Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19633 del 24/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19633 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
ANNUNZIATA Giuliano, n. il 22.12.1974;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli del 29.6.2012;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Fulvio Baldi, che
ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore Avv. Giuseppe Pezone, che ha concluso chiedendo
l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non
sussiste; in subordine, il rinvio al giudice competente per valore in grado
di appello;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7.4.2011, il Tribunale di Noia dichiarò Annunziata
Giuliano responsabile del delitto di truffa aggravata in danno della INA
ASSITALIA S.p.A. (in relazione alla richiesta di risarcimento del danno
avanzata dall’imputato – sulla base di false attestazioni dell’acquisto di
beni – per il furto nel suo appartamento patito nel luglio 2004) e lo

Data Udienza: 24/04/2014

condannò alla pena di giustizia, nonché al risarcimento dei danni in
favore della parte civile costituta INA ASSITALIA S.p.A. da liquidarsi in
separata sede, concedendo una provvisionale pari ad euro 15.000,00.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame e la Corte di
Appello di Napoli, con sentenza del 29.6.2012, riqualificò l’imputazione
originaria nel reato di cui agli artt. 56, 640 e 61 n. 7 cod. pen., dichiarò

così riqualificato perché estinto il reato per prescrizione; confermò quanto
alle statuizioni civili la sentenza impugnata.
Ricorre per cassazione l’imputato – a mezzo del suo difensore deducendo:
1)

la violazione della legge penale, nonché la mancanza,

contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza
impugnata con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato di tentata
truffa aggravata; deduce che la Corte di Appello non avrebbe considerato
che le due attestazioni relative all’acquisto – da parte dello Annunziata di gioielli per complessivi euro 44.650,00 non possono essere considerate
false, essendo stato il suo sottoscrittore assolto nel giudizio di primo
grado dal reato ascrittogli; deduce ancora la contraddittorietà della
motivazione laddove, da un lato, la Corte territoriale ha affermato non vi
sarebbe alcuna prova che l’indagato abbia riscosso dall’assicurazione
alcuna somma correlata alla documentazione ritenuta falsa, dall’altro ha
riconosciuto la sussistenza dell’aggravante del danno patrimoniale di
rilevante gravità, aggravante che, in assenza di querela della persona
offesa, ha consentito l’esercizio dell’azione penale; deduce ancora il
difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico
del reato, non avendo mai l’imputato avuto contezza della natura della
documentazione presentata alla società assicuratrice, essendo stato egli,
subito dopo la scoperta del furto, ricoverato presso una clinica per gravi
problemi di salute ed essendo stati i suoi familiari a predisporre la
documentazione;
2) la violazione dell’art. 129 cod. proc. pen., con riferimento alla
pronuncia di improcedibilità per estinzione del reato, avendo la Corte di

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non doversi procedere nei confronti dello Annunziata in ordine al fatto

merito erroneamente applicato il secondo comma dell’art. 129, piuttosto
che il primo comma, pur essendo evidente la insussistenza di prove a
carico dell’imputato.
Coi motivi aggiunti deduce ancora:
3) la contraddittorietà della sentenza impugnata, che ha confermato
le statuizioni civili pur avendo escluso la sussistenza del fatto, affermando

compagnia di assicurazione abbia liquidato più del dovuto»;
4) la violazione degli artt. 56 e 640 cod. pen., per mancanza della
“idoneità degli atti”, necessaria ad integrare il tentativo di truffa; ciò in
relazione al fatto che i documenti asseritamente falsi, presentati a
corredo della richiesta di risarcimento del danno, non avrebbero potuto
consentire all’imputato di riscuotere una somma maggiore di quella
legittimamente ottenuta, essendo il massimale assicurato parti ad euro
68.000,00.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo, il secondo e il quarto motivo del ricorso sono infondati.
La Corte territoriale ha puntualmente motivato circa la sussistenza
del tentativo di truffa, che prescinde dalle attestazioni relative all’acquisto
di gioielli, esistendo altre attestazioni riconosciute false dai giudici di
merito (elencate a p. 5 della sentenza di primo grado). Né il fatto che
l’indagato non abbia riscosso dall’assicurazione alcuna somma correlata
alla documentazione ritenuta falsa esclude, di per sé, la sussistenza
dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità per la tentata
truffa, essendo pacifico il principio enunciato costantemente da questa
Corte, secondo cui «La circostanza aggravante del danno patrimoniale di
rilevante gravità è configurabile rispetto al tentato delitto contro il
patrimonio qualora risulti che, ove l’evento si fosse verificato, il danno
patrimoniale sarebbe stato di rilevante entità» (Cass., Sez. 5, n. 17275
del 26/11/2008 Rv. 244632). Peraltro, la compagnia assicuratrice – come
riconosciuto dallo stesso ricorrente – non ha corrisposto all’assicurato
tutta la somma a lui erogabile sulla base del contratto di assicurazione;
ciò che rende manifesta la infondatezza della censura del ricorrente

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– in particolare – che «nessun elemento consente di ritenere che la

svolta col quarto motivo di ricorso, in quanto ben avrebbe potuto
l’Annunziata – se il tentativo di truffa fosse andato a buon fine percepire più di quello che gli è stato liquidato, fino a raggiungere il limite
del massimale assicurato.
Le altre censure contenute nei motivi di ricorso in esame
sottopongono, poi, alla Corte profili relativi al merito della valutazione

nel caso di specie – risulta che i giudici di merito hanno esposto in modo
ordinato e coerente le ragioni che giustificano la loro decisione, sicché
deve escludersi non solo la mancanza, ma anche la manifesta illogicità
della motivazione (quale vizio «vizio di macroscopica evidenza»,
«percepibile

“ictu ocu/i”»: cfr. Cass., sez. un., n. 24 del 24.11.1999 Rv

214794; Sez. un., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074), vizi che
circoscrivono l’ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità.
2. Fondato è, invece, il terzo motivo di ricorso.
La Corte di Appello ha escluso – nella sua sentenza – che all’imputato
sia stata corrisposta, da parte della compagnia assicuratrice, alcuna
somma non dovuta (scrive la Corte territoriale che «nessun elemento
consente di ritenere che la compagnia di assicurazione abbia liquidato più
del dovuto (…) e, di conseguenza, per la documentazione ritenuta falsa,
non risulta acquisita la prova che sia stata versata alcuna somma».
Se così è, risulta evidentemente contraddittoria la condanna
dell’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile INA
ASSITALIA S.p.A. e, a maggiore ragione, la condanna, in favore della
stessa, al pagamento della provvisionale di euro 15.000,00.
Le statuizioni civili vanno, pertanto, annullate.
E invero, la condanna al risarcimento del danno non può prescindere
da una puntuale indagine in fatto, volta a verificare la sussistenza del
danno patrimoniale e morale eventualmente patito dalla parte civile e la
sua entità; questione questa che non può che essere rimessa al giudice
civile competente per valore in grado di appello, ai sensi dell’art. 622 cod.
proc. pen.
P. Q. M.

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delle prove, che sono insindacabili in sede di legittimità, quando – come

La Corte Suprema di Cassazione
annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, con
rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione

Penale, addì 24 aprile 2014.

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