Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19641 del 21/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 19641 Anno 2018
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: MICCICHE’ LOREDANA

ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
AJDINI MIRJAN nato il 16/08/1987
TOSKU ADENIS nato il 01/05/1992
BALLARO’ MIRKO nato il 21/12/1984 a COMISO
SANZONE GIANLUCA nato il 17/10/1979 a VITTORIA

avverso la sentenza del 27/09/2017 del GIP TRIBUNALE di RAGUSA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LOREDANA MICCICHE’;

Data Udienza: 21/03/2018

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorrenti in epigrafe ricorrono per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di
Ragusa recante applicazione della pena ai sensi dell’art.444 c.p.p. in ordine al reato di cui
all’art. 73 DPR 309/1990.
A motivo del ricorso lamentano mancanza di motivazione sulle condizioni per l’applicazione
dell’art. 129 cod proc pen, sulla qualificazione giuridica del fatto e sulla congruità della pena.

ripetutamente affermato il principio che l’obbligo di motivazione della sentenza non può non
essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo
sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale
con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò
implica, tra l’altro, che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui al
richiamato art.129 c.p.p., ivi compresa la particolare tenuità del fatto, deve essere
accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni
delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità,
dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nella
enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non
ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art.129 (S.U. 27 marzo 1992, Di
Benedetto; S.U. 27 dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente
accolto dalla giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto, la
continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della pena e la sua
sospensione, la costante giurisprudenza da questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle
Sezioni Unite, ha affermato che la motivazione ben può essere sintetica ed a struttura
enunciativa, purché il risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né
l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola come
insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la volontà del giudice coincide
esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita rinuncia ad
avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa Corte ha più volte
avuto modo di affermare, che l’imputato non può prospettare con il ricorso per cassazione
censure che coinvolgono il patto dal medesimo accettato.
Nel caso di specie il giudice dà conto che, alla luce degli atti, la pena è correttamente
determinata e che non vi sono le condizioni per una diversa e più favorevole pronunzia.
I ricorsi sono quindi inammissibili.
Segue a norma dell’art.616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del
procedimento ed al versamento in favore della cassa delle ammende, della somma di C
3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria ciascuno, non emergendo ragioni di esonero.

L’impugnazione é manifestamente infondata. Va rammentato che questa Corte ha

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
e al versamento della somma di C 3.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 21 marzo 2018
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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Rocco Marco Blaiotta

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