Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19639 del 24/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19639 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1) VITIELLO Pardo, n. il 15.1.1954;
2) SILVESTRI Livia, n. il 2.12.1978;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Campobasso del 7.3.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Fulvio Baldi, che
ha concluso per l’annullamento senza rinvio;
Udito il difensore Avv. Antonio De Michele, che ha concluso associandosi
alla richiesta del P.G. e, in subordine, chiedendo dichiararsi la estinzione
del reato per prescrizione;
RITENUTO IN FATTO
Vitiello Pardo e Silvestri Livia ricorrono per cassazione – a mezzo del
loro difensore – avverso la pronuncia di cui in epigrafe, con la quale la
Corte di Appello di Campobasso, in parziale riforma della sentenza del
Tribunale di Larino, ha ridotto la pena loro irrogata dal primo giudice per i
delitti di falso in scrittura privata e truffa in danno di Zeoli Santina (i due

Data Udienza: 24/04/2014

imputati, addetti alla Agenzia di Larino dell’Istituto bancario BLS,
contraffacevano una domanda di allargamento del fido e una richiesta di
bonifico bancario per euro 12.150,00 relativi al conto corrente intestato a
Zeoli Santina e, all’insaputa di costei, trasferivano la detta somma nel
conto corrente del di lei marito Terzano Michele, la cui posizione debitoria
veniva così ripianata).

simmetrici motivi di ricorso, deducono:
1) la violazione dell’art. 124 cod. pen., per essere stata la querela il
15.5.2007 proposta oltre il termine di legge; deducono, in particolare,
che la Zeoli ebbe conoscenza dei fatti dagli estratti conto ricevuti all’inizio
del 2006, oltre un anno prima dalla proposizione della querela, ma che si
decise a presentare la querela solo il 15.5.2007 come reazione al decreto
ingiuntivo notificatole il 1.4.2007;
2)

la violazione dell’art. 485 cod. pen., nonché la mancanza,

contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza
impugnata con riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di falso in
scrittura privata; deducono che tale falso non sussisterebbe perché
nessuna scrittura i due imputati ebbero a sottoscrivere in luogo della
Zeoli, essendosi gli stessi limitati a predisporre la domanda di
allargamento del fido e la richiesta di bonifico bancario che la Zeoli
avrebbe dovuto sottoscrivere, e non sottoscrisse; si trattava, dunque,
non di false scritture private, ma di “non-scritture”;
3)

la violazione dell’art. 640 cod. pen., nonché la mancanza,

contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza
impugnata con riferimento alla ritenuta sussistenza della contestata
truffa; deducono che, nella specie, mancherebbero gli elementi costitutivi
del reato: mancherebbe gli artifici e raggiri; mancherebbe l’induzione in
errore della Zeoli; mancherebbe la determinazione della stessa, in
seguito all’inganno, a compiere una qualche attività; mancherebbe il
profitto degli imputati; mancherebbe, infine, anche il danno patrimoniale
della Zeoli, avendo il marito della stessa restituito alla moglie la somma
versata sul suo conto, tramite un bonifico di ventimila euro.
CONSIDERATO IN DIRITTO

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Il difensore di Vitiello Pardo e il difensore di Silvestri Livia, con

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Questa Corte suprema, in tema di decorrenza del termine per la
proposizione della querela, ha statuito che il termine per la presentazione
della querela decorre dal momento in cui il titolare ha conoscenza certa,
sulla base di elementi seri, del fatto-reato nella sua dimensione oggettiva
e soggettiva, conoscenza che può essere acquisita in modo completo

possa, quindi, liberamente determinarsi; in ogni caso, l’onere della prova
della intempestività della querela è a carico del querelato che la deduce
e, nella eventuale situazione di incertezza, va risolta a favore del
querelante (Cass., Sez. 5, n. 13335 del 17/01/2013 Rv. 255060).
Nella specie, la Zeoli ha dedotto che, date le difficili condizioni di
salute del marito, non ha avuto la possibilità di esaminare gli estratti
conto inviatile e di acquisire piena e consapevole conoscenza del fatto, se
non qualche settimana prima della proposizione della querela. Non
avendo gli imputati offerto alcuna prova in senso contrario, la
proposizione della querela deve ritenersi tempestiva.

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2. Con riferimento agli altri due motivi di ricorso, premessotr- a
mezzo di essi – sono sottoposte all’esame della Corte questioni che non
appaiono manifestamente infondate, va osservato come debba prevalere
il rilievo della sopravvenuta estinzione dei reati per prescrizione, il cui
termine è spirato il 15.6.2013.
Non ricorrono, infatti, le condizioni per applicare l’art. 129 comma 2
cod. proc. pen., non risultando “evidente” la sussistenza delle condizioni
per l’assoluzione nel merito dell’imputato.
In proposito va ricordato che, secondo le Sezioni Unite di questa
Corte suprema, «In presenza di una causa di estinzione del reato il
giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma
dell’art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le
circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del
medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano
dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione
che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di
“constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di

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soltanto se e quando il soggetto passivo abbia contezza dell’autore e

”apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di
accertamento o di approfondimento»

(Cass., Sez. U, n. 35490 del

28/05/2009 Rv. 244274).
Il concetto di “evidenza”, richiesto dal secondo comma dell’art. 129
cod. proc. pen., presuppone perciò la manifestazione di una verità
processuale così chiara ed obiettiva, da rendere superflua ogni

richiede per l’assoluzione ampia, oltre la correlazione ad un accertamento
immediato. Ne consegue che gli atti dai quali può essere desunta la
sussistenza della “causa più favorevole” sono costituiti unicamente dalla
stessa sentenza impugnata, in conformità ai limiti di deducibilità del vizio
di mancanza o manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606
comma primo lett. e) cod. proc. pen. (Cass., Sez. 6, n. 31463 del
8.6.2004 Rv 229275).
Nella specie, non risulta evidente – nei termini sopra intesi – la
sussistenza di una causa di assoluzione degli imputati nel merito, anche
alla stregua delle ragioni giustificative della decisione emergenti dalla
motivazione della sentenza impugnata.
Non rimane, pertanto, che dichiarare la causa di estinzione dei reati.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per
intervenuta prescrizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
Penale, addì 24 aprile 2014.

dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge

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