento consumativo del reato
associatili() (l’inizio della consumazione), operazione necessaria per individuare la
competenza per territctio, abbia individuato la consumazione talvolta nel luogo
in cui l’associazione ha iniziato concretamente ad operare (Sez. 3, n. 24263 del
10/05/2007, Violini, Rv. 237333; Sez. 1, n. 45388 del 07/12/2005, Saya, Rv.

quello in cui hanno avuto luogo la programmazione, l’ideazione e la direzione
dell’associazione (Sez. 1, n. 17353 del 09/04/2009, Antoci, Rv. 243566; Sez. 2,
n. 22953 del j.6/05/012, Tempestilli, Rv. 253189; Sez. 2, n. 19177 del
15/03/2013, Vallelonga, Rv. 255829), ovvero, ancora, in quello in cui
l’associazione si è costituita, coincidente, secondo alcune pronunce riconducibili a
tale filone, con il luogo di perfezionamento del pactum sceleris per la .costituzione
del sodalizio (Sez. 4, n. 35229 del 07/06/2005, Mercado Vasquez, Rv. 232081;
Sez. 1, n. 600 del 07/02/1991, Mulas, Rv. 186709; Sez. 6, n. 3784 del
06/10/1994, dep. 07/04/1995, Celone ed altri, Rv. 201849), va osservato come
la Corte di Cassazione abbia, comunque, fatto leva su criteri
misti, aventi un comune denominatore che può essere riassunto nel principio
secondo il quale, per la consumazione del reato associativo, occorre che si
realizzi indefettibilmente un

minimum

di mantenimento della situazione

antigiuridica necessaria per la sussistenza del reato, con la conseguenza che il
modello legale è integrato quando, a seguito del pactum sceleris, viene alla luce
un’organizzazione permanente di intenti delittuosi e di azione criminosa (anche
esile e rudimentale, per talune fattispecie associative), quale risultato
dell’accordo stipulato dagli associati (tre o più persone), in quanto solo con la
creazione di una struttura permanente volta alla commissione di una serie
indeterminata di reati l’associazione diviene operativa e si realizza la situazione
di pericolo per l’interesse tutelato dalla norma che giustifica l’incriminazione,
nascendo il pericolo di lesione dell’interesse penalmente tutelato.
Di regola, pertanto, il luogo in cui si scorge una struttura che sia in grado di
assicurare un minimum di mantenimento della situazione antigiuridica necessaria
per la sussistenza del reato coincide con quello in cui sono programmate, ideate
e dirette le attività dell’associazione, specificamente valorizzando il luogo in cui si
esteriorizza l’associazione attraverso l’esecuzione dei delitti programmati – in tal
modo manifestandosi e realizzandosi, secondo un criterio di effettività,
l’operatività della struttura e quindi della societas sceleris.

29

233359; Sez. 6, n. 3067 del 04/10/1999, Piersanti, Rv. 214944), talaltra in

2.1.3. Nel caso in esame, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione
dei principi ora richiamati, osservando come, pur in assenza di elementi che
consentano di individuare con certezza il luogo in cui si è costituita l’associazione,
il territorio della provincia di Reggio Calabria è l’area geografica in cui si sono
svolte le attività di programmazione e di ideazione dei delitti riguardanti
I ; associattone. In particolare, la Corte territoriale ha individuato la “sede”
dell’associazione in San Luca e zone limitrofe, dove risiedono i principali
protagonisti della vicenda, nonché, soprattutto, zona costituente fonte primaria di

gli acquisti delle ingenti partite; il tutto con una serie di ramificazioni e terminali
territoriali ritenuti meramente strumentali alla distribuzione della sostanza
stupefacente. Infine, nessuna rilevanza, ai fini dell’individuazione del luogo di
consumazione del reato, riveste la circostanza che Bruno Pizzata, organizzatore
dell’associazione, alloggiasse in Milano, in un appartamento al cui interno furono
registrare numerosi conversazione tra i sodali; invero, altro è il luogo di
consumazione del reato, altro è il luogo in cui è stata raccolta la prova del reato
medesimo.

3. Il ricorso presentato da Olinto Bettini è infondato e deve, pertanto,
essere rigettato.
3.1 Pare inoltre opportuno, in via preliminare, precisare – con argomento di
carattere generale, valevole per analoghi motivi dedotti da altri numerosi
ricorrenti – il perimetro del controllo che compente a questa Corte sulla
motivazione del provvedimento impugnato.
3.1.1. Il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene
alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il
profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto
posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204
del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009,
Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo
di questa Corte, in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a
norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è soltanto quella
evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu °culi; ciò in quanto
l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cessazione limitarsi,
per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico
apparato argonnentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv.
226074).

30

approvvigionamento dello stupefacente e di reperimento dei fondi necessari per

In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla
ricostruzione dei fatti, né all’apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato
alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono
insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo
hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o
di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e
altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv,
251760).

606, Comma 1, lett. e) cod. proc. pen., come modificato dalla I. 20 febbraio 2006
n. 46, che r invero, non ha trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, la
quale che rimane giudice della motivazione, e non del fatto; la stessa, pertanto,
non può procedere a una rinnovata valutazione dei fatti, ovvero a una
rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti
riservati in via esclusiva al giudice del merito. Del pari, il ricorrente non può
limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, ma deve indicare
specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla
supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
Al riguardo, l’aver introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione
anche attraverso gli “atti del processo” costituisce il riconoscimento normativo
della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto “travisamento della
prova”, che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal
procedere a una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle
prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se
il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti,
all’interno della decisione.
In altri termini, vi è “travisamento della prova” quando il giudice di merito
abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste, o su un risultato
di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia è
risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse
dell’imputato); del pari, può essere valutato se vi erano altri elementi di prova
inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. In sintesi, il “travisamento
della prova” è configurabile quando si introduce nella motivazione una
informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la
valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 2, n. 47035 del
3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 5, n. 18542 del 21/1/2011, Carone, Rv.
250168). Fermo però restando – occorre ancora ribadirlo – che non spetta
comunque a questa Corte “rivalutare” il modo con cui lo specifico mezzo di prova

Questa conclusione, peraltro, non muta a fronte del vigente testo dell’art.

è stato apprezzato dal giudice di merito (in questi termini, tra le molte, Sez.
3, n. 5478 del 05/12/2013, Ferraris, Rv. 258693; Sez. 5, n. 9338 del
12/12/2012, dep. 27/2/2013, Maggio, Rv. 255087).
3.1.2. In premessa, deve, inoltre, essere evidenziato che, nel caso in
esame, per numerosi capi di imputazione, si è in presenza di una “doppia
conforme” statuizione (di responsabilità), il che limita all’evidenza i poteri di
rinnovata valutazione della Corte di legittimità, nel senso del limite conseguente
all’impossibilità per la Cassazione di procedere ad una diversa lettura dei dati

giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto
ai dati probatori. A ciò si -aggiunge l’ulteriore limite in forza del quale neppure
potrebbe evocarsi il tema del “travisamento della prova”, a meno che (ma non è
questo il caso, alla luce dei motivi di ricorso) il giudice di merito abbia fondato il
proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova
incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si
tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini
della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano
Va, poi, ulteriormente precisato che, ai fini del controllo di legittimità sul
vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda
con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo
argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure
proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed
operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza,
concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a
fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 – dep.
04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 – dep.
12/04/2012, Valerio, Rv. 252615).
3.2. In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema
Corte, osserva allora il Collegio che le censure mosse dal Bettini, con il primo
motivo, al provvedimento impugnato si evidenziano come inammissibili; ed
invero, dietro la parvenza di un vizio motivazionale, si invoca una nuova e
diversa valutazione delle medesime emergenze istruttorie già esaminate dai
giudici del merito, invocandone una lettura alternativa e più favorevole. Il che
non è consentito.
A ciò si aggiunga che la Corte di appello, pronunciandosi proprio sulle
medesime questioni, ha steso una motivazione del tutto adeguata, fondata su
concreti elementi probatori e priva di qualsivoglia illogicità manifesta o carenza
argomentativa; come tale, dunque, non censurabile.

32

processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al

3.3. In particolare, quanto alle imputazioni di cui ai capi G) e H), la sentenza
impugnata ha, dapprima, puntualmente richiamato gli elementi, in forza dei quali
il g.u.p. ha ritenuto provata l’ipotesi accusatoria, ossia: i ripetuti viaggi del
Pizzata per contattare con il Bettini; il prezzo pattuito, pari a C 160.000,
corrispondente all’incirca al valore di 5 kg. di cocaina; gli incontri con il
Bruzzaniti a Milano; l’espressione usata dal Bettini per lamentarsi del fatto che
Sebastiano (Pizzata) avesse sbagliato a tagliare la droga, malgrado gli avesse
spiegato come si fanno i sughi, “in modo che la maionese non risulti troppo

denso, e il ritorno a Milano. Elementi che, come sostenuto dal g.u.p., inducono a
ritenere accertato -t considerata la solita terminologia utilizzata dagli interlocutori
di Bruno Pizzata e la principale attività svolta da quest’ultimo (traffico =di
stupefacenti) – che l’accordo tra Bettini e Bruzzaniti, concluso con
l’intermediazione di Pizzata, avesse ad oggetto la cessione di stupefacente.
La Corte, quindi, ha puntualmente confutato la tesi difensiva, volta a dedurre
la

carenza

di

prova

in

ordine

alla

responsabilità dell’imputato,

in

considerazione dell’asserita erronea interpretazione del contenuto delle
intercettazioni e dell’omessa valutazione delle dichiarazioni rese dal Bettini, il
quale, in sede di spontanee dichiarazioni, ha affermato che era sua intenzione
vendere l’esercizio commerciale che gestiva in Belgio e che, per questo motivo,
dopo diversi annunci tramite

intemet,

era stato contattato dal Pizzata,

interessato all’acquisto e, poiché avevano fatto amicizia, era venuto con lui in
Italia e aveva conosciuto Bruzzaniti, con il quale aveva mangiato al McDonald’s.
Nel condividere le conclusioni cui era approdato il g.u.p., la Corte territoriale
ha correttamente osservato che la prospettazione difensiva non spiega i continui
contatti e incontri con Bruno Pizzata in Belgio, i due viaggi a Milano con
Sebastiano Pizzata, i tentativi di contattare Bruno Pizzata e di risolvere il
problema di essere rimasto senza soldi, gli incontri e i contatti con Sandro
Bruzzaniti. La Corte territoriale, inoltre, ha ribadito la correttezza
dell’interpretazione delle conversazioni telefoniche, non potendosi in altro modo
intendere la frase pronunciata dal Bettini, nella conversazione del 21 maggio
2010, in cui lamenta di avere spiegato a Pizzata Sebastiano come si fanno i sughi
“in modo che la maionese non risulti troppo liquida”, e che lui si era sbagliato. La
spiegazione offerta dalla Corte, secondo cui lo stupefacente, oggetto dell’accordo
criminoso di cui al capo G) della rubrica, era stato tagliato male da Pizzata
Sebastiano, tanto che il Bettini si era recato in fretta in Belgio, al fine di
prenderne “uno migliore per farlo denso”, vale a dire un ulteriore chilogrammo di
stupefacente da unire ai cinque precedentemente ceduti, per migliorarne la

33

liquida”; il rientro frettoloso in Belgio, al fine di fame “uno” migliore, ossia più

densità, non appare manifestamente illogica, sicché non è censurabile in questa
sede.
In relazione alla qualità e alla quantità della droga, la Corte ha logicamente
richiamato la conversazione registrata, in data 24 aprile 2010, tra Bruno Pizzata
e il Bettini, nel corso della quale quest’ultimo riferiva di avere un altro aspirante
acquirente della casa, pronto a pagare centosessantamila euro (“vorrebbe la
casa, che sarebbe pronto a pagare più di 160 mila euro”), cifra compatibile con il
normale prezzo di mercato di cinque chilogrammi di cocaina (32 mila euro al

riferimento, nella conversazione telefonica del 20 aprile 2010, gli stessi Pizzata e
Bettini, in cui quest’ultimo afferma di avere “visto le case”, “ce ne sono alcune
che distano dalla strada 30 metri e altre 36 metri anche dal mare”. Orbene, il
senso di tale frase veniva colto dall’interlocutore, che si accertava se vi “fosse
una variazione fra 30 e 36”, volendo intendere se il prezzo variasse in base alla
qualità della cocaina da 30 a 36 mila euro al chilogrammo.
Quanto, poi, al capo H), la Corte territoriale ha correttamente evidenziato,
con argomentazioni di merito esenti da censure in questa sede, come il
quantitativo e la tipologia della sostanza stupefacente emergano chiaramente
dalla conversazione del 21 maggio 2010, in cui Bettini, dopo aver lamentato che
Sebastiano Pizzata si era sbagliato nel tagliare la cocaina, si diceva pronto a
tornare in Belgio, al fine di prendere un ulteriore chilogrammo della stessa
sostanza (“uno migliore per farlo denso”), da unire ai cinque precedentemente
ceduti, per migliorarne la densità.
Si tratta, dunque, di una motivazione ancorata a precisi elementi fattuali,
non diversamente valutabili in questa sede, immune da vizi logici, che, quindi, è
immune da censure.
3.4. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Invero, non solo, per stessa ammissione del ricorrente, le intercettazioni
telefoniche sono state correttamente trasmesse all’A.G. italiana mediante
rogatoria, in relazione alla quale, peraltro, non risulta che sia stata svolta alcuna
eccezione, né al momento dell’acquisizione, né con i motivi di appello, ma il
motivo è del tutto generico. Invero, il ricorrente non indica né le intercettazioni
effettuate dalla polizia tedesca, sul territorio belga, che avrebbero dovuto essere
acquisite mediante rogatoria dall’A.G. tedesca; né la rilevanza delle
intercettazioni asseritamente illegittime; né, tantomeno, le presunte violazioni
della legge straniera che inficerebbero gli esiti delle captazioni. Il motivo,
pertanto, è inammissibile.

34

chilogrammo). Al prezzo di mercato di tale sostanza, d’altra parte, fanno

4. Il ricorso presentato nell’interesse di Giovanni Brancatisano è
inammissibile.
4.1. Quanto al primo motivo, in premessa – con argomento di carattere
generale, che, anche in tal caso, deve intendersi riferito a tutti i ricorrenti che
hanno dedotto analoga censura – va richiamato il consolidato orientamento della
giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di attenuanti generiche, il”
giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile
in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche

considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (ex multis,
cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017 – dep, 22/09/2017, Pettinelli; Rv. – 271269,
la quale ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione-delle attenuanti generiche,
il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato; Sez. 2, n.
3896 del 20/01/2016 – dep. 29/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n.
28535 del 19/03/2014 – dep. 03/07/2014, Lule, Rv. 259899). Non è, quindi,
necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o
sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli
faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti
gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014,
Lule, Rv. 259899; Sez. 1, n. 33506 del 07/07/2010, Biancofiore, Rv. 247959).
Si è, inoltre, precisato che, la concessione delle attenuanti generiche deve
essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un
trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che,
quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che,
sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e
legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è
soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi
su cui fondare il riconoscimento del beneficio (da ultimo, cfr. Sez. 3, n. 9836 del
17/11/2015 – dep. 09/03/2016, Piliero, Rv. 266460).
4.2. Orbene, la Corte ha confermato, per tutti gli imputati, le ampie ed
esaustive valutazioni del primo giudice in ordine alla carenza di elementi
processuali e extraprocessuali che giustifichino l’applicazione delle circostanze di
cui all’art. 62 bis cod. pen.
Quanto al Brancatisano, se è vero che costui è stato assolto dal delitto
associativo, nondimeno rimangono ferme le considerazioni inizialmente espresse
dal g.u.p., il quale ha evidenziato, da lato, che costui era il braccio destro di un
pericoloso trafficante, quale Sandro Bruzzaniti, dall’altro, che non erano
rinvenibili nella condotta, anche processuale, del predetto concreti elementi

35

richiamandoli, degli elementi, __tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen.,

atipici da elevare a presupposto di fatto per il riconoscimento delle circostanze
attenuanti in esame.
Si tratta di una motivazione adeguata e giuridicamente corretta, pertanto
non censurabile in questa sede.
4.3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo..
Si osserva, in generale, che la graduazione della -pen — rientra nella
discrezionalità del giudice-di merito, che la esercita, così come per fissare la pena
base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; non è

valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di
mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta -da su’fficiente motivazione.
Ciò vale sia in termini generali- (Sez.– , 5, n. 5582 del 30/09/2013 – dep. 2014,
Ferrario, Rv. 259142), sia in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti
per le circostanze aggravanti ed attenuanti (Sez. U, Sentenza n. 10713 del
25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931).
Nel caso in esame, non solo il motivo appare generico, non svolgendo
puntuali censure in ordine all’asserita severità della pena, ma quest’ultima
appare determinata in misura del tutto congrua alla effettiva gravità dei fatti.

5. Il ricorso presentato da Sandro Bruzzaniti è fondato limitatamente al
quinto motivo. Per il primo motivo, concernente all’eccezione di incompetenza
territoriale, si rinvia alle considerazioni sopra espresse (par. 2).
5.1. Il secondo motivo è manifestamente infondato, perché, in maniera non
consentita, tende a sollecitare una rilettura degli elementi di prova,
correttamente valutati della Corte territoriale con motivazione immune da vizi.
Invero, nel confermare le conclusioni assunte dal g.u.p., i giudici dell’appello
hanno puntualmente confutato l’argomentazione difensiva, secondo cui non vi
sarebbe prova che il soggetto utilizzatore dell’utenza telefonica 3807838515,
formalmente intestata a tale Benjamin Kodouno, fosse proprio il Bruzzaniti e,
secondo l’ipotesi accusatoria, in uso anche a Brancatisano Giovanni (che invero,
all’udienza del 7 aprile 2016, ha ammesso tale utilizzazione, escludendo che
l’utenza fosse anche in uso al Bruzzaniti).
In primo luogo, la Corte reggina ha valorizzato il riconoscimento della
timbrica vocale da parte della polizia giudiziaria, con ciò facendo corretta
applicazione del principio, espressamente richiamato in sentenza e affermato in
più occasioni da questa Corte di legittimità, secondo cui ai fini
dell’identificazione degli interlocutori coinvolti in conversazioni intercettate, il
giudice ben può utilizzare le dichiarazioni degli ufficiali e agenti di polizia
giudiziaria che abbiano asserito di aver riconosciuto le voci di taluni imputati, così

36

perciò consentita la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova

come qualsiasi altra circostanza o elemento che suffraghi detto riconoscimento,
incombendo sulla parte che lo contesti l’onere di allegare oggettivi elementi
sintomatici di segno contrario (Sez. 2, n. 12858 del 27/01/2017 – dep.
16/03/2017, De Cicco e altri, Rv. 269900; Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013 dep. 20/03/2014, Amato e altri, Rv. 259478; Sez. 6, n. 18453 del 28/02/2012 dep. 15/05/2012, Cataldo e altri Rv. 252-712, la quale ha precisato che, qualora
sia contestata l’identificazione delle persone colloquianti, il giudice non deve
necessariamente disporre una perizia fonica, potendo utilizzare ai fini della
decisione il riconoscimento fonico da parte del personale di polizia giudiziaria;

In secondo luogo, la Corte territoriale ha valorizzato il collegamento tra le
due ipotesi delittuose ci cuiai capi F) e I), che emerge sia dal prog. 123 del 25
maggio 2010, da cui si evince come lo stupefacente consegnato a tale “Mimmo”
fosse da considerare un campione da mostrare a qualcuno per una successiva
fornitura, sia dal prog. 5 del 4 maggio 2010, da cui si desume che “Mimmo”
svolgeva il ruolo di intermediario per la fornitura di stupefacente che
Bruzzaniti doveva effettuare a favore di Luigi Acampora. La Corte ha
correttamente osservato come, nell’ottica di tale collegamento, nell’arco
temporale che ha riguardato le due ipotesi criminose, diversi siano i
contatti accertati tra Sandro Bruzzaniti e il soggetto chiamato “Mimmo”,
dapprima riconosciuto in virtù del timbro vocale e poi identificato in modo certo,
nel corso delle indagini, in Luigi Varano, grazie al servizio di osservazione del
5 giugno. 2010. Di qui la conclusione, non manifestamente illogica, secondo cui il
Bruzzaniti fosse il referente del Varano per la conclusione della cessione
della droga destinata a Luigi Acampora.
La Corte reggina, inoltre, ha correttamente valorizzato, quale riscontro, la
circostanza che, alle ore 13.35 del 5 giugno 2010, Sandro Bruzzaniti, in una
conversazione intrattenuta con la fidanzata (prog. 120), Antonella Brancatisano,
abbia confermato di essersi incontrato con delle persone proprio in un orario
coincidente con quello dell’appuntamento fissato dall’utilizzatore dell’utenza
3807838515.
5.3. Considerazioni del tutte analoghe valgono per il terzo motivo, pure
manifestamente infondato.
Invero, quanto alla mancata identificazione del soggetto utilizzatore
dell’utenza telefonica 3807838515, la Corte territoriale, in primo luogo, ha
ribadito le argomentazioni, esposte nel paragrafo precedente, in merito al
fatto che tale identificazione può essere fondata sul riconoscimento della
timbrica vocale da parte della P.G. Sempre in ordine all’utenza 3807838515, la
Corte ha, inoltre, affermato che non vi è prova che l’utenza telefonica, di solito

37

Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008 – dep. 30/04/2008, Gionta e altri, Rv. 239725).

gestita dal Bruzzaniti, sia stata data in uso al Brancatisano per portare a termine
l’affare con i “pugliesi”. Ed ha logicamente ritenuto che lo scambio di utenze
abbia potuto trovare giustificazione nel rapporto personale tra i due imputati,
ovvero nell’intento del Brancatisano di sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine,
utilizzando una utenza mai adoperata prima.
Va, peraltro, osservato .che la Corte territoriale ha escluso la responsabilità
del Bruzzanti in relazione al reato di cui al capo K) non perché vi fossero dubbi in
ordine all’utilizzo dell’utenza in esame, ma perché non ha ravvisato alcun
contributo causale nella cessione di stupefacenti effettuata dal Bruzzaniti a

logica è rinvenibile nelle motivazioni espresse.
5.4. In-ordine al quarto motivo, reiterato con il secondo dei motivi aggiunti,
con – cui si lamenta violazione di legge in relazione ai capi G) e H), si rinvia alla
trattazione di analoghe censure, dedotte con riferimento alla posizione del correo
Olinto Bettini. Peraltro, la Corte territoriale ha puntualmente disatteso la
doglianza avanzata dalla difesa di Bruzzaniti, con cui si era eccepita la carenza di
prova in ordine al concorso dell’imputato nelle due condotte delittuose in esame,
in quanto gli unici indizi a suo carico sarebbero l’appuntamento concordato con
il Bettini per il 20 maggio 2010 – ma non vi sarebbe prova che tale incontro sia
avvenuto – e l’ulteriore incontro del 30 maggio 2010.
La Corte reggina ha correttamente evidenziato, al riguardo, come, dalle
conversazioni registrate a partire dal 20 aprile 2010, emerga chiaramente che lo
scopo dei due viaggi del Bettini a Milano fosse proprio la consegna della sostanza
stupefacente, a seguito degli accordi già perfezionati tra lo stesso Bettini e Bruno
Pizzata. Il coinvolgimento del Bruzzaniti nella complessiva vicenda è stato
logicamente dedotto dai contatti intercorsi tra lo stesso imputato e il Bettini in
occasione di entrambi i viaggi, contatti inequivocabilmente intesi a concordare i
due incontri, rispettivamente del 20 e del 30 maggio 2010.
In particolare, argomenta la Corte di merito che il 20 maggio 2010
Sebastiano Pizzata, figlio di Bruno Pizzata, giunto a Milano con Bettini, usando
l’utenza in uso a quest’ultimo, contattava Bruzzaniti per concordare un incontro
presso il McDonald’s di Milano. A prescindere dall’esito, ha osservato la Corte,
tale incontro non poteva che essere finalizzato alla consegna dei cinque
chilogrammi di cocaina, evidentemente già concordata dal Bruzzaniti con il
Pizzata. La conferma che l’incontro sia avvenuto risulta desunta dalla
conversazione telefonica, registrata il 21 maggio 2010, tra Bettini e un uomo non
identificato, in cui il primo lamentava di aver spiegato a Pizzata Sebastiano “come
si fanno i sughi, in modo che la maionese non risulti troppo liquida. Sebastiano

38

persone pugliesi. E, dunque, alcun profilo di contraddittorietà o di incongruenza

avrebbe sbagliato”, sicché il Bettini programmava di fare ritorno in Belgio, per
prendere “uno migliore per farlo denso”.
Il 30 maggio 2010, invece, era lo stesso Bruzzaniti, intorno alle 14.00, a
contattare Bettini per fissare un appuntamento per le 14.30, presso il McDonald’s
di Binasco. Anche in tal caso l’incontro, a prescindere dall’esito, non poteva che
essere- finalizzato alla conségna dell’ulteriore chilogrammo di stupefacente che il
Bettini aveva prelevato in Belgio per migliorare la qualità di quelli
precedentemente consegnati. E difatti, come esattamente osservato dalla Corte
territoriale, non può certo essere un caso che, in occasione di entrambi i viaggi

stupefacente, lo stesso abbia concordato un incontro con Sandro Bruzzaniti
presso il McDonald’s di Milano. D’altra parte, la prova che anche il secondo
incontro abbia avuto luogo emerge dag accertamenti svolti dalla Polizia tedesca,
che, mediante il sistema GPS, accertava, dalle ore 14.10 alle ore 15.07, la
presenza dell’autovettura CLS targata DE 516 TB, con cui Sebastiano Pizzata era
giunto, il 27 maggio 2010, a Cantù, per pernottare presso l’abitazione del
Bruzzaniti. Tale autovettura, utilizzata anche nei giorni successivi dal Pizzata e
dal Bruzzaniti per recarsi a Milano, a seguito della partenza del Pizzata da Milano
non poteva che essere rimasta nella disponibilità del Bruzzaniti. Infine, e per
concludere, lo stesso Bettini ha ammesso di avere incontrato il Bruzzaniti a
Milano.
Orbene, la motivazione nei termini riportati appare aderente alle risultanze
probatorie e immune da vizi logici, sicché supera il vaglio di legittimità
5.5. E’, invece, fondato, come anticipato, il quinto motivo, reiterato con il
terzo dei motivi aggiunti, con il quale si lamenta che, pur avendo riqualificato i
fatti di cui ai capi J), V) e W) ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del
1990, per tali ultimi due capi la Corte territoriale non abbia proceduto a
rimodulare in me/ius l’aumento di pena, inflitta a titolo di continuazione.
Come emerge dal dispositivo, la Corte d’appello ha assolto Sandro Bruzzaniti
dai reati ascrittigli ai capi A), K), Z) per non aver commesso il fatto, e al capo N
perché il fatto non sussiste, ritenendo, quanto al (solo) capo 3), l’ipotesi di cui
all’art. 73, comma 5, n. 309 del 1990, e rideterminando, per l’effetto, la pena in
complessivi anni otto e mesi quattro di reclusione ed euro 26.000 di multa; per il
reato più grave di cui al capo G), la pena è stata determinata in anni otto di
reclusione e C 30.0000, aumentata ad anni dodici e mesi sei ed € 39.000
per la continuazione, di cui un anno ed C 2000 per tutti i capi e mesi sei e C
1000 per il capo 3). La Corte territoriale ha effettivamente omesso di
rideterminare la pena inflitta a titolo di continuazione per i capi V) e W), che,

39

del Bettini a Milano, certamente finalizzati alla consegna di sostanza

come per il capo J), sono stati riqualificati ai sensi dell’art. 73, comma 5,
d.P.R. n. 309 del 1990.
Per emendare l’errore di calcolo, non occorre, tuttavia, procedere
all’annullamento, con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria, in quanto
può provvedervi direttamente questa Corte, assumendo come aumento a
titolo di continuazione per i capi V) e W) la medesima pena individuata per il
capo 3), in quanto, in tutti e tre i casi, la Corte, come detto, ha proceduto
alla riqualificazione dei rispettivi fatti ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n.

Nel caso in esame, infatti, può trovare piana applicazione il principio,
recèntemente affermato dalle Sezioni Unte, secondo cui la Corte di
cassazione pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene
superfluo il rinvio e

szi anche all’esito di valutazioni discrezionali, può

decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto già accertati o sulla
base delle statuizioni adottate dal giudice di merito, non risultando necessari
ulteriori accertamenti (Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017 – dep. 24/01/2018,
Matrone, Rv. 271831).
Di conseguenza, la pena può essere così rideterminata: pena base per il
reato più grave di cui al capo G) anni otto di reclusione e C 30.000,00,
aumentata ad anni undici e mesi sei ed C 38.000 per la continuazione, di cui
mesi sei e C 1000 per) capi 3), V) e W), anni uno e C 2000 per i capi
residui, pena ridotta di un terzo ad anni sette e mesi sei di reclusione e C
25.334 di multa.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annulla senza rinvio nei
confronti di Sandro Bruzzaniti limitatamente al trattamento sanzionatorio in
relazione ai capi V) e W) con eliminazione, per entrambi, della pena di anni uno
di reclusione e di euro 2.000 di multa. Per l’effetto, la pena finale va
rideterminata in complessivi anni sette e mesi sei di reclusione ed euro 25.334 di
multa.
5.6. Il sesto motivo è infondato.
Con riguardo al capo V), la Corte ha preso in esame la prospettazione
difensiva, relativa all’asserito uso di gruppo dello stupefacente, ritenendola però
inconferente. La Corte territoriale, infatti, se, da un lato, ha ritenuto che non si
fosse perfezionato l’accordo con l’interlocutrice del Bruzzaniti, avente ad oggetto
la cessione di sostanza stupefacente, dall’altro, però, ha ritenuto provata la
detenzione di sostanza di tipo cocaina, finalizzata alla cessione, come emerge
dalle conversazioni riportate in sentenza, che testimoniano l’intenzione del
Bruzzaniti di portare alla festa la cocaina (“La sistemi la cocaina?…”) per un
quantitativo non esiguo (“Basta che fai… no basta che ce n’è… è assai…”).

40

309 del 1990.

Si tratta di una motivazione adeguata e immune da vizi che, quindi, non è
censurabile in questa sede..
5.7. Manifestamente infondato è il settimo motivo.
Dopo aver dato atto degli elementi indicati dal g.u.p. a fondamento del
giudizio di penale responsabilità nei confronti di Bruzzaniti in concorso con Carlo
Ferrara, la Corte territoriale ha valorizzato l’esito dell’appostamento da parte
della p.g. operante presso l’abitazione del Ferrara, che aveva consentito di
monitorare l’arrivo del Bruzzaniti (in compagnia del Mollica) e, due ore dopo,

mostrata dai protagonisti nell’incontrarsi, unitamente al contenuto delle
conversazioni intervenute subito dopo tra il Pisano e una persona non
identificata, permettano di concludere, senza tema di smentita, che il
Bruzzaniti avesse ceduto al Ferrara un quantitativo di sostanza stupefacente,
destinata allo spaccio, avuto riguardo alla cripticità delle conversazioni
intervenute tra i due imputati e tra il Ferrara e Vincenzo Liberato Pisano, da
leggersi ed interpretarsi sistematicamente.
Infine, la Corte di appello ha ritenuto che l’identificazione del Bruzzaniti
quale soggetto utilizzatore della utenza 3271975479 trovi riscontro proprio
nell’accertata presenza dell’imputato nei pressi dell’abitazione del Ferrara, in
data 21 ottobre 2010, a breve distanza temporale dalla conversazione di cui al
prog. 17.2, in cui il soggetto utilizzatore della predetta utenza comunicava a
Ferrara:

“Sto arrivando”

e proprio in concomitanza con il rilevamento

dell’utenza telefonica in Località Lomazzo (l’utenza agganciava la cella
telefonica di tale località).
Si tratta, anche in questo caso, di una motivazione adeguata, puntualmente
ancorata a elementi probatori, non altrimenti valutabili in questa sede, immune
da vizi logici.
5.8. Manifestamente infondato è l’ottavo motivo.
Non solo la censura in ordine all’asserita eccessività della pena si appalesa
generica, ma va evidenziato che la pena base per il reato più grave di cui al
capo G), relativa alla cessione di cinque kg. di cocaina, è stata fissata nel
minimo edittale.
5.9. Anche il nono motivo, reiterato con il quarto dei motivi aggiunti,
appare manifestamente infondato.
Al proposito, si rinvia alle argomentazioni sopra esposte in ordine al diniego
delle circostanze attenuanti generiche, dovendosi solo precisare, in risposta alle
censure mosse dal ricorrente, da un lato, che l’intervenuta assoluzione del
Bruzzaniti per i capi A) e Z) correttamente è stata ritenuta non assumere alcuna
rilevanza in proposito, essendo stato l’imputato condannato per numerose

41

quello del Pisano. La Corte ha logicamente ritenuto che la straordinaria sincronia

violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990; dall’altro, che anche la
riqualificazione dei fatti di cui ai capi 3), V) e W), non dispiega alcun effetto in
ordine alla sussistenza dei presupposti applicativi delle attenuanti in esame,
essendo comunque la condanna per numerose violazione dell’art. 73 d.P.R. n.
309 del 1990 chiara espressione della capacità a delinquere del Bruzzaniti.
5.10. Manifestamente infondato è il quinto dei motivi aggiunti, con cui si
lamenta illogicità della motivazione in relazione alla determinazione della pena
ai sensi dell’art. 133 cod. pen.

apprezzamento in fatto congruamente motivato, e quindi non sindacabile in
questa sede, ha negato la mitigazione delle pene inflitte in primo grado,
osservando che si attestano sempre sul minimo edittale o poco più, con
aumenti contenuti per i reati fine, ampiamente giustificati dalla gravità degli
stessi, dalla capacità a delinquere dimostrata dagli imputati e dai precedenti
gravanti sui medesimi.

6. Il ricorso presentato nell’interesse di Marco Buttiglieri è infondato e, pertanto,
deve essere rigettato.
6.1. Quanto al primo motivo, con cui si contesta, con riferimento al capo Z),
sia la qualificazione del fatto come ipotesi consumata, e non tentata, sia la
sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309, si osserva
quanto segue, che vale anche in relazione alle medesime censure formulate da
numerosi altri ricorrenti.
6.1.1. Va osservato che il capo Z) è stato oggetto di ampia e approfondita
disamina da parte di entrambi i giudici di merito, che, pur pervenendo a una
uniforme ricostruzione della vicenda (salvo l’assoluzione, in appello, di alcuni
imputati), sono giunti a conclusioni difformi quanto alla qualificazione del fatto.
In particolare, il g.u.p. ha osservato che il contenuto delle numerosissime
conversazioni ambientali, letto alla luce degli appostamenti operati dalla p.g.,
degli sms inviati dai protagonisti della vicenda – tra cui quello contenente i dati
identificativi del container ove era nascosta la droga – e delle dichiarazioni rese
da Carminati Denis e Carminati Claudio successivamente al loro arresto, consente
di ritenere assolutamente provata la responsabilità di tutti gli imputati ai quali
viene contestato il reato di cui al capo Z) – ad eccezione di Morabito e Romeo che
venivano assolti – limitatamente all’ipotesi della tentata importazione. Infatti, a
prescindere dal fatto che la cocaina non sia stata trovata in Italia, avendo la nave
che la trasportava fatto immediato rientro in Colombia (dove poi furono
sequestrati kg. otto di cocaina). , secondo il g.u.p. l’importazione non era
comunque avvenuta per cause del tutto indipendenti dalla volontà degli imputati.

42

Invero, non solo il motivo si appalesa generico, ma la Corte territoriale, con

Dopo aver minuziosamente ricostruito il fatto (p. 128-230 della sentenza
impugnata), pur condividendo l’analitica ricostruzione della vicenda operata dal
g.u.p. (e fatta salva l’assoluzione del Mola e del Bruzzaniti), la Corte territoriale
ha, invece, riqualificato il fatto come ipotesi consumata di acquisto, in essa
assorbita la condotta del tentativo di importazione.
6.1.2. Al riguardo va osservato, con riferimento alla fattispecie di cui all’ad,
73 d.P.R. n. 309 del 1990, che la nozione di “acquisto” di sostanze stupefacenti
va ricostruita secondo la logica della norma incriminatrice, che è quella di colpire

stupefacenti, e tenendo conto dell’ampiezza della nozione di “detenzione”.
Per l’integrazione della condotta in esame è perciò sufficiente l’accordo
manifestato tra le parti, non essendo, quindi, richiesta anche la consegna della
res, purché il venditore abbia la concreta possibilità di fare acquisire tali sostanze
all’acquirente, anche attraverso intermediari. Del resto, se per il perfezionamento
dell’acquisto” fosse necessaria la procurata disponibilità delle sostanze vietate in
capo all’acquirente, il fatto sarebbe già punibile come “detenzione”, la quale
abbraccia ogni condotta che presuppone una disponibilità effettiva della cosa.
Tale assunto è in linea con la giurisprudenza di gran lunga prevalente,
orientata nel senso che, ai fini della consumazione del reato di acquisto di
sostanze stupefacenti, la legge non richiede che la droga venga materialmente
consegnata al compratore: la fattispecie di acquisto di sostanza stupefacente si
consuma allorquando sia stato raggiunto, tra l’acquirente e il venditore, l’accordo
sulla quantità, sulla qualità e sul prezzo della sostanza, senza che sia richiesta
l’effettiva traditio della stessa, sussistendo la quale si configurerebbe la condotta
di detenzione (Sez. 4, n. 6781 del 23/01/2014 – dep. 12/02/2014, Bekshiu, Rv.
2592840; Sez. 4, n. 3950 del 11/10/2011 – dep. 31/01/2012, Conti, Rv. 251736;
Sez. 4, n. 38222 del 19/05/2009 – dep. 30/09/2009, Casali, Rv. 245293; Sez. 4,
n. 32911 del 11/05/2004 – dep. 29/07/2004, Saber ed altri, Rv. 229267).
Va, inoltre, osservato che, per costante giurisprudenza di questa Corte, in
materia di reati concernenti sostanze stupefacenti, in presenza di più condotte
riconducibili a quelle descritte dall’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, quando
unico è il fatto concreto che integra contestualmente più azioni tipiche
alternative, le condotte illecite minori perdono la loro individualità e vengono
assorbite nell’ipotesi più grave; quando invece le differenti azioni tipiche sono
distinte sul piano ontologico, cronologico e psicologico, esse costituiscono distinti
reati concorrenti materialmente (Sez. 6, n. 22549 del 28/03/2017 – dep.
09/05/2017, Ghitti ed altro, Rv. 27026601) (Sez. 3, n. 7404 del 15/01/2015 dep. 19/02/2015, Righetti, Rv. 262421).

43

ogni comportamento prodromico e strumentale alla diffusione delle sostanze

In altri termini, avendo l’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 natura giuridica di
norma a più fattispecie, deve escludersi il concorso formale di reati quando un
unico fatto concreto integri contestualmente più azioni tipiche alternative previste
dalla norma, poste in essere senza apprezzabile soluzione di continuità dal
medesimo soggetto ed aventi come oggetto materiale la medesima sostanza
stupefacente (Sez. 6, n. 9477 del 11/12/2009 – dep. 10/03/2010, Pintori, Rv.
246404: fattispecie in tema di acquisto, detenzione e trasporto di una stessa
sostanza stupefacente nell’ambito di un unitario progetto di spaccio in località
diversa dal luogo di deposito). Si è, perciò, coerentemente affermato che il fatto

della__Stato costituisce un unicum inscindibile e quindi una sola violazione della
norma incriminatrice (Sez. 2, n. 5632 del 18/01/1996 – dep. 06/06/-1996, Mura
ed altri, Rv. 205285). Parimenti, si è affermato che, nell’ipotesi di accordo
finalizzato all’importazione di sostanze stupefacenti fra soggetti che si trovano
all’estero e soggetti che si trovano nello Stato, si ha reato consumato, e non
tentato, anche qualora non avvenga l’acquisizione materiale della sostanza per
motivi estranei alla volontà degli agenti (Sez. 2, n. 486 del 21/12/1998 – dep.
15/01/1999, Avezzano, Rv. 212252: fattispecie relativa ad associazione che
diveniva proprietaria e detentrice dello stupefacente fin nelle basi estere e ne
assumeva il trasporto a proprie cure).
6.1.3. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione
dei principi ora ricordati. Posto che la sostanza stupefacente era stata certamente
caricata su una nave in partenza da Santa Marta, in Colombia, e trasportata ad
Anversa, dove erano giunti taluni imputati per prelevarla, la Corte reggina, con
motivazione non manifestamente illogica, ha esattamente ritenuto che tale
spedizione fosse stata necessariamente preceduta da un preventivo accordo tra i
venditori colombiani e gli acquirenti italiani, avente ad oggetto l’acquisto della
sostanza stupefacente, che i secondi avevano, in concreto, tentato di ritirare
direttamente dalla nave giunta al porto di Anversa.
In altri termini, avendo il trasporto riguardato un quantitativo pari almeno a
otto chilogrammi di sostanza di tipo cocaina, ciò correttamente è stato ritenuto
sintomatico del fatto che tra i fornitori e gli acquirenti fosse stato raggiunto un
accordo sulla quantità, sulla qualità e sul prezzo della sostanza, con la
conseguenza che, ancor prima dell’inizio dell’attività di importazione, in forza
del principio consensualistico, che non richiede che l’acquirente acquisti la
materiale disponibilità della droga, si era perfezionata la fattispecie di acquisto di
sostanza stupefacente.
Correttamente, quindi, è stata ritenuta integrata la fattispecie consumata
dell’acquisto, in essa assorbito il tentativo di importazione, trattandosi del

44

di importazione dall’estero e di successivo trasporto e detenzione nel territorio

medesimo quantitativo di cocaina e tenuto conto dell’unicità di contesto spaziotemporale delle condotte ascritte agli imputati.
Per inciso, e per concludere sul punto, va evidenziato come il precedente
giurisprudenziale indicato dal ricorrente non sia affatto pertinente al caso in
esame, in quanto, come emerge dalla massima, nell’indicata decisione si .è
affermato che no’n integrali tentativo di importazione.di sostanze stupèfacenti il
versamento di una cospicua somma di denaro all’estero a un agente incaricato di
trattare l’acquisto di un ingente partita di droga da terzi venditori, in mancanza di

con quest’ultinni, in quanto trattasi di condotta che costituisce attività
preparatoria inidonea a determinare la lesione o la messa in pericolo
obiettivamente accertabile del bene protetto della norma incriminatrice (Sez. 6,
n. 33143 del 04/06/2013 – dep. 30/07/2013, Grassi e altro, Rv. 257745). Nel
caso in esame, invece, la trattativa (diretta) con i fornitori colombiani non solo si
era instaurata, ma era andata a buon fine, come dimostrato dalle numerose
conversazioni in cui vi è il chiaro riferimento al reperimento dei mezzi finanziari,
tanto che, appunto, il quantitativo di droga fu spedito via nave dalla Colombia per
essere ricevuto al porto di Anversa, come da accordi con gli acquirenti italiani.
6.1.4. Venendo, poi, alla posizione del Buttiglieri, va rilevato che, in sede di
interrogatorio, lo stesso imputato ha ammesso il ruolo a lui ascritto, collegato ai
Carminati, e consistito nel mettere in contatto costoro con Otto Snaider,
soggetto deputato ad assicurare lo sdoganamento della cocaina, e nel
recarsi ad Anversa, con Carminati Denis, al fine di contattare lo stesso
Snaider e fare da garante per la riuscita dell’operazione. La Corte
territoriale, a tal proposito, ha esattamente osservato che, ancorché il Buttiglieri
abbia preso parte solo alla fase finale dell’attività di importazione, il ruolo di
mediazione e di garanzia svolto all’imputato, sebbene sdoganamento in concreto
non sia avvenuto, non può non considerarsi un contributo essenziale ai fini della
realizzazione del programma criminoso elaborato dai correi. Peraltro, il tale ruolo
è stato considerato in sede di trattamento sanzionatorio, in quanto all’imputato
sono state applicate le circostanze attenuanti generiche.
6.1.5. In relazione alla sussistenza circostanza aggravante dell’ingente
quantità, esclusa dal g.u.p. non essendovi certezza sulla qualità dello
stupefacente, ritiene questa Corte che la motivazione addotta, al proposito, dai
giudici dell’appello sia giuridicamente corretta e immune da vizi logici.
La Corte reggina ha puntualmente osservato che, malgrado non sia stato
possibile accertare il principio attivo della sostanza stupefacente sequestrata in
Colombia (pari complessivamente a otto chilogrammi), in base ad una
massima di comune esperienza deve ritenersi che la sostanza stupefacente

45

concreti elementi da cui dedurre la probabilità dell’instaurazione di una trattativa

direttamente proveniente dal Sud America, e segnatamente dalla Colombia, cioè
da un Paese notoriamente produttore di cocaina, fosse particolarmente pura.
Tali considerazioni non sono smentite, quindi, dall’espressa reintroduzione
della nozione di quantità massima detenibile, ai sensi dell’art. 75, comma 1 bis,
d.P.R. n. 309 del 1990, come modificato dalla legge 16 maggio,2014, n. 79, al
fine di verifkare la sussistenza— della circostanza aggravante della ingente
quantità
6.1.6. La motivazione addotta dalla Corte appare giuridicamente corretta e

Invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di
stupefacenti, la circostanza aggravante della detenzione di ingente quantità di cui
all’art. 80, comma secondo, d.P.R, – fi. 309 del 1990 può essere configurata anche
in mancanza del sequestro della sostanza, purché vi-siano elementi di prova certi
che consentano di pervenire per via indiretta alla individuazione del dato
ponderale (Sez. 3, n. 35042 del 01/03/2016 – dep. 19/08/2016, Gjetja, Rv.
267873: fattispecie in cui la sussistenza dell’aggravante è stata desunta dalle
conversazioni telefoniche intercettate, che provavano ripetute massicce
importazioni di marijuana di cui era riferita l’ottima qualità, confermate dalle
cospicue disponibilità finanziarie degli indagati, immediatamente ricollegabili ai
traffici, e dall’elevato principio attivo riscontrato nella droga sequestrata ad alcuni
acquirenti; Sez. 4, n. 34255 del 15/07/2014 – dep. 04/08/2014, Fabbri, Rv.
260640; Sez. 5, n. 10961 del 10/01/2013 – dep. 08/03/2013, Scognamiglio e
altri, Rv. 255221).
Il principio vale nel caso in esame, in cui la cocaina è stata effettivamente
sequestrata, pur non essendo state effettuate, dalle autorità colombiane, le
analisi chimico tossicologiche. La massima di esperienza, indicata dalla Corte,
ossia il fatto che la cocaina proveniva direttamente dai fornitori colombiani,
tenuto conto della ulteriori circostanze del caso concreto, consente di ritenere che
lo stupefacente sequestrato, pari, si ripete, a otto kg., non potesse avere una
percentuale di principio attivo inferiore al 20%, tale, quindi, da consentire il
superamento della soglia minima per configurare l’aggravante in esame, pari a
kg. 1,5.
Né il controllo della Corte di cassazione sui vizi di motivazione della sentenza
di merito, sotto il profilo della manifesta illogicità, può estendersi al sindacato
sulla scelta delle massime di esperienza del quale il giudice abbia fatto uso nella
ricostruzione del fatto, se la valutazione delle risultanze processuali sia stata
compiuta secondo corretti criteri di metodo e con l’osservanza dei canoni logici
che presiedono alla forma del ragionamento, e la motivazione fornisca una
spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate (cfr. Sez. 6, n.

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immune da vizi logici.

36430 del 28/05/2014 – dep. 01/09/2014, Schembri, Rv. 260813; Sez. 6, n.
6582 del 13/11/2012 – dep. 11/02/2013, Cerrito, Rv. 254572; Sez. 6, n. 16532
del 13/02/2007 – dep. 24/04/2007, Cassandro, Rv. 237145).
Peraltro, non è solo la massima di esperienza ad essere richiamata dalla
Corte di merito. E’ stata anche logicamente richiamato, a supporto della
conclusione raggiunta, che il Pizzata aveva contatti diretti con i fornitori
colombiani, e che il – medesimo, in una conversazione intercettata il 18 ottobre
2010, aveva detto al Molè, suo interlocutore, che lo stupefacente importato dalla

Ed ancora, al fine di inquadrare il contesto della vicenda, va anche
evidenziato che, nel corso- della perquisizione xiell’abitazione del Pizzata, in
Germania, furono rinvenuti due fogli su cui erano annotati i codici dei containers,
il primo imbarcato sulla Star Prima, •it mercantile a bfirdo del quale furonir poi
rinvenuti, in Colombia, gli otto chili di cocaina, il secondo sottoposto a
perquisizione dalle autorità olandesi, al cui interno vennero rinvenuti panetti di
cocaina per un peso totale di ben kg. 500.
6.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo.
Invero, non si ravvisa alcun errore nel computato dalla pena inflitta dalla
Corte territoriale al Buttiglieri Marco, che l’ha così calcolata: pena base anni nove
e C 35.000,00 di multa, aumentata ad anni dodici e mesi sei ed C 45.000,00 per
l’aggravante di cui all’art. 4 I. n. 146 del 2006, ridotta per le generiche ad anni
nove ed C 30,000, diminuita di un terzo per il rito, e quindi ad anni sei di
reclusione ed C 20.000 di multa. Invero, va osservato che la Corte territoriale ha
ravvisato l’aggravante ex art. 4 I. n. 146 del 2006 per il capo Z), mentre l’ha
esclusa per il solo delitto associativo, essendo l’aggravante di cui all’art. 73,
comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 stata ritenuta assorbita in quella di cui al citato
art. 4.

7. I ricorsi presentati nell’interesse di Claudio Carminati e di Denis Carminati
sono fondati in relazione al primo motivo.
7.1. Invero, si deve osservare che, in effetti, nell’atto di appello si chiedeva il
riconoscimento del vincolo continuazione (peraltro riconosciuto dalla Corte
territoriale in relazione ad altri imputati) con i fatti giudicati con sentenza resa dal
g.u.p. del tribunale di Milano in data 17.10.2013, quanto a Denis Carminati, e
con sentenza resa dal g.u.p. del tribunale di Milano in data 2 luglio 2013, quanto
a Claudio Carminati; sul punto, la Corte territoriale ha omesso qualsivoglia
statuizione.
Come affermato dalle Sezioni Unite, una volta che l’imputato abbia formulato
uno specifico motivo di gravame sulla mancata applicazione della continuazione,

47

Colombia è il migliore del mondo (p. 615 sentenza di primo grado).

il giudice dell’impugnazione ha l’obbligo di pronunciarsi sul tema di indagine
devolutogli, per l’evidente ragione che al principio devolutivo è coessenziale il
potere-dovere del giudice del gravame di esaminare e decidere sulle richieste
dell’impugnante: sicché, stante la correlazione tra motivi di impugnazione e
ambito della cognizione e della decisione, non è ammissibile che il giudice pos5a
esimersi da tale compito, riservandone la soluzione al giudice dell’esecuzione e
possa, così, sovrapporre all’iniziativa rimessa al potere dispositivo della parte la
propria valutazione circa l’opportunità di esaminare, o non, l’istanza

pronunciare sulla richiesta di continuazione formulata con specifico motivo di
impugnazione, sussiste l’interesse dell’imputIto’àl ricorso per cassazione per la
mancata pronuncia sul punto (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000 – dep. 28/06/2000,
Tuzzolino A, Rv. 2162-38; di séguito, insenso conforme, Saér 4, n. 1023 del
28/09/2006 – dep. 17/01/2007, D’Andrea, Rv. 236008; Sez. 6, n. 38648 del
30/09/2010 – dep. 03/11/2010, Cosentino e altri, Rv. 248582; Sez. 5, n. 3867
del 07/10/2014 – dep. 27/01/2015, Varrica, Rv. 262679).
Pertanto, stante l’omessa pronuncia, sul punto, da parte della Corte
territoriale, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla
valutazione del vincolo della continuazione con i fatti giudicati con sentenza resa
dal g.u.p. del tribunale di Milano in data 2 luglio 2013, quanto a Claudio
Carminati, e con i fatti giudicati con sentenza resa dal g.u.p. del tribunale di
Milano in data 17 ottobre 2013, quanto a Denis Carminati, con rinvio rinvia ad
altra sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria.
7.2. Il secondo motivo è inammissibile, non essendo stato dedotto con i
motivi di appello.
Invero, secondo il costante orientamento di questa Corte, non possono
essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di
appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua
cognizione (tra le più recenti, cfr. Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017 – dep.
14/06/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017 – dep.
21/03/2017, Bolognese, Rv. 269745; Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017 – dep.
04/04/2017, Costa e altro).
7.3. Manifestamente infondati sono il terzo e il quarto motivo, che possono
essere trattati congiuntamente stante l’omogeneità delle questioni dedotte.
Richiamando le considerazioni sopra svolte in ordine alla commisurazione
della pena, si osserva che i motivi sono del tutto generici, non svolgendo una
puntuale critica al ragionamento effettuato dai giudici di merito in ordine alla
commisurazione della pena ai sensi dell’art. 133 cod. pen. e al giudizio di

48

dell’impugnante. Ne consegue che, qualora il giudice di appello abbia omesso di

equivalenza tra le attenuanti generiche con l’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n.
309 del 1990.

8. Il ricorso presentato nell’interesse di Antonio Commisso è infondato.
8.1. Quanto al primo motivo, con cui si contesta la partecipazione
dell’imputato al reato – di cui al capo Z), la Corte territoriale ha puntualmente
replicato alla deduzione difensiva, secondo cui l’imputato sarebbe stato
erroneamente indicato dal g.u.p. tra i soggetti che, con i Carminati, avrebbero

sarebbe smentita dalle emergenze probatorie e, in sede di interrogatorio, dagli
stessi Carminati. La Corte ha, difatti, osservato che il g.u.p. ha attribuito
all’imputato un ruolo attivo e di programmazione, aggiungendo che, nel periodo
immediatamente pr=ecedente al giorno previsto-dello sbarco del container, ha
tenuto, con Ielo, numerosi contatti con il Pizzata per sapere quando avrebbe
dovuto concretamente agire. Orbene, la circostanza che l’imputato non sia stato
indicato tra i soggetti che si sono recati ad Anversa per seguire la fase dello
sdoganamento non inficia il solido quadro probatorio delineato a suo carico e non
specificamente contestato dalla difesa.
Si tratta di una motivazione adeguata che, quindi, supera il vaglio di
legittimità.
8.2. Quanto al secondo motivo, con . cui, in relazione al capo Z), si
contestano sia la qualificazione del fatto come consumato, sia la sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 si rinvia alla
considerazioni precedentemente svolte al punto 6.1.
8.3. In relazione al terzo motivo, si osserva, anzitutto, che il ruolo svolto
dall’imputato con riguardo al delitto di cui al capo Z), tutt’altro che marginale,
per come accertato dai giudici di merito, impedisce, in radice, che possa trovare
applicazione la circostanza di cui all’art. 114 cod. pen.
Invero, ai fini del riconoscimento dell’attenuante della partecipazione di
minima importanza al reato, la valutazione, anche implicita, delle condotte
concorsuali non si traduce in una vera e propria comparazione fra di esse
finalizzata a stabilire quale tra i correi abbia in misura maggiore o minore
contribuito alla realizzazione dell’impresa criminosa, risolvendosi bensì in un
esame volto a stabilire se il contributo dato dal compartecipe si sia concretizzato
nell’assunzione di un ruolo di efficacia causale così lieve rispetto all’evento, da
risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso (Sez. 3, n. 9844
del 17/11/2015 – dep. 09/03/2016, Barbato, Rv. 266461: fattispecie in cui non è
stato ritenuto minimo il contributo concorsuale nel traffico internazionale di

49

dovuto occupare dello sdoganamento, circostanza che, ad avviso del ricorrente,

sostanza stupefacente, consistito nel collaborare alla ricerca e al reperimento di
uno dei corrieri indispensabili per l’importazione della droga).
Quanto, poi, al diniego delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62 bis cod.
pen., oltre a richiamare le considerazione sopra svolte, si rileva che il motivo
appare generico, non indicando nemmeno eventuali elementi che possano
essere, a tal fine, valutati.

9. Il ricorso presentato nell’interesse di Domenico Curinga è inammissibile,
stante la manifesta infondatezza dei motivi.

di una serie di massime giurisprudenziali, senza evidenziare precise carenze od
omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione.
9.2. Parimenti inammissibile è-i-i-secondo motivo.
Richiamate le considerazioni, di carattere generale, dinanzi svolte in ordine
al diniego delle circostanze attenuanti generiche, si deve osservare che, anche in
relazione alla posizione del Curinga, la Corte territoriale ha recepito la
motivazione del g.u.p., che ha argomentato la mancata applicazione delle
attenuanti in esame sul rilievo dell’assenza di elementi concreti da valutare in tal
senso, elementi che nemmeno sono stati indicati dal ricorrente in questa sede.

10. Il ricorso presentato nell’interesse di Vincenzo Fazzari è infondato e,
pertanto, deve essere rigettato.
10.1. Rinviando alle considerazioni svolte al punto 6.1. in relazione ai primi
due motivi – con cui si contesta, rispettivamente, con riguardo al capo Z), la
qualificazione del fatto come ipotesi consumata e la sussistenza dell’aggravante
di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 – il terzo motivo, con cui si
censura il ruolo di finanziatore ascritto al Fazzari, è infondato in quanto generico,
non confrontandosi con l’ampia motivazione offerta dalla Corte territoriale e con
il materiale probatorio puntualmente indicato, rappresentato dagli esiti di
numerose conversazioni ambientali e dall’attività di osservazione e controllo
posta in essere dagli investigatori, da cui limpidamente emerge il ruolo di
finanziatore ascritto al ricorrente, come ricostruito alle p. 233-250 della sentenza
impugnata.
La Corte territoriale, analizzando la posizione del Fazzari, ha evidenziato che,
già dal luglio del 2010, i ROS di Milano, attraverso servizi di appostamento e
pedinamento, avevano accertato l’esistenza di stretti rapporti tra l’imputato,
Carmelo Ielo e Antonio Connnnisso, nonché tra lo stesso Fazzari e Francesco
Strangio (classe 1946), registrando diversi incontri tra i due e tra Fazzari e Bruno
Pizzata, ossia tra i soggetti, a vario titolo coinvolti nell’acquisto degli otto kg. di

50

9.1. Il primo motivo è del tutto generico, risolvendosi nella mera indicazione

cocaina dai fornitori colombiani. Ha, in particolare, evidenziato come dovesse
essere ritenuta significativa la circostanza che, in data 28 settembre 2010, in
Calabria, Strangio (classe 1946) contattava Fazzari e lo invitava ad incontrarsi,
ma quest’ultimo lo informava che la mattina seguente sarebbe ritornato a Milano,
per cui proponeva di incontrarsi, e lo Strangio precisava che avrebbe mandato
una persona con la quale parlare della “fidejussione” (prog. 1206). La Corte
territoriale, con motivazione logica, ha ritenuto che l’utilizzo dei termini e
“fidejussione” e di “finanziaria”, da parte di un soggetto dedito all’attività di

Ancora, come puntualmente indicato dalla Corte territoriale, dalla fine di
settembre sino a metà ottobre 2010 il Fazzari risulta in costante e assiduo
contatto con Strangio (classe 1946), per motivi legati al finanziamento
dell’importazione della-droga, come emerge, si ripete, dai continui riferimenti alla
“finanziaria”, circostanza da cui la Corte territoriale, in maniera logica, ha desunto
il ruolo di finanziatore del Fazzari.
A riprova del ruolo del Fazzari nella complessiva vicenda finalizzata
all’importazione di un ingente quantitativo di sostanza stupefacente dalla
Colombia, viene logicamente indicata la conversazione ambientale intercettata,
all’interno dell’appartamento di Via Veneziana Milano, il 28 ottobre 2010, in cui,
nel tardo pomeriggio, al gruppo di persone che occupava abitualmente
l’appartamento, si, univa il Fazzari, che rimaneva in compagnia dei soggetti per
tutta la serata. Tra i vari argomenti di discussione affrontati tra le persone
presenti, la Corte territoriale ha evidenziato, in particolare, la preoccupazione per
il finanziamento dell’importazione di stupefacente; la possibilità di effettuare altre
operazioni illecite nell’ambito del narcotraffico, grazie ai contatti che Carmelo
Ielo aveva con dei colombiani, i quali si trovavano a Milano; la circostanza che
Pizzata faceva presente agli interlocutori di avere avuto contatti diretti con i
fornitori colombiani, i quali erano pronti ad iniziare la spedizione dello
stupefacente da importare.
La circostanza che, nella fase attuativa del programma criminoso, il Fazzari
non sia stato più intercettato o osservato trova logica spiegazione con il fatto
che egli aveva esaurito il proprio ruolo, allorché il finanziamento dell’operazione
era stato assicurato, anche grazie al suo contributo; prova né è che, come detto,
gli otto kg. furono effettivamente spediti dalla Colombia per essere consegnati
agli acquirenti italiani presso il porto di Anversa.
10.2. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Il delitto associativo, contestato al capo A), è stato oggetto di approfondita
disamina da parte di entrambi i giudici di merito, che lo hanno ravvisato con
motivazione giuridicamente corretta e immune da vizi logici.

51

compravendita di stupefacenti, sta ad indicare la trattazione di affari illeciti.

10.2.1. Orbene, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di
legittimità, ai fini della configurabilità di un’associazione per delinquere
finalizzata al narcotraffico, è necessaria la presenza di tre elementi fondamentali:
a) l’esistenza di un gruppo, i componenti del quale siano aggregati
consapevolmente per il compimento di una serie indeterminata di reati in
materia di stupefacenti; b) l’organizzazione di attività> personali e di beni
economici per il perseguimento del fine illecito comune, con l’assunzione
dell’impegno di apportarli anche in futuro per attuare il piano permanente

episodico di almeno tre associati, che integri un contributo alla stabilità
dell’unione illecita

(ex multis, cfr. Sez. 6, n. 7387 del 03/12/2013 – dep.

17/02/2014, Pompei, Rv. 258796; Sez., 4, n. 44183 del 02/10/2013 – dep.
29/10/2013, Alberghini, Rv. 257582; Sez. 1, n. 10758 del 18/02/2009 – dep.
11/03/2009, Uno, Rv. 242897). Per la configurabilità di un’associazione per
delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti non è necessaria
l’esistenza di una struttura organizzativa di tipo verticistico, ma è sufficiente un
minimo sostrato organizzativo, anche “orizzontale”, purché strumentale alla
realizzazione di uno scopo che si proietta oltre la consumazione dei singoli reatifine (Sez. 3, n. 9457 del 06/11/2015 – dep. 08/03/2016, Salvatori e altri, Rv.
266286).
Si è, inoltre, precisato, che, in tema di associazione finalizzata al traffico
illecito di sostanze stupefacenti, l’accordo di almeno tre persone per organizzare
e finanziare un’operazione d’importazione di ingente quantità di stupefacenti, per
le attività delittuose consecutive di ciascuna di esse anche nel commercio in
proprio, determina un programma associativo ai sensi della previsione di cui
all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, la quale non richiede che le successive
condotte delittuose dei singoli, ai sensi dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, ivi
compreso il commercio, siano compiute in nome e per conto dell’associazione,
ma solo che rientrino nel predetto programma (Sez. 5, n. 28528 del 15/06/2010
– dep. 20/07/2010, Cucumazzo, Rv. 247905).
10.2.2. Orbene, nel caso in esame la Corte territoriale (p. 269 ss.) ha fatto
buon governo dei principi sopra richiamati, evidenziando come, sulla base delle
prove raccolte, si sia in presenza di un accordo stabile tra i sodali, finalizzato,
non alla commissione di uno o più specifici reati fine, come argomentato da
alcuni ricorrenti, bensì all’attuazione di una serie indeterminata di delitti in
materia di stupefacenti.
In particolare, evidenziato che la Corte territoriale, diversamente da quanto
ritenuto da diversi ricorrenti, ha ravvisato la prova dell’accordo non solo dalla
realizzazione dell’acquisto e dell’importazione, dalla Colombia, di otto kg. di

52

criminoso; c) sotto il profilo soggettivo, l’apporto individuale apprezzabile e non

cocaina contestato al capo Z) – fatto che ben potrebbe essere indicativo della
sussistenza del vincolo associativo, in quanto l’accordo per l’acquisto,
direttamente dai fornitori colombiani, di un significativo approvvigionamento
comune di sostanze stupefacenti, in applicazione del principio sopra indicato, ben
può ,integrare gli estremi del sodalizio criminoso – ma, più in r generale, dal
complesso dell’attività captativa, la quale ha-evidenziato-l’esistenza di rapporti
consolidati fra i correi, l’attribuzione di precisi compiti a ciascuno di loro e
l’intreccio di contatti con soggetti ed ambienti stabilmente dediti al commercio di

internazionale, che sicuramente evocano l’esistenza di una struttura predisposta
al fine di porre in essere non un singolo delitto ma un numero indeterminato di
fatti – reato inerenti il traffico-di droga.
Valenza sintomatica dell’appartenenza al medesimo sodalizio criminoso,
inoltre, è stata logicamente attribuita al sistematico utilizzo di un linguaggio
criptico utilizzato dagli affiliati, finalizzato a nascondere il reale oggetto dei loro
affari.
Un ruolo probatorio centrale, ai fini dell’accertamento del reato
associativo, è stato attribuito alle conversazioni intercorse tra alcuni degli
imputati all’interno dell’appartamento sito in Via Venezian 14, a Milano, dove gli
stessi, dimenticando il timore di essere intercettati, discutono liberamente in
merito ad attività illecite pregresse e, soprattutto, programmano una serie
indefinita di attività di acquisto ed importazione di sostanze stupefacenti,
elaborando strategie al fine di reperire mezzi e contatti idonei al fine di fare del
commercio di sostanze stupefacenti una fonte di redditi cospicui e stabili nel
tempo, situazione non riconducibile alla fattispecie di cui agli artt. 81 cpv., 110
cod. pen., 73 d.P.R. n. 309 del 1990 proprio per la natura dell’accordo tra i
sodali, che, si ripete, ha ad oggetto la commissione di una serie indeterminata di
violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 con la permanenza di un vincolo
associativo tra i partecipi.
Sulla scorta di questi elementi, la Corte reggina ha, perciò, ritenuto
sussistente un patto stabile, in forza del quale i sodali sono portati ad operare
nel settore del traffico della droga, nella consapevolezza che le attività proprie ed
altrui ricevano vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscano all’attuazione
del programma criminale.
Si tratta di un motivazione giuridicamente corretta, ancorata alle emerge
processuali e non manifestamente illogica, sicché non è censurabile in questa
sede.
10.3. Pure infondato è il quinto motivo.

53

quantità, anche rilevanti, di sostanze stupefacenti, in ambito nazionale ed

In primo luogo si osserva che, in tema di ricorso per cassazione, sono
inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, i
motivi che deducano il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della
motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la
loro integrale trascrizione o allegazione (così, da ultimo, Sez. 2, n. 20677 del
11/C4/2017 – dep. 02/05/2017.1.-Schioppo, Rv. 270071).
Nel caso in esame, non solo non è stata allegata al ricorso la conversazione
in data 28 giugno 2010, ore 22.40, tra Strangio e Pizzata, sicché non è dato

Fazzari è stata oggetto di ampia ed esaustiva disamina da parte della Corte
territoriale in -relazione a tutti i capi ascritti al ricorrente, da ritenere assorbente
riguardo ai rilievi su specifiche diverse interpretazioni possibili per alcuni degli
elementi valutati.

11. Il ricorso presentato nell’interesse di Carlo Ferrara è fondato in relazione
al secondo motivo.
11.1. Il primo motivo, con cui si deducono asseriti vizi motivazionali
relativamente ai delitti di cui ai capi W) e X), è infondato, in quanto tende a una
rilettura degli elementi probatori non consentita in questa sede e non si
confronta con la motivazione della sentenza impugnata
Quanto al capo W), la Corte, in primo luogo, ha correttamente ribadito che
l’incontro tra Bruzzaniti e Ferrara trova riscontro proprio nell’accertata presenza
dell’imputato nei pressi dell’abitazione del Ferrara, in data 21 ottobre 2010, a
breve distanza temporale dalla conversazione di cui al prog. 172, in cui il
soggetto utilizzatore della predetta utenza comunicava a Ferrara: “Sto arrivando”
e proprio in concomitanza con il rilevamento dell’utenza telefonica in Località
Lomazzo (l’utenza agganciava la cella telefonica di tale località). Che l’oggetto
dell’incontro fosse la cessione dello stupefacente, la Corte l’ha desunto, con
motivazione non manifestamente illogica, dalla cripticità delle conversazioni
intervenute tra i due imputati e tra il Ferrara e Vincenzo Liberato Pisano, da
leggersi e interpretarsi sistematicamente.
Quanto al capo X), nel solco tracciato dalla sentenza di primo grado, la Corte
territoriale ha fatto leva sull’esito dell’appostamento da parte della p.g. operante
presso l’abitazione del Ferrara, che aveva consentito di monitorare l’arrivo del
Bruzzaniti (in compagnia del Mollica) e, due ore dopo, quello del Pisano. Orbene,
la Corte ha puntualmente indicato le circostanze, in forza delle quali concludere
che il Bruzzaniti abbia ceduto al Ferrara un quantitativo di sostanza
stupefacente, che quest’ultimo ha ceduto, poco dopo al Pisano, ossia: la
straordinaria sincronia mostrata dai protagonisti nell’incontrarsi; la circostanza

54

comprenderne la rilevanza, ma, in ogni caso, come anticipato, la posizione di

che nessun gazebo sia stato effettivamente smontato da Ferrara e Pisano; il
contenuto delle conversazioni intervenute subito dopo tra il Pisano ed una
persona non identificata. La Corte territoriale ha, inoltre, osservato che la
circostanza che il Pisano, poco prima di recarsi presso l’abitazione del Ferrara,
avesse acquistato sostanza stupefacente da un altro fornitore, peraltro pagandola
dieci euro, non -esclude, anzi avvalora, l’ipotesi che anche l’incontro concordato
con il Ferrara fosse finalizzato all’acquisto di sostanza stupefacente, potendosi
ritenere acclarato che il Pisano sia un consumatore di droga, il che rende
verosimile che avesse contatti, anche contemporanei, con diversi fornitori.

Pisano e lo stesso uomo non meglio identificato, in data 4 novembre 2010 (prog.
202, all. n.549), da cui emerge come il suo ruolo si era esaurito allorché il
finanziamento dell’operazione era stato, anche grazie al suo contributo,
assicurato. Orbene, tale conversazione vale senz’altro a confermare il dato che il
Pisano non intrattenesse un rapporto di fornitura esclusivamente con
l’interlocutore.
Si tratta di una motivazione ancorata a precisi elementi di fatto, non
manifestamente illogica che, pertanto, supera il vaglio di legittimità.

11.2. Il secondo motivo è invece fondato, con conseguente assorbimento del
terzo (ad oggetto la richiesta di riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73,
comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990) e del quinto motivo (concernente la severità
del trattamento sanzionatorio, che dovrà essere rideterminato alla luce che
considerazioni che seguono).
Invero, in relazione ai fatti di cui ai capi W) e X), pur confermando, come si è
detto, il giudizio di penale responsabilità, la Corte territoriale ha preceduto a
riqualificare detti fatti nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del
1990, sulla base del principio del favor rei, non emergendo, in entrambi i casi,
elementi certi ed univoci in ordine alla tipologia ovvero al quantitativo della
sostanza stupefacente oggetto della cessione, né emergendo altri elementi che
inducano ad escludere una valutazione, in termini di minima offensività penale,
della condotta delittuosa.
Nondimeno, a fronte di riqualificazione dei fatti di cui ai capi W) e X) in una
fattispecie punita con sanzione ben più mite rispetto a quella di cui all’art. 73,
comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, la Corte territoriale non ha proceduto alla
conseguente mitigazione della pena, che questa Corte non può rideterminare,
dato che il Ferrara, a differenza del Bruzzaniti, è stato condannato unicamente in
relazione a detti reati.

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Inoltre, la Corte territoriale ha valorizzato la conversazione intercorsa tra il

La sentenza impugnata deve perciò essere annullata nei confronti di Carlo
Ferrara limitatamente alla rideterminazione della pena per i capi W) e X) con
rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria.
11.4. Manifestamente infondato è il quarto motivo.
diniego delle circostanze attenuanti

Come già sopra chiarito, quanto

generiche, anche in tal caso i giudici di merito hanno Nevato, con doppia
valutazione conforme, l’assenza di elementi valutabili in tal senso, peraltro
nemmeno puntualmente indicati dal ricorrente.

fondati, limitatamente a un profilo dedotto con il secondo motivo.
12.1. In relazione al primo motivo, con cui, in relazione al capo Z), si
contesta la ritenuta sussistenza sia dell’ipotesi consumata, sia dell’aggravante di
cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, si rinvia alle considerazioni
svolte al punto 6.1.
Nel merito, la Corte ha ribadito il ruolo attivo e di programmazione
dell’attività finalizzata all’importazione della cocaina dal Sud America, svolto dai
due ricorrenti: entrambi, infatti, hanno preso parte alla fase dell’elaborazione e
dell’organizzazione, garantendo lo sdoganamento dello stupefacente trasportato
dalla Colombia, in tal modo rafforzando il proposito criminoso degli altri correi.
Va, infine, osservato che, in relazione al capo in esame, correttamente è
stata esclusa qualsiasi incidenza per l’intervenuta assoluzione del Molè, il quale,
nella fase ideativa, si era proposto tra i finanziatori dell’operazione. Secondo
quanto evidenziato dalla Corte territoriale, infatti, l’interesse iniziale, mostrato
dal Molè, a finanziare l’operazione di acquisto e di importazione della cocaina non
si era poi concretizzato in un concorso nella realizzazione dell’attività delittuosa.
Tale circostanza emerge dalle intercettazioni ambientali registrate all’interno
dell’appartamento di Via Venezian 14, da cui quali emerge chiaramente come il
Molè, da subito, non abbia ritenuto vantaggioso l’affare proposto dal Pizzata,
evidenziando che a fronte del rischio che avrebbe dovuto assumere per
l’intero carico di stupefacente importato, gli sarebbe stata assegnata solo
una piccola percentuale di droga. In particolare, Molè sollevava dubbi in merito
alla programmata suddivisione dello stupefacente, osservando che, in caso di
importazione di 30 kg., 7 kg. sarebbero andati ai “siciliani” (Fiorito), 7 kg. al
Pizzata e kg. 7 a Molè, mentre i rimanenti 9 kg. sarebbero andati ancora al
gruppo dei “siciliani”, quale pagamento per lo sdoganamento. E’ verosimile,
dunque, che per tale ragione lo stesso Molè si sia da subito sottratto agli
impegni assunti, rendendosi irreperibile al Pizzata, che decideva di procedere
senza l’apporto del medesimo. L’ipotesi di fare a meno di Domenico Molè

56

12. I ricorsi presentati per conto di Cosimo Fiorito e di Salvatore Fiorito sono

emerge già in modo chiaro dalla conversazione registrata in data 25 ottobre
2010, tra Bruno Pizzata e Filippo Rechichi, nel corso della quale il primo si
lamentava del fatto che, nonostante fosse andato più volte ad incontrare il Mole,
quest’ultimo quando vedeva altre persone, prendeva altri accordi anche in
relazione ad altri affari. – La decisione del Pizzata di procedere senza la
complicità del Mole veniva, inoltre, chiaramente esternata in occasione
dell’incontro del 28 ottobre 2010 con Vincenzo Fazzri, che, nell’occasione
tentava di difendere il Mole. In ogni caso, è pacifico che la mancata

con la conclusione dell’accordo con i fornitori colombiani e la conseguente
spedizione, via nave, degli otto kg. di cocaina. Si tratta di una motivazione
adeguata e aderente alle emergenze processuali, non altrimenti valutabili in
questa sede.
12.2. Quanto al secondo motivo, esso è fondato nella parte in cui si contesta
non già la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 4 I. n. 146 del 2006, ma il
fatto che, una volta applicata l’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n.
309 del 1990, la Corte territoriale ha •omesso ogni motivazione in ordine
all’ulteriore aumento per l’indicata aggravante ex art. 4 I. n. 146 del 2006, in
violazione dell’art. 63, comma 4, cod. pen.
Invero, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di
concorso di circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di
specie diversa da quella ordinaria del reato o di circostanze ad effetto speciale situazione ravvisabile nel caso in esame, con riferimento, appunto alle
aggravanti di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 e 4 I. n. 146 del
2006 – incombe uno specifico dovere di motivazione al giudice che, dopo aver
quantificato la pena relativa alla circostanza più grave, ritenga di procedere ad
un ulteriore aumento nella misura massima consentita dall’art. 63, comma 4,
cod. pen. (Sez. 3, n. 40765 del 30/04/2015 – dep. 12/10/2015, Brutto, Rv.
264904; Sez. 6, n. 18748 del 05/02/2014 – dep. 06/05/2014, Prinno e altri, Rv.
259447; Sez. 2, n. 5911 del 22/11/2012 – dep. 07/02/2013, Bonaccorsi, Rv.
254527).
La Corte territoriale avrebbe dovuto spiegare le ragioni in ordine alla
necessità di un ulteriore aumento di pena, per effetto dell’applicazione della
circostanza aggravante di cui all’ art. 4 I. n. 146 del 2006. La sentenza
impugnata deve perciò essere annullata, nei confronti di Cosimo Fiorito e di
Salvatore Fiorito, limitatamente all’aumento di pena per l’aggravante di cui
all’art. 4 I. n. 146 del 2006 con rinvio.

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partecipazione del Mole non abbia inciso sulla conclusione dell’affar.e, culminato

13. Il ricorso presentato nell’interesse di Carmelo Ielo è fondato pure in
relazione alla censurata omessa motivazione in ordine all’aumento di pena per la
circostanza aggravante di cui all’art. 4 I. n. 146 del 2006.
13.1. Quanto ai primi tre motivi, con cui, in riferimento al capo Z), si
censura la ritenuta sussistenza sia dell’ipotesi-consumata, sia dell’aggravante di
cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n.- 309 del 1990, si rinvia alle considerazioni
svolte al punto 6.1.
Va, peraltro, precisato, come affermato da entrambi i giudici di merito, che
Ielo ha svolto un ruolo attivo. sia – nella programmazione dell’importazione dello

immediatamente precedente al giorno previsto dello sbarco del container, egli
ha tenuto intensi contatti con il Pizzata r per sapere quando si sarebbe potuto
dare avvio alle fasi finali. La motivazione appare adeguata e immune da vizi
logici, sicché non è censurabile in questa sede.
13.2. E’ invece fondato il quarto motivo, nella parte in cui si deduce vizio
motivazione in relazione all’aumento di pena per la circostanza aggravante di cui
all’art. 4 I. n. 146 del 2006. Valgono, al proposito, i principi e le considerazioni
svolte a proposito della medesima doglianza sollevata da Cosimo Fiorito e
Salvatore Fiorito. La Corte territoriale ha, infatti, sul punto, omesso qualsivoglia
motivazione. La sentenza deve, perciò, essere annullata nei confronti di Carmelo
Ielo, limitatamente all’aumento di pena per l’aggravante di cui all’art. 4 I. n. 146
del 2006, con rinvio.
Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche si richiamano le
considerazioni di carattere generale sopra espresse. Anche in tal caso, con
doppia valutazione conforme, i giudici di merito non hanno ravvisato alcun
elemento utile ai fini dell’applicazione delle circostanze in esame, peraltro
nemmeno indicato dal ricorrente, sicché il motivo si rivela generico; lo stesso
dicasi per gli aumenti di pena inflitti ai sensi dell’art. 81 cpv. cod. pen.

14. Il ricorso promosso nell’interesse di Geremia Maviglia, con cui si lamenta
unicamente della mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, è
manifestamente infondato.
Invero, non possono che essere ribadite le considerazioni in precedenza
svolte, valevoli per tutti gli imputati, con riferimento al motivo in esame. Il
ricorrente, peraltro, non evidenzia elementi concreti valutabili ai sensi dell’art. 62
bis cod. pen. e, stante la genericità del motivo, il ricorso è inammissibile.

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stupefacente dalla Colombia, sia nella fase esecutiva, in quanto, nel periodo

15. Il ricorso promosso nell’interesse di Maurizio Maviglia, incentrato sulla
violazione di legge in relazione all’art. 8 I. n. 203 del 1991, è manifestamente
infondato.
La Corte territoriale, invero, ha, esattamente, sottolineato che non
sussistono i presupposti per l’eventuale riconoscimento della circostanza
attenuante in questiono; per • l’assorbente ragione che, per espresso dettato
normativo, essa si applica Solo ai delitti di cui all’art. 416 bis cod. pen. e a quelli
commessi avvalendosi delle condizioni previste da detta norma per agevolare
l’attività delle associazioni di tipo mafioso. Nel caso di specie, non è stata

1991, né vi sono elementi che consentano di ritenere che l’ipotesi delittuosa
contestata sia, comunque, riconducibile alla tipologia di quelli definiti dall’art. 8
citato.

16. Il ricorso presentato nell’interesse di Mario Francesco Mollica è
inammissibile.
Invero, con riguardo ai capi F) e V), la motivazione addotta dalla Corte
territoriale è aderente alle risultanze processuali – che, come detto più volte, non
sono altrimenti valutabili in questa sede – ed è immune da vizi logici.
16.1. Quanto al capo F), contestato al Mollica in concorso con Sandro
Bruzzani, per avere illecitamente detenuto e ceduto sostanza stupefacente a tale
Mimmo, i giudici di merito hanno correttamente valorizzato una serie di
conversazioni telefoniche, intercettate sull’utenza 3889377414, intestata e in uso
a Sandro Bruzzaniti. Vengono in rilievo, in primo luogo, le telefonate
intrattenute con tale “Mimmo”, il quale, contattando Bruzzaniti da due
differenti cabine telefoniche, situate a Vicenza e a Montecchio Maggiore,
chiedeva allo stesso di poterlo incontrare, insieme ad un’altra persona (prog. 26
del 23 maggio 2010, ore 11.32). Successivamente “Mimnrio” ricontattava
Bruzzaniti (prog. 57 del 24 maggio 2010, ore 17.28), preannunciandogli il suo
arrivo per l’indomani, specificando anche l’orario (“Tra le 11.30…
mezzogiorno…”). Come si evince dai progressivi n. 108-109 del 25 maggio
2010, a tale incontro Bruzzaniti inviava una persona di sua fiducia: Mario
Francesco Molica. L’incontro, però, non andava a buon fine, tanto che, qualche
ora dopo, il Bruzzaniti contattava “Mimmo”, sull’utenza 3465972319, decidendo
di raggiungerlo di persona.
Successivamente, “Mimmo” richiamava il Bruzzaniti (prog. 119 del 25
maggio 2010) da una cabina telefonica pubblica, lamentandosi per la non
corrispondenza tra il quantitativo o la qualità dello stupefacente pattuito e
l’effettiva quantità o qualità di quello consegnato. Avendo compreso l’oggetto

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ipotizzata, né contestata, l’aggravante di cui all’art. 7, comma 1, d.l. n. 152 del

della conversazione, il Bruzzaniti si lasciava andare ad una precisazione
circa la quantità (“E’ più poco?”), e, alla risposta affermativa del suo
interlocutore, si rendeva conto che lo stupefacente era realmente di una quantità
inferiore a quella pattuita. Poco dopo, il Bruzzaniti lo ricontattava sul cellulare
(prog. 123), comunicandogli che avrebbe provveduto a sistemare il tutto (prog.
123 del 25/05/2010, ore 18.25), dicendo, tra l’altro che “l’ho chiamato all’amico
mio… si è… si era… si è confuso”.
Ciò posto, la Corte territoriale ha puntualmente replicato alla deduzione

Mollica si sia effettivamente recato sul luogo dell’appuntamento, come
richiestogli dal Bruzzaniti, e che vi sia stato il concordato incontro con la persona
chiamata “Mimmo”, finalizzato alla consegna della sostanza stupefacente. La
Corte reggina, in primo luogo, ha correttamente precisato che il reato di cessione
di sostanze stupefacenti si consuma nel momento in cui si raggiunge il consenso
tra venditore e acquirente delle sostanze stesse, indipendentemente dall’effettiva
consegna della merce e dal pagamento del prezzo.
Nel caso in esame, pur non essendo stato monitorato l’incontro tra i
Bruzzaniti e Mollica, o uno solo di essi, e tale “Mimmo”, la prova del
perfezionamento della cessione, oltre che della traditi°, è stata logicamente
ritenuta in modo inequivocabile dalla conversazione di cui al prog. 119 del 25
maggio 2010, sopra indicata, circa la non corrispondenza, per difetto, tra il
quantitativo pattuito e quello consegnato.
Con motivazione logica, da tale conversazione la Corte territoriale ha,
quindi, desunto che i due interlocutori avevano raggiunto un accordo in ordine
alla quantità e alla qualità dello stupefacente, evidentemente destinato ad una
terza persona, e che tale accordo non aveva avuto esatta esecuzione, essendo
stato consegnato un quantitativo inferiore. Correttamente richiamata al riguardo
è, inoltre, la successiva conversazione di cui al prog. 123, che la consegna dello
stupefacente era stata materialmente effettuata dal Mollica (“Ascolta… l’ho
chiamato all’amico mio… si è… si era… si è confuso”), che, dunque, assume un
ruolo attivo nella realizzazione della condotta criminosa.
Si tratta, come anticipato, di una motivazione aderente alle emergenze
processuali e immune da vizi logici che, quindi, supera il vaglio di legittimità.
16.2. Considerazioni analoghe valgono in relazione al reato di cui al capo V),
contestato al Mollica, in concorso con il Bruzzaniti, per avere, in concorso tra
loro, illecitamente detenuto e ceduto sostanza stupefacente a un soggetto
non meglio identificato, utilizzatore dell’utenza cellulare n. 393278309226.
Anche in tal caso, i giudici di merito hanno puntualmente dato atto degli
elementi di prova a fondamento del giudizio di penale responsabilità, indicati in

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difensiva, riproposta con il ricorso, secondo cui non vi sarebbe prova che il

una serie di conversazioni intercorse, a partire dal 12 ottobre 2010 (n. 793
del 12 ottobre, n. 822 del 14 ottobre), tra il Bruzzaniti e il Mollica, da cui
emerge che i due si erano accordati con una donna, non identificata, per la
fornitura di cocaina. Nel corso della notte tra il 17 e il 18 ottobre 2010, alle ore
01:24 circa, Bruzzaniti veniva contattato dalla donna, non identificata, che
utilizzava l’utenza n. 3278309226, la quale gli chiedeva di essere raggiunta
presso la sua abitazione, presumibilmente per una festa con amici di lei (“Siamo
otto ragazze ed un cugino mio… due fidanzati ed altri ragazzi”). Dopo circa

dalle precedenti conversazioni, che testimoniano il viaggio di quest’ultimo),
mentre tentava di contattare l’utilizzatrice dell’utenza nr. 3278309226, a
cornetta alzata diceva: “La sistemi la cocaina?…”. Quindi, sempre a cornetta
alzata, prima che la donna rispondesse al telefono, rivolgendosi a Mollica,
affermava: “Basta che fai… no basta che ce n’è… è assai. ..”.
Orbene, come osservato dalla Corte territoriale, le indicate conversazioni, se
non dimostrano l’accordo intervenuto con l’interlocutrice del Bruzzaniti, avente
ad oggetto sostanza stupefacente, tuttavia provano la detenzione, in capo ai due
imputati, di sostanza di tipo cocaina, finalizzata alla cessione, come emerge dalle
conversazioni riportate, che testimoniano l’intenzione dei due imputati di
portare alla festa la cocaina (“La sistemi la cocaina?…”), e per un quantitativo
non esiguo (“Basta che fai… no basta che ce n’è… è assai…”), ancorché poi, la
Corte territoriale, abbia ravvisato l’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n.
309 del 1990.
In quanto aderente alle risultanze probatorie e immune da vizi logici, anche
tale motivazione supera il vaglio di legittimità.

17. Il ricorso presentato nell’interesse di Bruno Pizzata è infondato e deve,
pertanto, essere rigettato.
17.1. Quanto al primo motivo, si osserva che, non essendo stata allegata al
ricorso la consulenza grafologica di cui si sarebbe chiesta l’acquisizione, questa
Corte non è nelle condizioni di valutarne la rilevanza.
Va, peraltro, osservato, che il processo è stato definito nelle forme del rito
abbreviato che, come noto, si caratterizzata quale rito a “prova contratta”, in cui,
per effetto dell’accettazione, da parte dell’imputato, della piattaforma probatoria
raccolta nella fase delle indagini preliminari, viene applicata, in caso di
condanna, la riduzione di un terzo della pena. La scelta di definizione del
procedimento con giudizio abbreviato, anziché con giudizio ordinario, che invece
garantisce l’acquisizione delle prove, richieste dalle parti, nella sede
dibattimentale, è affidata all’imputato, che la può esprimere personalmente o a

61

un’ora, il Bruzzaniti, che si trovava in compagnia del Mollica (come dimostrato

mezzo di procuratore speciale, sulla base della linea difensiva che intende
assumere. Orbene, nel caso di specie la scelta di richiedere il giudizio abbreviato
“secco” ha cristallizzato il materiale probatorio valutabile ai fini decisori, ciò che,
ovviamente, era ben noto alla difesa, sicché ogni doglianza sul punto, come già
correttamente ritenuto dalla Corte d’appello, è inammissibile.
Analoghe considerazioni valgono in relazione alla richiesta, avanzata ex art.
603 cod. proc. pen., di acquisizione delle dichiarazioni rese da Giuseppe Pizzata,
nemmeno queste allegate al ricorso, la cui asserita decisività, pertanto, non può

Peraltro, in tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata
rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale qualora si dimostri
l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata,
di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento
e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state
presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di
determinate prove in appello (Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014 – dep.
14/01/2015, PR, Rv. 261799: fattispecie in tema di giudizio abbreviato; Sez. 6,
n. 1256 del 28/11/2013 – dep. 14/01/2014, Cozzetto, Rv. 258236); anche sotto
questo profilo, dunque, il ricorso appare generico.
17.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo.
Va premesso che, anche in tal caso, il motivo è generico, laddove evidenzia
che, nei confronti del Pizzata, non sarebbe stata applicata alcuna misura in
relazione al delitto associativo, in quanto l’atto, indicato nel ricorso, non è stato
allegato. In ogni caso, come esattamente osservato dalla Corte territoriale, da
un lato non sono vincolanti, in sede di merito, le determinazioni adottate dal
giudice della cautela; dall’altro, non è decisiva, ai fini della configurabilità del
delitto di partecipazione ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, la mancanza di
precedenti coinvolgimenti dell’imputato in altri procedimenti penali con i
medesimi coimputati, né, tantomeno, indispensabile è il concorso in tutti i reatifine dell’associazione.
Sotto altro profilo, la Corte ha, esattamente, ribadito come, la corposa
attività investigativa abbia dimostrato con certezza la sussistenza di un
consolidato rapporto tra Fazzari e Francesco Strangio (classe 1946), e di
cointeressenze illecite tra lo stesso Fazzari e Bruno Pizzata, evidenziando come
gli imputati fossero in permanenza impegnati nel traffico di sostanze
stupefacenti; le conversazioni intercettate hanno, inoltre, consentito di acclarare
il ruolo costantemente svolto dal Fazzari nell’ambito dell’associazione,
consistente nel reperire fondi da destinare a diversi affari del gruppo, prova né è

62

essere valutata da questa Corte.

che nei dialoghi che lo interessano si fa sempre riferimento a “finanziarie” e
“finanziamenti”.
17.3. Quanto al terzo motivo, il ricorrente, pur deducendo un’asserita
inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale con riferimento al capo
Z), a ben vedere surrettiziamente propone una diversa lettura delle risultanze
probatorie ; non consentita in questa sede.
Peraltro, la motivazione addotta dalla Corte territoriale appare aderente alle
emergenze processuali e non manifestamente illogica. Invero, rispondendo alle

grado, che ha analiticamente riportato il corposo compendio probatorio a carico di
Pizzata, hanno ribadito come l’attività di intercettazione telefonica e ambientale corroborata da .servizi di osservazione e controllo, nonché riscontrata dalle
dichiarazioni degli imputati Carminati Denis, Carminati Claudio e Buttiglieri Marco
– abbia dimostrato, senza alcun dubbio, che il Pizzata ha partecipato, con ruolo
centrale e preminente, a tutte le fasi della condotta delittuosa: non solo alla fase
dell’ideazione del progetto di importazione della cocaina dalla Colombia, iniziata
in via Venezian il 18 ottobre 2010, e proseguita in occasione dei diversi incontri
e contatti tra i sodali, ma, altresì, alle successive fasi, che hanno condotto alla
concreta esecuzione del programma criminoso. Difatti, la condotta posta in
essere dagli imputati appare del tutto identica a una delle strategie di
importazione elaborate in occasione degli incontri, organizzati dallo stesso
Pizzata, avvenuti nell’appartamento di Via Venezian: sistemazione della droga su
containers destinati al trasporto di frutta, trasferimento dei containers su una
nave in partenza dal Porto di Santa Marta (in Colombia), arrivo della nave ad
Anversa, reperimento dello stupefacente, ad opera dei Fiorito e dei Carminati,
sdoganamento a Vienna con la collaborazione di persone del luogo. Si sottolinea
inoltre nella sentenza di appello che il Pizzata ha contribuito sicuramente alla
scelta dei complici, anche in virtù del concreto apporto che gli stessi erano in
grado di offrire nella realizzazione del disegno criminoso; si è adoperato nel
prendere i contatti con i finanziatori e, poi, con i fornitori, recandosi in Sud
America (dove cercava di fare ingresso a Santo Domingo), allo scopo di
organizzare la spedizione della sostanza stupefacente; si è poi recato in Germania
e in Belgio per seguire meglio, e coordinare, le fasi finali dell’importazione della
droga, tentando, insieme ai complici, la risoluzione dei problemi sorti con
riguardo al recupero e allo sdoganamento dello stupefacente.
La Corte territoriale ha, inoltre, osservato che il solido quadro probatorio a
carico dell’imputato non sarebbe comunque scalfito da eventuali incongruenze tra
gli esiti delle indagini e quanto dichiarato in sede di interrogatorio da Carminati

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doglianze difensive, i giudici di appello, nel solco tracciato dalla sentenza di primo

Denis e Buttiglieri Marco, che, comunque, non avrebbero avuto motivi per
accusare ingiustamente il Pizzata.
I giudici di appello hanno poi correttamente evidenziato che l’appartamento
di Via Oberhausen, in cui sono stati sequestrati gli appunti riguardanti la nave ed
i containers impiegati per il trasporto, è risultato essere stato preso in affitto da
Giuseppe-Pizzata, per cui può ritenersi che dello stesso avesse la disponibilità
Bruno Pizzata in occasione della sua permanenza in Germania, e che la
cocaina, giunta nel porto di Anversa, era abilmente occultata a bordo di un

trovato nell’appartamento del Pizzata).
Si tratta di una motivazione adeguata, immune da vizi logici, che, quindi,
non.è censurabile in questa sede.
17.4. Anche il quarto motivo, con cui si deducono violazione di legge e vizi
motivazionale relativamente al capo Y), è manifestamente infondato, in quanto è
diretto a una rilettura delle emergenze probatorie, correttamente valutate dalla
Corte territoriale con motivazione immune da vizi logici.
Invero, la Corte territoriale, in primo luogo, ha ribadito la certa attribuzione
dell’uso dell’utenza 3273393591 a Francesco Strangio (classe 1946), sulla base
non solo del riconoscimento della timbrica vocale dell’imputato da parte degli
organi di polizia, ma anche in virtù dei numerosi riferimenti a luoghi e persone
riconducibili allo Strangio, tra cui Caterina Pizzata, sorella di Bruno Pizzata e
moglie di Francesco Strangio (classe 1946), alla quale quest’ultimo chiede che
sia inviata la “cartella clinica” del “centro tumori”. Dalle conversazioni
telefoniche, puntualmente riportate nel provvedimento impugnato (p. 96-126),
emerge chiaramente il rapporto tra Pizzata Bruno e Morgante Vincenzo, detto
“l’autista”, che, proprio su indicazione e insistenza dello Strangio, Pizzata Bruno
contattava a Milano per essere accompagnato in occasione di incontri e
commissioni varie. Dal complesso delle indagini emerge, altresì, chiaramente
che i rapporti tra Strangio e Pizzata non si sono limitati a un periodo particolare,
né sono rimasti circoscritti al legame di natura personale, essendo chiaramente
emerso un intenso rapporto tra i due imputati, avente ad oggetto interessi illeciti
comuni ad entrambi.
Ciò premesso, la Corte territoriale ha rilevato che, in diverse conversazioni,
puntualmente riportate (n. 176 del 3 ottobre, 179 e 184 del 4 ottobre, 729 del 5
ottobre) Francesco Strangio (classe 1946) utilizza indifferentemente i termini
“cartella clinica”, “qualche cartella clinica”, “documento”, “coso”, “l’altra cartella”,
“certificati”, “i cosi” “il testo”, allo scopo di sollecitarne di volta in volta l’invio da
parte del Pizzata, invio che appare, in tutti i casi, connesso a una verifica prima
di concludere l’affare con Fazzari Vincenzo e “per altre occasioni”. Pertanto, deve

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container imbarcato sulla Star Prima (non a caso sul container indicato sul foglio

escludersi che con tali termini l’imputato abbia voluto riferirsi (o riferirsi in modo
esclusivo) alla cartella clinica di Caterina Pizzata, tenuto conto anche del
fatto che tale interpretazione non spiegherebbe perché, nella conversazione n.
176 del 3 ottobre 2010, l’imputato chiedeva al Pizzata di ritirare la cartella in
albergo e di consegnarla “a lui”. Come correttamente dienuto dai giudici dì
merito, l’oggetto delle conversazioni telefoniche in parola era, perciò, la sostanza
stupefacente, indicata di volta in volta con termini diversi, tipici del linguaggio
criptico normalmente utilizzato dagli imputati per nascondere i loro reali interessi

di cocaina trasportati da Vincenzo Morgante, diretto in Calabria a bordo
dell’autovettura Ford Focus targata BP336NH, costituissero un campione di
stupefacente destinato a Francesco Strangio (classe 1946), al fine di consentirgli
una verifica sulla qualità. In tal senso depone, in particolare, la conversazione n.
42 del 11 ottobre 2010, in occasione della quale Francesco Strangio (classe
1946), dopo avere riferito i numerosi tentatiti esperiti al fine di rintracciare
Morgante, chiede al Pizzata se il Morgante avesse “un’ambasciata” per lui,
ottenendo dal Pizzata risposta affermativa.
La Corte, infine, con motivazione non manifestamente illogica, ha
correttamente escluso la riconducibilità del fatto nel paradigma del comma 5
dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990: pur prescindendo dal quantitativo dello
stupefacente sequestrato (che rappresenta solo un campione, nemmeno
trascurabile dal punto di vista ponderale), la Corte ha, difatti, ritenuto ostative le
modalità della condotta, che evidenziano lo sforzo degli imputati nel reperimento
di mezzi e strumenti finalizzati all’acquisto della sostanza stupefacente e la
pervicacia nello svolgimento di una stabile attività di spaccio di droga.
17.5. Manifestamente infondato è il quinto motivo; anche in tal caso, difatti,
esso è volto a una rilettura del compendio probatorio, correttamente valutato dai
giudici di merito. Invero, con riferimento alle violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309
del 1990, contestate ai capi Al) e B1), il quadro accusatorio si fonda sul
contenuto di un’intercettazione ambientale relativa alla conversazione tra Filippo
Rechichi e Bruno Pizzata avvenuta in data 18 ottobre 2010 (riportate alle p.
259 e 260 della sentenza impugnata). Come accertato da entrambi i giudici di
merito, il chiaro tenore del dialogo non lascia dubbi in ordine al fondamento
delle due ipotesi accusatorie; invero, la Corte territoriale ha osservato che,
contrariamente a quanto obiettato, anche in questa sede, dalla difesa, le
affermazioni del Pizzata appaiono sufficientemente specifiche e, tenuto conto
del consolidato rapporto di fiducia tra costui e il Rechichi, può escludersi che
siano frutto di millanteria, così come è da escludersi, in relazione agli importi e ai
quantitativi indicati, la riconducibilità dei fatti nell’ipotesi di “lieve entità”.

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illeciti. Il contenuto delle conversazioni tra gli imputati dimostra che i 34 grammi

17.6. Pure inammissibile è il sesto motivo, stante la completezza e logicità
della motivazione.
I giudici di merito hanno fondato il giudizio di colpevolezza su una
conversazione del 30 ottobre 2010, tra lo stesso Pizzata e Francesco Strangio
(classe 1946), nel corso della quale il Parlata riferiva di avere ricevuto due
valigie da 25 chilogrammi di cocaina da una persona indicata con lo pseudonimo
“zio”. Anche in questo caso, contrariamente a quanto eccepito dalla difesa, la
Corte territoriale ha, correttamente, osservato che le affermazioni del Pizzata

stupefacente, essendo irrilevante, ai fini della sussistenza del reato,
l’individuazione della provenienza della sostanza, o dei fornitori, o, ancora delle
modalità di trasporto e del principio–attivo, atteso il considerevole quantitativo
indicato.
17.7. Manifestamente infondato è anche il settimo motivo, il quale, anche in
tal caso, reitera le medesime doglianze già rigettate dalla Corte territoriale con
motivazione adeguata e non manifestamente illogica.
La prova della violazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, contestata al
capo E1), si fonda sul contenuto della conversazione del 30 ottobre 2010 (prog.
2148); entrambi i giudici di merito hanno evidenziato che il Pizzata, parlando
con Francesco Strangio (classe 1946), Filippo Rechichi e Giuseppe Pizzata
Giuseppe, abbia candidamente ammesso di avere effettuato, nel corso
dell’anno precedente, ben nove viaggi al fine di trasportare sostanza
stupefacente. Anche in tal caso, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa,
la Corte territoriale, con apprezzamento di fatto, insindacabile in questa sede, ha
esattamente ritenuto che le affermazioni del Pizzata sono sufficientemente
circostanziate in ordine alla detenzione della sostanza stupefacente di cui al
capo di imputazione, a prescindere dalle circostanze di tempo e di luogo in cui
furono effettuati i trasporti.
17.8. Manifestamente infondato è anche l’ottavo motivo, in considerazione
della sua genericità, in quanto meramente ripropositivo delle medesime censure
già rigettate in entrambi i gradi di giudizio con motivazione immune da vizi logici.
Con riguardo al capo F1), in cui è contestato al Pizzata di aver illecitamente
portato in luogo pubblico e detenuto una pistola dalle caratteristiche
imprecisate, da ritenersi arma comune da sparo, entrambi i giudici di merito
hanno fondato la prova della penale responsabilità del ricorrente sul contenuto di
conversazione intercettata il 13 ottobre 2010, all’interno dell’appartamento di
Via Venezian a Milano, tra Filippo Rechichi e Bruno Pizzata (riportata alle p.
262-263 della sentenza impugnata). Anche in tal caso, la Corte territoriale, nel
far proprie le argomentazioni del g.u.p., ha evidenziato che nessuna censura

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sono sufficientemente circostanziate – in ordine alla detenzione della sostanza

specifica è stata mossa dalla difesa in ordine alla condotta di detenzione e porto
di una pistola; in ogni caso, la valutazione della prova attiene propriamente al
giudizio di merito, e non certo al giudizio di legittimità.
17.9. Il nono motivo è, parimenti, manifestamente infondato, stante la sua
genericità.

Con riguardo al fatto di rapina contestato al capo L1), anche in questo
caso la prova si fonda sul contenuto di una conversazione, intercettata il 31
ottobre 2010 nell’appartamento di Via Veneziana Milano, intercorsa tra Pizzata e

sentenza impugnata. Nel corso della conversazione il Pizzata raccontava, in
modo chiaro, di aver preso parte., unitamente ad altri ‘sei complici, ad una rapina,
nel corso della quale afa stata malmenata una persona, che aveva tentato di
reagire; la rapina, tuttavia, aveva fruttato pactii spiccioli. Anche in tal caso, la
conforme valutazione dei giudici di merito, peraltro nemmeno specificamente
censurata dal ricorrente, supera il vaglio di legittimità e, deve, pertanto, essere
confermata.
17.10. Manifestamente infondato è anche il decimo motivo.
Diversamente da quanto opinato dal ricorrente, la motivazione addotta dalla
Corte territoriale, relativamente al fatto di ricettazione contestato al capo M1),
non è affatto apparente. Invero, la Corte territoriale non solo ha puntualmente
indicato la fonte di prova relativa all’imputazione in esame, ossia la
conversazione tra presenti, registrata il 26 ottobre 2010, tra Bruno Pizzata,
Filippo Rechichi, Francesco Strangio (classe 1946) e Francesco Strangio (classe
1980), integralmente riportata alle p. 265-267 della sentenza impugnata, ma ha
adeguatamente motivato sul punto, evidenziando come fosse chiaro l’oggetto
della conversazione, in cui gli imputati affermano, con linguaggio piano, di avere
disponibilità di una autovettura, su cui è in corso una attività diretta a sostituire i
numeri (verosimilmente del telaio) e discutono dell’opportunità di effettuare tale
operazione mediante la sostituzione del pezzo, piuttosto che mediante
l’alterazione dei numeri. Con motivazione non manifestamente illogica, la Corte,
dalla conversazione in esame, ha desunto la consapevolezza, in capo a tutti gli
imputati della provenienza delittuosa dell’autovettura e della necessità di
effettuare l’attività di riciclaggio, ciò che integra gli elementi costitutivi della
fattispecie delittuosa contestata.
17.11. Quanto all’undicesimo motivo, con cui si contesta la sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 in relazione al
capo Z), si rinvia alle considerazioni precedentemente svolte al punto 6.1.
17.12. Quanto al dodicesimo motivo, si osserva che, diversamente da
quando opinato dal ricorrente, in relazione al capo Z) la Corte territoriale ha

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Francesco Strangio (classe 1946), puntualmente riportata a p. 264 della

ravvisato la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 4 I. n. 146 del 2006
(esclusa, invece, in relazione al delitto associativo di cui al capo A);
correttamente, pertanto, è stato operato il conseguente aumento di pena.

18. Il ricorso presentato nell’interesse di Filippo Rechichi è infondato e, di
conseguenza, va rigettato.
18.1. Il primo motivo è manifestamente infondato, avendo la Corte
territoriale adeguatamente motivato in ordine alla partecipazione del Rechichi al

giudici d’appello hanno evidenziato come, dagli atti di indagine, emerga
chiaramente il censplidato rapporto di fiducia esistente tra il Rechichi e il
Pizzata, che agiscono in costante- sinergia, tanto che, già nel mese di settembre
2010, i due occupavano stabilrrente l’appartamento di Via Venezian 14, nel
corso della loro permanenza a Milano, e il Rechichi veniva continuamente
osservato in compagnia del Pizzata. La successiva attività di intercettazione
ambientale svolta all’interno dell’appartamento condiviso con il Pizzata ha,
inoltre, consentito di accertare le cointeressenze illecite tra i due imputati e la
piena condivisione da parte del Rechichi del programma criminoso perseguito
dagli altri sodali. L’interesse del Rechichi ad intraprendere in modo stabile
attività di importazione di sostanza stupefacente emerge chiaramente sin dalle
prime intercettazioni del 13 ottobre 2010; Rechichi, inoltre,.è sempre presente in
occasione degli incontri con gli altri sodali, finalizzati ad elaborare la strategia più
conveniente per assicurare il trasporto della cocaina, intervenendo di tanto in
tanto, a dimostrazione del fatto di essere già a conoscenza delle dinamiche
proposte dal Pizzata e di condividerle. Il Rechichi appare, inoltre, dalle
conversazioni telefoniche che lo vedono protagonista, quale uomo di fiducia del
Pizzata, sempre pronto a fornirgli il supporto di cui ha bisogno; in tale ottica, in
più occasioni, il Rechichi contattava Bruzzaniti e Mollica per sollecitare il
pagamento del debito vantato dal Pizzata nei loro confronti. L’imputato appare,
dunque, quale partecipe dell’associazione, ancorché allo stesso sia stato
contestato un solo reato-fine.
Si tratta di una motivazione adeguata, aderente alle emergenze probatorie,
sicché deve essere confermata.
18.2. Quanto al secondo motivo, con cui si cesura, relativamente al capo Z),
la qualificazione del fatto alla stregua del reato consumato e la sussistenza
dell’aggravante dell’ingente quantità, si rinvia alle considerazioni espresse al
punto 6.1.
18.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

68

delitto associativo. Invero, aderendo alle conclusioni raggiunte dal g.u.p., i

In relazione alle censure mosse con riferimento al delitto di ricettazione di
cui al capo M1), stante l’identità del motivo, si rinvia alla trattazione che è stata
fatta con riguardo alla posizione di Bruno Pizzata.
Quanto, invece, alle doglianze svolte relativamente al delitto di ricettazione
contestato capo Ni), il ricorrente, nella sostanza, chiede una diversa valutazione
degli elementi di prova, non consentita in sede di legittimità. Invero, i giudici di
merito hanno desunto la prova della penale responsabilità del Rechichi dal
contenuto dalla conversazione registrata all’interno dell’appartamento di Via

Strangio (classe 1946) e Bruno Pizzata, puntualmente riportata alle p. 268-269
della- sentenza impugnata. Orbene, la Corte, con apprezzamento di fatto, non
sindacabile in questa sede, ha affermato che l’oggetto della conversazione è
chiaramente l’abilitè di tale “Mastro Saro” nell’alterare i numeri di riconoscimento
di veicoli; in proposito, Rechichi riferiva che, in passato, tale persona aveva
sostituito i numeri su un ciclomotore, che gli era stato sequestrato senza che le
forze dell’ordine fossero mai riuscite a notare l’attività di riciclaggio.
Appare insindacabile in questa sede, in quanto coerente nello sviluppo
logico, la conclusione della Corte di merito che, dal chiaro tenore di tali
affermazioni, ha desunto la consapevolezza in capo all’imputato della
provenienza illecita del veicolo. Va, infine, precisato che il fatto risulta accertato
il 27 ottobre 2010, sicché, in assenza di una diversa indicazione del

tempus

commissi delicti da parte del ricorrente, su cui grava l’onere probatorio di
addurre concreti elementi ove invochi la retrodatazione del fatto di reato, il
termine di prescrizione non risulta affatto decorso.
18.4. Manifestamente infondato è il quarto motivo, diretto a contestare il
calcolo della pena. Diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, si osserva
che la Corte territoriale, da un lato, ha indicato la pena base (pari a anni nove di
reclusione ed euro 35.000 di multa), su cui è stato operato l’aumento di pena
per il computo dell’aggravante ex art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990;
dall’altro, che, altrettanto correttamente, è stato applicato l’aumento di pena per
l’aggravante di cui all’art. 4 I n. 146 del 2006, ritenuta per il delitto di cui al capo
Z), esclusa solo in relazione al delitto associativo di cui al capo A).

19. Il ricorso presentato dall’avv. Giuseppe Nardo nell’interesse di Francesco
Strangio (classe 1946) è infondato e si pone al limite dell’inammissibilità.
19.1. E’ manifestamente infondato il primo motivo.
Nell’aderire alle conclusioni raggiunte dal g.u.p., la Corte territoriale ha
adeguatamente confutato la tesi difensiva, secondo cui lo Strangio non ha avuto
rapporti di frequentazione con diversi degli imputati del presente processo,

69

Venezian a Milana, in data 27 ottobre 2010, tra Rechichi, Francesco

compreso Pizzata, con il quale era in contatto solamente durante il periodo di
ricovero della moglie, Caterina Pizzata, sorella del Pizzata, presso il Centro
Tumori di Via Oriani, a Milano. La Corte reggina ha osservato come tale assunto
sia smentito dall’attività di intercettazione svolta, che ha riguardato l’intero
periodo in contestazione, consentendo di appurare l’esistenza di consolidati
rapporti, oltre che di cointeressenze illecite, con Bruno Pizzata, Vincenzo Fazzari,
Giuseppe Pizzata e Francesco Strangio (classe 1980), oltre che frequenti e
significativi contatti con Filippo Rechichi e Vincenzo Morgante.

sodalizio, dallo Strangio, che, dal luogo di residenza, organizza incontri tra gli
altri sodali e ne coordina l’attività e, come correttamente osservato dal primo
giudice, assicura al Pizzata i mezzi di sostentamento a Milano, rimprovera gli altri
partecipi, ha una chiara e forte voce nelle decisioni che vengono prese all’interno
dell’abitazione di via Venezian.
La motivazione è giuridicamente corretta e non manifestamente illogica, di
talché supera il vaglio di legittimità.
19.2. Pure manifestamente infondato è il secondo motivo.
Diversamente da quanto opinato dal ricorrente, la Corte territoriale,
aderendo alle conclusioni affermate dal g.u.p., ha puntualmente motivato in
ordine alla partecipazione del ricorrente in relazione alla realizzazione del reato
di cui al capo Z). Nell’ampia .trattazione riservata alla ricostruzione del fatto di
reato in esame (p. 128-259), la Corte ha ribadito, in uno con la sentenza di
primo grado, che l’ideazione del progetto criminoso, iniziata in Via Venezian in
data 8 ottobre 2010, è proseguita poi in occasione dei diversi incontri e contatti
tra i sodali, nel periodo tra fine ottobre e fine novembre 2010, poi
concretizzandosi nell’esecuzione del programma criminoso.
Significativa, al proposito, è la conversazione registrata il 21 ottobre 2010,
ore 15.38 ss., all’interno dell’appartamento di via Venezian, presenti Bruno
Pizzata, Salvatore e Cosimo Fiorito e Carmelo Ielo, riportata alle p. 152-156 della
sentenza impugnata: dopo essersi a lungo confrontati circa le modalità
d’importazione via aerea, i presenti iniziavano a discutere circa la possibilità di
effettuare anche l’importazione mediante l’utilizzo di

container, argomento

che veniva introdotto dallo Ielo. Fiorito spiegava come sarebbe potuto avvenire
materialmente il trasporto dello stupefacente dal porto di arrivo della nave, sino
alla destinazione finale, attraverso Vienna, dove era previsto lo sdoganamento.
Fiorito, sicuro della collaborazione dei suoi contatti austriaci, forniva delle
garanzie ai calabresi, precisando di essere in grado di introdursi nell’area
doganale, dove poter controllare che all’interno del

container

ci fosse la

sostanza in arrivo dal Sud America e quindi assumersi, da quel momento in

70

Viene evidenziato, inoltre, il ruolo di rilievo ricoperto, nell’ambito del

poi, la responsabilità per le fasi successive. Nella conversazione Pizzata
individuava la città di Anversa quale porto di destinazione in Europa dello
stupefacente da importare.
Orbene, è assai significativo per i giudici di merito che, sin dal mese di
ottobre 2010, — -si siano precisa mente delineate le modalità di
importazione ciello stilipefacente (partenza, ‘ per . nive, dal porto colombiano
di Santa Marta, con destinazione Anversa), che corrispondono
esatta m ente a quanto poi è effettivamente avvenuto nel mese di

questa conversazione, il Pizzata, alle ore 17.37, telefonò al cognato,
Francesco Strangio (classe 1946) per metterlo al corrente circa l’esito
positivo dell’incontro. La sentenza impugnata sottolinea inoltre che la
partecipazione dello Strangio è assidua a tutte le riunioni in cui si discute di
finanziamenti dell’affare, a partire del 26 ottobre 2010, data del suo arrivo a
Milano, unitamente a Francesco Strangio (classe 1 9 80) e a Giuseppe
Pizzata, come riportate nella sentenza da p. 162 ss.; tra le molte, va segnalata
quella del 28 ottobre 2010, in cui il Pizzata faceva presente di avere avuto
contatti diretti con i fornitori colombiani, i quali erano pronti ad iniziare la
spedizione dello stupefacente da importare. Ancora, il 16 novembre 2010,
Strangio Francesco (classe 1946) partiva dalla Calabria in direzione Roma
Fiumicino, per poi prendere l’aereo con destinazione Amsterdam, unitamente a
Giuseppe Pizzata, come emerge dalla lista di imbarco dei passeggeri relativi
al volo KL 1598-AZ 7712 del 16 novembre 2010. Significativa è la
circostanza che, alle ore 14.00 circa, F r a n cesc o Strangio (classe 1946)
e Gi useppe Pizzata, da Amsterdam, contattavano Filippo Rechichi per
farlo incontrare al McDonald’s nei pressi della stazione di Milano con
Sebastiano Pizzata, che doveva consegnargli dei soldi. Ancora, alle ore 20.19
del 28 novembre 2010 Salvatore Commisso chiamava il fratello Antonio, per
ragguagliarlo circa l’incontro avuto con Francesco Strangio, che aveva chiesto
dei soldi; Antonio chiedeva se Strangio avesse fornito garanzie. Alle successive
ore 20.22, i fratelli Commisso tornavano a sentirsi e Antonio diceva che tre
dei partecipanti avevano già versato la somma necessaria all’affare, mentre i
rimanenti soldi sarebbero stati versati a risultati ottenuti e quindi invitava
Salvatore a non dare i soldi a Strangio. Infine, viene ritenuta di notevole
pregnanza la telefonata delle ore 11.21 del 29 novembre 2010, in cui
Francesco Strangio (classe 1946) chiamava Antonio Commisso avvertendolo
di “avere pronto il mutuo da far firmare” al fratello Salvatore. Antonio
rispondeva che il resto del denaro sarebbe stato versato solo a risultati
ottenuti, e Strangio, per rassicurarlo, specificava che il responsabile

71

gennaio 2011. Assai significativa è ritenuta, inoltre, la circostanza che, dopo

dell’investimento era lui stesso. Sempre quello stesso giorno, Francesco
Strangio (classe 1946), alle ore 21.26 (prog. n. 403), chiamava
nuovamente Antonio Commisso sull’utenza 3288156376, chiedendogli di
rimanere su (a Milano) in attesa dell’arrivo della partita di cocaina. Commisso
rassicurava Strangio sulla sua disponibilità ad attendere il carico di
stupefac-énté, sottolineando di aver fatto riferimento alle festività soltanto per
sollecitare Pizzata Bruno alla definizione della consegna. Di rilievo sono, poi, in
messaggi intercorsi tra Dennis Carminati, Ielo e Pizzata da cui emerge la

caricato lo stupefacente destinato al gruppo.
– Si può dunque affermare che, al 30 novembre 2010, l’affare era stato
ritenuto motivatamente concluso. Ne segue, per replicare alle deduzioni del
ricorrente, che è del tutto irrilevante la circostanza che il 2 dicembre lo
Strangio sia stato arrestato, in quanto, ormai, l’acquisto dello stupefacente si
era già perfezionato, anche con il contributo dello Strangio medesimo nella
veste di co-finanziatore dell’affare, come esattamente ritenuto in entrambi i
gradi di giudizio, con motivazione congrua e pienamente aderente alle
risultanze probatorie.
19.3. Quanto al terzo motivo, con cui si censura la sentenza impugnata nella
parte in cui ha riconosciuto, in relazione al capo Z), l’aggravante dell’ingente
quantità, si fa rinvio alle considerazioni espresse al punto 6.1.
19.4. In relazione al quarto motivo, con cui vi censurano plurimi vizi
relativamente al capo Y), il motivo è comune alla difesa Pizzata; si fa rinvio,
pertanto, alla relativa trattazione.
19.5. Con riguardo al quinto motivo, con cui si deduce violazione di legge e
vizio di motivazione relativamente al fatto di ricettazione contestato al capo M1),
si rinvia, stante l’identità delle censure, alla trattazione svolta relativamente
all’identico motivo dedotto dal coimputato Pizzata.
19.6. Il sesto motivo è infondato.
Invero, diversamente da quanto ritenuto del ricorrente, la Corte reggina ha
ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 4 I. n. 146 del
2006, con motivazione logica e giuridicamente corretta.
Va precisato che, il gruppo criminale organizzato, cui fanno riferimento gli
artt. 3 e 4 della I. n. 146 del 2006, è configurabile, secondo le indicazioni
contenute nell’art. 2, punti a) e c) della Convenzione delle Nazioni unite contro il
crimine organizzato del 15 novembre 2000 (cosiddetta convenzione di Palermo),
in presenza dei seguenti elementi: a) stabilità di rapporti fra gli adepti; b)
minimo di organizzazione senza formale definizione di ruoli; c) non occasionalità
o estemporaneità della stessa; d) costituzione in vista anche di un solo reato e

72

tempistica del viaggio che doveva affrontare la nave, sulla quale era stato

per il conseguimento di un vantaggio finanziario o di altro vantaggio materiale
(Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013 – dep. 23/04/2013, Adami e altro, Rv.
255034).
Nel solco tracciato dalle Sezioni Unite, si è ulteriormente chiarito che, ai fini
della configurabilità dell’aggravante della transnazionalità, prevista dall’art. 4
della legge n. 146 del 2006, è necessario che alla consumazione del reato
transnazionale contribuisca consapevolmente un gruppo criminale organizzato,
che sussiste in presenza della stabilità dei rapporti fra gli adepti, di una

stessa, e della finalizzazione alla realizzazione anche di un solo reato e al
conseguimento-di un vantaggio finanziario o comunque materiale (Sez. 3, n.
23896 del 19/04/2016 – dep. 09/06/2016, Gonzales, Rv. 267440: fattispecie in
tema di traffico internazionale di stupefacenti in è stata riconosciuta l’aggravante
nel fatto che il trasporto aereo della droga dal Sudamerica era stabilmente
pianificato dallo stesso gruppo di soggetti in contatto costante con l’imputato, i
quali avevano il compito di farla transitare, prima dell’arrivo in Italia, presso
Paesi terzi al fine di vanificare le attività investigative; in senso conforme Sez. 5,
n. 500 del 06/11/2014 – dep. 08/01/2015, Zappaterra, Rv. 262217).
Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale si è attenuta agli indicati
principi, osservando che il reato contestato al capo Z) configura un reato fine
dell’associazione di cui al capo A), essendo stato posto in essere anche da
persone facenti parte del sodalizio criminoso, con il che ricorre il presupposto
dell’apporto prestato da un gruppo criminale organizzato, caratterizzato dalla
stabilità dei rapporti fra gli adepti e da un’organizzazione seppur minimale.
19.7. Manifestamente infondato è il settimo motivo, con cui si censura il
diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Rinviando alle considerazioni generali, sopra espresse, valevoli per tutti gli
imputati che hanno dedotto il motivo in esame, va, in ogni caso, evidenziato che
la Corte territoriale, condividendo la motivazione del g.u.p., ha negato
l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, facendo leva sia sul ruolo
apicale, ricoperto dallo Strangio, in senso al sodalizio, nella veste di garante per
il successo degli affari trattati, sia sull’intensità del dolo, con ciò dando rilievo
agli elementi indicati dell’art. 133 cod. pen. ritenuti ostativi all’applicazione delle
attenuanti ex art. 62 bis cod. pen., unitamente al mancato rinvenimento, nella
condotta dell’imputato, di elementi atipici da elevare a presupposto di fatto delle
circostanze attenuanti in esame. Si tratta di un apprezzamento fattuale che,
essendo logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità.

73

organizzazione seppur minimale, della non occasionalità o estemporaneità della

20. Il ricorso presentato dall’avv. Luca Cianferoni nell’interesse di Francesco
Strangio (classe 1946) è fondato, limitatamente a un profilo dedotto con il terzo
motivo.
20.1. Il primo motivo, con cui si censura sia la qualificazione del fatto di cui
al capo Z) come ipotesi consumata, sia vizio motivazionale relativamente alla
penale responsabilità dello Strangio, ribadito con il primo dei motivi aggiunti, è
manifestamente infondato; valgano, al proposito, le argomentazioni dinanzi
sviluppate.
Basti qui richiamare il fatto che, diversamente da quanto opinato dal

risultanze ‘processuali, l’acquisto dello stupefacente si era perfezionato prima
dell’arresto dello Strangio, avvenuto in data 2 dicembre 2010. Inoltre, come pure
si è già evidenziato, la posizione dello Strangio non è comparabile a quella del
Molè, il quale, dopo un interessamento iniziale, si ritirò del finanziamento
dell’affare.
20.2. Il secondo motivo, con cui si deduce violazione di legge e vizio
motivazionale relativamente al capo Y), è già stato esaminato, essendo comune
a quello dedotto dal codifensore avv. Nardo e dal coimputato Pizzata, alla cui
trattazione, pertanto, si rinvia.
20.3. Il terzo motivo è, come detto, parzialmente fondato.
Quanto ai profili concernenti violazioni di legge e vizi motivazionali
relativamente al capo M1), si fa rinvio alle considerazioni già svolte, essendo il
motivo stato dedotto sia dal codifensore, sia dal coimputato Pizzata.
Per contro, è fondato il motivo, nella parte in cui si deduce l’omessa
motivazione circa l’eventuale applicazione della disciplina della continuazione,
motivo che era stato devoluto tra i motivi d’appello, ma che non è stato
esaminato dalla Corte territoriale; in applicazione dei principi dinanzi indicati
relativamente alla posizione dei fratelli Carminati, la sentenza impugnata deve
perciò essere annullata nei confronti di Francesco Strangio (classe 1946),
limitatamente alla valutazione del vincolo della continuazione con riguardo al
delitto di cui al capo M1) con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di
Reggio Calabria.
20.4. Quanto al quarto motivo, ulteriormente precisato con il secondo dei
motivi aggiunti, si rinvia alle considerazioni sopra espresse relativamente al
capo A).
20.5. Manifestamente infondato è il quinto motivo, reiterato con il terzo dei
motivi aggiunti, con il quale si deduce violazione dell’art. 603 cod. proc. pen. e
dell’art. 6 CEDU relativamente alla ritenuta sussistenza, nel giudizio d’appello, a

74

ricorrente, con apprezzamento di fatto congruamente motivato e aderente alle

seguito di impugnazione del pubblico ministero, dell’aggravante di cui all’art. 80,
comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, con riguardo al capo Z).
20.5.1. Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, il
principio secondo cui la previsione contenuta nell’art. 6, par. 3, lett. d) della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i
testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a
discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU – che
costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne – implica che
il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso
la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all’esito del giudizio
abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative,
non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale
dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 603,
comma 3, cod. proc. pen., a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso
l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute
decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado (Sez. U, n. 27620 del
28/04/2016 – dep. 06/07/2016, Dasgupta, Rv. 267487).
20.5.2. Il Supremo Collegio ha precisato che costituiscono prove decisive al
fine della valutazione della necessità di procedere alla rinnovazione della
istruzione dibattimentale delle prove dichiarative nel caso di riforma in appello
del giudizio assolutorio di primo grado fondata su una diversa concludenza delle
dichiarazioni rese, quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno
determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l’assoluzione e che, pur
in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso
materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull’esito del
giudizio, nonché quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo
valore, siano, invece, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti – da sole o
insieme ad altri elementi di prova – ai fini dell’esito della condanna (Sez. U, n.
27620 del 28/04/2016 – dep. 06/07/2016, Dasgupta, Rv. 267491).
20.5.3. Si è, inoltre, affermato che è affetta da vizio di motivazione ex art.
606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per mancato rispetto del canone di
giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, di cui all’art. 533, comma 1, cod.
proc. pen., la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero,
affermi la responsabilità dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria,
operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle
quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell’art. 603, comma 3, cod.
proc. pen.; ne deriva che, al di fuori dei casi di inammissibilità del ricorso,
qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la

75

mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con
riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza fare
specifico riferimento al principio contenuto nell’art. 6, par. 3, lett. d), della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza
impugnata (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016 – dep. 06/07/2016, Dasgupta, Rv.
267492; in senso conforme Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017 – dep. 14/04/2017,
Patalano, Rv. 269787).

rinnovazione della istruzione dibattimentale non rilevi di per sé, ma solo in
quanto la sentenza di appello abbia operato

ex actis un ribaltamento della

decisione assolutoria di primo grado sulla base di una diversa lettura delle prove
dichiarative». Per valutare se, in tale evenienza, «la sentenza di ,appello sia
viziata occorre dunque apprezzarne il contenuto, dal quale dovrà desumersi: a)
se sia stata espressa nella motivazione della sentenza una valutazione

contra

reum delle fonti dichiarative; b) se tale diversa valutazione sia in contrasto con
quella resa dal giudice di primo grado; c) se essa sia stata decisiva, nel senso
sopra precisato, ai fini dell’affermazione della responsabilità; d) se essa sia stata
assunta senza procedere a una rinnovazione dell’esame delle fonti dichiarative».
20.5.6. Nel caso in esame, non si versa affatto nel caso analizzato nella
sentenza “Dasgupta”. Anche a voler ritenere i principi in essa affermati
applicabili al caso in cui il giudice di appello, in riforma della sentenza di primo
grado, affermi la sussistenza di una circostanza aggravante, in ogni caso il
presupposto per la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale è da individuarsi,
conformemente alla ratio sottesa al rispetto del principio sancito dall’art. 6, par.
3, lett. d) CEDU, in una diversa valutazione di prove dichiarative.
E non è certo questo il caso, in quanto la sussistenza dell’aggravante deriva
non da un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa
ritenuta decisiva, ma da una differente interpretazione della fattispecie concreta,
fondata su una complessiva valutazione dell’intero compendio probatorio (Sez. 5,
n. 42746 del 09/05/2017 – dep. 19/09/2017, Fazzini, Rv. 271012), sulla base di
una massima d’esperienza, applicata alla vicenda concreta, che il g.u.p. aveva
omesso di considerare. Di conseguenza, non avendo la sentenza di appello
censurato un’erronea valutazione di prove dichiarative, diversamente valutate
dalla Corte territoriale, non occorreva dar corso alla rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen.
20.6. Manifestamente infondato è il sesto motivo.
Invero, la Corte territoriale, come si è più volte sottolineato, ha ravvisato gli
estremi dell’aggravante di cui all’art. 4 I. n. 146 del 2006 relativamente al solo

76

20.5.4. In motivazione, le Sezioni Unite hanno chiarito «come la• mancata

capo Z), sicché essa è stata correttamente conteggiata in sede di
commisurazione della pena complessivamente inflitta. Quanto, poi, alla
sussistenza dei presupposti dell’aggravante in esame, si rinvia alla trattazione
dinanzi svolta.
20.7. Per le considerazioni sopra articolate, relativamente all’identico motivo
dedotto con il ricorso presentato da codifensore, manifestamente infondato è il
settimo motivo, con il quale si censura il diniego delle circostanze attenuanti
generiche.

Strangio (classe 1980) è infondato e, di conseguenza, va rigettato.
21.1. Quanto al primo– motivo, con il quale si reitera l’eccezione di
incompetenza territoriale, si rinvia alle considerazióni sopra espresse.
21.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo, con cui si eccepisce
violazione di legge e vizio motivazionale in relazione al capo Z).
Diversamente da quanto opinato dal ricorrente, la Corte territoriale ha
ampiamente motivato, in maniera adeguata e non manifestamente illogica,
relativamente al contributo causale dello Strangio nella realizzazione del delitto di
cui al capo Z), concretizzatosi, come già ritenuto dal g.u.p., nell’attività di
recupero crediti, finalizzata al reperimento del denaro necessario a finanziare
l’attività di importazione dello stupefacente dalla Colombia, come ampiamente
corroborata dall’attività di intercettazione, ambientale e telefonica, puntualmente
indicata nel provvedimento impugnato, e in relazione alla quale il ricorrente
omette un effettivo confronto critico.
La Corte, al proposito, ha correttamente richiamato la conversazione del 26
ottobre 2010, nel corso della quale Strangio Francesco (classe 1980) riferiva di
essere disposto a “raccogliere” il denaro utile allo scopo di finanziare le spese
necessarie ad organizzare il viaggio in Colombia, recandosi a Torino e a Napoli,
dove avrebbe potuto recuperare, nell’arco di una settimana, 2.000 euro circa e
successivamente altri 3.000 euro, in modo tale che, chi avesse dovuto recarsi in
Sud America, avrebbe potuto partire immediatamente e poi, una volta reperito
altro denaro, gli sarebbe stato inviato. Strangio si dichiarava disponibile anche a
recarsi presso i debitori di Pizzata per richiedere, anche usando le maniere “forti”,
la restituzione del denaro; effettivamente, in data 28 ottobre 2010, veniva
predisposto servizio di o.c.p. che verificava, alle ore 09.40 circa, la presenza dello
Strangio presso la Stazione Centrale di Milano, sul binario del treno Freccia Rossa
in partenza per Napoli alle ore 10.15.
In ogni caso, la Corte territoriale ha evidenziato come lo Strangio abbia
partecipato attivamente alle conversazioni dei correi, proponendo ed elaborando

77

21. Il ricorso presentato dall’avv. Giovanni Aricò nell’interesse di Francesco

strategie per far giungere lo stupefacente in Italia con il minor rischio possibile,
affermando di avere contatti all’estero e dimostrando di avere dimestichezza con
le dinamiche relative all’importazione di sostanze stupefacenti. Al proposito, la
Corte territoriale ha indicato l’intercettazione ambientale del 27 ottobre 2010, alle
ore 22.43 circa, allorché Bruno Pizzata, Francesco Strangio (classe 1946) e
Francesco Strangio (classe 1980) continuavano. a parlare di argomenti attinenti il
traffico di cocaina e quest’ultimo faceva intendere di avere un contatto per
importare stupefacente occultato all’interno di containers, trasportati su navi in
arrivo nel porto di Gioia Tauro, spiegando-che tale persona aveva la possibilità di

merce in arrivo. Di-qui la conclusione-, affermata dalla Corte, che lo Strangio ha
partecipato, a pieno titolo, alla fase organizzativa e decisionale relativa al
trasporto e allo sdoganamento della merce, oltre che all’attività di finanziamento.
Si tratta di una motivazione non manifestamente illogica, aderente alle
risultanze processuali che, dunque, non può essere sindacata in questa sede.
21.3. In relazione al terzo motivo, con cui si contesta la sussistenza della
circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, si
rinvia alle considerazioni già precedentemente svolte. Quanto all’ascrivibilità
soggettiva della predetta aggravante allo Strangio, sulla base del ruolo da costui
svolto, come sopra delineato, nella fase ideativa e organizzativa
dell’importazione, è del tutto evidente la sua piena colpevolezza che il
quantitativo di stupefacente, importato direttamente dalla Colombia tramite
container, fosse ingente.
21.4. Il quarto motivo è infondato.
Invero, in entrambi i gradi del giudizio di merito, è stato ritenuto il pieno
inserimento dell’imputato nel sodalizio criminoso. La Corte territoriale ha
logicamente indicato come emblematiche, in tal senso, le conversazioni
intercettate nell’appartamento di Via Venezian, in data 26 e 27 ottobre 2010, nel
corso delle quali, non solo lo Strangio viene messo al corrente dai sodali in
merito ai programmi e alle dinamiche elaborate dal gruppo, ma suggerisce in
prima persona soluzioni e strategie che ritiene utili al raggiungimento degli scopi
dell’associazione, mettendo a disposizione del gruppo le proprie risorse ai fini del
reperimento di risorse finanziarie (mediante l’attività di riscossione dei crediti) e
contatti necessari per la realizzazione delle attività programmate in materia di
stupefacenti.
La motivazione appare dunque adeguata e non manifestamente illogica,
sicché non è censurabile in questa sede.
21.5. Manifestamente infondato è il quinto motivo, con cui si censura il
diniego delle circostanze attenuanti generiche. Al proposito, oltre a rinviare alle

78

“avvicinare” personale dell’Agenzia delle Dogane, addetti allo sdoganamento della

considerazioni già espresse al proposito, va evidenziato che il g.u.p. ha
compiuto, per ciascun imputato, una valutazione individualizzante in ordine al
trattamento sanzionatorio, negando, quanto allo Strangio, l’applicazione delle
attenuanti ex art. 62 bis cod. pen. sia in considerazione del ruolo svolto
dall’imputato in s’eno‘all’àssociazione, indicativo di una chiara adesione alla vita
.criminale, e dell’intensità del dolo,- sia al mancato rinvenimento nella condotta,
anche processuale, del predetto di concreti elementi atipici da elevare a
presupposto di fatto delle circostanze attenuanti in esame.
Si tratta di una motiVazione giuridicamente corretta e congruamente

22. Parimenti infondato è il ricorso presentato dall’avv. Antonio Mazzone
nell’interesse dr Francesco Strangio (classe 1980).
22.1. Quanto al primo e al secondo motivo, con cui si contesta, la
partecipazione dello Strangio sia al delitto associativo di cui capo A), sia al delitto
di cui al capo Z), si rinvia alle considerazioni sopra sviluppate in relazione agli
identici motivi dedotti dal codifensore.
22.2. Manifestamente infondato, perché generico, è il terzo motivo. Non
possono che richiamarsi le considerazioni già espresse in relazione alla
partecipazione dello Strangio alla commissione dei delitti di cui ai capi A), Z) e
M1), quest’ultimo trattato con riferimento al coimputato Pizzata.

23. Essendo i ricorsi proposti da Giovanni Brancatisano, Domenico Curinga,
Geremia Maviglia, Maurizio Maviglia e Mario Francesco Mollica inammissibili e, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del
13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del
procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella
misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M

.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Sandro
Bruzzaniti limitatamente al trattamento sanzionatorio in relazione ai capi V) e W)
ed elimina, per entrambi, la pena di anni uno di reclusione ed euro 2.000 di
multa, e, per l’effetto, ridetermina la pena finale in complessivi anni sette mesi
sei di reclusione ed euro 25.334 di multa; rigetta nel resto il ricorso.

79

motivata, che, quindi, supera il vaglio di legittimità.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Claudio Carnninati
• limitatamente alla valutazione del vincolo della continuazione con i fatti giudicati
con sentenza resa dal g.u.p. del tribunale di Milano in data 2 luglio 2013 e rinvia
ad altra sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria; rigetta nel resto il
ricorso:
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Denis Carminati
limitatamente alla valutazione del vincolo della continuazione con i fatti giudicati
con sentenza resa dal g.u.p. del tribunale di Milano in data 17 ottobre 2013 e

ricorso.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Carlo Ferrara
limitatamente alla rideterminazione della pena per i capi W) e X) con rinvio ad
altra sezione-della Corte d’appello di Reggio Calabria; rigetta nel resto il ricorso.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Cosimo Fiorito, Salvatore
Fiorito e Carmelo Ielo limitatamente all’aumento di pena per l’aggravante di cui
all’art. 4 I. n. 146 del 2006 con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di
Reggio Calabria; rigetta nel resto i ricorsi.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Francesco Strangio, nato il
11/09/1946, limitatamente alla valutazione del vincolo della continuazione con
riguardo al delitto di cui al capo M1) con rinvio ad altra sezione della Corte
d’appello di Reggio Calabria; rigetta nel resto i ricorsi.
Rigetta i ricorsi proposti da Olinto Bettini, Marco Buttiglieri, Antonio
Commisso, Vincenzo Fazzari, Bruno Pizzata, Filippo Rechichi e Francesco
Strangio, nato il 10/07/1980, che condanna al pagamento delle spese
processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi proposti da Giovanni Brancatisano, Domenico
Curinga, Geremia Maviglia, Maurizio Maviglia e Mario Francesco Mollica, che
condanna al pagamento delle spese processuali ed, inoltre, della somma di Euro
2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 15/01/2018.

rinvia ad altra s-ezione della Corte d’appello di Reggio Calabria; rigetta nel resto il

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