Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19645 del 24/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19645 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
FERRARI Antonio, n. il 30.5.1946;
quale parte offesa nel procedimento nei confronti di:
1) PALLI Sergio, n. il 14.9.1940;
2) VERTERAMO Vincenzo, n. il 30.3.1948;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova del 8.4.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Fulvio Baldi, che
ha concluso per l’annullamento con rinvio;
Udito, per la parte civile, l’Avv. Monica Nassisi, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22.10.2012, il Tribunale di Genova dichiarò Palli
Sergio e Verteramo Vincenzo responsabili del delitto di ricettazione di
numerosi smeraldi provenienti dal furto patito da Ferrari Antonio e,

Data Udienza: 24/04/2014

concesse le attenuanti generiche, li condannò alla pena di giustizia,
disponendo la restituzione delle pietre preziose in sequestro all’avente
diritto.
Avverso tale pronunzia gli imputati proposero gravame e la Corte di
Appello di Genova, con sentenza dell’8.4.2013, riformando la pronuncia di
primo grado, assolvette gli stessi perché il fatto non sussiste.

mezzo del suo difensore – che, ai soli effetti civili, deduce:
1) la violazione degli artt. 192 e 546 cod. proc. pen., nonché la
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata con riferimento alla mancata valutazione del
contenuto della consulenza della parte civile a firma del gemmologo
Dimitri Frascio; deduce, in particolare, che la Corte territoriale non
avrebbe considerato le conclusioni del consulente, secondo cui le pietre
sequestrate agli imputati sarebbero provenienti da una particolare
miniera colombiana (quella di “Buenavista”), dalla quale normalmente si
riforniva il Ferrari, e corrisponderebbero in maniera pressoché perfetta,
per forma e colore, a quelle rappresentate nelle foto relative alla pietre
possedute dal Ferrari prima che gli venissero sottratte;
2) la violazione degli artt. 192 e 546 cod. proc. pen., nonché la
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata con riferimento al contenuto delle deposizioni di
Dimitri Frascio e del consulente tecnico d’ufficio Carlo Letora; deduce, in
particolare, che la Corte di Appello non avrebbe considerato la
dichiarazione del Dimitri, che ha riferito di conoscere bene le pietre
possedute dal Ferrari prima che gli fossero sottratte, di saper bene che
erano di provenienza colombiana e di aver potuto constatare per almeno
sette coppie di pietre una chiara similitudine tra quelle sequestrate e
quelle di proprietà del Ferrari rappresentate nelle foto; deduce ancora che
la Corte territoriale non avrebbe considerato che anche il consulente
d’ufficio aveva concluso che tra le pietre in sequestro e quelle
rappresentate nelle foto prodotte dal Ferrari vi erano “delle similitudini

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Ricorre per cassazione la parte civile costituita Ferrari Antonio – a

molto, molto, molto vicine sia nella forma dei tagli che nel colore, che
nella qualità”;
3) la violazione degli artt. 192 e 546 cod. proc. pen., nonché la
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata con riferimento al contenuto delle deposizioni
testimoniali rese da Ferrari Antonio e dal maresciallo dei Carabinieri Bezzi

considerato il riconoscimento – tra le pietre in sequestro – delle proprie
pietre da parte del Ferrari, effettuato nell’immediatezza dinanzi ai
Carabinieri di Varazze; riconoscimento che sarebbe tanto più attendibile,
perché il Ferrari, con precisione e sicurezza, nel riconoscere le proprie
pietre, ne scartò una come estranea al lotto di smeraldi sottrattogli;
4) la violazione degli artt. 192 e 546 cod. proc. pen., nonché la
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata con riferimento al contenuto delle dichiarazioni rese
dall’imputato Palli Sergio e delle sommarie informazioni rese nel corso
delle indagini da Nashimiah Ibrahim (dichiarazioni acquisite perché
divenute irripetibili per il sopravvenuto decesso del dichiarante); deduce,
in particolare, che la assoluta inattendibilità delle spiegazioni fornite
dall’imputato in ordine al possesso delle pietre sequestrategli, in quanto
tali pietre – sia in ordine alla regione di provenienza sia in ordine al loro
peso – non corrisponderebbero affatto a quelle che il Palli avrebbe
acquistato dal Nashimiah e a quelle che avrebbe acquistato a Valenza
come da fattura esibita;
5) la violazione degli artt. 192 e 546 cod. proc. pen., nonché la
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata con riferimento alla mancata valutazione
dell’elemento psicologico del reato; deduce, in particolare, che la versione
di comodo fornita dal Palli – prima ai Carabinieri e poi ai Giudici – in
ordine alla provenienza degli smeraldi da lui posseduti, costituirebbe un
chiaro indizio della sua consapevolezza della provenienza illecita delle
pietre in questione, indizio pur nulla considerato dalla Corte territoriale,

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Giuseppe; deduce, in particolare, che la Corte di Appello non avrebbe

neppure sotto il profilo della sussistenza della contravvenzione di cui
all’art. 712 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
La Corte di Appello ha assolto gli imputati dal reato lorooscritto,
ritenendo che non si fosse raggiunta la prova che gli smeraldi da essi

Alla base della sua decisione la Corte ha posto tre considerazioni
fondamentali: 1) le pietre sequestrate agli imputati sono di foggia
ordinaria; 2) tali pietre sono prive di elementi identificativi; 3) non v’è
corrispondenza tra il numero degli smeraldi ritratti nella foto posseduta
dal Ferrari (n. 188) e il numero degli smeraldi di cui egli ha denunciato la
sottrazione (n. 144).
Orbene, appare evidente come la stringata motivazione della Corte di
Appello abbia omesso di considerare, con la dovuta completezza, il
complesso degli elementi di prova acquisiti.
Essa, in particolare, ha omesso del tutto di considerare il contenuto
delle consulenze tecniche acquisite in primo grado; né ha tenuto conto
della importante testimonianza di Dimitri Frascio, il quale ha riferito di
conoscere bene gli smeraldi posseduti dal Ferrari e di aver potuto
rilevare, nell’esaminare gli smeraldi sequestrati agli imputati, importanti
corrispondenze coi primi. Proprio con riferimento alla deposizione del
Dimitri, la Corte di merito ha trascurato poi di considerare una
circostanza fondamentale: quella relativa alla provenienza delle pietre
possedute dagli imputati dalla medesima miniera colombiana presso la
quale si riforniva il Ferrari. Circostanza questa che – con tutta probabilità
– avrebbe potuto risultare risolutiva ai fini del giudizio, eventualmente a
seguito di opportuno approfondimento peritale.
Con ciò i giudici di appello sono venuti meno al loro dovere di
riesaminare il materiale probatorio posto a base della sentenza di primo
grado; non attenendosi al principio di diritto, più volte affermato da
questa Corte suprema, secondo cui

«In tema di motivazione della

sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di condanna del

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posseduti fossero quelli provenienti dal furto patito da Ferrari Antonio.

giudice di primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di
assoluzione, non può limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa
della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni
critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia
pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice,
considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello

non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia
ragione delle difformi conclusioni»

(Cass., Sez. 6, n. 1253 del

28/11/2013 Rv. 258005).
È necessario, pertanto, annullare la sentenza impugnata, sia pure
solo con riguardo alle statuizioni civili, con rinvio – ai sensi dell’art. 622
cod. proc. pen. – al giudice civile competente per valore in grado di
appello, per un nuovo giudizio sulla domanda civile.
Il giudice di rinvio provvederà sulle spese sostenute dalla parte civile
in questo grado di giudizio.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per
valore in grado di appello, che provvederà anche in ordine alle spese
sostenute dalla parte civile in questo grado di giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
Penale, addì 24 aprile 2014.

ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza

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