Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19649 del 24/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19649 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
REALI MAURIZIO nato il 05/04/1961, avverso la sentenza del
21/02/2013 della Corte di Appello di Roma;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Fulvio Baldi che ha
concluso per l’inammissibilità;
udito il difensore della parte civile avv.to Giovanni Malara che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso
FATTO e DIRITTO
1. Con sentenza del 21/02/2013, la Corte di Appello di Roma
confermava la sentenza pronunciata in data 11/05/2009 dal Tribunale di
Velletri nella parte in cui aveva ritenuto REALI Maurizio colpevole del
reato di truffa ai danni dell’INPS perché, avendo omesso di comunicare
al suddetto istituto il decesso di Reali Franco, continuò a riscuoterne la
pensione per i mesi successivi all’agosto 2005.

Data Udienza: 24/04/2014

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, in proprio, con due
separati atti, ed il difensore, hanno proposto ricorso per cassazione
deducendo:
2.1. la VIOLAZIONE DELL’ART. 54 COD. PEN. per non avere la Corte
ritenuto la sussistenza dello stato di necessità;

indicato quali fossero le prove a carico di esso ricorrente;
2.3. VIOLAZIONE DELL’ART. 133 COD. PEN. per avere inflitto una pena
eccessiva.

3. Il ricorso, nei termini in cui le doglianze sono state dedotte, è
manifestamente infondato.
3.1. Quanto alla pretesa violazione dell’art. 54 cod. pen., la Corte
ha disatteso la medesima censura sia in diritto che in fatto rilevando che
nulla era stato, comunque, provato. Sul punto il ricorrente, in questa
sede, si è limitato a reiterare, in modo tralaticio e, quindi, inammissibile,
la medesima doglianza. Non può, infatti, ritenersi integrante gli estremi
della invocata causa di non punibilità la circostanza che il ricorrente
aveva dichiarato di essersi preso cura dello zio fino alla morte e che,
quindi, per tale ragione, non aveva avuto la possibilità di trovare un
lavoro.
3.2. Quanto alla pretesa violazione dell’art. 483, 61 n° 2 cod. pen.,
va osservato quanto segue.
Nel capo d’imputazione, è contestato al ricorrente di avere, al fine
di commettere il reato di truffa, falsamente attestato presso l’ufficio
postale, l’esistenza in vita dello zio Reali Franco nelle varie occasioni in
cui si era recato a riscuotere la pensione.
Il giudice di primo grado aveva ritenuto fondata l’ipotesi
accusatoria.
Nel proporre appello, l’imputato, secondo quanto è scritto nella
sentenza impugnata, si era limitato ad obiettare che egli «non ha avuto
bisogno di munirsi di una falsa procura per procedere al ritiro della
pensione».

2

2.2. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 483, 61 N° 2 COD. PEN. per non avere

A tale doglianza, la Corte replicò che il reato di falso

«non è

contestato in relazione a “una falsa procura”».
In questa sede, il ricorrente sostiene che la Corte «avrebbe dovuto
svolgere argomentazioni di altro tenore» e cioè in pratica, allargare
d’ufficio, il

thema decidendum

alla sussistenza in ordine alla

Al che deve replicarsi che la Corte, a fronte di un preciso motivo di
appello con il quale si contestavano le modalità esecutive del reato,
correttamente si limitò a confutarlo, non comprendendosi per quale
motivo avrebbe dovuto mettere in discussione la ricostruzione dei fatti
così come effettuata dal primo giudice, senza che, sul punto, vi fosse
stata alcuna specifica doglianza.
3.3. Incensurabile, infine, è la motivazione con la quale la Corte ha
rideterminato la pena, dovendosi ritenere, in relazione ai precedenti
penali, correttamente esercitato il potere discrezionale attribuito dalla
legge al giudice.

4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a
norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa
declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che,
ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in € 1.000,00.
Infine, va rammentato che, essendo stati tutti i motivi del ricorso
dichiarati inammissibili, trova applicazione il principio di diritto secondo
il quale

«l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla

manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido
rapporto d’impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e
dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.»: ex
plurimis SSUU 22/11/2000, De Luca, Riv 217266 – Cass. 4/10/2007,
Impero
P.Q.M.

3

responsabilità.

DICHIARA
inammissibile il ricorso e
CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione in

che si liquidano in C 3.510,00 oltre spese forfettarie nella misura del 1570
rara Iva e Cpa
Roma 24/04/2014
IL PRESIDENTE
( tt. Franco Fiandanese)

favore della parte civile INPS delle spese del presente grado di giudizio

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