Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19621 del 13/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19621 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sui ricorsi proposti dall’Avvocato Fabio Spaziani – quale difensore della P.C.
Aldo Montani (n. il 07/10/1925) – e dall’Avvocato Nino Marazzita — quale
difensore della P.C. Marco Montani (n. 1’08.02.1958) — avverso la sentenza
della Corte di Appello di Roma — II Sezione penale – in data 09/03/2012 con
la quale venivano assolti Montani Bruno (n. 11 19.06.1955) e Plowman Julie
Elisabeth (n. il 06.11.1961), indagati del reato di appropriazione indebita.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Fulvio Baldi, il
quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi.

Data Udienza: 13/02/2014

Udito l’Avvocato Mauro Giuliano Giaquinto – sostituto processuale degli
Avvocati Fabio Spaziani e Nino Marazzita, difensori delle P.C. ricorrenti —
che riportandosi ai motivi dei ricorsi ne chiede l’accoglimento oltre a
depositare conclusioni e nota spese dei predetti Avvocati sostituiti.
Udito l’Avvocato Gaetano Antonio Scalise — difensore degli imputati Montani
Bruno e Plowman Julie Elisabeth — il quale ha concluso per l’inammissibilità

OSSERVA:

Con sentenza del 03/12/2009, il Tribunale di Roma assolse Montani
Bruno e Plowman Julie Elisabeth dal reato di appropriazione indebita perché
il fatto non sussiste.
Avverso tale pronunzia le Parti Civili costituite — oltre al Procuratore
della Repubblica presso il tribunale di Roma e al Procuratore Generale
presso la Corte di appello di Roma – proposero gravame, ma la Corte
d’appello di Roma con sentenza, del 09/03/2012, confermò la decisione di
primo grado.
Ricorre per Cassazione il difensore della P.C. Montani Aldo deducendo
la mancanza o manifesta illogicità della motivazione. In particolare rileva che
l

la decisane della Corte territoriale si fonda esclusivamente sulla legittimità
del ruolo rivestito nella società da parte degli imputati (riconosciuto con
provvedimenti non definitivi in sede civile). Ma la Corte di appello non tiene
conto, invece, che il ricorrente ha sempre negato di volersi dimettere da
amministratore della società in favore del figlio (l’imputato Montani Bruno).
Così come Montani Aldo ha sempre disconosciuto la paternità della lettera
(del 30.07.2003) di convocazione dell’assemblea – tenutasi in data
08.09.2003 — nella quale si sarebbe dovuto decidere sulla successione nella
carica di amministratore del figlio Bruno. Sottolinea, in proposito, che la Corte
di merito non ha affatto considerato quanto hanno dichiarato, sul punto,
Mancini Vilma e Montani Annamaria (rispettivamente moglie e figlia di
Montani Aldo) che hanno confermato le affermazioni della P.C. sopra
evidenziate. Infine, il difensore della P.C. si lamenta del fatto che la Corte di
appello abbia ritenuto che comunque non potesse ravvisarsi il reato di

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dei ricorsi.

appropriazione indebita perché nel caso di specie l’oggetto del reato erano
bene immobili. La Corte dì appello non ha, però, considerato che in realtà
l’oggetto del reato era il patrimonio della società e in particolare il versamento
nelle casse della società M.G. s.r.l. dei 7,4 milioni di Euro derivanti dalla
cessione degli immobili in favore della società G.I.M. della quale è
amministratore l’imputata Plowman, che è anche titolare del 95% delle quote

Il difensore del ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.
Ricorre per Cassazione, anche, il difensore della P.C. Montani Marco
deducendo considerazioni analoghe a quelle sopra illustrate per quanto
riguarda: lo svolgimento della vicenda; l’aver trascurato del tutto quanto
riferito dalla moglie e dalla figlia di Montani Aldo; la sussistenza del reato di
cui all’art. 646 del cod. penale. Infine, rileva l’illogicità della motivazione della
sentenza che da un lato non considera la P.C. socio di fatto della M.G. s.r.l.
(e nelle pagine 8 e 9 del ricorso ricostruisce tutto il percorso tecnico in base
al quale Montani Marco deve essere considerato socio di fatto della predetta
società) e dall’altro che non affronta il problema della sussistenza del reato di
appropriazione indebita a prescindere della veste formale in seno alla società
di chi abbia denunciato il fatto.
Il difensore del ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.
In data 06.11.2013 l’Avvocato Gaetano Antonio Scalise deposita
memoria difensiva ex art. 121 del c.p.p. con la quale espone tutti i motivi
(anche per difetto di specifico conferimento del potere di impugnazione al
procuratore speciale) per i quali i ricorsi devono essere dichiarati
inammissibili.

motivi della decisione

Le due eccezioni proposte dal difensore degli imputati non sono
fondate. Infatti, per quanto riguarda il potere di impugnazione del procuratore
speciale delle P.C. si deve rilevare che a pagina 5 della memoria difensiva

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della predetta società.

della difesa degli imputati si riporta uno stralcio della procura speciale nel
quale si legge “procura speciale a costituirsi in suo nome e per suo conto in
ogni fase e grado del giudizio al fine di ottenere l’integrale risarcimento dei
danni materiali e morali”. Orbene quanto sopra è più che sufficiente per
ritenere che al procuratore speciale fosse stato conferito anche il potere di
impugnazione. In proposito questa Suprema Corte ha più volte affermato che
in tema di impugnazione della parte civile, la presunzione di efficacia della

procura speciale soltanto per un determinato grado del processo, stabilita
dall’art. 100, comma terzo, cod. proc. pen., può essere superata da una
volontà diversa espressa nell’atto (in motivazione, la S.C. ha affermato che la
manifestazione di tale volontà sussiste nel caso di richiamo globale ad “ogni
grado di giudizio”, mentre deve essere esclusa nel caso di procura
contenente il semplice riferimento ad “ogni facoltà di legge”, riferimento che,
in assenza di ulteriori specificazioni, deve essere riportato al solo grado di
giudizio in cui il conferimento è stato operato; Sez. 5, Sentenza n. 33369 del
25/06/2008 Ud. – dep. 12/08/2008 – Rv. 241392). Ancora, è legittimato a
proporre appello il difensore della parte civile munito di procura speciale che
non faccia espressamente riferimento alla facoltà di proporre detto gravame,
sempre che la procura rilasciata possa essere interpretata nel senso che il
mandato difensivo comprenda anche tale potere (fattispecie in cui è stata
ritenuta idonea la procura rilasciata al difensore della parte civile affinché
provvedesse a “difenderla nel procedimento penale”; Sez. 5, Sentenza n.
35535 del 16/05/2013 Ud. – dep. 27/08/2013 – Rv. 256368).
Da quanto sopra — volontà della P.C. che il suo Procuratore si
“costituisca in suo nome e per suo conto in ogni fase e grado del giudizio al
fine di ottenere l’integrale risarcimento dei danni materiali e morali” e quindi
conferimento ad impugnare in caso di soccombenza — discende il concreto
interesse ad impugnare qualora, come nel caso di specie, la sentenza
assolutoria abbia leso il diritto al risarcimento delle parti civili.
I ricorsi sono, però, inammissibili per violazione dell’art. 591 lettera c) in
relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché con essi le P.C. si
limitano a reiterare generiche doglianze ben affrontate da due giudici di
merito (siamo in presenza di una doppia conforme). In particolare la Corte di
appello evidenzia, correttamente, perché l’impugnazione del

P.M. sia

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infondato e quindi la sentenza di primo grado di assoluzione con formula
piena vada confermata nonostante la condotta ascritta agli imputati sia ormai
prescritta. Inoltre, alle pagine da 3 a 5 sottolinea perché — anche per come è
stata ricostruita la vicenda e formulata la contestazione – non siano ravvisabili
né il reato di appropriazione indebita né quello di cui all’art. 2634 del codice
civile. Infine, giustamente rileva che — seppur non necessario per quanto
sopra — le sentenze civili in atti potevano ben essere utilizzate quali elementi

di valutazione nell’ambito del libero convincimento del Giudice penale.
E’ quindi evidente l’estrema genericità del ricorso, privo del necessario
contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni,
ancorate a precisi dati fattuali completamente trascurati nell’atto di
impugnazione, si palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici.
In proposito questa Corte Suprema ha più volte affermato il principio,
condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di ricorso per
Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto
di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento
censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591,
comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso (si veda
fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv
230634; Sez. 2, Sentenza n. 19951 del 15/05/2008 Ud. – dep. 19/05/2008 Rv. 240109; Sez. 5, Sentenza n. 28011 del 15/02/2013 Ud. – dep.
26/06/2013 – Rv. 255568)
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibili i ricorsi, le parti private che li hanno proposti devono
essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità — ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle
ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione
dei motivi dedotti.
Ovviamente non si deve provvedere alla richiesta di rifusione delle
spese sostenute dalle P.C. essendo le stesse soccombenti.

P.Q.M.

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Dichiara inammissibili il ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e, ciascuno, della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende.

Così deliberato in camera di consiglio, il 13/02/2014.

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