Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19638 del 24/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19638 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
FONTANAROSA Michele, n. il 13.4.1957;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona del 15.11.2012
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Fulvio Baldi, che
ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore Avv. Claudio Indelicato, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Fontanarosa Michele ricorre per cassazione – a mezzo del suo
difensore – avverso la pronuncia di cui in epigrafe, con la quale la Corte
di Appello di Ancora ha confermato la sentenza del G.U.P. del Tribunale di
Camerino, che, in esito a giudizio abbreviato, lo aveva condannato alle
pene di legge per il delitto di associazione per delinquere finalizzata alla
commissione di rapine e per una serie di rapine commesse tra il 9 e il 12
dicembre 2005 presso le agenzie di alcuni istituti bancari (site nei comuni

Data Udienza: 24/04/2014

di Muccia Treia e Castelraimondo) da un gruppo di rapinatori catanesi in
trasferta nel nord-Italia.
Deduce:
1) la violazione e l’erronea applicazione della legge processuale con
particolare riferimento all’art. 192, comma 3 cod. proc. pen.; deduce, in
particolare, che i giudici di merito avrebbero fondato l’affermazione di

Russo Salvatore e Russo Giuseppe, ma che – in realtà – l’unica fonte
autonoma di prova sarebbe costituita dalle dichiarazioni rese da Russo
Salvatore, essendosi il Russo Giuseppe limitato a ribadire quanto appreso
dal fratello; perciò, a dire del ricorrente, le due dichiarazioni non si
riscontrerebbero a vicenda, unica essendo la fonte di conoscenza e
mancherebbero i riscontri richiesti dall’art. 192, comma 3 cod. proc. pen.
per ritenere l’attendibilità delle dichiarazioni dei chiamanti in correità;
2) la violazione degli artt. 110 e 628 cod. pen., nonché l’apparenza e
l’assenza della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla
partecipazione dell’imputato – che non si sarebbe allontanato da Catania
– alle rapine contestate; deduce, in particolare, che non esisterebbe
alcuna prova del contributo causale fornito dall’imputato alle varie rapine
contestate, anche perché si trattava di rapine decise d’impeto, senza
programmazione, e non vi è prova il Fontanarosa abbia partecipato alla
ripartizione dei proventi delle stesse.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso sottopongono alla Corte censure di merito,
inammissibili in sede di legittimità.
Il ricorrente, infatti, critica – sotto mentite spoglie – la valutazione
delle prove da parte dei giudici di merito e le conclusioni cui essi sono
pervenuti in ordine alla responsabilità dell’imputato in ordine ai reati
ascrittigli. Va ricordato, tuttavia, che la valutazione delle prove è
riservata, in via esclusiva, all’apprezzamento discrezionale del giudice di
merito e non è sindacabile in cassazione; a meno che ricorra una
mancanza o una manifesta illogicità della motivazione, ciò che – nel caso
di specie – deve però escludersi.

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responsabilità dell’imputato sulle dichiarazioni rese dai correi fratelli

E invero come hanno statuito più volte le Sezioni Unite di questa
Corte «L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione
ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di
cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti
della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza

sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve
essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu ocull”,
dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le
ragioni del convincimento» (Cass., sez. un., n. 24 del 24.11.1999 Rv
214794; Sez. un., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di
argomenti, le ragioni della loro decisione (sottolineando, tra l’altro, come
le dichiarazioni dei collaboranti hanno trovato numerosi riscontri oggettivi
– richiamati a p. 13-14 della sentenza – nei dati probatori acquisiti e
come il Fontanarosa, pur non avendo preso parte materialmente alle
rapine, ha però fornito un rilevante contributo causale alla commissione
delle stesse, indicando ai correi gli obiettivi da colpire, fornendo loro la
“base” logistica al nord-Italia e persino alcuni degli strumenti necessari
per la commissione dei reati); non si ritiene, peraltro – per ovvi motivi di riportare qui integralmente tutte le suddette argomentazioni,
sembrando sufficiente al Collegio far rilevare che le stesse non sono
manifestamente illogiche; e che, anzi, l’estensore della sentenza ha
esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che giustificano la
decisione adottata, la quale perciò resiste alle censure del ricorrente sul
punto.
Piuttosto, sono le censure mosse col ricorso che non prendono

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delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per

compiutamente in esame le argomentazioni svolte dai giudici di merito
nel provvedimento impugnato, risultando così generiche e, anche sotto
tale profilo, inammissibili, limitandosi a proporre a questa Corte una
ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella dei giudici di merito.
E tuttavia, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della
Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la

procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a
quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Cass, sez. 1, n. 7113 del
06/06/1997 Rv. 208241; Sez. 2, n. 3438 del 11/6/1998 Rv 210938),
dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro
abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento
probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento
impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile;
ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.
Vale poi la pena di rilevare come i giudici di merito abbiano posto in
luce che il Russo Giuseppe non si è limitato a ribadire quanto appreso dal
fratello Russo Salvatore, ma ha riferito anche fatti vissuti direttamente,
come le varie conversazione telefoniche intrattenute con l’imputato
“durante” i giorni delle rapine, a mezzo delle quali il Fontanarosa veniva
informato dell’andamento dell’attività del sodalizio criminoso (p. 17 della
sentenza impugnata).
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve
essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P. Q. M.

La Corte Suprema di Cassazione

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ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione

Penale, addì 24 aprile 2014.

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