Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19619 del 13/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 19619 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sui ricorsi proposti – dagli Avvocati Vito Epifani e Cosimo Lodeserto, quali
difensori di Bruno Andrea (n. il 13.05.1968) e Melechì Emanuele (n. il
27.07.1969); dall’Avvocato Cosimo Lodeserto, quale difensore di Carluccio
Antonio (n. il 17.07.1970); dall’Avvocato Gianvito Lillo, quale difensore di Fai
Vito (n. il 28.02.1966) e Fai Piero (n. il 27.06.1980); dagli Avvocati Alfredo
Gaito e Cosimo Lodeserto, quali difensori di Melechì Cosimo (n. il
18.12.1975); dall’Avvocato Raffaele Missere, quale difensore di Melechì
Daniele (n. il 15.06.1974); dall’Avvocato Alfredo Gaito, quale difensore di
Melechì Emanuele (n. il 27.07.1969); dall’Avvocato Giovanni Aricò, quale
difensore di Torsello Damiano Cosimo (n. il 09.06.1937) — avverso la

Data Udienza: 13/02/2014

sentenza della Corte di Appello di Lecce — I Sezione penale – in data
05.03.2013.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Fulvio Baldi, il
quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi di Carluccio Antonio
e Melechì Cosimo e il rigetto di tutti gli altri ricorsi; per quanto riguarda il

primo motivo di ricorso di Melechì Daniele il rigetto o in subordine la
rimessione alle Sezioni Unite.
Udito l’Avvocato Franco Coppi — difensore di Bruno Andrea — che
riportandosi ai motivi del ricorso e ai motivi nuovi depositati conclude per
l’annullamento della sentenza impugnata.
Udito l’Avvocato Alfredo Gaito — difensore di Melechì Cosimo e Melechì
Daniele — che riportandosi ai motivi del ricorso conclude per il suo
accoglimento.
Udito l’Avvocato Vito Donato Epifani — difensore di Bruno Andrea — che
riportandosi ai motivi del ricorso conclude per il suo accoglimento.
Udito l’Avvocato Raffaele Missere — difensore di Melechì Daniele — che
riportandosi ai motivi del ricorso conclude per l’annullamento della sentenza
impugnata e in subordine per l’invio degli atti alle Sezioni Unite.
Udito l’Avvocato Giovanni Aricò — difensore di Torsello Damiano Cosimo —
che riportandosi ai motivi del ricorso conclude per l’annullamento della
sentenza impugnata.
Udito l’Avvocato Gianvito Lillo — difensore di Fai Piero e Fai Vito — che
riportandosi ai motivi del ricorso conclude per il suo accoglimento.
Udito l’Avvocato Giuliano Dominici — difensore di Melechì Emanuele — che
riportandosi ai motivi del ricorso conclude per il suo accoglimento.
Udito l’Avvocato Cosimo Lodeserto — difensore di Carluccio Antonio, Melechì
Cosimo e Torsello Damiano Cosimo — che riportandosi ai motivi dei ricorsi
conclude per il loro accoglimento.

OSSERVA:

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Le imputazioni valutate in primo grado

Con decreto del G.I.P. del Tribunale di Lecce del 23.2.2009 gli odierni
imputati venivano rinviati a giudizio per rispondere dei seguenti reati
(vengono riportati in neretto i nomi degli imputati nel procedimento conclusosi
con la sentenza qui impugnata ed oggi ricorrenti per Cassazione, tra

medesimo procedimento e poi giudicati separatamente o non ricorrenti):
CAPO 1
BRUNO Andrea — (BRUNO Vincenzo di Ciro) – MELECHI’ Emanuele —
MELECH1′ Daniele — (BERARDINI Cosimo — DIVIGGIANO Salvatore) —
TORSELLO Damiano Cosimo — (CARLUCCIO Cosimo) – FAI Vito —
per il reato di cui all’art. 416 bis commi 1,3,4,5 c.p. per avere,
unitamente tra loro e con altre persone non identificate, fatto parte di una
associazione armata di stampo mafioso, qualificabile quale frangia torrese
della Sacra Corona Unita riconducibile a Bruno Andrea, finalizzata a
commettere una serie indeterminata di reati con particolare riferimento alla
detenzione illegale di armi, al traffico di sostanze stupefacenti, al
contrabbando di tabacchi lavorati esteri, nonché al controllo delle attività
criminali e dei traffici illeciti realizzati, nel territorio di Torre Santa Susanna e
zone limitrofe, da altri gruppi criminali.
Nello specifico la predetta associazione avvalendosi della disponibilità
di armi, di un capillare controllo del territorio, di un notevole quantitativo dì
denaro, di uno stretto vincolo associativo comportante la ferma osservanza
per tutti gli associati dei compiti rispettivamente loro assegnati, nonché il
rispetto di rigide gerarchie precostituite, ed infine di una pervicace capacità di
infiltrazione nel tessuto connettivo degli apparati amministrativi locali di cui
tendevano a condizionare le attività di gestione della cosa pubblica,
realizzavano una diffusa condizione di assoggettamento con consequenziale
omertà sia all’interno che all’esterno della stessa consorteria, attraverso la
perpetrazione di condotte violente, minacciose nonché di danneggiamento
nei confronti di chiunque non si piegasse alla volontà degli associati, al fine di
realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sè o per altri, ovvero al fine di
procurare voti da far confluire a vantaggio di esponenti politici candidati alle

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parentesi e non in neretto i nomi dei soggetti sottoposti ad indagini nel

elezioni amministrative locali sia comunali che regionali allo scopo di ottenere
vantaggi economici, anche collegati alla installazione di un parco eolico nei
terreni di proprietà di Bruno Andrea con il consequenziale pagamento di un
canone mensile.
Con l’aggravante di cui al comma II per Bruno Andrea che assumeva il
ruolo di organizzatore.

Bruno Andrea in qualità di capo, promotore e dirigente.

Melechì Emanuele, Melechì Daniele e Bruno Vincenzo di Ciro in

In particolare:

qualità di luogotenenti di Bruno Andrea tramite i quali veniva operato il
controllo capillare del territorio.

Torsello Damiano quale “volto pulito” della organizzazione tramite il

quale interfacciarsi con soggetti pubblici e privati.

Tutti gli altri svolgenti funzioni essenziali agli scopi ed alla

permanenza della consorteria criminosa mediante il controllo del territorio, la
custodia delle armi e della sostanza stupefacente, il mantenimento dei
collegamenti tra sodali, la raccolta del denaro provento delle attività illecite
immediatamente riversato a Bruno Andrea, ed infine mediante la
realizzazione di azioni minacciose o violente verso terzi.
Accertato in agro di Torre S.S. e paesi limitrofi dal 2004 con
permanenza.

CAPO 2
BRUNO Andrea — MELECHI’ Emanuele – MELECHI’ Daniele —
(BRUNO Vincenzo di Ciro) — TORSELLO Damiano Cosimo
per il reato di cui agli artt. 110, 61 n.2 c.p. — 10 e 12 L.497174 per
avere, in concorso tra loro, illegittimamente detenuto e portato in luogo
pubblico diverse armi comuni da sparo di marca sconosciuti anche
nell’ambito del programma criminoso di cui al capo 1) tra cui fucili a canne
mozze e pistole calibro 38, 9 x 21, 7.65 e 357 magnum.
Accertato in agro di Torre S.S. e paesi limitrofi dal 2004 con
permanenza.
CAPO 3

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BRUNO Andrea — (BRUNO Vincenzo di Ciro) – MELECHI’ Emanuele —
MELECH1′ Daniele — MELECHI’ Cosimo — (BERARDINI Cosimo —

DIVIGGIANO Salvatore —) TORSELLO Damiano Cosimo (articolazione
principale operante su Torre Santa Susanna) – FAI Vito — (CAFUERI

Mario) – FAI Piero — (FAI Giuseppe – FAI Andrea — FAI Graziano — FAI
Claudio – SCHIAVONE Vincenzo – PICCINNO Rosario – VITALE Daniele)
(articolazione dipendente da quella principale operante su Tuturano ed

indipendente da quelle che seguono) (ROSAFIO Juri — BLEVE Vincenzo

— SABELLA Gianni – SAPONARO Gianluca — VITALE Laura) articolazione
dipendente da quella principale operante su Tuturano ed indipendente
da quelle che segue) (AMMATURO Francesco – TOTARO Dario —

COCCIOLI Silvio — AMMATURO Cosimo — CARLUCCIO Cosimo) —
(D’ABRAMO Americo) (articolazione dipendente da quella principale
operante su Torre Santa Susanna)

per il delitto di cui all’art. 74 -1°, 2° e 3 0 comma- del D.P.R. n. 309/90
per aver fatto parte di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico
illecito di sostanze stupefacenti (in particolare del tipo cocaina, hashish ed
ecstasy), anche composta da persone dedite all’uso delle stesse citate
sostanze stupefacenti; in particolare, tale associazione era promossa,
costituita, diretta ed organizzata da Bruno Andrea, da BRUNO Vincenzo di
Ciro, Melechì Emanuele, Melechì Cosimo, Melechì Daniele, Bernardini
Cosimo, Diviggiano Salvatore, Torsello Damiano, ed agiva per il tramite di tre
diverse articolazioni:
– La prima operante sul territorio di Tuturano riconducibile a Fai Vito,
Cafueri Mario, Fai Piero, Fai Giuseppe, Fai Andrea, Fai Graziano, Fai
Claudio, Schiavone Vincenzo, Vitale Daniele e Piccinno Rosario;
– La seconda sempre operante sul territorio di Tuturano riconducibile
a Rosafio Juri, Bleve Vincenzo, Sabella Gianni, Saponaro Gianluca, Vitale
Laura;
– La terza operante sul territorio di Torre Santa Susanna riconducibile
a Ammaturo Francesco, Totaro Dario, Coccioli Silvio, Ammaturo Cosimo,
Carluccio Cosimo, D’Abramo Americo;
Fatto aggravato perché commesso da persone armate dedite all’uso di
sostanze stupefacenti, in numero superiore a dieci.
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Accertato nei territori di Torre Santa Susanna, Tuturano e zone limitrofe
comunque all’interno della Provincia di Brindisi dal 2004 con permanenza.
CAPO 4
BRUNO Andrea — MELECHI’ Emanuele
per il reato p. e p. dagli artt. 110 — 73 comma 1 D.P.R. 309/90 perché

309/90, illecitamente detenevano al fine di cederla a terzi un quantitativo non
precisato di sostanza stupefacente del tipo cocaina.
In Torre Santa Susanna il 22.12.2004.

CAPO 6
BRUNO Andrea — MELECHI’ Daniele — MELECHI’ Emanuele
per il reato p. e p. dagli artt. 110 — 73 comma 1 D.P.R. 309/90 perché
in concorso tra loro, al di fuori delle previsioni di cui agli artt. 17 e 75 D.P.R.
309/90, illecitamente detenevano al fine di cederla a terzi sostanza
stupefacente del tipo cocaina.
In Torre Santa Susanna in data 07.04.2005.

CAPO 7
BRUNO Andrea — MELECHI’ Emanuele
per il reato p. e p. dagli artt. 110 — 73 comma 1 D.P.R. 309/90 perché
in concorso tra loro illecitamente detenevano e/o cedevano, al di fuori delle
previsioni di cui agli artt. 17 e 75 D.P.R. 309/90, sostanza stupefacente del
tipo non individuato a persona non identificata.
In Torre Santa Susanna in data 11.04.2005.

CAPO 9
FAI Vito — FAI Piero
per il reato p. e p. dagli artt. 110 — 73 comma 1 D.P.R. 309/90 perché
in concorso tra loro illecitamente detenevano, al di fuori delle previsioni di cui
agli artt. 17 e 75 D.P.R. 309/90, sostanza stupefacente del tipo cocaina del
peso complessivo di grammi 70 circa.
In Tuturano e comunque in provincia di Brindisi in data 21.06.2005.

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in concorso tra loro, al di fuori delle previsioni di cui agli artt. 17 e 75 D.P.R.

CAPO 10)
BRUNO Andrea — MELECHI’ Emanuele — MELECHI’ Daniele —
MELECH1′ Cosimo
per il reato p. e p. dagli artt. 110 — 73 comma 1 D.P.R. 309/90 perché
in concorso tra loro illecitamente detenevano, al di fuori delle previsioni di cui
agli artt. 17 e 75 D.P.R. 309/90, al fine di cederla, all’interno di un piccolo

locale in muratura eretto su di un terreno nella disponibilità di Melechì
Cosimo e Melechì Emanuele, sostanza stupefacente del tipo cocaina del
peso di grammi 80 circa dai quali erano ricavabili 800 dosi circa.
In Torre Santa Susanna il 17/09/2005.

CAPO 12)
FAI Vito — FAI Piero
per il reato p. e p. dagli artt. 110 — 73 comma 1 D.P.R. 309/90 perché
in concorso tra loro ed in diverse circostanze di tempo e di luogo,
illecitamente detenevano, trasportavano, al di fuori delle previsioni di cui agli
artt. 17 e 75 D.P.R. 309/90, sostanza stupefacente del tipo cocaina parte
della quale cedevano a persone non identificate per un peso complessivo
superiore a duecento grammi.
In Tuturano e comunque in provincia di Brindisi il 16.02.2005, il
06.03.2005, il 22.05.2005, il 17.06.2005, 21.06.2005.

CAPO 13)
FAI Vito
per il reato p. e p. dall’ art. 110 — 73 comma 1 D.P.R. 309/90 perché in
concorso con una persona non identificata di nome Massimo, al di fuori delle
previsioni di cui agli artt. 17 e 75 D.P.R. 309/90, cedeva sostanza
stupefacente del tipo cocaina a diverse persone non identificate tra le quali
tale Minu Santinu.
In Tuturano il 02.03.2005.

CAPO 14)
FAI Vito

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per il reato p. e p. dal!’ art. 110 — 73 comma 1 D.P.R. 309/90 perché in
diverse circostanze di tempo e di luogo, illecitamente deteneva, trasportava,
al di fuori delle previsioni di cui agli artt. 17 e 75 D.P.R. 309/90, sostanza
stupefacente del tipo cocaina ed hashish parte della quale cedeva a diverse
persone non identificate tra le quali tale Giovanni e tale Mimmo.
In Tuturano e comunque in provincia di Brindisi il 05.03.2005, il

CAPO 15)
FAI Vito — (SCHIAVONE Vincenzo)
per il reato p. e p. dagli artt. 110 — 73 comma 1 D.P.R. 309/90 perché
in concorso tra loro ed in diverse circostanze di tempo e di luogo,
illecitamente detenevano, trasportavano, al di fuori delle previsioni di cui agli
artt. 17 e 75 D.P.R. 309/90, sostanza stupefacente del tipo cocaina, parte
della quale cedevano a persona non identificata.
In Tuturano e comunque in provincia di Brindisi il 30.05.2005 ed il
01.06.2005.

CAPO 17)
FAI Vito
per il reato p. e p. dall’ art. 73 comma 1 D.P.R. 309/90 perché cedeva,
al di fuori delle previsioni di cui agli arti. 17 e 75 D.P.R. 309/90, sostanza
stupefacente del tipo hashish a Fai Giuseppe.
In Tuturano e comunque in provincia di Brindisi il 30.06.2005.

CAPO 44)
BRUNO Andrea — Melechì Emanuele — FAI Vito — FAI Piero —
(FURONE Angelo)
per il reato di cui all’ad. 291 co. 1,2,4 quater D.P.R. n.43/1973 per aver
fatto parte, unitamente ad altre persone allo stato ignote, di un’associazione
per delinquere armata finalizzata a commettere più delitti di cui all’ad. 291 bis
stesso decreto; in particolare, tale associazione era promossa, costituita,
diretta ed organizzata da Bruno Andrea e Melechì Emanuele, mentre il Fai
Vito, Fai Piero e Furone Angelo ne facevano parte in qualità di partecipi.

g

22.03.2005, 05.04.2005, il 24.09.2005.

Accertato in agro di Torre S.S. e paesi limitrofi dal 2004 con
permanenza.

CAPO 45)
BRUNO Andrea — MELECHI’ Emanuele
per il reato di cui all’art. 110 – 291 bis D.P.R. n.4311973 perché in
concorso tra loro, introducevano, vendevano, trasportavano , acquistavano

e/o detenevano un quantitativo di tabacco lavorato estero superiore a dieci
Kg.
Accertato in agro di Torre S.S in data antecedente e prossima il
07/01/2005.

CAPO 46)
BRUNO Andrea – MELECHI’ Emanuele
per il reato di cui all’art. 110 – 291 bis D.P.R. n.4311973 perché in
concorso con persona non identificata, introducevano, vendevano,
trasportavano, acquistavano e/o detenevano un quantitativo di tabacco
lavorato estero superiore a dieci Kg.
Accertato in agro di Torre S.S in data 17.02.2005.

CAPO 47)
BRUNO Andrea – MELECHI’ Emanuele
per il reato di cui all’art. 110 – 291 bis D.P.R. n.4311973 perché in
concorso con persona non identificata, introducevano, vendevano,
trasportavano, acquistavano e/o detenevano un quantitativo di tabacco
lavorato estero superiore a dieci Kg.
Accertato in agro di Torre S.S in data antecedente e prossima il
12.03.2005.

CAPO 49)
BRUNO Andrea
per il reato di cui all’art. 110 – 291 bis D.P.R. n.4311973 perché in
concorso con persona non identificata, introduceva, vendeva, trasportava,

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acquistava e/o deteneva un quantitativo di tabacco lavorato estero superiore
a dieci Kg.
Accertato in agro di Torre S.S in data 09.04.2005.

CAPO 50)
FAI Vito — FAI Piero — (FURONE Angelo)

concorso tra loro introducevano, vendevano, trasportavano, acquistavano e/o
detenevano un quantitativo di tabacco lavorato estero superiore a dieci Kg.
Accertato in agro di Torre S.S. in data 10/03/2005 e 29.03.2005.

CAPO 52)
FAI Vito
per il reato di cui all’art. 110 – 291 bis D.P.R. n.43/1973 perché in
concorso con persona non identificata, introduceva, vendeva, trasportava,
acquistava e/o deteneva un quantitativo di tabacco lavorato estero superiore
a dieci Kg.
Accertato in agro di Torre S.S in data antecedente e prossima il 05.04.
— 06.04 — 28.04 e 30.07.2005.

CAPO 53)
FAI Piero — (FURONE Angelo)
per il reato di cui all’art. 81 — 110 – 291 bis D.P.R. n.43/1973 perché in
concorso tra loro, introducevano, vendevano, trasportavano , acquistavo e/o
detenevano un quantitativo di tabacco lavorato estero superiore a dieci Kg.
Accertato in agro di Torre S.S. in data 06/04/2005.

CAPO 54)
FAI Vito — FAI Piero — (VITALE Adriano)
per il reato p. e p. dagli artt. 56 — 628 comma III n.1 c.p. perché, al fine
di trarre un ingiusto profitto, in concorso tra loro e con Chiarello Domenico, Di
Nardo Francesco e Vassallo Vincenzo – per i quali si è proceduto
separatamente essendo stati arrestati in flagranza di reato – con il compito i
primi tre di illustrare i percorsi da seguire per raggiungere l’Ufficio Postale di

per il reato di cui all’art. 81 — 110 – 291 bis D.P.R. n.43/1973 perché in

Monteroni, le vie di fuga nonchè la sede della locale stazione dei Carabinieri,
i secondi con il compito di mettere a disposizione due pistole, cappellini con
visiera e guanti in lattice che effettivamente riponevano all’interno di una
autovettura da utilizzare per dirigersi nei pressi del predetto Ufficio Postale
ove poi eseguivano giri di ricognizione, ponevano in essere idonei atti diretti
in modo non equivoco ad impossessarsi di denaro e valori nella disponibilità
del già sopra indicato Ufficio Postale.

Fatto aggravato perché commesso con armi.
Fatto non portato a consumazione per il pronto intervento dei
Carabinieri.
In Monteroni tra il 01 giugno 2005 ed il 04 giugno 2005

CAPO 55)
BRUNO Andrea — (Bruno Vincenzo di Giuseppe) –

MELECHI’

Emanuele — CARLUCCIO Antonio.

per il reato p. e p. dall’art. 648 bis c.p. perché in concorso tra di loro,
procedendo allo smontaggio di un camion provento di furto denunciato in
data 14.06.2005, al quale era stato rimosso il motore, cabina, cassone
ribaltabile e ruote anteriori, nonché effettuando il taglio dei due longheroni
riportanti il numero del telaio, compivano operazioni finalizzate ad ostacolare
la provenienza delittuosa del camion di cui sopra.
In Torre Santa Susanna il 17/06/2005.

La decisione di primo grado
Con Sentenza dell’11.07.2011 il Tribunale di Brindisi
DICHIARO’:
BRUNO Andrea colpevole dei reati ascrittigli ai capi 1), 2), 3), 4), 6), 7),

10), 44), 45), 46), 47), 49) e 55) della rubrica, con esclusione delle aggravanti
dell’essere l’associazione composta di più di dieci persone e da associati
dediti all’uso di sostanze stupefacenti;
CARLUCCIO Antonio colpevole del reato ascrittogli al capo 55) della

rubrica;
FAI Piero colpevole dei reati ascrittigli ai capi 3), 9), in esso incluso il

fatto contestato al capo 12) limitatamente all’episodio del 21-6-2005, 44), 50),
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53) e 54) della rubrica con esclusione delle aggravanti dell’essere
l’associazione composta di più di dieci persone e da associati dediti all’uso di
sostanze stupefacenti;
FAI Vito colpevole dei reati ascrittigli ai capi 3), 9), in esso incluso il

fatto contestato al capo 12) limitatamente all’episodio del 21-6-2005, 13), 14,
limitatamente agli episodi del 5-2-005 e del 24-9-2005, 15), limitatamente
all’episodio del 1°-6-2005, 17), 44), 50), 52), escluso l’episodio del 5-4-2005,

e 54) della rubrica con esclusione delle aggravanti dell’essere l’associazione
composta di più di dieci persone e da associati dediti all’uso di sostanze
stupefacenti;
MELECHI’ Cosimo colpevole del reato ascrittogli al capo 10) della

rubrica;
MELECHI’ Emanuele colpevole dei reati ascrittigli ai capi 1), 2), 3), 4),

6), 7), 10), 44), 45), 46), e 47) e 55) della rubrica con esclusione
dell’aggravante di cui al comma 1° dell’art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990 con
esclusione delle aggravanti dell’essere l’associazione composta di più di
dieci persone e da associati dediti all’uso di sostanze stupefacenti;
MELECHI’ Daniele colpevole dei reati ascrittigli ai capi 1) e 2) della

rubrica;
TORSELLO Damiano Cosimo colpevole del reato ascrittogli al capo 1)

della rubrica;
E LI CONDANNO’:
BRUNO Andrea alla pena di anni ventisei di reclusione;
CARLUCCIO Antonio, previa concessione delle attenuati generiche,

alla pena di anni tre di reclusione ed euro 800,00 di multa.
FAI Piero alla pena di anni tredici di reclusione;
FAI Vito alla pena di anni diciassette di reclusione ;
MELECHI’ Cosimo alla pena di anni sette di reclusione ed euro di

multa 30.000,00 di multa;
MELECHI’ Emanuele, alla pena di anni diciannove di reclusione;
MELECHI’ Daniele alla pena di anni nove e mesi tre di reclusione;
TORSELLO Damiano Cosimo previa concessione delle circostanze

attenuati generiche equivalenti sulla contestata aggravante dell’essere
l’associazione armata, alla pena di anni cinque di reclusione;
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(ASSOLSE: BRUNO Andrea dai reati ascrittigli ai capi 5), 8), 48) e 51)

della rubrica perché il fatto non sussiste; FAI Vito dal reato ascrittogli al capo
1) per non avere commesso il fatto e dai reati di cui ai capi 8), 12),
relativamente agli episodi del 16-2-2005, 6-3-2005, 22-5-2005 e 17-6-2005,
14), relativamente all’episodio del 5-3-2005 e del 22-3-2005, 15)
relativamente all’episodio del 30-5-2005, 16), 19), 48), 51) e 52),
relativamente all’episodio del 5-4-205, perché il fatto non sussiste; FAI Piero

2005, 22-5-2005 e 17-6-2005; MELECHI’ Cosimo

dai reati ascrittigli al capo 12), relativamente agli episodi del 16-2-2005, 6-3dal reato ascrittogli al

capo 3) per non avere commesso il fatto; MELECHI’ Emanuele dai reati
ascrittigli ai capi 5) e 8) della rubrica perché il fatto non sussiste; MELECHI’
Daniele dai reati ascrittigli ai capi 3), 6) e 10) della rubrica per non avere

commesso il fatto; TORSELLO Damiano Cosimo dai reati ascrittigli ai capi
2) e 3) della rubrica per non avere commesso il fatto; FAI Giuseppe dal
reato di cui al capo 3) per non avere commesso il fatto e dal reato di cui capo
18) perché il fatto non sussiste;
Nei confronti della sentenza di primo grado proposero l’appello:

a)

il pubblico ministero;

b)

l’avv. Raffaele Missere quale difensore di MELECHI’ Daniele;

c)

l’avv. Gianvito Lillo quale difensore di FAI Vito e FAI Piero;

d)

l’avv. Cosimo LODESERTO quale difensore di CARLUCCIO

Antonio, MELECHF Cosimo e TORSELLO Cosimo Damiano, con distinti atti;
e)

l’avv. Giuseppe TERRAGNO quale difensore di BRUNO Andrea;

f)

gli avv. Vito EPIFANI e Cosimo LODESERTO nell’interesse di

BRUNO Andrea (di cui è difensore l’avv. EPIFANI) e MELECHI’ Emanuele
(di cui sono difensori entrambi).
A) L’appello del pubblico ministero riguarda la posizione di tutti i
soggetti imputati in questo giudizio di appello, fatta eccezione per MELECHI’
Cosimo. Con esso il P.M., in sintesi:
ha lamentato la mancata applicazione dell’aumento obbligatorio
della pena, ex artt. 99 co. 5 c.p. — 407 co. 2 c.p.p., per la recidiva reiterata
contestata agli imputati BRUNO Andrea, FAI Piero, FAI Vito, MELECHI’
Emanuele, MELECHI’ Daniele;

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ha contestato l’assoluzione dal capo 1 per FAI Vito e dai capi 3 e
10 per MELECHI’ Daniele;
ha chiesto l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 74 co. 3

d.p.r. 309/1990 per BRUNO Andrea, FAI Piero, FAI Vito, MELECHI’
Emanuele, MELECHI’ Daniele;
ha chiesto un aumento di pena per tutti gli imputati nei cui

B) Con l’appello proposto nell’interesse di MELECHI’ Daniele, l’avv.
Raffaele Missere, in sintesi:
ha formulato alcune eccezioni di nullità di atti e di inutilizzabilità

di intercettazioni in relazione alle modalità di svolgimento delle indagini
preliminari;
ha dedotto l’illegittimità del diniego di rito abbreviato
condizionato, ritualmente richiesto dall’imputato, e ha chiesto pertanto
l’applicazione, in questo grado del giudizio, della riduzione di pena connessa
alla scelta del rito;
ha dedotto l’estraneità di MELECHI’ Daniele ai reati a lui attribuiti,
sia per l’erroneo riconoscimento della sua voce nella captazione ambientale
n. 2022 (decr. 654/04), sia per l’erronea interpretazione, da parte del primo
giudice, delle conversazioni intercettate;
ha chiesto in ogni caso la riduzione della pena, perché

eccessiva.

C) Con l’appello proposto nell’interesse di FAI Vito e FAI Piero, l’avv.
Gianvito Lillo, in sintesi:

ha dedotto l’illegittimità del diniego di rito abbreviato condizionato,

ritualmente richiesto dagli imputati, e ha chiesto pertanto l’applicazione, in
questo grado del giudizio, della riduzione di pena connessa alla scelta del
rito;

ha eccepito l’inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali di cui al

decreto 582/04 per violazione dell’art. 368 co. 2 c.p.p.;

ha dedotto che le singole violazioni dell’art. 73 D.P.R. 309/1990

contestate in questo processo sono riconducibili a quanto già accertato
nell’ambito della c.d. Operazione Cocktail (nell’ambito della quale i fratelli
FAI, sulla base di intercettazioni telefoniche ed indagini della Questura di

confronti ha proposto l’impugnazione.

Brindisi, erano stati arrestati 1’11.4.2007), con conseguente violazione del
principio del ne bis in idem o, in subordine, con necessità di ritenere le ipotesi
dei due procedimenti unificate ex art. 81 cc. 2 c.p.;
– ha dedotto l’estraneità dei fratelli FAI all’associazione per delinquere
di cui al capo 3), evidenziando che le conversazioni intercettate e
considerate nella sentenza di primo grado non erano idonee a provare la loro
consapevolezza di partecipare e contribuire all’associazione criminosa in

questione;
– in ordine ai reati di contrabbando, ha dedotto la mancanza di prova
che oggetto del commercio fossero tabacchi lavorati esteri e l’inidoneità dei
reati-fine, peraltro di ristretto arco temporale, a provare la sussistenza
dell’associazione di cui al capo 44), in mancanza di prova di un programma
criminoso illimitato e di vincoli associativi;
– ha negato la responsabilità dei fratelli FAI per il reato di cui al capo
54), non potendo ravvisarsi nella loro condotta un contributo agevolatore
rispetto alla commissione del fatto;
– ha chiesto in ogni caso la riduzione della pena, perché eccessiva.
D1) Con l’appello proposto nell’interesse di CARLUCCIO Antonio, l’avv.
Cosimo Lodeserto, in sintesi:
– ha negato il coinvolgimento del suo assistito nel reato di cui al capo
55), contestando l’identificazione dell’imputato, operata dal primo giudice
sulla base delle dichiarazioni dei testi escussi, nelle conversazioni nn. 3562 e
3563 (decr. 654/04).
D2) Con l’appello proposto nell’interesse di MELECHI’ Cosimo, l’avv.
Cosimo Lodeserto, in sintesi:
– ha chiesto l’assoluzione del suo assistito per non aver commesso il
fatto in relazione al capo 10) e, in subordine, la riqualificazione del fatto in
favoreggiamento reale, evidenziando la presenza meramente occasionale
dell’imputato nel fondo, l’indisponibilità da parte sua delle chiavi del casolare
e la mancanza di consapevolezza che nel deposito fosse custodita sostanza
stupefacente;
– ha chiesto in ogni caso la riduzione della pena, perché eccessiva.
D3) Con l’appello proposto nell’interesse di TORSELLO Cosimo
Damiano, l’avv. Cosimo Lodeserto, in sintesi:

2

15

- ha chiesto l’assoluzione del suo assistito dal reato di cui al capo 1)
perché il fatto non sussiste o per non averlo commesso, evidenziando la
mancanza di prova della permanenza anche negli anni 2004 — 2006 in Torre
Santa Susanna della stessa “frangia” mafiosa della S.C.U., la cui operatività,
capeggiata da BRUNO Ciro, era stata accertata negli anni 1987 — 2003 e,
con specifico riferimento alla posizione di TORSELLO, sostenendo che gli
episodi considerati dal Tribunale non sono comunque idonei a provare la sua

adesione all’ipotizzato sodalizio criminoso;
– ha dedotto l’illegittimità del diniego di rito abbreviato condizionato,
ritualmente richiesto dall’imputato, e ha chiesto pertanto l’applicazione, in
questo grado del giudizio, della riduzione di pena connessa alla scelta del
rito;
– ha chiesto in ogni caso la riduzione della pena, perché eccessiva.
E) Con l’appello proposto nell’interesse di BRUNO Andrea, l’avv.
Giuseppe Terragno, in sintesi:
– ha chiesto l’assoluzione del suo assistito nel reato di cui al capo 1)
perché il fatto non sussiste, rilevando l’inidoneità di riferimenti a fenomeni
associativi cessati negli anni ’90 per qualificare l’associazione criminosa per
cui è causa; ha contestato, inoltre, l’idoneità delle vicende da cui il Tribunale
ha desunto la forza intimidatrice dell’associazione a provare la sussistenza
del reato associativo contestato, trattandosi di ricostruzioni fondate su testi
poco credibili ovvero meramente congetturali o, in altri casi, di episodi privi di
effettivi contenuti inizianti; ha dedotto altresì la mancanza di prova che la
detenzione delle armi fosse preordinata alla realizzazione degli scopi
associativi;
– con riferimento al reato di cui al capo 2), ha chiesto l’assoluzione del
suo assistito perché il fatto non sussiste limitatamente agli episodi ritenuti
sulla base delle captazioni 115 (decr. 933/05) e 2022 (decr. 654/04),
erroneamente interpretate dal Tribunale;
– ha chiesto l’assoluzione del suo assistito dai reati di cui ai capi 4), 6)
e 7) perché il fatto non sussiste, ritenendo erronea l’interpretazione delle
conversazioni esposta nella sentenza di primo grado;
– ha chiesto l’assoluzione del suo assistito dei reati di cui ai capi 44),
45), 46, 47) e 49) perché il fatto non sussiste, non avendo le conversazioni

16

ad oggetto tabacchi lavorati esteri e in mancanza di qualsiasi struttura
associativa, poiché l’imputato operava autonomamente;
– ha chiesto l’assoluzione del suo assistito dal reato di cui al capo 3)
perché il fatto non sussiste, mancando la prova dell’esistenza del sodalizio
criminoso ipotizzato in contestazione;
– ha chiesto l’assoluzione del suo assistito dal reato di cui al capo 10)
per non aver commesso il fatto, in quanto estraneo alla detenzione della

sostanza stupefacente;
– ha chiesto una differente qualificazione del fatto contestato al capo
55), avendo il suo assistito ammesso la sua responsabilità per il furto;
– ha dedotto l’illegittimità del diniego di rito abbreviato condizionato,
ritualmente richiesto dall’imputato, e ha chiesto pertanto l’applicazione, in
questo grado del giudizio, della riduzione di pena connessa alla scelta del
rito;
– ha chiesto in ogni caso la riduzione della pena, perché eccessiva.
F) Con l’appello proposto nell’interesse di BRUNO Andrea (di cui è
difensore l’avv. EPIFANI) e di BRUNO Vincenzo e MELECHI’ Emanuele (di
cui sono difensori entrambi), gli avv. Vito Epifani e Cosimo Lodeserto, in
sintesi:
– con riferimento alle contestazioni relative ai reati di cui agli artt. 73 e
74 D.P.R. 309/1990, hanno chiesto l’assoluzione degli imputati, osservando
che le conversazioni intercettate, molte delle quali specificamente esaminate
nell’atto di appello, sono state erroneamente interpretate dal primo giudice,
sia con riferimento agli oggetti delle varie conversazioni, sia per quanto
attiene alla identificazione delle persone nominate; hanno rimarcato, altresì,
l’estraneità di BRUNO Andrea all’episodio di cui al capo 10) della rubrica e al
sequestro operato il 1°.3.2006 a carico di DIVIGGIANO e BERNARDINI e la
non attribuibilità agli imputati del sequestro di alcune sostanze chimiche
avvenuto il 26.2.2005; hanno dedotto, poi, l’inutilizzabilità delle dichiarazioni
di PENNA Ercole, poiché de relato, inattendibili e prive di riscontri, e
l’inidoneità delle dichiarazioni di PASSASEO Giuseppe a fornire elementi di
prova in ordine agli imputati per il periodo precedente l’estate 2006;
– hanno chiesto l’assoluzione degli imputati dal reato di cui al capo
44) perché il fatto non sussiste, evidenziando che pochi episodi di

R

17

contrabbando non sono comunque sufficienti a integrare una ipotesi
associativa;
– hanno chiesto l’assoluzione di MELECHI’ Emanuele dal reato di cui
al capo 1) perché il fatto non sussiste e, in ogni caso, per mancanza di prova
in ordine alla partecipazione e al ruolo dell’imputato nell’ambito dell’ipotizzato
sodalizio criminoso;
– hanno dedotto l’illegittimità del diniego di rito abbreviato

condizionato, ritualmente richiesto dall’imputato, e hanno chiesto pertanto
l’applicazione, in questo grado del giudizio, della riduzione di pena connessa
alla scelta del rito;
– hanno chiesto in ogni caso la riduzione della pena inflitta agli
imputati, perché eccessiva.
La Corte d’appello di Lecce con sentenza, del 05/0312013, in
riforma dell’impugnata sentenza assolse BRUNO Andrea dal reato a lui
ascritto al capo 4 perché il fatto non sussiste e, applicato l’aumento ex art. 99
co. 5 c.p., rideterminò nei suoi confronti la pena, per i restanti reati, in anni
trentaquattro e mesi uno di reclusione, ricondotta ad anni trenta di reclusione
ai sensi dell’art. 78 c.p.;
a)

rideterminò la pena nei confronti di CARLUCCIO Antonio in anni

quattro di reclusione ed euro 2.000,00 di multa;
b)

assolse FAI Piero dal reato a lui ascritto al capo 53 perché il fatto

non sussiste e, applicato l’aumento ex art. 99 co. 5 c.p., rideterminò nei suoi
confronti la pena, per i restanti reati, in anni sedici e mesi nove di reclusione;
c)

applicato l’aumento ex art. 99 co. 5 c.p., rideterminò la pena nei

confronti di FAI Vito in anni diciotto di reclusione;
d)

applicato l’aumento ex art. 99 co. 5 c.p., rideterminò la pena nei

confronti di MELECHI’ Daniele in anni dieci e mesi tre di reclusione;
e)

assolse MELECHI’ Emanuele dal reato a lui ascritto al capo 4

perché il fatto non sussiste e, applicato l’aumento ex art. 99 co. 5 c.p.,
rideterminò nei suoi confronti la pena, per i restanti reati, in anni ventuno e
mesi dieci di reclusione;
O

valutate come prevalenti le attenuanti generiche già riconosciute

nei confronti di TORSELLO Damiano Cosimo, confermò la pena di anni
cinque di reclusione inflittagli.

18

Confermò nel resto la sentenza impugnata.
Ricorrono per Cassazione i difensori di Bruno Andrea e Melechì
Emanuele che preliminarmente riconoscono che il Giudice di legittimità non

può sovrapporre una propria valutazione delle risultanze processuali a quella
già compiuta dai Giudici di merito e che per le intercettazioni l’interpretazione
del linguaggio usato e del contenuto delle conversazioni costituisce

2013/11794, CED 254439); sottolineano, però, che nel caso di specie è stata
travisata la prova relativa alle intercettazioni e citano, quindi, giurisprudenza
di questa Corte che riconosce la possibilità di prospettare, in tali casi, una
diversa interpretazione delle conversazioni captate (Cass. 2007/38915, CED
237994). I difensori degli imputati affrontano, poi, la tematica relativa alle c.d.
“regole o massime di esperienze”, fornendone la definizione e il contenuto

(richiamando giurisprudenza e dottrina; citano Cass. 2012/1775 CED
254196; 2007/16532 CED 237145; 2012/6582 CED 254572), al fine di
dimostrare il grave errore nel quale sono caduti i Giudici di merito. Invero, i
difensori dei ricorrenti rilevano che i Giudici di merito hanno ritenuto che
anche nelle conversazioni ambientali gli imputati abbiano usato un linguaggio
criptico, poi, interpretato. Orbene secondo la difesa dei ricorrenti tale assunto
non solo è contrario ad ogni logica e alle regole o massime di esperienze, ma
anche alle risultanze processuali perché nelle stesse intercettazioni gli
imputati parlano liberamente ed esplicitamente di vari reati, tra i quali anche
quelli inerenti la droga (alle pagine 7 e 8 del ricorso si segnalano vari esempi
a conferma di quanto sopra; si vedano anche le pagine da 10 a 14; a pagina
15 viene richiamato una sentenza di questa Corte con la quale si fissano i
principi da seguire per individuare il significato complessivo e reale della
conversazione captata: Cass. 2004/21726 CED 228573). Quindi affermare
che Bruno Andrea e Melechì Emanuele in qualsiasi conversazione captata
usino un linguaggio “non esplicito e, quindi, necessariamente allusivo”
costituisce un evidente travisamento della prova. I difensori dei ricorrenti
procedono, poi, all’esame dei singoli reati per i quali sollevano questioni,
ferma restando quella già ampiamente trattata del travisamento della prova
relativa alla ritenuta cripticità del linguaggio anche nelle conversazioni
ambientali. Da pagina 16 a pagina 25 si affrontano le questioni relative ai

questione di fatto rimessa alla valutazione di merito (citano, tra le altre, Cass.

reati di cui all’art. 110 c.p. e art. 73 D.P.R. 309/90 (capi 6, 7 e 10 della
rubrica). In particolare alle pagine da 16 a 18 si segnala — per il capo 6 – che
la Corte di appello non ha fornito alcuna risposta al contrasto esistente tra
quanto trascritto dal Perito e quanto trascritto dal Consulente di parte (ci si
riferisce ad esempio: “è stata tagliata … qua dietro la tieni … ce la fai a
mandarmela..” frasi che non sono state trascritte nella Consulenza di parte

perché ritenute assolutamente incomprensibili). Inoltre la difesa dei ricorrenti

segnala che in altra intercettazione i conversanti affermano “l’hanno tagliata
con il coltello”, ma si riferiscono con evidenza ad una gomma di autovettura.

Anche su questo punto segnalano il silenzio della Corte di merito. Per il capo
7 si segnala (pagina 19) che la frase “leva 5 gram … unitamente a rumori di
sottofondo, come prodotti dal maneggiare plastica o simili” è monca e non

può essere con sicurezza riferita alla droga. Per il capo 10 si segnala che
dalle conversazioni indicate emerge con chiarezza che la posizione del
Bruno — che era del tutto ignaro della presenza di droga nella casa rurale di
cui parla il Melechì – è completamente slegata da quella del Melechì che per
tale capo è confesso. La difesa dei ricorrenti deduce, inoltre, che in relazione
al fatto che nel corso di una telefonata intercorsa tra Melechì Emanuele e il
fratello Cosimo sarebbe stata captata anche la voce di una persona vicina a
Melechì Emanuele, era stata richiesta rinnovazione dell’istruzione
dibattimentale per accertare se effettivamente la voce in ambientale fosse
quella del Bruno così come riconosciuta dal Mito Rampino. Anche su questo
punto la Corte non ha fornito alcuna risposta. Alle pagine da 26 a 29 del
ricorso si affrontano le questioni generali relative all’associazione di cui
all’art. 74 D.P.R. 309/90 (capo 3 della rubrica). In particolare si evidenzia che
Bruno Andrea ha avuto frequentazione solo con il Melechì Emanuele (e
come detto ignorava del tutto che questi detenesse la droga sequestrata di
cui sopra) e non risulta che il Bruno abbia operato stabilmente e
sistematicamente con qualcuno degli altri soggetti ritenuti appartenenti
all’associazione. Inoltre dagli atti emerge che: il Bruno nulla sapeva della
droga e delle armi sequestrate al duo Diviggiano Salvatore e Berardini
Cosimo; che i rapporti tra il Bruno e Fai Vito era limitato solo al contrabbando
dei tabacchi. Alle pagine da 30 a 43 la difesa esamina le tre intercettazioni
ambientali ritenute, dai Giudici di merito, di particolare rilievo per la condanna
20

del Bruno in ordine al reato associativo (capo 3). In primo luogo i difensori
tornano sulla illogicità di ritenere che nelle predette tre intercettazioni
ambientali si usi un linguaggio criptico anche perché gli altri conversanti (ad
esempio Diviggiano e Bernardino) in altre intercettazioni parlano di droga in
modo esplicito. La difesa osserva, poi, che per quanto riguarda la prima parte
dell’intercettazione n. 2156 del 18.03.2005 (nella quale si parla di “una cosa”

Corte di merito non ha risposto “a quanto argomentato, in maniera specifica,
a pagina 29 dei motivi di gravame a firma degli Avvocati Epifani e
Lodeserto’). Per quanto riguarda la seconda parte dell’intercettazione – nella

quale si parla di un episodio inerente alla droga; ma avvenuto nel 1999 e di
un commento ad un articolo di giornale inerente sempre un traffico di droga —
la difesa osserva che la corte di appello non ha tenuto conto: per l’episodio
del 1999 del contenuto dell’intercettazione nel quale si dice “va 13è è un fatto
di parecchi anni fà eh … al novantanove” (si veda pagina 35 del ricorso); e

per il commento dell’articolo sul giornale che nella stessa trascrizione del
perito (a pagina 172) si legge “non ieri, l’ho letto oggi però” (si veda pagina
36 del ricorso nella quale si richiamano le pagine dell’appello — 35 e 36 —
nelle quali si evidenziavano tutti i dati obiettivi che coincidevano con la lettura
della predetta conversazione). Per l’intercettazione n. 2270 del 24.03.2005 la
difesa del ricorrente osserva che il legare la parola “pasta”, che compare nei
colloqui, con il materiale sequestrato nei pressi della Masseria Canali
(acetone, etere etilico e acido cloridrico) è arbitrario non solo per la distanza
del luogo ove sono state rinvenute le sostanze sequestrate e la Masseria, ma
anche perché i prodotti chimici di cui sopra presuppongono l’esistenza di un
laboratorio chimico di cui non vi è traccia negli atti; infine la difesa osserva
che non vi è alcuna risposta alle censure mosse nelle pagine da 66 a 68
dell’appello (si vedano pagine 40 e 41 del ricorso). Per la l’intercettazione n.
3206 del 25.05.2005 la difesa segnala che non vi è alcuna spiegazione nella
sentenza impugnata che possa giustificare l’interpretazione che anche
quando il Bruno usa il genere maschile si riferisca alla droga. Alle pagine da
44 a 48 la difesa del ricorrente affronta l’esame di altre intercettazioni;
evidenzia che anche nei colloqui con Fai Vito (il quale in altre ambientali
parla esplicitamente di cocaina) il Bruno non parla mai esplicitamente di

e poi di “110 litri”, di gasolio secondo il Bruno; si veda pag. 32 del ricorso) la

droga, mentre parla esplicitamente di contrabbando di sigarette. Questo a
conferma dell’illogicità del metodo di interpretazione delle intercettazioni
ambientali operata dai Giudici di merito. La difesa del ricorrente evidenzia
come la Corte di appello non fornisca alcuna giustificazione (non indica da
quale intercettazione o da altra prova si fondi tale convincimento) sul ruolo di
preminenza del Bruno nell’ambito dell’associazione di cui all’art. 74 D.P.R.
309/90. La difesa alle pagine da 53 a 56 evidenzia le ragioni per le quali

ritiene carente, manifestamente illogica e contraddittoria la motivazione per
quanto riguarda la condanna per il reato di associazione a delinquere
finalizzata al contrabbando (capo 44). Infatti non vi è alcuna prova dalla
quale desumere un collegamento tra Bruno Andrea e Melechì Emanuele con
gli altri imputati dello stesso reato; conferma quanto sopra che i singoli reato
di contrabbando sono stati contestati in concorso solo tra Bruno Andrea e
Melechì Emanuele, mentre non vi è alcun reato di contrabbando contestato a
predetti Bruno e Melechì con gli altri imputati del reato associativo. La difesa
alle pagine da 57 a 80 evidenzia le ragioni per le quali ritiene carente,
manifestamente illogica e contraddittoria la motivazione per quanto riguarda
la condanna per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso
(capo 1). In particolare la difesa dei ricorrenti evidenzia che la Corte di
appello non ha risposto — o lo ha fatto in modo apparente – a nessuna delle
censure contenute nell’appello proposto dall’Avvocato Giuseppe Terragno. In
particolare la difesa evidenzia le varie vicende richiamate dai Giudici di
merito a sostegno della condanna, riportando i vari motivi di appello
riguardanti le predette vicende e poi confrontandoli con le risposte della
Corte di merito (vicenda Guerriero Cosima: punto primo — testimonianza
Palma Sergio — da pagina 58 a 61; punto secondo — lesioni riportate da
Pungente Oronzo – da pagina 62 a 65; punto terzo — credibilità delle
dichiarazioni di Guerriero Cosima – da pagina 65 a 69. Vicenda Padula Ugo
da pagina 69 a 72; vicenda Puddu Francesco da pagina 72 a 75; vicenda
Parato Cosimo e De Punzio Giovanni da pagina 75 a 76; l’ipotizzato
condizionamento in ambito elettorale da pagina 77 a 78; vicenda degli addetti
allo scavo nella proprietà di Diviggiano Salvatore da pagina 78 a 80). Infine la
difesa dei ricorrenti da pagina 81 a pagina 94 si duole per l’esclusione dei
benefici del giudizio abbreviato. In particolare evidenzia che le motivazioni

22

del G.I.P. – per non accogliere la richiesta di giudizio abbreviato condizionato
alla trascrizione di 15 intercettazioni per le quali vi era il dubbio che la bobina
originale si fosse rotta e quindi era impossibile allo stato anche ascoltare solo
la traccia fonica o ottenere la duplicazione — e del Tribunale e della Corte di
appello per negare l’esclusione dei benefici del giudizio abbreviato erano
diverse e tale diversità ha inciso negativamente sul diritto di difesa.
La difesa dei ricorrenti conclude, pertanto, per l’annullamento

Ricorre per Cassazione il difensore di

dell’impugnata sentenza.

Carluccio Antonio che

preliminarmente effettua le stesse osservazioni contenute nel primo ricorso
(relativo a Bruno Andrea e Melechì Emanuele) sui poteri della Corte di
Cassazione, sul travisamento della prova e sulle massime di esperienza.
Deduce, poi, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione sull’individuazione di Carluccio Antonio come l’interlocutore nelle
conversazioni intercettate n. 3562 e 3563. In particolare evidenzia che la
Corte di merito non risponde alle doglianze sull’individuazione di cui sopra
solo in forza del riconoscimento effettuato dal M.Ilo Rampino che, però, non
ha spiegato sulla base di quali elementi è pervenuto a tale riconoscimento e
soprattutto in assenza di ulteriori riscontri (cita Cass. 2010 n. 1987 e Cass.
2011 n.10377 entrambe non massimate).

Il difensore del ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.
Ricorre per Cassazione il difensore di Fai Vito e di Fai Piero che con il
primo motivo eccepisce la violazione di legge per inosservanza di quanto
stabilito nell’art. 268 del c.p.p. anche in tema di inutilizzabilità (in relazione
alle intercettazioni ambientali di cui al decreto 582/2004 R.I.). In particolare
evidenzia che il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce —
P.M. procedente — chiese alla Procura di Brindisi la disponibilità degli impianti
per procedere alle intercettazioni di cui sopra; a fronte della risposta negativa
per indisponibilità degli impianti installati presso la predetta Procura di
Brindisi il Procuratore di Lecce autorizzò l’utilizzo di impianti esterni alla
Procura. E’ evidente che il Procuratore della Repubblica prima di avvalersi,
per l’intercettazione, di impianti esterni avrebbe dovuto verificare se gli
impianti installati presso la Procura di Lecce (ufficio giudiziario più grande di

23

quello di Brindisi) fossero disponibili; la scelta del P.M. procedente appare
elusiva del dettato dell’art. 268 del cod. proc. penale. Il difensore
dell’imputato si lamenta anche della carenza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione con la quale la Corte di appello ha rigettato
l’eccezione di cui sopra. La difesa del ricorrente, con il secondo motivo, si
duole per l’esclusione dei benefici del giudizio abbreviato esponendo ragioni
analoghe a quelle già rappresentate, per la stessa doglianza, dai ricorrenti

Bruno Andrea e Melechì Emanuele già sopra sintetizzati (con esclusione
della circostanza relativa ad un bobina originale rotta che non compare nel
ricorso dei Fai; sia per Bruno e Melechì Emanuele sia per i fratelli Fai la
richiesta di giudizio abbreviato era condizionata all’espletamento della
trascrizione di alcune intercettazioni). Con il terzo motivo di ricorso il
difensore degli imputati deduce l’illogicità della motivazione con la quale la
Corte di appello ha confermato la condanna per la partecipazione
all’associazione a delinquere di cui all’art. 74 D.P.R. 309/90. In particolare
evidenzia che la prova è costituita dal contenuto di poche conversazioni
intercettate, prova tra l’altro del tutto travisata dai Giudici di merito. Invero a
fronte di articolati motivi di appello la Corte di merito si è limitata ad
esaminare e reinterpretare il contenuto delle varie intercettazioni, limitandosi
a contrastare quanto evidenziato nell’appello — in sintesi che i fratelli Fai
agivano “esclusivamente per interessi personali ed avulsi da una struttura più
ampia che vedeva come protagonisti gli altri coimputati” — con poche righe

nelle quali, tra l’altro, non si dava assolutamente contezza della sussistenza
dell’elemento oggettivo e soggettivo del gravissimo reato attribuito ai predetti
ricorrenti. Con il quarto motivo la difesa dei fratelli Fai evidenzia le ragioni per
le quali ritiene carente, manifestamente illogica e contraddittoria la
motivazione per quanto riguarda la condanna per il reato di associazione a
delinquere finalizzata al contrabbando esponendo argomenti simili a quelli
contenuti nel ricorso di Bruno Andrea e Melechì Emanuele già sopra
sintetizzati. Con il quinto motivo di ricorso il difensore dei fratelli Fai
eccepisce la prescrizione per i reati di cui ai capi 50 e 52 (contrabbando di
tabacchi superiori a 10 chilogrammi pena da due a cinque anni; il primo reato
commesso dal 10.03.2005 al 29.03.2005 e il secondo dal 05.04.2005 al
30.07.2005; sospensione della prescrizione pari a giorni 58 verificatasi in
24

appello) prescrizione che per il reato sub n. 50 si è verificata prima
dell’emissione della sentenza di secondo grado e per il reato sub 52 dopo
l’emissione della predetta sentenza. Con il sesto motivo il difensore dei Fai
deduce la violazione dell’art. 99, VI comma, c.p.; invero la Corte dì Appello —
accogliendo l’impugnazione del Procuratore della Repubblica – ha applicato
la recidiva procedendo però ad un aumento della pena di quattro anni (ex art.

precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo, pari ad anni 2 e
mesi due di reclusione; quindi la pena risulta illegale (il difensore dei
ricorrenti esclude dal computo del cumulo la condanna del G.I.P. di Brindisi
dell’08.11.2007 divenuta irrevocabile in data 04.07.2008 e quindi
successivamente alla commissione dei reati; infatti la Corte di appello ha
fissato il momento della consumazione del reato permanente di cui all’art. 74
D.P.R. 309/90 alla data 01.03.2006 — episodio Diviggiano — e comunque i Fai
sono detenuti a far data dall’11.04.2007 sino alla presentazione del ricorso).
Il difensore dei ricorrenti conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.
Ricorrono per Cassazione i difensori di Melechì Cosimo deducendo
che gli elementi probatori evidenziati nell’impugnata sentenza non
consentono di ritenere il concorso dell’imputato nella detenzione della
sostanza stupefacente da parte del fratello Emanuele che, per tale reato, ha
confessato. Infatti, il ricorrente non aveva la disponibilità del fondo (di
proprietà della suocera del fratello) ove era l’immobile all’interno del quale è
stata rinvenuta la sostanza stupefacente; non aveva le chiavi dell’immobile
all’interno del quale è stata rinvenuta la sostanza stupefacente (come
emerge dall’esito della perquisizione personale effettuata dopo il
rinvenimento della droga); la sua presenza sul fondo era dovuta — come
quella di altri operai — per la costruzione di un muro di cinta; le molte
telefonate intercorse tra lui e il fratello (che, al contrario del ricorrente, si era
dato alla fuga) erano dovute solo alla necessità di informare il fratello dei
movimenti dei Carabinieri affinchè quest’ultimo si regolasse di conseguenza.
I difensori del ricorrente evidenziano, poi, alcuni errori di valutazione del
contenuto delle intercettazioni (la telefonata in cui il ricorrente comunica che
sta per essere arrestato è successiva al rinvenimento della droga; il
a) 25

99, V comma, c.p.) superiore al cumulo delle pene risultante dalle condanne

telefonino del ricorrente che si dice rinvenuto nell’interno dell’immobile ove
era custodita la droga è quello usato per effettuare le varie telefonate al
fratello e non è stato rinvenuto nella stanza chiusa — posta all’interno
dell’immobile di cui sopra — ove era la droga) e della deposizione del Milo
Lazzari. Infine rilevano che se anche si volesse ritenere che il ricorrente
fosse stato messo al corrente dal fratello che all’interno dell’immobile fosse
custodita della droga e che per tale ragione lo stesso ricorrente si fosse

mantenuto in contato con il fratello è chiaro che tali elementi farebbero
ravvisare il reato di favoreggiamento e non già quello di concorso nel reato di
detenzione illecita di sostanza stupefacente. I difensori dell’imputato a
proposito della giurisprudenza citata dalla Corte territoriale (ad es.: Cass.
S.U. 2012 n. 36258 CED 253151) rilevano come in realtà in questa si trattino
casi particolari; citano, quindi, giurisprudenza di questa Corte che, invece,
ritiene possibile, anche per i reati permanenti – come quello di cui all’art. 73
D.P.R. 309/90 -, ravvisare il reato di favoreggiamento e che l’elemento
psicologico è ciò che rileva al fine di distinguere tra il favoreggiamento e il
concorso in detenzione illecita di sostanze stupefacenti (si veda ad es.: Cass.
2008 n. 22394 CED 241119; Cass. Sez. 3, del 20.04.2011 n. 36814 imp. Ji
YanYan, non massimata). Rilevano, infine, che Melechì Emanuele e Cosimo
non avevano più la detenzione della sostanza stupefacente dal momento
dell’intervento dei C.C. che presidiarono l’immobile ove era occultata la droga
fino all’apertura forzata dello stesso (si veda in proposito quanto affermato
dalla sentenza YanYan di cui sotto). Con il secondo motivo di ricorso i
difensori dell’imputato eccepiscono la nullità assoluta – rilevabile in ogni stato
e grado del processo – della correzione dell’errore materiale effettuato dallo
stesso Tribunale di Brindisi in data successiva (12.12.2011) a quella in cui
sono stati depositati i motivi di appello (data prossima al 23.11.2011; si cita
per la nullità giurisprudenza sul punto: Cass. 2004 n. 47456 CED 230759;
Cass. 2009 n. 24551 CED 244245. Nel ricorso si precisa che con l’appello si
impugnava anche la parte relativa alla pena irrogata di anni 6 e mesi 6, si
veda pag. 15 del ricorso). La correzione effettuata dal Tribunale ha
riguardato la pena irrogata che compare nella motivazione e nel dispositivo
della stessa sentenza (anni sei e mesi sei di reclusione) che era diverso da
quello del dispositivo letto in udienza (anni 7 di reclusione che è, poi, la pena
26

confermata in appello). Orbene l’art. 130 del c.p.p. stabilisce che la
correzione dell’errore materiale viene effettuato dal giudice che ha emesso il
provvedimento in questione, salvo che non sia stato impugnato; in tal caso
se l’impugnazione non viene dichiarata inammissibile vi provvede il Giudice
competente per l’impugnazione. Da ciò deriva la nullità della sentenza
impugnata con il ripristino del miglior trattamento sanzionatorio previsto nella
sentenza di primo grado (si cita Cass. 2010 n. 44642 CED 249090; vedi

sotto). Con il terzo motivo i difensori del ricorrente deducono la carenza di
motivazione sia in ordine al diniego delle attenuanti generiche sia in relazione
alla pena che è stata irrogata in misura superiore al minimo; per la pena, tra
l’altro, la Corte di appello rinvia alla motivazione della sentenza di primo
grado che come si è detto riguardava una pena più bassa di anni 6 e mesi 6
di reclusione.
I difensori del ricorrente concludono, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.
Ricorre per Cassazione il difensore di Melechì Daniele eccependo la
nullità della notifica dell’avviso di conclusioni dell’indagini — ex art. 415 bis del
c.p.p. — al predetto Melechì. Infatti, in data 03.04.2008 fu emesso decreto di
latitanza nei confronti del ricorrente. In data 09.04.2008 la convivente del
Melechì nominò quale difensore di quest’ultimo l’Avvocato Raffaele Missere
al quale fu notificato l’avviso di conclusioni delle indagini. E’ evidente la
nullità della notifica poiché la nomina di un difensore da parte dei familiari ex
art. 96 c.p.p. può avvenire solo nei confronti di imputato in stato di
detenzione e non già per un latitante (cita, in proposito, tra le altre Cass.
2003 n. 30150 CED 225562). Né può sanare tale nullità il fatto che l’imputato
una volta costituitosi (in data 24.06.2008) nominò quale difensore di fiducia lo
stesso difensore Avvocato Raffaele Missere. Il difensore del ricorrente con il
secondo motivo eccepisce la “inutilizzabilità di tutte le fonti di prova per
violazione del combinato disposto degli artt. 335, 407 e 407, III comma, cod.
proc. penale”. In particolare il difensore dell’imputato sottolinea il ritardo
nell’iscrizione nel registro degli indagati del ricorrente e come ciò abbia inciso
sul controllo della legittima acquisizione delle prove e quindi della loro
utilizzabilità. Con il terzo motivo deduce che la Corte di appello non ha
motivato sul diniego del giudizio abbreviato condizionato. Con il quarto
27

motivo si reitera l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni (decreti n.
654/05, 582/04, 841/05, 933/05 e 200/05) poiché le intercettazioni sono state
eseguite utilizzando impianti diversi da quelli posti in Procura; i decreti sono
motivati con formule di stile e senza che fosse provata effettivamente
l’insufficienza o inidoneità degli impianti di captazione della Procura o la
sussistenza di eccezionali ragioni di urgenza. Con il quinto motivo il difensore
dell’imputato eccepisce la violazione di legge per avere la Corte di appello

rigettato la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale tesa ad
accertare se la voce di cui alla conversazione captata n. 2022 del decreto
654/04 — utilizzata dai giudici di merito per la condanna – fosse proprio
dell’imputato che ha, invece, sempre negato di aver preso parte alla predetta
conversazione. La motivazione del rigetto è censurabile anche alla luce delle
dichiarazioni del coimputato Bruno Vincenzo che ha ammesso di essere uno
dei colloquianti ed ha escluso che il Melechì fosse presente indicando anche
chi era l’altro interlocutore di nome Daniele (Scredi Daniele). Infine, il
difensore dell’imputato rileva l’erronea applicazione della recidiva perché i
reati sono stati commessi dopo l’entrata in vigore della

L. 251/2005.

Sottolinea che la condanna si fonda solo su poche intercettazioni dando, tra
l’altro, per scontata una circostanza che in realtà non è affatto provata: cioè
che il Daniele di cui alle conversazioni sia proprio Melechì Daniele. Inoltre la
Corte di appello non ha considerato che con sentenza del G.I.P. di Lecce del
04.04.2003 (c.d. Mediana) il Melechì era stato assolto in relazione all’accusa
di essere partecipe dell’associazione mafiosa Sacra Corona Unita di Torre S.
Susanna e che nessun collaboratore di giustizia ha mai parlato di Melechì
Daniele. I giudici di merito non hanno evidenziato indizi gravi, precisi e
univoci che possano portare a considerare il ricorrente colpevole, dei reati
contestatigli e ritenuti, al di là di ogni ragionevole dubbio. Inoltre si duole per
il diniego delle attenuanti generiche e per gli aumenti di pena per la recidiva.
Il difensore del ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.
Ricorre per Cassazione per Melechl Emanuele l’Avvocato Alfredo
Gaito che dopo aver richiamato il ricorso a firma degli Avvocati Epifani e
Lodeserto precisa che con il suo ricorso — per evitare inutili sovrapposizioni si duole per l’erronea esclusione dei benefici del giudizio abbreviato e
28

correlativa applicazione di pena illegale. In particolare evidenzia che le
motivazioni del G.I.P. – per non accogliere la richiesta di giudizio abbreviato
condizionato alla trascrizione di 15 intercettazioni per le quali vi era, pure, il
dubbio che la bobina originale si fosse rotta e quindi fosse impossibile allo
stato anche ascoltare solo la traccia fonica o ottenerne la duplicazione — e
del Tribunale e della Corte di appello per negare l’esclusione dei benefici del
giudizio abbreviato sono state diverse e tale diversità ha inciso

negativamente sul diritto di difesa. Invero, il ricorrente si lamentava del fatto
che non riusciva a rintracciare la traccia fonica di quelle 15 intercettazioni;
quindi in tali casi anche la Giurisprudenza che esclude che la trascrizione di
intercettazioni costituisca una richiesta di integrazione probatoria riconosce la
possibilità di chiedere la trascrizione delle intercettazioni o la nomina di un
perito perché vi provveda (cita Cass. 2004 n. 47891 CED 230568). Inoltre il
difensore del ricorrente evidenzia che se la motivazione del G.I.P. fosse stata
quella della Corte di appello (cioè che legittimamente era stata rigettata la
richiesta di giudizio abbreviato condizionato alla trascrizione di intercettazioni
poiché la trascrizione non costituisce una richiesta di integrazione probatoria)
lo stesso G.I.P. poteva considerare la subordinata come non apposta e
procedere, quindi, con il giudizio abbreviato secco (cita Cass. S.U. 2012 n.
41461 CED 253212); oppure lo stesso imputato a fronte del rigetto della
richiesta di giudizio abbreviato condizionato poteva decidere di procedere
con giudizio abbreviato secco e chiedere in tale sede l’audizione della traccia
fonica.
Il difensore del ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.
Ricorrono per Cassazione i difensori di Torsello Damiano Cosimo
deducendo la manifesta illogicità della motivazione e la mancanza assoluta
di motivazione in ordine alle devoluzioni difensive. In particolare evidenziano
come i Giudici di merito non abbiano indicato alcun prova che dimostri la
sussistenza della condotta tipica della partecipazione all’associazione di cui
all’art. 416 bis c.p. (contributo stabile alla vita dell’associazione e alla
realizzazione dei suoi fini, dato che il reato ha natura permanente); né i
giudici, per ritenere un soggetto partecipe di un’associazione, possono far
riferimento all’episodica commissione dei reati fine dell’associazione che, tra

(7
2‘

29

l’altro, nel caso di specie sono stati esclusi dal Tribunale con le relative
assoluzioni. Inoltre i Giudici di merito hanno tenuto conto solo delle sentenze
definitive di condanna per ipotesi associative e non di quelle assolutorie. I
difensori esaminano, poi, le vicende poste a fondamento della condanna
evidenziando per ognuna le contraddizioni e la irrilevanza ai fini della ritenuta
partecipazione del ricorrente al sodalizio criminale (la vicenda Padula; il
coinvolgimento del ricorrente, unitamente ai vertici del sodalizio criminale

nelle elezioni amministrative; il presunto acquisto di precursori che sarebbero
stati utilizzati dal Bruno per la raffinazione della droga; si vedano le pagine da
6 a 11 del ricorso). Infine, i difensori si dolgono per l’erronea esclusione dei
benefici del giudizio abbreviato con argomenti analoghi a quelli già
sintetizzati per i ricorrenti Bruno Andrea, Melechì Emanuele, Fai Vito e Fai
Piero.
I difensori del ricorrente concludono, quindi, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.
In data 24.01.2014 l’Avvocato Franco Coppi deposita motivi nuovi, per
l’imputato Bruno Andrea, con i quali espone le ragioni della nullità della
sentenza impugnata – ex art. 606, lettere B/E, del c.p.p. – per errata
applicazione della legge penale in relazione all’ad. 438, V comma, c.p.p. e
per manifesta illogicità della motivazione con la quale è stata esclusa
l’applicazione della riduzione della pena per l’illegittimo diniego di procedere
con il rito abbreviato.
Il difensore conclude, quindi, per l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata con rideterminazione della pena applicando la
diminuzione di un terzo prevista per il giudizio abbreviato.

motivi della decisione

Il ricorso di Bruno Andrea e Melechì Emanuele è infondato.
Invero la stessa difesa dei ricorrenti esordisce citando consolidati
principi di diritto di questa Code. In particolare rileva che il Giudice di
legittimità non può sovrapporre una propria valutazione delle risultanze
processuali a quella già compiuta dai Giudici di merito e che per le
intercettazioni l’interpretazione del linguaggio usato e del contenuto delle

2

30

conversazioni costituisce questione di fatto rimessa alla valutazione di merito
(cita, tra le altre, Cass. 2013/11794, CED 254439). La difesa degli imputati
affronta, poi, la tematica relativa alle c.d. “regole o massime di esperienze”,
fornendone la definizione e il contenuto (richiamando giurisprudenza e
dottrina; cita Cass. 2012/1775 CED 254196; 2007/16532 CED 237145;
2012/6582 CED 254572), al fine di dimostrare il grave errore nel quale sono

sentenza sopra citata (2012/6582 CED 254572) si legge che in ogni
procedimento inferenziale, certamente il giudice è, di regola, libero, di
scegliere i criteri di inferenza destinati a garantire le proprie argomentazioni
probatorie e le conseguenti conclusioni sui fatti rilevanti. Deve però offrire
idonea giustificazione di tale scelta, tenendo ben presente la distinzione fra
massime di esperienza e congetture (2003/39985, CED n. 227200). Come è
noto, una massima di esperienza è un giudizio ipotetico a contenuto
generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze ma
autonomo da esse, e valevole per nuovi casi (2003/31706, CED 228401). Si
tratta dunque di generalizzazioni empiriche tratte, con procedimento
induttivo, dall’esperienza comune, che forniscono al giudice informazioni su
ciò che normalmente accade, secondo orientamenti largamente diffusi nella
cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione. Dunque,
nozioni di senso comune (“common sense presumptions”), enucleate da una
pluralità di casi particolari, ipotizzati come generali, siccome regolari e
ricorrenti, che il giudice in tanto può utilizzare in quanto non si risolvano in
semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con
conoscenze e parametri riconosciuti e non controversi. Al riguardo, si è
chiarito, in giurisprudenza, che il controllo di legittimità inerente alla
giustificazione esterna della decisione non può estendersi fino al sindacato
sulla scelta delle massime di esperienza delle quali il giudice abbia fatto uso
nella ricostruzione del fatto, purché la valutazione delle risultanze processuali
sia stata compiuta secondo corretti criteri di metodo e con l’osservanza dei
canoni logici che presiedono alle forme del ragionamento e la motivazione
fornisca una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte
operate. Ne deriva che la doglianza di illogicità può essere proposta allorché
il ragionamento non si fondi realmente su massime di esperienza, secondo la

O 31

caduti i Giudici di merito. Si deve rilevare che nella motivazione dell’ultima

nozione poc’anzi precisata, ma valorizzi piuttosto una congettura, e cioè
un’ipotesi non fondata sull’id quod plerumque accidit, insuscettibile di verifica
empirica, o anche una pretesa regola generale che risulti però priva di
qualunque pur minima plausibilità (2003/31706, cit.).
Orbene, tanto premesso, si deve rilevare che nonostante la corretta
citazione dei principi di cui sopra, è proprio la difesa degli imputati che invece
di rifarsi ad una massima di esperienza valorizza una sua personale

congettura. Sostiene, infatti, la difesa del Bruno e del Melechì che i giudici di
merito abbiano errato a ritenere che nelle intercettazioni delle conversazioni
ambientali gli imputati abbiano usato un linguaggio criptico: invero sarebbe
massima di esperienza che il linguaggio criptico si usi solo nelle
intercettazioni di conversazioni telefoniche perché l’imputato sa di potere
essere intercettato, mentre nelle intercettazioni ambientali gli imputati parlino
liberamente perché non sanno di essere intercettati. E’ evidente l’illogicità di
quanto sopra affermato: in realtà tutti gli imputati al giorno d’oggi sono
perfettamente consapevoli che possono subire intercettazioni telefoniche e
ambientali. D’altronde se gli indagati sapessero di essere intercettati non
userebbero neppure nelle intercettazioni telefoniche un linguaggio criptico,
limitandosi ad avere contatti diretti o ad usare altri sistemi che consentisse
loro di portare avanti gli illeciti traffici senza essere intercettati (linguaggio
criptico che, tra l’altro, nella maggior parte dei casi consente alla P.G. di
comprendere di cosa si sta parlando; corretta comprensione di cui si ha
conferma dai vari accertamenti che la stessa P.G. compie, a campione, per
verificare se le “camicia”, la “vernice”, “la cosa”, “la roba” ecc. in realtà sia
droga sequestrandola a colui che, ad esempio, dall’intercettazione si
comprendeva essere l’acquirente). Si deve, poi, osservare che la massima di
esperienza deve essere enucleata da una pluralità di casi particolari,
ipotizzati come generali, siccome regolari e ricorrenti. La difesa dei ricorrenti
si guarda bene dal compiere tale attività, prima di enunciare “la sua massima
di esperienza” di cui sopra. In realtà, l’esperienza giudiziaria dimostra l’esatto
contrario di quanto affermato nel ricorso. Ci sono, infatti, persone che nel
corso di intercettazioni telefoniche parlano in modo chiaro degli illeciti che
stanno compiendo e altre persone che, invece, usano linguaggio criptico; e lo
stesso si verifica per quanto riguarda le intercettazioni ambientali dove

32

alcune persone parlano apertamente e altre usano linguaggio criptico. Senza
dimenticare che molte volte l’uso di un linguaggio criptico o in chiaro dipende
anche dal tipo di illecito che si commette: ad esempio in materia di sostanza
stupefacente è più frequente il ricorso a sinonimi (roba, erba, ecc.) anche nel
linguaggio comune tra persone non coinvolte in illeciti traffici. Senza
dimenticare, infine, che ogni soggetto — sia in relazione al suo carattere, sia

per telefono, sia quando parla direttamente con altre persone) seguendo la
sua indole (ci sono persone riservate, introverse che parlano pochissimo e
spesso con sottintesi; persone prudenti che cercano sempre di esternare il
meno possibile e di dire il minimo indispensabile; altre aperte che parlano
tanto). Quanto sopra evidenzia con chiarezza anche l’erroneità delle
conclusioni che vengono tratte, nel ricorso, da eventuali conversazioni in
chiaro di alcuni indagati. In particolare la difesa dei ricorrenti rileva che se in
alcuni casi gli indagati parlano apertamente per tutte le intercettazioni
ambientali deve valere la “regola” che non si è mai utilizzato linguaggio
criptico. In realtà, ciò che conta è che i Giudici di merito si sono trovati ad
affrontare delle conversazioni con linguaggio criptico e con uso frequente di
termini che non trovano una spiegazione coerente con il tema del discorso;
quindi, correttamente, hanno proceduto a fornire un’interpretazione che
risulta logica e incensurabile in questa sede di legittimità. In proposito, questa
Corte di Cassazione ha più volte affermato il principio che in tema di
valutazione del contenuto di intercettazioni telefoniche, il significato attribuito
al linguaggio criptico utilizzato dagli interlocutori, e la stessa natura
convenzionale di esso, costituiscono valutazioni di merito insindacabili in
cassazione. La censura di diritto può riguardare soltanto la logica della
chiave interpretativa. Se ricorrono di frequente termini che non trovano una
spiegazione coerente con il tema del discorso, e invece si spiegano nel
contenuto ipotizzato nella formulazione dell’accusa, come dimostrato dalla
connessione con determinati fatti commessi da persone che usano gli stessi
termini in contesti analoghi, se ne trae ragionevolmente un significato
univoco eor la conseguente affermazione di responsabilità è scevra da vizi
(Sez. 5, Sentenza n. 3643 del 14/07/1997 Cc. – dep. 19/09/1997 – Rv.
209620; Principio confermato — sia per le intercettazioni ambientali sia per

‘,2D 33

in relazione alle sue esperienze — si regola in generale (cioè sia quando parla

intercettazioni telefoniche – ultimamente da questa Corte: Sez. 6, Sentenza
n. 46301 del 30/10/2013 Ud. – dep. 20/11/2013 – Rv. 258164).
Si deve, infine, rilevare che da quanto sopra si ricava non solo l’erronea
individuazione di una presunta massima di esperienza contraria a quella
sottesa alla decisione dei due Giudici di merito, ma che si è anche sbagliato
nel ritenere che ciò potesse configurare un travisamento della prova. Invero

citano condivise decisioni di questa Corte sul punto – in sede di legittimità è
possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione
diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del
travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia
indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti
decisiva ed incontestabile (Sez. 6, Sentenza n. 11189 del 08/03/2012 Cc. dep. 22/03/2012 – Rv. 252190). Circostanza, questa, che non si riscontra nel
caso di specie perché il contenuto delle intercettazioni preso in
considerazione è quello reale e i giudici di merito lo hanno interpretato
fornendo un’incensurabile giustificazione su tale interpretazione.
Orbene tutto quanto sopra sottolineato è stato giustamente evidenziato
dalla Corte di appello che nelle pagine da 179 a 181 risponde alla doglianza
di cui ci stiamo occupando riportando anche intercettazioni ambientali
criptiche tra Bruno Andrea e Melechì Emanuele (pag. 180; si veda anche
pagina 181 per Fai Vito). Dunque tutta la costruzione della difesa dei
ricorrenti, che si fonda esclusivamente sulla questione della massima di
esperienza erroneamente applicata dai Giudici di merito e sul travisamento
della prova, cade in relazione a quanto sopra rilevato: i giudici di merito
(siamo, infatti, in presenza di una doppia conforme) hanno interpretato in
modo incensurabile il contenuto delle intercettazioni. Si deve ricordare, sul
punto, che questa Suprema Corte ha affermato che il vizio di travisamento
della prova può essere dedotto con il ricorso per Cassazione, nel caso di
cosiddetta “doppia conforme”, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per
rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati
probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del
merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie
acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in

come ben rilevato dagli stessi difensori nella pagina 3 del ricorso — ove si

termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni
di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito
nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, Sentenza n. 44765 del 22/10/2013 Ud.
– dep. 06/11/2013 – Rv. 256837). Tutto ciò non si è affatto verificato nel caso
di specie.
A questo punto è sufficiente richiamare le pagine della sentenza di

motivazioni che hanno portato la Corte di merito a confermare la penale
responsabilità di Bruno Andrea e Melechì Emanuele per tutti i reati a loro
ascritti e oggetto di contestazione nell’odierno ricorso. Per quanto riguarda i
capi 6 e 7 della rubrica (art. 73 D.P.R. 309/30) le pagine da 151 a 153 (nelle
quali si trova la risposta anche al denunciato contrasto tra trascrizione
peritale e la trascrizione del consulente tecnico e sull’ambiguità
dell’espressione “è stata tagliata”, si veda pagina 152; dalla lettura delle
stesse pagine dell’impugnata sentenza si rileva che non è stata usata la
denunciata tecnica interpretativa per esclusione). Per quanto riguarda il capo
10 della rubrica (art. 73 D.P.R. 309/30) le pagine da 154 a 166 (nelle quali si
trova la risposta anche alla denunciata posizione del Bruno completamente
slegata da quella del Melechì Emanuele che per tale reato è reo confesso) In
realtà la Corte di appello a pagina 161 spiega correttamente perché le
intercettazioni invocate dalla difesa costituiscano “una messa in scena”
avendo gli imputati subdorato che erano intercettati; inoltre evidenzia i
contatti e le conversazioni intervenute nella mattinata tra il Bruno e il Melechì;
si vedano in particolare le pagine da 161 a 163. Incensurabile è anche la
motivazione in ordine al riconoscimento della voce dell’uomo — indicato dal
trascrittore con la lettera A – come quella del Bruno da parte del Kilo
Rampino; si vedano le pagine 163 e 164 dell’impugnata sentenza). Per
quanto riguarda il capo 3 della rubrica (art. 74 D.P.R. 309/30) le pagine da
175 a 177 e da 179 a 213 (nelle quali si trova la risposta per le doglianze
relative alle tre intercettazioni prese in esame dalla difesa — la n. 2156 del
18.03.2005, la n. 2270 del 24.03.2005 e la n. 3206 del 25.05.2005, pagine da
181 a 199 — che in massima parte riguardano l’interpretazione del contenuto
delle stesse sulla base degli stessi errati presupposti del linguaggio criptico e
della massime di esperienza sopra ampiamente affrontati. Per quanto
A2′ 35

appello nelle quali si rinvengono le esaustive, logiche e non contraddittorie

riguarda i collegamenti e le attività dei ricorrenti si devono vedere anche le
molte altre intercettazioni esaminate dalla Corte di appello ad esempio da
pagina 199 a 212; si veda in particolare pagina 207, ultime quattro righe,
dove la Corte di merito evidenzia che Bruno sta per pronunciare la parola
droga visto che afferma: “E prendiamo la dro …” e Melechì Emanuele lo
interrompe dicendo:

“La tieni?”. A pagina 212 si rinviene, anche, la

necessario, per quanto sopra detto, soffermarsi sulle contestazioni relative —
ad esempio — all’interpretazione: delle parole “cosa” e “110 litri”; oppure al
riferimento nelle conversazioni a fatti risalenti nel tempo o a commenti di
avvenimenti riguardanti la droga sequestrata ad altri soggetti e pubblicati sui
giornali; oppure al significato della parola “pasta” e il collegamento di tale
parola e dell’imputato con il materiale sequestrato nei pressi della Masseria
Canali: acetone, etere etilico e acido cloridrico. Invero, le censure sul punto
riguardano mere questioni di fatto ben affrontate da entrambi i giudici di
merito genericamente riproposte nell’odierno ricorso). Per quanto riguarda il
capo 44 della rubrica (art. 291 quater D.P.R. 43/1973) si vedano le pagine da
237 a 242 (nelle quali si trovano tutte le risposte alle generiche doglianze
della difesa dei ricorrenti sul punto; in particolare per il concorso con altri
coimputati si vedano le pagine 238 e 239 dell’impugnata sentenza; si vedano
anche le pagine da 223 a 230 dell’impugnata sentenza per i singoli episodi di
contrabbando). Per quanto riguarda il capo 1 della rubrica (art. 416 bis del
c.p.) si vedano le pagine da 19 a 28 e da 29 a 138 (nelle quali si trovano tutte
le risposte alle generiche doglianze della difesa dei ricorrenti sul punto. In
particolare, poi, per la vicenda Guerriero Cosima si vedano le pagine da 29 a
35 dell’impugnata sentenza nelle quali si affrontano correttamente le
seguenti questioni: credibilità e contributo della Guerriero; la testimonianza di
Palma Sergio; le lesioni riportate da Pungente Oronzo; con evidenziazione
delle intercettazioni che confermano la ricostruzione operata dai Giudici di
merito della vicenda Guerriero e, alle pagine 34 e 35, dei motivi per i quali
non è fondata la doglianza della difesa dell’imputato. Per la vicenda Padula
Ugo si vedano le pagine da 35 a 47 dell’impugnata sentenza; con
evidenziazione delle intercettazioni che confermano la ricostruzione operata
dai Giudici di merito della vicenda Padula e, a pagina 47, dei motivi per i

>C36

motivazione riassuntiva sul ruolo direttivo del Bruno. E’ evidente che non è

quali non è fondata la doglianza della difesa dell’imputato. Per la vicenda
Puddu Francesco si vedano le pagine da 47 a 52 dell’impugnata sentenza;
con evidenziazione delle intercettazioni che confermano la ricostruzione
operata dai Giudici di merito della vicenda Puddu e, alle pagine 51 e 52, dei
motivi per i quali non è fondata la doglianza della difesa dell’imputato. Per la
vicenda Parato Cosimo e De Punzio Giovanni si vedano le pagine da 52 a 56
dell’impugnata sentenza; con evidenziazione delle intercettazioni che

confermano la ricostruzione operata dai Giudici di merito della vicenda
Puddu e, alla pagina 56, dei motivi per i quali non è fondata la doglianza
della difesa dell’imputato. Per il condizionamento in ambito elettorale si
vedano le pagine da 58 a 75 dell’impugnata sentenza; con evidenziazione
delle intercettazioni che confermano la ricostruzione operata dai Giudici di
merito sul punto. Per la vicenda degli addetti allo scavo nella proprietà di
Diviggiano Salvatore e il relativo sequestro di armi e droga si vedano le
pagine da 56 a 58 dell’impugnata sentenza. Ovviamente nelle pagine
indicate all’inizio per tale capo di imputazione la Corte di appello evidenzia: i
pregressi accertamenti in sede giurisdizionale dell’esistenza — nel territorio di
Torre Santa Susanna e zone limitrofe — di una compagine criminale
riconducibile alla consorteria mafiosa denominata Sacra Corona Unita per
avere mutuato da quest’ultima caratteristiche strutturali, modalità di azioni e
finalità criminali; la condanna per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. già
riportata dai ricorrenti; i corretti principi giurisprudenziali applicati; le modalità
operative dell’associazione desumibili dalle conversazioni intercettate; le
conversazioni più significative; la valutazione conclusiva delle singole
posizioni e, ovviamente, anche di Bruno Andrea e Melechì Emanuele).
Appare opportuno ricordare a proposito di denunciate omissioni
motivazionali della Corte di appello che, in punto di diritto, la sentenza di
primo grado e quella di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni
raggiunte, si integrano vicendevolmente, formando un tutt’uno organico ed
inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare
riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Pertanto, il
giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può
limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del
fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure (Cass. Sez. 1,

37

Sentenza n. 4827 del 28/4/1994 – ud. 18/3/1994 – Rv. 198613; Sez. 6,
Sentenza n. 11421 del 25/11/1995 – ud. 29/9/1995 – Rv. 203073). Inoltre, la
giurisprudenza di questa Suprema Corte ritiene che non possano giustificare
l’annullamento minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione
di elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero potuto dar
luogo ad una diversa decisione, sempreché tali elementi non siano muniti di
un chiaro e inequivocabile carattere di decisività e non risultino, di per sè,

obiettivamente e intrinsecamente idonei a determinare una diversa
decisione. In argomento, si è spiegato che non costituisce vizio della
motivazione qualsiasi omissione concernente l’analisi di determinati elementi
probatori, in quanto la rilevanza ‘ dei singoli dati non può essere accertata
estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a
confronto con il complesso probatorio, dal momento che soltanto una
valutazione globale e una visione di insieme permettono di verificare se essi
rivestano realmente consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a
scuotere la compattezza logica dell’impianto argomentativo, dovendo
intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente confutati. (Cass. Sez. 5,
Sentenza n. 3751 del 23/3/2000 – ud. 15/2/2000 – Rv. 215722; Sez. 5,
Sentenza n. 3980 del 15/10/2003 – Ud. 23/9/2003) Rv.226230, Fabrizi; Sez.
5, Sentenza n. 7572 del 11/6/1999 (ud. 22/4/1999 – Rv. 213643). Le posizioni
della giurisprudenza di legittimità rivelano, dunque, che non è considerata
automatica causa di annullamento la motivazione incompleta nè quella
implicita quando l’apparato logico relativo agli elementi probatori ritenuti
rilevanti costituisca diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non
menzionati, a meno che questi presentino determinante efficienza e
concludenza probatoria, tanto da giustificare, di per sè, una differente
ricostruzione del fatto e da ribaltare gli esiti della valutazione delle prove.
In applicazione di tali principi, può osservarsi che la sentenza di
secondo grado recepisce in modo critico e valutativo la sentenza di primo
grado, correttamente limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni
aspetti del complesso probatorio oggetto di contestazione da parte della
difesa, omettendo, in modo del tutto legittimo in applicazione dei principi
sopra enunciati, di esaminare quelle doglianze dell’atto di appello che
avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice.
38

Per quanto riguarda la generica doglianza sulla mancata rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale per accertare se fosse proprio Bruno Andrea
uno degli interlocutori di una conversazione intercettata appare opportuno
ricordare che in relazione alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale
questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio — condiviso dal
Collegio – che atteso il carattere eccezionale della rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale in appello, il mancato accoglimento della

richiesta volta ad ottenere detta rinnovazione in tanto può essere censurato
in sede di legittimità in quanto risulti dimostrata, indipendentemente
dall’esistenza o meno di una specifica motivazione sul punto nella decisione
impugnata, la oggettiva necessità dell’adempimento in questione e, quindi,
l’erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di
merito circa la possibilità di “decidere allo stato degli atti”, come previsto
dall’art. 603, comma 1, del codice di procedura penale. Ciò significa che
deve dimostrarsi l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della
decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del
medesimo provvedimento o da altri atti specificamente indicati (come
previsto dall’art. 606, comma 1, lett. E, c.p.p.) e concernenti punti di decisiva
rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse
stato provveduto, come richiesto, all’assunzione o alla riassunzione di
determinate prove in sede di appello. (Si vedano: Sez. 1, Sentenza n. 9151
del 28/06/1999 Ud. – dep. 16/07/1999 – Rv. 213923; Sez. 5, Sentenza n.
12443 del 20/01/2005 Ud. – dep. 04/04/2005 – Rv. 231682). Invece, come
già detto, la difesa dell’imputato si è limitata a generiche contestazioni di
quanto rilevato dalla Corte territoriale. Quanto sopra evidenzia ulteriormente
l’inammissibilità del ricorso, sul punto, trattandosi, con evidenza, di giudizio di
merito sottratto all’esame di questa Corte di legittimità se ben sorretto —
come è nel nostro caso — da un’adeguata motivazione (riconoscimento della
voce del Bruno da parte del Milo Rampino che ha identificato il ricorrente
come interlocutore in moltissime intercettazioni). Infine, a proposito di quanto
sopra, appare opportuno ricordare che Bruno Andrea ha inizialmente negato
di essere l’interlocutore della conversazione n. 2156 del 18.03.2005
(nonostante fosse stato riconosciuto come l’interlocutore sempre dal Milo
Rampino che lo aveva riconosciuto come colloquiante in molte altre

(29

39

intercettazioni) salvo, poi, ad ammettere di essere l’interlocutore anche della
predetta conversazione n. 2156 del 18.03.2005 all’udienza dell’08.07.2011 in
sede di dichiarazioni spontanee (si veda pagina 192 dell’impugnata
sentenza); quanto sopra conferma ulteriormente la correttezza della
decisione della Corte di appello, unitamente a quanto si dirà per il ricorrente
Carluccio su analoga problematica.
Infine, la doglianza della difesa relativa all’esclusione dei benefici del

giudizio abbreviato verrà trattata unitamente alle medesime doglianze, sul
punto, proposte da altri imputati.
Il ricorso di Carluccio Antonino è infondato.
Infatti, la parte del ricorso sulle massime di esperienza e il travisamento
della prova propone — seppur in modo più generico – la medesima doglianza
di Bruno Andrea e Melechì Emanuele, quindi va rigettata per gli stessi motivi
sopra esposti.
Per quanto riguarda la doglianza relativa alla sua identificazione come
l’interlocutore nelle conversazioni intercettate, n. 3562 e 3563, si deve
rilevare che contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, la Corte di
appello alla pagina 260 fornisce un’incensurabile motivazione — con richiamo
anche di pertinenti principi di diritto di questa Corte – sul perché ritiene
corretta l’identificazione del Carluccio, come uno degli interlocutori, effettuata
dal M.Ilo Rampino. Sul punto questa Suprema Corte ha più volte affermato il
principio — condiviso dal Collegio — che in tema di intercettazioni telefoniche,
qualora l’imputato contesti l’identificazione delle persone colloquianti, non è
indispensabile disporre una perizia fonica per il relativo accertamento, ben
potendo il giudice trarre il suo convincimento da altri elementi che
consentano di risalire all’identità degli interlocutori (Sez. 4, Sentenza n.
16432 del 22/02/2008 Ud. – dep. 22/04/2008 – Rv. 239523). Inoltre, in tema di
intercettazioni telefoniche, qualora sia contestata l’identificazione delle
persone colloquianti, il giudice non deve necessariamente disporre una
perizia fonica, ma può trarre il proprio convincimento da altre circostanze che
consentano di risalire con certezza all’identità degli interlocutori, e tale
valutazione si sottrae al sindacato di legittimità, se — come nel caso di specie
– correttamente motivata (fattispecie in cui l’individuazione è avvenuta
tenendo conto dei nomi e dei soprannomi delle persone menzionate nel

40

corso dei colloqui, nonché sulla base del riconoscimento delle voci da parte
del personale di polizia giudiziaria, che le aveva ascoltate e individuate nel
corso di precedenti intercettazioni; Sez. 6, Sentenza n. 17619 del 08/01/2008
Cc. – dep. 30/04/2008 – Rv. 239725). Infine, in tema di intercettazioni
telefoniche, qualora sia contestata l’identificazione delle persone colloquianti,
il giudice non deve necessariamente disporre una perizia fonica, ma può
utilizzare ai fini della decisione le dichiarazioni dagli ufficiali e agenti di polizia

giudiziaria che hanno riferito sul riconoscimento delle voci di taluni imputati
(Sez. 6, Sentenza n. 18453 del 28/02/2012 Ud. – dep. 15/05/2012 – Rv.
252712). Quanto sopra, come già detto, vale ovviamente anche per l’analoga
doglianza di Bruno Andrea e Melechl Emanuele.
Il ricorso di Fai Vito e Fai Piero è infondato.
Infatti, per quanto riguarda il primo motivo di ricorso con il quale si
denuncia la violazione di legge per inosservanza di quanto stabilito nell’art.
268 del c.p.p. anche in tema di inutilizzabilità in relazione alle intercettazioni
ambientali (di cui al decreto 582/2004 R.I.) la Corte di appello, a pagina 19,
fornisce una corretta interpretazione dell’art. 268 del c.p.p., in linea con i
principi fissati, sul punto, da questa Corte Suprema. La Corte territoriale
specifica, poi, che la D.D.A. di Lecce ha avviato il presente procedimento in
seguito alla trasmissione dei risultati di indagine della Procura della
Repubblica di Brindisi acquisiti anche mediante intercettazioni ambientali. La
Corte di merito osserva, infine, che le attività di captazione sono proseguite
secondo le modalità già avviate dalla Procura di Brindisi e in particolare sono
state effettuate con impianti diversi da quelli della stessa Procura di Brindisi
per inidoneità di questi ultimi e in presenza delle eccezionali ragioni di
urgenza già adeguatamente sottolineate dal primo giudice e, comunque,
ravvisabili nella natura delle imputazioni e nelle modalità di captazione,
senza che fosse necessario verificare la loro praticabilità con impianti
dell’ufficio distrettuale di Procura, solo funzionalmente competente. La Corte
di appello richiama a sostegno di quanto sopra la decisione di questa Corte
del 2012 n. 25120 (Sez. 6, Sentenza n. 25120 del 06/03/2012 Ud. – dep.
22/06/2012 – Rv. 252614). Nella motivazione della predetta sentenza si
legge: “Non è da revocare in dubbio che la competenza attribuita alla
Direzione Distrettuale Antimafia ex art. 51 c.p.p., comma 3 bis, sia

9

41

”funzionale ed eccezionale” (Sez. 5, 9 dicembre 2009, dep. 1 febbraio 2010,
n. 4076; Sez. 5, 15 luglio 2010, dep. 2 settembre 2010, n. 34961) e la cui
ratio è quella di rendere più efficace il coordinamento nell’ambito del distretto
delle attività di indagine relative a tali reati, e solo per un “effetto di
trascinamento” finisce per condizionare le regole sulla competenza del
giudice per le indagini preliminari ex art. 328 bis cod. proc. penale.
Ne consegue che sarebbe contrario a elementari principi di

organizzazione e di logica giuridica frammentare e dividere la contestualità
territoriale degli atti di indagini e dei mezzi di ricerca della prova, tra i quali
sono da annoverare quelli che richiedono l’impegno di impianti ubicati nel
luogo ove i fatti sono territorialmente collegati.
Del resto, l’art. 268 c.p.p., comma 3, non menziona affatto che gli
impianti debbano essere quelli della Procura presso la quale si procede e ciò
comporta, da un lato, che siano utilizzabili i risultati di intercettazione nel
caso in cui le operazioni di ascolto siano state eseguite presso gli impianti
installati in una Procura diversa da quella che ha richiesto e disposto la
relativa attività di intercettazione; e dall’altro, che là dove vi sia, come nel
caso di trasmigrazione del procedimento alla Procura distrettuale, le
intercettazioni possano proseguire nei locali della Procura del luogo e,
qualora ab origine per “insufficienza o inidoneità” di tali impianti le operazioni
siano state effettuate con impianti diversi, proseguano in tal modo senza che
debba essere verificata la praticabilità con impianti dell’ufficio distrettuale di
procura solo “funzionalmente competente”.
In altri termini, l’attribuzione del procedimento “per competenza
funzionale e per finalità di coordinamento” alla Procura distrettuale ex art. 51
c.p.p., comma 3 bis, – nel caso in cui sia disposta dal G.I.P. distrettuale la
proroga della durata delle operazioni o, comunque, l’attivazione di nuove
intercettazioni – non può comportare, di per sè solo, il venir meno delle
condizioni legittimanti il ricorso ad apparati diversi da quelli esistenti presso la
Procura della Repubblica del luogo ove erano state attivate le intercettazioni
le cui risultanze abbiano indotto la trasmissione del procedimento alla
Procura distrettuale; pertanto, non è necessaria, neanche nelle ipotesi in cui
l’attività di captazione sia effettuata mediante impianti di pubblico servizio o in
dotazione alla polizia giudiziaria, l’adozione, da parte del pubblico ministero

42

distrettuale, di un diverso provvedimento esecutivo delle operazioni
medesime per l’impiego di apparecchiature alternative con l’utilizzo delle
quali erano state attivate le operazioni di registrazione. Il provvedimento è
richiesto soltanto là dove la Procura distrettuale, per esigenze organizzative
o in ogni caso collegate alle esigenze di indagine, ritenga che le operazioni di
registrazione debbano essere effettuate nei locali della stessa Procura

Del resto, le Sezioni unite hanno avuto modo di precisare che il decreto
del G.I.P. di proroga della durata delle operazioni non comporta, di per sè, il
venir meno delle condizioni legittimanti il ricorso ad apparati diversi da quelli
esistenti presso la Procura della Repubblica, e pertanto non è necessaria,
neanche nelle ipotesi in cui l’attività di captazione sia effettuata mediante
impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria, l’adozione,
da parte del pubblico ministero, di un ulteriore provvedimento esecutivo delle
operazioni medesime, che si limiterebbe solo a confermare quanto già
precedentemente disposto in ordine alle modalità spazio-temporali
dell’intercettazione e, in particolare, all’impiego di apparecchiature alternative
(Sez. un. 31 ottobre 2001, dep. 28 novembre 2001 n. 42792). Regola che,
sebbene riferita alla proroga della stesse utenze, non può che estendersi
all’attivazione, là dove si sia sempre nell’ambito del medesimo procedimento,
di intercettazioni ad altre utenze ovvero ad altri contesti ambientali e, in
particolare, nel caso in cui vi stato l’attribuzione “funzionale” per la
prosecuzione dell’attività di indagine alla procura distrettuale ex art. 51 c.p.p.,
comma 3 bis”.
Il secondo motivo di ricorso relativo all’esclusione dei benefici del
giudizio abbreviato verrà trattato unitamente alle medesime doglianze, sul
punto, proposte da altri imputati.
Per quanto riguarda il terzo motivo di ricorso si deve rilevare che
contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso la Corte di appello nelle
pagine da 214 a 223 evidenzia tutte le ragioni per le quali esclude che i
fratelli Fai agissero “esclusivamente per interessi personali ed avulsi da una
struttura più ampia che vedeva come protagonisti gli altri coimputati” e
perché ritiene la sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato di
cui all’art. 74 D.P.R. 309/90. La Corte di merito prende correttamente in

O 43

distrettuale o con impianti in dotazione di altri organi di polizia.

esame una serie di intercettazioni — interpretate in modo incensurabile alla
luce della consolidata giurisprudenza citata per i ricorrenti Bruno Andrea e
Melechì Emanuele – dalle quali emergono gli stabili contatti con Bruno
Andrea per l’illecito commercio di sostanze stupefacenti; Bruno Andrea al
quale viene riconosciuto (da parte dei ricorrenti e di Schiavone Vincenzo e
Piccinno Rosario; si veda ad esempio pagina 222 dell’impugnata sentenza)
la posizione di preminenza nell’organizzazione, anche per la disponibilità di

continui canali di approvvigionamento delle sostanze oggetto del traffico e
per la sua “autorità” usata anche per il recupero dei crediti conseguenti alla
cessione delle sostanze stupefacenti in “conto vendita”. Da quanto sopra la
Corte di appello ricava anche la piena consapevolezza dei ricorrenti di far
parte della predetta associazione. Si deve, in proposito, ricordare che questa
Suprema Corte ha più volte affermato il principio che per la configurabilità
dell’associazione dedita al narcotraffico non è richiesta la presenza di una
complessa e articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità
economiche, ma è sufficiente l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali,
deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine
comune, create in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle
singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli associati (Sez. 6,
Sentenza n. 46301 del 30/10/2013 Ud. – dep. 20/11/2013 – Rv. 258165).
Inoltre, si è in presenza di un’associazione per delinquere finalizzata al
traffico di stupefacenti ogniqualvolta tra tre o più persone si stringa, anche di
fatto, un patto che ha in sé la cosiddetta “affectio societatis”, in forza del
quale tutti gli aderenti sono portati ad operare nel settore del traffico della
droga, nella consapevolezza che le attività proprie ed altrui ricevano
vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscano all’attuazione del
programma criminale (Sez. 2, Sentenza n. 43327 del 08/10/2013 Ud. – dep.
23/10/2013 – Rv. 256969). Ancora, in tema di associazione per delinquere
finalizzata al traffico di stupefacenti, l’attività di vendita ai consumatori
fornisce un rilevante apporto causale al raggiungimento del fine di profitto
perseguito dall’organizzazione ove effettuata con la consapevolezza di farne
parte ed avvalendosi continuativamente delle sue risorse (Sez. 6, Sentenza
n. 45592 del 24/10/2013 Cc. – dep. 12/11/2013 – Rv. 257808). Infine, per la
configurabilità della condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata
44

al traffico illecito di stupefacenti non è richiesto un atto di investitura formale
ma è necessario che il contributo dell’agente risulti funzionale per l’esistenza
dell’associazione in un dato momento storico (Sez. 4, Sentenza n. 51716 del
16/10/2013 Ud. – dep. 23/12/2013 – Rv. 257905).
Anche per quanto riguarda il quarto motivo di ricorso si deve rilevare
che contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso la Corte di appello nelle
pagine da 237 a 242 evidenzia tutte le ragioni per le quali ritiene sussistente

il reato di associazione a delinquere finalizzata al contrabbando di tabacco
lavorato estero. In tali pagine la Corte di merito evidenzia tutti gli elementi
probatori acquisiti, interpretando in modo incensurabile le intercettazioni e
rispondendo esaustivamente a tutte le doglianze dei ricorrenti oggi
genericamente riproposte.
Anche il quinto motivo di ricorso è infondato. Invero, come
correttamente rilevato dal difensore degli imputati, nel caso di specie si
applica la nuova normativa sulla prescrizione perché più favorevole. Però il
difensore degli imputati non ha tenuto conto che ad entrambi gli imputati — in
accoglimento dell’appello del P.M. — è stata applicata la recidiva di cui all’ad.
99, V comma, cod. penale. Orbene di tale aggravante ad effetto speciale si
deve tener conto per determinare la pena massima sulla base della quale si
individua il tempo necessario per la prescrizione (tale regola si applicava
anche con la vecchia normativa sulla prescrizione ex art. 157, Il comma, del
c.p.); nel nostro caso la pena massima di cinque anni prevista per i reati di
contrabbando (capi 50 e 52 della rubrica), per i quali si chiede la
dichiarazione di prescrizione, deve essere aumenta di due terzi per la
recidiva e quindi si avrà la pena di anni 8 e mesi 4 di reclusione. A tale pena
si deve, poi, aggiungere l’aumento per l’interruzione della prescrizione che
nel nostro caso — ex ad. 161, Il comma, del c.p. — è di due terzi e quindi si
avrà quale tempo necessario per la prescrizione anni 13 e mesi 10. Pertanto
i reati di cui sopra — senza contare eventuali sospensioni, in parte indicate
anche dai ricorrenti — si prescriveranno non prima del 10 gennaio del 2019 (si
è preso in considerazione solo il capo 50, reato più vecchio e solo la prima
data di commissione del 10.03.2005).
Per quanto riguarda il sesto motivo di ricorso la difesa dei ricorrenti si
duole del fatto che l’aumento operato ex art. 99, V comma, del c.p. supera —
45

in violazione di quanto stabilito dal sesto comma dell’art. 99 del c.p. – il
cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del
nuovo delitto non colposo. Infatti, la Corte di appello ha operato un aumento ex art. 99, V comma, c.p. – di un terzo della pena pari ad anni 4, mentre le
condanne precedenti alla commissione dei reati per i quali si procede è di
anni 2 e mesi 11 di reclusione per Fai Vito e di anni 2 e mesi 2 di reclusione

può tener conto di altra condanna per entrambi i ricorrenti sempre per fatti di
droga, perché divenuta irrevocabile in data 04.07.2008 e cioè in data
successiva alla commissione dei reati per i quali si procede.
Si deve, in proposito, rilevare che a fronte dell’appello del P.M. che si
lamentava della mancata applicazione della recidiva di cui al quinto comma
dell’art. 99 del c.p. contestata – anche ai ricorrenti – dal P.M. all’udienza del
12.05.2011, le difese degli imputati opponevano solo che l’obbligatorietà
dell’applicazione della recidiva di cui all’art. 99, V comma, del c.p. era stata
introdotta con la riformulazione del predetto articolo in forza dell’art. 4 della L.
05.12.2005 n. 251 entrata in vigore 1’08.12.2005. Dunque in data successiva
a quella in cui erano stati commessi i reati contestati agli imputati e pertanto
tale disposizione non era applicabile agli stessi. In proposito osservavano
che la regola — formulata dalla giurisprudenza di questa Corte – secondo la
quale in caso di contestazione cosiddetta aperta — cioè senza l’indicazione
della data di cessazione della condotta illecita (come nel caso di specie per i
reati di cui ai capi 1, 2, 3 e 44) — la permanenza si considera cessata con la
pronuncia della sentenza di primo grado ha valore esclusivamente
processuale e non sostanziale. La stessa Corte di appello riporta una delle
decisioni di questa Corte evocate dai ricorrenti secondo la quale in tema di
reato permanente, la regola per cui nel caso di contestazione c.d. aperta
(cioè senza l’indicazione della data di cessazione della condotta illecita) la
permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo
grado ha valore esclusivamente processuale e non sostanziale, nel senso
che non ricade sull’imputato l’onere di dimostrare, a fronte di una
presunzione contraria, la cessazione dell’illecito prima della data della
condanna di primo grado. Ne consegue che, qualora dalla data di cessazione
della permanenza debba farsi derivare, anche in sede esecutiva, un qualsiasi
O 46

per Fai Piero. Aggiunge la difesa degli imputati che, ai fini di cui sopra, non si

effetto giuridico, non è sufficiente il riferimento alla data della sentenza di
primo grado, ma occorre verificare se il giudice di merito abbia o meno
ritenuto, esplicitamente o implicitamente, provata la permanenza della
condotta illecita oltre la data dell’accertamento e, eventualmente, se tale
permanenza risulti effettivamente accertata fino alla sentenza con l’ulteriore
conseguenza che, ai fini della concessione del beneficio della liberazione

della sentenza di condanna, le date cui devono essere riferite in concreto ed
entro le quali devono ritenersi concluse le condotte di partecipazione
attribuite al condannato (Sez. 5, Sentenza n. 25578 del 15/05/2007 Cc. dep. 04/07/2007 – Rv. 237707). Inoltre, in tema di contestazione effettuata
nella forma cosiddetta “aperta” (ovvero senza indicazione della data di
cessazione della condotta illecita), qualora in sede esecutiva debba farsi
dipendere un qualsiasi effetto giuridico dalla data di cessazione della
permanenza, spetta al giudice dell’esecuzione verificare in concreto se il
giudice della cognizione abbia, o non, ritenuto provato il protrarsi della
condotta criminosa fino alla data della sentenza di primo grado (fattispecie in
tema di revoca di indulto; Sez. 1, Sentenza n. 33053 del 12/07/2011 Cc. dep. 02/09/2011 – Rv. 250828; conforme: Sez. 1, Sentenza n. 45295 del
24/10/2013 Cc. – dep. 08/11/2013 – Rv. 257725).
Orbene la Corte di appello condividendo i principi di cui sopra ha però
specificato che solo per il capo 44 si può accogliere la doglianza degli
imputati. Dunque per quanto riguarda i capi 1, 2 e 3 la Corte di merito ritiene,
invece, applicabile la regola di cui sopra e cioè che nel caso di contestazione
c.d. aperta (cioè senza l’indicazione della data di cessazione della condotta
illecita) la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza
di primo grado (si vedano, in proposito, le pagine da 261 a 263
dell’impugnata sentenza).
A fronte di quanto sopra il difensore dei ricorrenti rileva che la data
individuata dalla Corte di appello per la cessazione della permanenza è,
però, quella del 01.03.2006 (data in cui è stato effettuato un sequestro di
armi e droga a Diviggiano Salvatore, coimputato). Ma dalla lettura della
motivazione sul punto – a pagina 262 – è evidente che tale data sia solo
indicativa visto che la Corte di appello afferma “che vi sono in atti elementi di
Q 47

anticipata, è necessario che il giudice verifichi, alla luce della motivazione

valutazione che consentono di ritenere perdurante l’associazione criminosa
ex art. 74 D. P. R. 309/90 contestata agli odierni imputati almeno sino al
01.03.2006”. Quello che, invece, secondo questa Corte rileva è che la Corte
di appello ha esplicitamente escluso l’applicazione della regola di cui sopra secondo cui nel caso di contestazione c.d. aperta la permanenza si
considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado –

per gli altri reati. Lo stesso difensore dei ricorrenti si è reso conto di quanto
sopra visto che a pagina 20 del ricorso dopo aver indicato la data del
01.03.2006 quale data di cessazione della permanenza ha aggiunto che
entrambi i ricorrenti sono stati arrestati “a far data de1111.04.2007 e da allora
sino ad oggi mai rimessi in libertà”. Quindi l’arresto dei ricorrenti, protrattosi
ininterrottamente, cristallizzerebbe la data del reato associativo permanente
all’11.04.2007, dunque in data precedente al passaggio in giudicato dell’altra
sentenza di condanna per entrambi gli imputati che renderebbe legittimo
l’aumento di quattro anni, effettuato ex art. 99, V, comma del cod. penale.
Ebbene, si rileva che questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio
che nei delitti associativi il momento della privazione della libertà dell’agente
a causa dell’intervento coattivo dell’autorità non determina necessariamente
l’estromissione della persona dalla associazione o il suo recesso da questa,
sicché solo nell’evenienza che possa ritenersi raggiunta la prova circa
l’avvenuto verificarsi dell’una o dell’altra di questa condizioni dovrà
riconoscersi all’arresto valore di atto interruttivo della permanenza nel reato
(e su ciò nulla dice la difesa dei ricorrenti). Per contro, la sentenza, anche
non irrevocabile, che accerti la responsabilità dell’imputato, vale a
interrompere l’attività, ancorché in corso, conseguendone che la porzione di
condotta illecita successiva alla pronuncia, se pur ontologicamente non
disgiungibile dalla precedente, sarà perseguibile a titolo di reato autonomo,
anche se non si è ancora formato il giudicato sulla responsabilità (Sez. 1,
Sentenza n. 550 del 10/02/1993 Cc. – dep. 08/03/1993 – Rv. 193335; Sez. 3,
Sentenza n. 10075 del 27/01/2009 Cc. – dep. 06/03/2009 – Rv. 243104; si
vedano anche: Sez. 2, Ordinanza n. 6252 del 09/02/2006 Cc. – dep.
16/02/2006 – Rv. 233857; Sez. 3, Sentenza n. 10075 del 27/01/2009 Cc. dep. 06/03/2009 – Rv. 243104; Sez. 5, Sentenza n. 31111 del 19/03/2009
) 48

unicamente per il reato di cui al n. 44 della rubrica, ritenendola invece valida

Ud. – dep. 28/07/2009 – Rv. 244479). Dunque per quanto sopra, sia che si
voglia prendere in considerazione quale data di cessazione della
permanenza quella della sentenza di primo grado nel presente procedimento
– dell’11.07.2011 – o quella a seguito di rito abbreviato a carico del
coimputato Diviggiano – del 29.07.2009 – la cessazione della permanenza del
reato è successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna di
entrambi gli imputati per droga – divenuta irrevocabile in data 04.07.2008 — e

che rende pienamente legittimo — ex art. 99, VI comma, c.p. – l’aumento di
quattro anni per la recidiva applicata.
Il ricorso di Melechì Cosimo è infondato.
Infatti, si deve rilevare che in relazione alla contestata partecipazione
alla commissione del reato di cui al capo n. 10 della rubrica (illecita
detenzione di sostanza stupefacente in concorso con il fratello Emanuele e
Bruno Andrea) la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado
indicando correttamente le prove (intercettazioni, deposizioni testi, sequestri,
dichiarazioni imputati, tabulati telefonici) ed evidenziando con motivazione
esaustiva, logica e non contraddittoria tutte le ragioni per le quali ritiene che il
ricorrente sia responsabile, a titolo di concorso, del reato di cui sopra. La
difesa dell’imputato contrappone a quanto rilevato da entrambi i Giudici di
merito generiche e alternative ricostruzioni in fatto oppure si lamenta per
presunte erronee interpretazioni delle intercettazioni o delle deposizioni dei
testi evidenziando minime discrasie che, seppur confermate, non incidono
affatto sulla complessiva e corretta ricostruzione del fatto. E’ evidente che
quanto sopra non è consentito in questa sede di legittimità. Per evitare inutili
ripetizioni si richiamano tutti i principi di diritto evocati, sul punto, per la
posizione di Bruno Andrea e Melechì Emanuele. Si deve, infine, rilevare che i
Giudici di merito hanno, correttamente, ritenuto il pieno concorso nel reato
del ricorrente e in particolare hanno ben evidenziato che l’imputato era
consapevole dell’illecita detenzione della sostanza stupefacente già prima
dell’intervento casuale della P.G. (controllo amministrativo dei Carabinieri) e
che lo stesso da subito, e ben prima che l’illecita condotta detentiva della
sostanza stupefacente cessasse, ha agito per salvaguardare la predetta
illecita detenzione (si veda in proposito anche la corretta motivazione della
Corte di appello che spiega perché ritiene di dover rigettare l’appello del P.M.

)

49

e confermare l’assoluzione per Melechì Daniele — pagine 157 e 158 – e
invece ritiene di dover confermare la condanna per Melechì Cosimo). E’,
allora, pertinente il richiamo della Corte di appello del principio di questa
Corte a Sezioni Unite secondo il quale il reato di favoreggiamento non è
configurabile, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti,
in costanza di detta detenzione, perché, nei reati permanenti, qualunque
agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi

sia cessata, si risolve – salvo che non sia diversamente previsto – in un
concorso nel reato, quanto meno a carattere morale (Sez. U, Sentenza n.
36258 del 24/05/2012 Ud. – dep. 20/09/2012 – Rv. 253151, decisione presa
con riferimento al delitto di illecita detenzione di sostanza stupefacente; la
decisione delle Sez. Un. di cui sopra risolve i contrasti di giurisprudenza
evidenziati nel ricorso con richiami di isolate decisioni di questa Corte,
precedenti alla decisione delle Sez. Un. quali ad esempio: Sez. 4, Sentenza
n. 12793 del 06/02/2007 Ud. – dep. 29/03/2007 – Rv. 236195; Sez. 6,
Sentenza n. 22394 del 04/02/2008 Ud. – dep. 04/06/2008 – Rv. 241119. La
decisione, evocata sempre nel ricorso – Sez. 3, del 20.04.2011 n. 36814 imp.
< Ji YanYan, non massimata e comunque precedente alla decisene delle Sezioni Unite di cui sopra - è conforme al principio delle Sez. Un., principio ritenuto, però, non applicabile al caso concreto perché l'imputato aveva perso la detenzione della droga). Per quanto riguarda la denunciata nullità della correzione dell'errore materiale operata dal Tribunale di Brindisi con ordinanza in data 12.12.2011 si deve, preliminarmente, rilevare che lo stesso ricorrente cita correttamente il principio di diritto — condiviso dal Collegio — fissato da questa Corte in relazione alla prevalenza del dispositivo letto in udienza rispetto a quello riportato nella motivazione della sentenza (si veda pagina 15 del ricorso nota n. 16 e prima massima di questa Corte sotto citata). In proposito questa Suprema Corte ha affermato che la difformità tra dispositivo letto in udienza e dispositivo in calce alla motivazione non è causa di nullità della sentenza, che ricorre nei soli casi in cui difetti totalmente il dispositivo, ma, prevalendo il dispositivo di udienza, detta difformità è sanabile mediante il procedimento di correzione dell'errore materiale (nella specie il dispositivo in calce alla motivazione indicava un reato e un imputato diversi da quelli di cui al a 50 dispositivo letto in udienza; Sez. 3, Sentenza n. 125 del 19/11/2008 Ud. dep. 08/01/2009 - Rv. 242258). Inoltre, non è configurabile la nullità di cui all'art. 546 comma terzo, cod. proc. pen., qualora sussista contrasto tra il dispositivo letto, e, dunque, pubblicato in udienza, quale risultante dal relativo verbale, e la copia depositata e l'errore concerna esclusivamente quest'ultima; in tal caso è, infatti, esperibile la procedura di correzione degli errori materiali, ex art. 130 cod. proc. pen. (Sez. 5, Sentenza n. 17696 del 18/02/2009 Ud. - dep. 24/04/2009 - Rv. 243615). Infine, in tema di provvedimenti camerali emessi dalla Corte di Cassazione, deve essere esperita la procedura di correzione degli errori materiali per rimediare alla difformità del dispositivo riportato nel provvedimento depositato da quello immediatamente compilato a margine del ruolo d'udienza e sottoscritto dal Presidente, che prevale (Sez. 1, Sentenza n. 10278 del 25/02/2010 Cc. dep. 15/03/2010 - Rv. 246787). Tanto premesso è evidente che il Tribunale di Brindisi accortosi dell'errore materiale consistente nell'aver indicato nella motivazione e nel dispositivo della sentenza per Melechì Cosimo la pena di anni 6 e mesi 6 di reclusione anziché la pena di anni 7 come fissata nel dispositivo letto in udienza - e quindi pubblicato — doveva provvedere con urgenza alla correzione del predetto errore materiale; e in effetti vi ha provveduto con ordinanza del 12.12.2011 quando il fascicolo era ancora nella sua disponibilità, dato che gli atti del processo sono pervenuti alla Corte di appello di Lecce il 13.02.2012. Si deve, in proposito, rilevare che la ripartizione della competenza per provvedere alla correzione dell'errore materiale prevista dall'art. 130 del c.p.p. deve essere interpretata in modo tale da non vanificare la funzione propria dell'istituto allorchè vi sia — come nel caso di specie — l'urgenza di correggere l'errore materiale. Quindi è evidente che il Giudice a quo sia competente a correggere l'errore materiale non solo nella pendenza dei termini per l'impugnazione, ma anche fino a quando gli atti — per l'espletamento delle attività postdibattimentali - non siano ancora materialmente pervenuti nella sfera del giudice ad quem. Si deve, inoltre, ricordare che l'ordinanza che decide sull'istanza di correzione dell'errore materiale è ricorribile per cassazione (Sez. 1, Sentenza n. 29871 del 24/06/2009 Cc. - dep. 17/07/2009 - Rv. 244319; Sez. 2, .--) 51 Sentenza n. 10948 del 09/12/2011 Cc. - dep. 21/03/2012 - Rv. 252463; Sez. 1, Sentenza n. 1674 del 09/01/2013 Cc. - dep. 14/01/2013 - Rv. 254229). Impugnazione che, invece, non vi è mai stata. Anzi l'imputato non ha sollevato alcun problema in relazione all'ordinanza neppure in appello. Già la mancata impugnazione dell'ordinanza è più che sufficiente per il rigetto della doglianza sul punto. Infine, si rileva che da quanto sopra il ricorrente non ha subito alcuna lesione del diritto di difesa, avendo avuto la possibilità di interloquire sulla questione sia innanzi alla Corte di appello, sia innanzi a questa Corte. Invero, lo stesso difensore dell'imputato dà atto nel suo ricorso (si veda pagina 14, lett. a): che "il dispositivo della sentenza di primo grado, letto all'udienza dell'11.07.2011, recava la condanna del Melechì a sette anni di reclusione"; che (pagina 14 lett. b) "depositata la motivazione in data 10.10.2011 si apprendeva una difformità del trattamento sanzionatorio irrogato: tanto nel testo della decisione che in dispositivo, infatti, la pena era di sei anni e sei mesi di reclusione"; che (pagina 14 lett. c) "in data prossima al 23.11.2011 la difesa depositava atto di appello a firma avv. Lodeserto impugnando la decisione nella sua interezza, ivi incluso il trattamento sanzionatorio di anni 6 e mesi 6 di reclusione"; che (pagina 14 lett. d) "in data 12.12.2011 il giudice a quo emetteva ordinanza di correzione dell'errore materiale nel senso indicato in sentenza". Quindi il difensore dell'imputato è venuto a conoscenza dell'errore materiale appena è stata depositata la motivazione della sentenza e ha deciso di non impugnare l'ordinanza e di impostare l'appello avverso la sentenza sulla base della pena erroneamente indicata, pur sapendo — come sopra evidenziato - che la pena indicata nel dispositivo letto e pubblicato in udienza prevale sul dispositivo riportato nella motivazione della sentenza; e dunque che il Tribunale o la Corte di appello avrebbero proceduto alla correzione dell'errore materiale. Ha, poi, saputo dell'ordinanza di correzione dell'errore materiale effettuata dal Tribunale di Brindisi prima dell'invio degli atti alla Corte di appello di Lecce e nulla ha osservato nel corso dell'appello sul punto. Infine la Corte territoriale ha confermato la pena così come corretta (della correzione dell'errore materiale da parte del Tribunale la Corte di appello dà atto a pagina 268 della sentenza impugnata) ritenendola 52 congrua per i motivi di cui si dirà in seguito; dunque di fatto la Corte di merito ha ratificato la correzione operata dal Tribunale di Brindisi. Le doglianze sulla congruità della pena e il diniego delle attenuanti generiche sono manifestamente infondate per la loro assoluta genericità. Invero il Giudice di merito ha ritenuto congrua la pena irrogata, tenendo correttamente conto — come si evince dall'esaustiva motivazione a pagina 268 dell'impugnata sentenza - della gravità del fatto. In proposito questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio — condiviso dal Collegio che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente — e per quanto sopra evidenziato non è certo questo il caso - gli elementi indicati nell'art. 133 cod. pen. (quelli di cui sopra; Sez. 4, Sentenza n. 41702 del 20/09/2004 Ud. - dep. 26/10/2004 - Rv. 230278). Tra l'altro nel caso di specie la pena individuata è inferiore al medio edittale (è superiore al minimo solo di un anno) e questa Suprema Corte ha più volte affermato che solo per l'irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale si richiede una specifica motivazione — che nel caso di specie comunque vi è stata - in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall'art. 133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 3, Sentenza n. 10095 del 10/01/2013 Ud. - dep. 04/03/2013 - Rv. 255153). Detto ciò si deve, allora, ricordare — per quanto riguarda la seconda doglianza sul trattamento sanzionatorio - quale è la funzione delle attenuanti generiche. In proposito questa Corte di Cassazione ha stabilito il principio — condiviso dal Collegio — che in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata -.---) 53 meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Sez. 1, Sentenza n. 11361 del 19/10/1992 Ud. - dep. 25/11/1992 Rv. 192381; Sez. 2, Sentenza n. 2769 del 02/12/2008 Ud. - dep. 21/01/2009 - Rv. 242709). Inoltre, l'obbligo di motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez. 2, Sentenza n. 38383 del 10/07/2009 Ud. - dep. 01/10/2009 - Rv. 245241). Infine, le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 3, Sentenza n. 19639 del 27/01/2012 Ud. - dep. 24/05/2012 - Rv. 252900). Tanto premesso si deve rilevare che la Corte territoriale valuta, comunque, correttamente i vari elementi fissati dall'articolo 133 del c.p. per la concessione delle attenuanti generiche. Questa suprema Corte ha più volte affermato che ai fini dell'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis cod. pen., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all'art. 133 del codice penale, ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento (nel caso di specie — per quanto sopra osservato - l'assenza di elementi utili ai fini del riconoscimento di tali attenuanti e i precedenti penali dell'imputato; si veda sul punto ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/10/2004 Ud. dep. 25/01/2005 - Rv. 230691; Sez. 6, Sentenza n. 34364 del 16/06/2010 Ud. - dep. 23/09/2010 - Rv. 248244). a«) 54 questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta Inoltre, sempre secondo i principi di questa Corte — condivisi dal Collegio - ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla in un caso posto all'attenzione di questa Suprema Corte - che ha considerato corretta la relativa motivazione - il giudice di merito aveva ritenuto che non potessero concedersi le attenuanti generiche in relazione alla gravità del fatto e ai precedenti penali dell'imputato (Si veda Sez. 1, Sentenza n. 3772 del 11/01/1994 Ud. - dep. 31/03/1994 - Rv. 196880; Sez. 1, Sentenza n. 1666 del 11/12/1996 Ud. -dep. 21/02/1997 - Rv. 206936; Sez. 2, Sentenza n. 106 del 04/11/2009 Ud. - dep. 07/01/2010 - Rv. 246045). Infine, per la concessione o il diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (Sez. 2, Sentenza n. 3609 del 18/01/2011 Ud. - dep. 01/02/2011 - Rv. 249163). Si deve, infine, rilevare che il richiamo alla motivazione del Tribunale, sul punto, operato dalla Corte di appello, non merita le censure mosse dal ricorrente, il quale sottolinea che la motivazione nella sentenza di primo grado si riferiva all'errata pena di anni 6 e mesi 6 di reclusione (circostanza, come già evidenziato, della quale dà atto la Corte di appello sempre a pagina 268). Orbene a prescindere dal rilevare che in effetti la pena individuata dal Tribunale è quella di anni 7 di reclusione, così come da dispositivo letto in udienza, si deve evidenziare che anche il Tribunale ha indicato le ragioni per le quali non ha ritenuto di irrogare la pena nel minimo edittale. Tali ragioni sono state, quindi, correttamente richiamate dalla Corte di appello condividendole in pieno. Il ricorso di Melechì Daniele è infondato. ? 55 concessione delle circostanze, ritenute di preponderante rilievo. Ad esempio Infatti, per quanto riguarda il primo motivo di ricorso con il quale si eccepisce la nullità dell'avviso di conclusione delle indagini ex art. 415 bis c.p.p. - e la nullità di tutti gli atti conseguenti successivi - perché notificato al difensore nominatogli dalla convivente, nomina non valida perché l'imputato era latitante e non detenuto si deve rilevare che la motivazione della Corte di appello è corretta (si veda pagina 18 dell'impugnata sentenza). Infatti, la Corte di merito in primo luogo ricostruisce il fatto: in data ed in data 9.4.2008 la convivente dello stesso imputato gli ha nominato quale difensore di fiducia l'Avvocato Raffaele Missere. In data 24.6.2008 Melechì Daniele ha formalizzato la nomina a difensore di fiducia dell'avvocato Missere e lo stesso professionista ha sottoscritto l'atto di appello, oltre ad avere partecipato all'attività processuale svoltasi nel giudizio di primo grado e ad aver presentato l'odierno ricorso per Cassazione. In secondo luogo la Corte di merito ha richiamato i principi di diritto evocati dal difensore secondo i quali la facoltà dei prossimi congiunti di nominare ai sensi dell'art. 96 comma 3 c.p.p. un difensore nell'interesse dell'indagato riguarda esclusivamente le persone in vinculis e non i latitanti, essendo la citata norma di carattere eccezionale e, come tale, non suscettibile di interpretazione analogica (Sez. 1, Sentenza n. 30150 del 06/06/2003 Cc. dep. 17/07/2003 - Rv. 225562; Sez. 6, Sentenza n. 13501 del 07/03/2006 Cc. - dep. 13/04/2006 - Rv. 234271). Si deve osservare in proposito che questa Corte ha, anche, affermato che la disposizione dell'art. 96 comma terzo cod. proc. pen. è suscettibile di estensione anche al caso dell'imputato-indagato latitante, secondo la "ratio" della norma la quale intende agevolare l'intervento di un difensore di fiducia, a preferenza di quello d'ufficio, tutte le volte in cui l'interessato si trovi in difficoltà e non può agevolmente provvedere all'incombente personalmente: il che soprattutto accade nel caso del latitante, che, attesa la necessità di nascondersi e non potendo neppure utilizzare il mezzo postale per rendere la dichiarazione di nomina del difensore, stante la esigenza di autenticazione della sottoscrizione, è davvero nella impossibilità materiale di provvedere personalmente (Sez. 4, Sentenza n. 7962 del 27/04/1999 Ud. - dep. 18/06/1999 - Rv. 214593). Orbene pur apparendo tale decisione più aderente alla ratio della norma di quelle O 56 3.4.2008 è stato emesso decreto di latitanza nei confronti di Melechì Daniele successive sopra citate (che escludono la possibilità dell'estensione del dettato dell'art. 96, III comma, c.p.p. al latitante con motivi molto formali e che non affrontano la questione del sicuro vantaggio del latitante ad essere comunque assistito da un difensore di fiducia anziché di ufficio) e sicuramente più favorevole per il latitante che in ogni caso viene ad essere assistito da un difensore di fiducia che terrà sempre informati i suoi prossimi congiunti che lo hanno nominato, si deve rilevare che la peculiarità del caso consente di risolvere la questione seguendo il percorso motivazionale della Corte territoriale senza dover affrontare la questione del contrasto giurisprudenziale (contrasto che ha portato il P.M. e il difensore del ricorrente a chiedere l'eventuale rimessione alle Sezioni Unite). Infatti, la Corte di appello ha osservato che questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio — condiviso dal Collegio — che è valida la nomina del difensore di fiducia, pur se non effettuata con il puntuale rispetto delle formalità indicate dall'art. 96 cod. proc. pen., in presenza di elementi inequivoci dai quali la nomina possa desumersi per "facta concludentia" (nella specie, la Corte ha a tal fine ritenuto significativa la circostanza che l'imputato, pur ritualmente avvisato, aveva rinunciato a comparire nel giudizio di appello e non aveva nominato altro difensore, diverso da quello che aveva presentato i motivi di appello, ritualmente indicato nel decreto di citazione per il giudizio di appello; Sez. 4, Sentenza n. 11378 del 12/01/2006 Ud. - dep. 31/03/2006 - Rv. 233681). Inoltre, è valida la nomina del difensore di fiducia, pur se non effettuata con il puntuale rispetto delle formalità indicate dall'art. 96 cod. proc. pen., in presenza di elementi inequivoci dai quali la nomina possa desumersi per "facta concludentia" (nella specie, la Corte ha ritenuto valida la nomina per telegramma, depositata presso la Procura delle Repubblica da un avvocato che ha poi proposto appello cautelare ex art. 310 cod. proc. pen.; Sez. 6, Sentenza n. 16114 del 20/04/2012 Cc. - dep. 27/04/2012 - Rv. 252575). Dunque la Corte di appello applicando i suddetti principi al caso di specie (principi che vanno a confortare anche la decisione sopra citata n. 7962 del 27/04/1999) rileva che la convivente del ricorrente solo 6 giorni dopo la dichiarazione di latitanza nomina un difensore di fiducia per Melechì Daniele e che questi appena può — e cioè quando si costituisce il 24.06.2008, si veda pagina 3 del ricorso — nomina quale difensore di fiducia lo stesso ...-.) 57 Avvocato Raffaele Missere e cioè lo stesso difensore nominato, precedentemente, dalla sua convivente; Avvocato che — come già detto — assisterà il ricorrente per tutto il processo (primo grado, secondo grado e cassazione). Tutto ciò conferma, quindi, che la volontà dell'imputato coincideva con quella della sua convivente. Si deve, infine, osservare che se non si fosse considerata valida la nomina effettuata dalla convivente la notifica sarebbe stata effettuata ad un difensore di ufficio ai sensi dell'art. 165, II comma, del c.p.p.; non si comprende né è stato indicato nel ricorso quale sarebbe stato il vantaggio per l'imputato se si fosse seguita questa strada e quindi qual è l'interesse del prevenuto a sollevare tale questione. In realtà dallo svolgimento del caso sopra evidenziato emerge con chiarezza non solo il vantaggio per l'imputato che da pochi giorni dopo la sua latitanza è sempre stato seguito dallo stesso difensore di fiducia, ma anche l'assoluta mancanza di una qualsiasi violazione del diritto di difesa che, d'altronde, non è stata neppure evidenziata dal ricorrente. Per quanto riguarda il secondo motivo relativo alla ritardata iscrizione del nome del Melechì sul registro degli indagati e alla conseguente inutilizzabilità delle fonti di prova per violazione del combinato disposto degli articoli 335 e 407 c.p.p., si deve rilevare che la Corte di appello alle pagine 18 e 19 della sentenza ha rigettato la doglianza con motivazione incensurabile e in linea con i principi della consolidata giurisprudenza di questa Corte sul punto. Infatti, si deve in proposito sottolineare che questa Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha ribadito (si veda, infatti, quanto già affermato da Sez. U, Sentenza n. 16 del 21/06/2000 Ud. - dep. 30/06/2000 Rv. 216248) che il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il Pubblico Ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al G.I.P. sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall'art. 407, comma terzo, cod. proc. pen., fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P.M. che abbia ritardato l'iscrizione (Sez. U, Sentenza n. 40538 del 24/09/2009 58 Cc. - dep. 20/10/2009 - Rv. 244376; Conformi: Sez. 2, Sentenza n. 23299 del 21/02/2008 Ud. - dep. 10/06/2008 - Rv. 241103; Sez. 6, Sentenza n. 25385 del 19/03/2012 Cc. - dep. 27/06/2012 - Rv. 253100; Sez. 2, Sentenza n. 150 del 18/10/2012 Ud. - dep. 04/01/2013 - Rv. 254676). Nella sentenza delle Sezioni Unite del 2009 - sopra citata - pur essendo stata rimarcata la totale mancanza di discrezionalità del P.M. nell'apprezzamento, sotto il profilo alla quale il reato stesso è attribuito, notizia e nome che vanno immediatamente iscritti nell'apposito registro - si è evidenziato che, per rimediare a possibili "patologie" derivanti da ritardi del Pubblico Ministero rispetto all'obbligo di procedere immediatamente alle iscrizioni delle notizie di reato, sarebbe necessaria l'individuazione "di un giudice e di un procedimento che consentisse l'adozione di un qualche provvedimento surrogatorio", che possono essere previsti soltanto per legge, risultando indispensabile sia la precisa indicazione di attribuzioni processuali di tale giudice, sia una disciplina del "rito secondo il quale inscenare un simile accertamento incidentale. Basti pensare, ad esempio, all'esigenza di rispettare il contraddittorio, non solo tra i soggetti necessari, ma anche in riferimento agli altri eventuali partecipanti della indagine o del processo. Se s'introducesse, infatti, un controllo ex post sul merito della tempestività delle iscrizioni, con possibilità di retrodatazione tale da compromettere l'utilizzazione di atti d'indagine, il relativo ius ad loquendum non potrebbe non essere riconosciuto anche agli eventuali altri indagati o persone offese, che dalla postuma dichiarazione d'inutilizzabilità di atti d'indagine potrebbero soffrire una grave compromissione, ove quegli atti fossero favorevoli alla loro posizione". Nè un siffatto rimedio può essere individuato dalla Corte Costituzionale, in mancanza di soluzioni procedimentali costituzionalmente obbligate, cosicché il prospettato incidente di costituzionalità si appalesa manifestamente infondato, essendo destinato a una declaratoria di manifesta inammissibilità da parte del giudice delle leggi, essendo invece compito, ormai indilazionabile del legislatore intervenire con "un innesto normativo per portare a soluzione i problemi, da tempo avvertiti, che scaturiscono dall'assenza di effettivi rimedi per le ipotesi di ritardi nell'iscrizione nel registro delle notizie di reato" (sulla manifesta infondatezza della questione di ) 59 oggettivo e quello soggettivo, della notizia di reato e del nome della persona legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., degli artt. 335 e 407, commi secondo e terzo, cod. proc. pen., si veda: Sez. 6, Sentenza n. 2261 del 04/12/2009 Cc. - dep. 19/01/2010 - Rv. 245850; Sez. 5, Sentenza n. 45928 del 23/09/2005 Cc. - dep. 19/12/2005 - Rv. 233214). Né l'attuale disciplina codicistica appare in contrasto con quanto stabilito dall'art. 6 CEDU. Dunque secondo la giurisprudenza di questa Corte di dall'articolo 335 c.p.p., con l'indicazione del nome della persona raggiunta da indizi di colpevolezza e sottoposta ad indagini "contestualmente ovvero dal momento in cui esso risulta", non determina la inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti sino al momento della effettiva iscrizione nel registro, poiché, in tal caso, il termine di durata massima delle indagini preliminari, previsto dall'articolo 407 c.p.p., al cui scadere consegue l'inutilizzabilità degli atti di indagine successivi, decorre per l'indagato dalla data in cui il nome è effettivamente iscritto nel registro delle notizie di reato e non dalla presunta data nella quale il P.M. avrebbe dovuto iscriverla. L'apprezzamento della tempestività dell'iscrizione, il cui obbligo nasce solo ove a carico di una persona emerga l'esistenza di specifici elementi indiziari e non di meri sospetti, rientra nella esclusiva valutazione discrezionale del P.M. ed è sottratta, in ordine all'an e al quando, al sindacato del giudice (cfr. Cass. Sez. I, 28.4.1995 n. 2621; Sez. V, 8.4.2008 n. 22340; Sez. U, 24.9.2009 n. 40538). Il terzo motivo di ricorso relativo all'esclusione dei benefici del giudizio abbreviato verrà trattato unitamente alle medesime doglianze, sul punto, proposte da altri imputati. Per quanto riguarda la reiterata eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche contenuta nel quarto motivo di ricorso si rileva che la Corte di appello con motivazione incensurabile ha ben evidenziato a pagina 19 le ragioni per le quali ha rigettato tale doglianza oggi genericamente riproposta. Si richiama, sul punto, quanto già sopra sottolineato per i ricorrenti Fai Vito e Pietro. Per quanto riguarda il quinto motivo di ricorso con il quale la difesa del ricorrente lamenta il mancato accoglimento della rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per accertare se fosse proprio il ricorrente l'interlocutore delle G) 60 Cassazione l'omessa annotazione della notizia criminis nel registro previsto conversazioni intercettate è sufficiente richiamare l'incensurabile motivazione fornita dalla Corte di appello sul punto a pagina 148 della sua sentenza dove tra l'altro si evidenziano tutti gli elementi che l'hanno portata a ritenere certa l'identificazione del ricorrente per uno dei colloquianti e non necessaria la perizia tecnica. Si richiama anche quanto osservato dal Collegio sugli stessi argomenti in relazione alle analoghe doglianze dei ricorrenti Bruno Andrea, Melechì Emanuele e Carluccio Antonio. Per quanto riguarda il sesto motivo di ricorso relativo all'applicazione della recidiva si richiama quanto già esposto per la medesima doglianza proposta dai ricorrenti Fai Vito e Pietro. Per quanto riguarda le generiche doglianze relative alla carenza di elementi probatori a carico del ricorrente è sufficiente rinviare alle pagine della sentenza impugnata relative al ricorrente (144 e ss. e 213 e ss.) dove si evidenziano tutte le prove a carico dell'imputato. Oltre a richiamare, poi, tutti i principi di diritto già evocati per gli altri ricorrenti (ad esempio: su interpretazione delle intercettazioni, sulla cosiddetta doppia conforme) si deve, infine, osservare che il principio dell'oltre ragionevole dubbio, introdotto nell'art. 533 cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza e non può, quindi, essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto — come nel caso di specie - di attenta disamina da parte del giudice dell'appello (Sez. 5, Sentenza n. 10411 del 28/01/2013 Ud. - dep. 06/03/2013 - Rv. 254579). Incensurabile è, infine, la motivazione per il trattamento sanzionatorio. Anche per tale motivo di ricorso si richiama quanto illustrato in precedenza in relazione all'imputato Melech1 Cosimo. Il ricorso di Melechì Emanuele a firma dell'Avvocato Alfredo Gaito e avente per oggetto unicamente l'esclusione dei benefici del giudizio abbreviato e correlativa applicazione di pena illegale verrà trattato unitamente alle medesime doglianze, sul punto, proposte da altri imputati. Il ricorso di Torsello Damiano Cosimo è infondato. p 61 Per quanto riguarda le generiche doglianze relative alla carenza di elementi probatori a carico del ricorrente è sufficiente rinviare alle pagine della sentenza impugnata relative al ricorrente (138 e ss.) dove si evidenziano tutti le prove a carico dello stesso, con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria. Oltre a richiamare, poi, tutti i principi di diritto già evocati per gli altri ricorrenti (ad esempio: su interpretazione delle sui singoli argomenti già trattati per il ricorso di Bruno Andrea e Melechì Emanuele (ad esempio: sulla vicenda Padula; le elezioni amministrative; l'acquisto dei precursori), si deve rilevare che la Corte di appello a pagina 27 e seguenti evidenzia correttamente quale sia stato il peso della ricostruzione delle pregresse presenze di sodalizi criminosi di tipo mafioso nel territorio di Torre Santa Susanna sul presente procedimento; e dopo aver dato atto delle varie sentenze assolutorie sottolinea — come già detto — tutte le prove che l'hanno portata a confermare la sentenza di primo grado per il reato di cui all'art. 416 bis del cod. penale. La doglianza relativa all'esclusione dei benefici del giudizio abbreviato e correlativa applicazione di pena illegale verrà trattato unitamente alle medesime doglianze, sul punto, proposte da altri imputati. Tutte le doglianze relative all'esclusione dei benefici del giudizio abbreviato sono infondate. Invero, la Corte di appello ha fornito una corretta motivazione sul perché fosse legittima tale esclusione; motivazione che si fonda su un consolidato principio di questa Corte - pienamente condiviso dal Collegio — secondo il quale poiché la trascrizione delle intercettazioni non costituisce prova o fonte di prova ma solo un'operazione puramente rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove già acquisite mediante registrazione fonica, non è possibile subordinare la richiesta di definizione del processo con rito abbreviato ad una integrazione probatoria consistente nell'esecuzione della trascrizione, ben potendo la parte far eseguire la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni secondo il disposto dell'art. 268, comma ottavo, cod. proc. pen. (Sez. 1, Sentenza n. 32851 del 06/05/2008 Ud. - dep. 05/08/2008 - Rv. 241232; si vedano anche le seguenti sentenze successive a quelle citate a pagina 265 dell'impugnata sentenza: Sez. 2, Sentenza n. 4243 del 25/10/2011 Ud. - dep. intercettazioni, sulla cosiddetta doppia conforme) e le considerazioni svolte 01/02/2012 - Rv. 252202; Sez. 2, Sentenza n. 13463 del 26/02/2013 Ud. dep. 22/03/2013 - Rv. 254910). Si deve, inoltre, rilevare che trattandosi di questione di diritto il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacché ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque Sentenza n. 19696 del 20/05/2010 Ud. - dep. 25/05/2010 - Rv. 247123; fattispecie — quella affrontata nella predetta sentenza - di immotivata reiezione delle doglianze relative a legittimo diniego di ammissione al rito abbreviato). Orbene se anche si volesse prescindere dal principio di diritto di cui sopra (Cass. 2010/19696 CED 247123), si deve rilevare che le motivazioni del G.I.P. e del Tribunale - — sul rigetto della richiesta di procedere con giudizio abbreviato condizionato - non hanno in alcun modo inciso sul diritto degli imputati in ordine alla scelta del rito. Infatti, si deve - in primo luogo sottolineare che le motivazioni di entrambi i giudici sono perfettamente compatibili con il contenuto della sentenza di questa Suprema Corte - sopra citata (Cass. 2008/32851, CED 241232) - evocata dalla Corte di appello per rigettare le doglianze degli imputati. Infatti, nella motivazione della predetta sentenza di questa Corte si legge che "nel ricorso con i primi due motivi si censura - per difetto di motivazione e violazione di norme processuali - il diniego della diminuente del rito abbreviato, tempestivamente richiesto e condizionato alla trascrizione integrale delle intercettazioni sulla propria utenza telefonica. La richiesta era stata respinta dal G.U.P. - che aveva ritenuto l'integrazione probatoria non necessaria ed incompatibile con le finalità del rito - e vanamente riproposta "in limine" al giudizio di primo grado; in sede di discussione e di appello era stata sollecitata l'applicazione della diminuente. I giudici del dibattimento si erano acriticamente attenuti alla valutazione del G.U.P., senza neppure considerare che nel corso del giudizio era stata disposta la trascrizione delle intercettazioni". Come si vede il caso è identico a quello di cui ci occupiamo oggi, poiché il G.U.P. aveva ritenuto l'integrazione probatoria non necessaria ed incompatibile con le finalità del rito (come, appunto, nel nostro caso anche se si perviene alla stessa ) 63 esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza (Sez. 2, affermazione unendo la motivazione del G.I.P. e del Tribunale; motivazioni che però possono essere prese in considerazione unitamente, concordando con quanto osservato nella memoria del difensore di Bruno — vedi pagina 9 della predetta memoria — e cioè che la motivazione del Tribunale consiste in "una mera estensione" della motivazione del G.I.P.). Questa Corte nella motivazione della sopraddetta sentenza evidenzia, poi, che "non è fondata la richiesta di "recupero" della diminuente del rito abbreviato avanzata dal ricorrente, che aveva formulato richiesta ai sensi dell'art. 438 c.p.p., comma 5, condizionandola, fra l'altro, alla trascrizione di intercettazioni telefoniche. Ora, la trascrizione delle conversazioni intercettate non costituisce prova o fonte di prova, ma solo un'operazione puramente rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove già acquisite mediante registrazione fonica della quale il difensore, secondo la disposizione dell'ad. 268 c.p.p., comma 8, può far eseguire la trasposizione su nastro magnetico - per cui risulta ad essa inapplicabile la disposizione del quinto comma dell'ad. 438 del codice di rito, nel senso che, per difetto della natura di prova, la trascrizione non può essere oggetto della richiesta subordinante dell'imputato di integrazione probatoria (Sez. 6, Sentenza n. 4892 del 20/10/2003 Ud. - dep. 06/02/2004 Rv. 227844); correttamente, quindi, la richiesta è stata disattesa dal G.U.P., che l'ha ritenuta per un verso incompatibile con le caratteristiche del rito speciale, per altro aspetto non necessaria ai fini della decisione, essendo già acquisita la prova fonica e finanche la riproduzione grafica ad opera della P. G. delegata all'ascolto, di cui è consentita l'utilizzazione nel giudizio abbreviato"(Sez. 4, Sentenza n. 47891 del 28/09/2004 Ud. - dep. 10/12/2004 - Rv. 230569; si deve in proposito rilevare che la giurisprudenza successiva alla sentenza del 2004 n. 47891 di cui sopra, ha affermato il principio che in sede di giudizio abbreviato, il giudice può valutare le trascrizioni sommarie compiute dalla polizia giudiziaria circa il contenuto di conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione - cosiddetti "brogliacci" -, essendo utilizzabili ai fini della decisione tutti gli atti che siano stati legittimamente acquisiti al fascicolo del pubblico ministero: Sez. 6, Ordinanza n. 16823 del 24/03/2010 Ud. - dep. 03/05/2010 - Rv. 247007; Sez. 5, Sentenza n. 20055 del 26/03/2013 Ud. - dep. 09/05/2013 - Rv. 255655). Quindi, non si tratta di motivazioni diverse che hanno potuto in qualche modo incidere sulle O 64 decisioni delle difese, ma in realtà in ognuna di esse vi è una progressiva estensione dello stesso concetto. Ma se anche, per mera ipotesi, le motivazioni del G.I.P. e del Tribunale fossero state diverse e non si facesse, poi, valere il principio, già evocato, che per le questioni di diritto non conta la motivazione ma solo che la norma sia correttamente applicata, si deve rilevare che in ogni caso i difensori erano nelle condizioni di: 1) reiterare la richiesta di giudizio abbreviato condizionato all'ascolto delle intercettazioni di cui si era chiesta la trascrizione. Infatti, il G.I.P. nel rigettare la richiesta di giudizio abbreviato condizionato alle trascrizioni aveva ritenuto tale richiesta "non ammissibile sul presupposto che non si tratterebbe del semplice ascolto ma di un'attività più complessa" (si veda, anche, la nota n.1 a pagina 6 della memoria del Bruno ove si riportano le decisioni del G.I.P. e del Tribunale sul punto); 2) oppure chiedere il giudizio abbreviato semplice nel corso del quale evidenziare tutte le problematiche relative alle varie intercettazioni e, se del caso, chiedere l'ascolto delle conversazioni controverse (si veda in proposito quanto affermato nella memoria del Bruno, affermazioni che confermano che i difensori ben potevano effettuare le loro scelte in relazione al giudizio abbreviato nonostante quanto deciso dal giudice di merito). Prima di passare agli altri argomenti dei difensori, è opportuno sgombrare il campo da alcuni equivoci. Equivoci che si risolvono leggendo la motivazione della sentenza impugnata sul punto e non contestata dai ricorrenti. Innanzi tutto non risulta affatto che la richiesta del giudizio abbreviato fosse stata sottoposta non solo alla condizione di trascrivere le intercettazioni indicate, ma anche a "tradurre" le conversazioni dal dialetto all'italiano. Che non vi fosse anche tale seconda condizione lo si ricava agevolmente leggendo pagina 265 dell'impugnata sentenza nella quale la Corte di appello espone dettagliatamente (ai punti a, b, c, d) il contenuto delle richieste dei vari imputati: in tutte si chiede solo la trascrizione delle intercettazioni. Nessuna contestazione specifica sul punto è stata proposta dai ricorrenti ed anzi nella memoria presentata per Bruno a pagina 2 si legge: "avendo quindi inquadrato in maniera adeguata le ragioni poste a fondamento dello specifico motivo di gravame, la Corte ha stabilito che ...."; si aggiunge, poi, che la Corte "dopo aver ricapitolato quali fossero le richieste probatorie formulate in sede di udienza preliminare (poi ribadite all'apertura del dibattimento), ossia le perizie trascrittive delle intercettazioni 65 ambientali e telefoniche ...". Si deve, poi, rilevare che nei vari atti nei quali si parla di questa inesistente richiesta di "traduzione" si fanno affermazioni generiche e apodittiche: generiche perché non si indicano neppure quali sarebbero le frasi dialettali e la loro eventuale difficoltà di comprensione; apodittiche perché si afferma che i giudici di merito non sarebbero stati in grado di comprendere tali frasi. A conferma di quanto sopra, si deve rilevare che i difensori dei ricorrenti che affrontano l'argomento relativo al contenuto delle conversazioni (argomento di cui si dirà in seguito) non evidenziano mai problemi relativi alla difficoltà di comprensione delle frasi dialettali o errori di interpretazione dovuti all'uso del dialetto. Altro equivoco da eliminare è quello sollevato dal difensore del Bruno nel ricorso e relativo ad una bobina rotta che non avrebbe consentito l'ascolto delle intercettazioni su di essa registrate; da ciò la necessità di richiedere la trascrizione delle predette intercettazioni. Anche per tale doglianza si deve confermare che se anche si fosse verificata tale circostanza ciò non avrebbe impedito — come si è già evidenziato - di procedere alla richiesta di giudizio abbreviato semplice (definito anche semplice, secco o non condizionato). Infatti, se effettivamente non fosse stato possibile recuperare in qualche modo le conversazioni registrate sulla bobina rotta era inutile chiederne la trascrizione che con evidenza era divenuta impossibile; inoltre nel corso del giudizio abbreviato semplice si sarebbe potuto far presente che non si poteva tener conto di quelle conversazioni perché non rinvenibili. Non è un caso che, poi, nel dibattimento tali conversazioni sono state regolarmente trascritte e che non è stata sollevata alcuna questione sull'utilizzazione di tutte le intercettazioni poste a fondamento delle varie condanne. Sul punto si deve, infine, rilevare che a pagina 266 dell'impugnata sentenza la Corte di appello ha sottolineato — a proposito di alcune osservazioni proposte nel corso dell'udienza preliminare e genericamente riproposte da alcuni ricorrenti, tra i quali il Bruno unitamente al problema della bobina rotta — che "di tutte le registrazioni, poi, oggetto di trascrizione nel corso del dibattimento (e, quindi, poste a base della decisione del primo giudice), i difensori avevano ricevuto la duplicazione richiesta". La Corte territoriale ha ricavato quanto sopra dalle note del P.M. inviate al G.I.P. - in data 30.01.2009 e 04.02.2009 — e richiamate e lette dallo stesso P.M. nel corso dell'udienza preliminare a 66 fronte di contestazioni sul punto da parte di alcuni difensori. Note del P.M. precedenti, quindi, alla decisione del G.I.P. — in data 16.02.2009 - di respingere la richiesta di giudizio abbreviato condizionato alla trascrizione delle predette intercettazioni. Tutto ciò a conferma che si era perfettamente realizzata la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni secondo il disposto dell'art. 268, comma ottavo, cod. proc. pen. così come si evidenzia nella massima posta a fondamento della decisione, sul punto, della Corte territoriale sopra citata (Cass. 2008/32851, CED 241232). Per poter rispondere alle altre doglianze sul punto, è opportuno affrontare, ora, in modo più specifico l'esame del predetto consolidato principio di questa Corte, pienamente condiviso dal Collegio e, tra l'altro, ritenuto condivisibile in linea teorica anche nella memoria del Bruno a pagina 4; anche se, poi, la sua applicazione la si esclude, per il caso di specie, per delle peculiarità - scambi di battute in dialetto che avevano bisogno di una traduzione — traduzione che però, come già evidenziato, in realtà non ha formato oggetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato. Orbene secondo il predetto principio la trascrizione delle intercettazioni non costituisce prova o fonte di prova ma solo un'operazione puramente rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove già acquisite mediante registrazione fonica e pertanto non è possibile subordinare la richiesta di definizione del processo con rito abbreviato ad una integrazione probatoria consistente nell'esecuzione della trascrizione, ben potendo la parte far eseguire la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni secondo il disposto dell'art. 268, comma ottavo, cod. proc. pen. (Sez. 1, Sentenza n. 32851 del 06/05/2008 Ud. - dep. 05/08/2008 - Rv. 241232; Sez. 2, Sentenza n. 4243 del 25/10/2011 Ud. - dep. 01/02/2012 - Rv. 252202; Sez. 2, Sentenza n. 13463 del 26/02/2013 Ud. - dep. 22/03/2013 - Rv. 254910). E' chiaro che questa Corte nell'affermare il predetto principio ha tenuto necessariamente conto della natura del giudizio abbreviato condizionato. Il giudizio abbreviato — così come modificato dalla legge n. 479 del 2009 — si distingue in due diversi tipi: giudizio abbreviato semplice (o secco) e giudizio abbreviato condizionato. Se l'imputato chiede di voler procedere con giudizio abbreviato semplice il Giudice deve necessariamente disporre in tal senso, salva la possibilità per lo stesso giudice — che ritenga di 67 non poter decidere allo stato degli atti - di acquisire anche di ufficio — ex art. 441, V comma, c.p.p. — gli elementi necessari ai fini della decisione. Se l'imputato, invece, chiede di procedere con giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria, il Giudice decide di provvedere in tal senso solo se "l'integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili" (art. 438, V comma, c.p.p.). Ebbene, questa Corte di Cassazione ha affermato il condiviso principio di cui sopra perchè richiamando e facendo proprio l'altrettanto consolidato e condiviso principio secondo cui la trascrizione delle intercettazioni telefoniche non costituisce prova o fonte di prova ma solo un'operazione puramente rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove già acquisite mediante registrazione fonica né ha tratto la logica conseguenza: non è possibile subordinare la richiesta di definizione del processo con rito abbreviato all'esecuzione della trascrizione, dato che la trascrizione non costituisce integrazione probatoria. In tal caso manca, quindi, proprio il presupposto fondamentale del giudizio abbreviato condizionato: l'acquisizione di un elemento probatorio. Dunque in questo caso, ovviamente, la trascrizione non risulta neppure necessaria ai fini della decisione dato che la prova è costituita solo dalla registrazione fonica; e conseguentemente la trascrizione è anche incompatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento (anche alla luce di quanto deciso dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 115 del 2001, decisione recepita dalla sentenza della Cass. a Sez. Un. Del 2004 n. 44711, non massimata imputato WAJIB Nabil); infatti non avrebbe senso perdere anche pochissimo tempo (ma non sarebbe stato, comunque, questo il caso visto che ben sette imputati hanno condizionato la loro richiesta di giudizio abbreviato alla trascrizione di non poche intercettazioni) per svolgere un'attività che non costituisce prova e quindi non può costituire valida condizione per quanto disposto dall'art. 438, V comma, cod. proc. penale. Ecco, così, spiegato perché la decisione della Corte di appello è corretta e le motivazioni del G.I.P. e del Tribunale in linea con tale decisione. Infatti, se la trascrizione delle intercettazioni non costituisce prova tale operazione non è necessaria e ciò è già più che sufficiente per non accogliere la richiesta di 9 68 giudizio abbreviato condizionato all'espletamento della trascrizione delle intercettazioni. Invero, perché il Giudice disponga il giudizio abbreviato condizionato è necessario che ricorrano tutti e tre i presupposti e cioè: che la condizione costituisca un'integrazione probatoria, sia necessaria e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento. Che sia necessario che ricorrano tutti e tre i presupposti perché il giudice provveda al giudizio abbreviato condizionato lo si ricava non solo da come è redatta la norma (che esclude la possibilità di svolgere attività non finalizzate a integrazioni probatorie; che richiede che tale integrazione processuale sia, poi, necessaria e — non o - compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento), ma anche dalla finalità che ha portato il Legislatore a prevedere il giudizio abbreviato condizionato: la deroga alla regola di decidere allo stato degli atti è consentita solo nel caso sussistano i presupposti di cui al quinto comma dell'art. 438 cod. proc. pen. sopra evidenziati. Sarebbe infatti assurdo — e per questo non consentito dalla legge - procedere ad un'attività di integrazione probatoria compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, ma non necessaria ai fini della decisione (che quindi comporterebbe un'inutile perdita di tempo); così come non si può procedere con il giudizio abbreviato se l'attività di integrazione probatoria ritenuta necessaria ai fini della decisione non sia, però, compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento. Conferma quanto sopra la sentenza di questa Corte a Sezioni Unite del 2004 n. 44711 (non massimata imputato WAJIB Nabil) allorchè afferma che "è evidente, quindi, che il giudice, nell'ipotesi di richiesta "condizionata", non è tenuto a consentire, sempre e in ogni caso, l'accesso al rito abbreviato atteso che, quando non ritiene "necessaria ai fini della decisione", ovvero "compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento", l'integrazione probatoria indicata dall'imputato nella richiesta risolutívamente condizionata all'assunzione di quelle prove, ben può deliberare di non ammetterle e, di conseguenza, di non disporre il giudizio speciale". Quanto sopra rende evidente l'infondatezza, anche, della doglianza con la quale si rileva che il Tribunale non ha proceduto all'acquisizione del fascicolo del P.M. per vagliare l'assoluta necessità della integrazione 69 istruttoria richiesta (anche alla luce di quanto deciso dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 169 del 2003 e dalla sentenza della Cass. Sez. Un. del 2004 n. 44711, non massimata imputato WAJIB Nabil). Infatti, nel caso di specie si è escluso che la richiesta di trascrizione delle intercettazioni costituisca un'integrazione probatoria e quindi è inutile acquisire il fascicolo del P.M. per effettuare la valutazione delle risultanze raccolte, al fine di verificare la sussistenza della prospettata necessità della prova integrativa richiesta; infatti che le intercettazioni siano prove rilevanti e necessarie per la decisione non è mai stato messo in discussione, ma tali prove sono già state acquisite con la registrazione fonica e sono agli atti, mentre la trascrizione delle intercettazioni non costituisce prova e, come già detto, non è, pertanto, necessaria per decidere allorchè si procede con giudizio abbreviato. Si è contestato quanto sopra con il rilievo che, poi, nel corso del giudizio di primo grado si è proceduto alla trascrizione; quindi, evidentemente, tale attività è stata ritenuta necessaria. Questa osservazione, invece, non incide affatto su quanto sopra esposto e ritenuto. Infatti, non si deve dimenticare che la trascrizione è il modo usuale attraverso il quale il giudice di merito nel corso del dibattimento prende conoscenza del contenuto della registrazione fonica, in quanto nella fase dibattimentale non sono utilizzabili — perché atti di indagine preliminare — i brogliacci e le trascrizione effettuate dalla Polizia Giudiziaria; atti questi che, invece, acquistano valore probatorio per volontà dell'imputato nel giudizio abbreviato. E' necessario ora affrontare l'ultima questione sollevata nell'atto integrativo del ricorso per Melechì Emanuele (Avvocato Alfredo Gaito) e nei motivi nuovi per Bruno Andrea (Avvocato Franco Coppi): se come sostenuto dalla Corte di appello la trascrizione non costituisce prova essendo la prova costituita dalla traccia fonica allora la condizione deve essere considerata come non apposta; conseguentemente il G.I.P. avrebbe dovuto procedere con il rito abbreviato secco o semplice E' evidente che quanto sopra prospettato dai difensori dei ricorrenti non è accoglibile. Infatti, se l'imputato chiede di essere ammesso al giudizio abbreviato condizionato ad un'integrazione probatoria inutile o errata o impossibile (così come si esprime a pagina 13 del suo ricorso l'Avvocato Gaito) o inesistente giuridicamente (così come si esprime a pagina 12 dei 70 motivi nuovi l'Avvocato Coppi) l'unica decisione che deve prendere il Giudice è quello di rigettare l'istanza. Questa Suprema Corte ha infatti affermato il principio — pienamente condiviso dal Collegio — che in caso di richiesta di giudizio abbreviato dell'imputato subordinata ad integrazione probatoria, al giudice è demandato il controllo sulla fondatezza della domanda al fine di verificare se l'integrazione probatoria sia necessaria e compatibile con le finalità di economia processuale del rito. All'esito di tale controllo, non è riconosciuta altra soluzione tra quella dell'accoglimento o quella del rigetto dell'istanza, non avendo il giudice il potere di modificare i termini della condizione apposta dall'imputato. Ne consegue che dà luogo a nullità di cui agli artt. 178, lett. c, e 180 cod. proc. pen. la decisione del giudice di ammettere soltanto il supplemento istruttorio reputato sufficiente (Sez. 3, Sentenza n. 38184 del 12/06/2003 Ud. - dep. 08/10/2003 - Rv. 226755; Conformi: Sez. 5, Sentenza n. 6772 del 12/12/2005 Ud. - dep. 23/02/2006 Rv. 233977; Sez. 6, Sentenza n. 42696 del 23/10/2008 Ud. - dep. 14/11/2008 - Rv. 241627; Sez. 2, Sentenza n. 23605 del 12/03/2010 Ud. dep. 18/06/2010 - Rv. 247291). Alla stessa soluzione si deve pervenire nel caso di richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad integrazione probatoria inutile, errata, impossibile o inesistente giuridicamente. Infatti, secondo l'attuale modello normativo del giudizio abbreviato - le cui linee complessive sono state positivamente scrutinate dalla Corte costituzionale con sentenza n. 115 del 2001 - l'imputato è diventato arbitro esclusivo dell'instaurazione del giudizio "semplice" o "puro", perché nè il pubblico ministero può opporsi, nè il giudice può valutare se il processo sia effettivamente definibile all'udienza preliminare allo stato degli atti e, in caso negativo, rigettare la richiesta, essendo la completezza e la sufficienza delle prove comunque assicurata dal potere integrativo, anche officioso, dello stesso giudice. Risulta, invero, chiaro l'intento del legislatore della riforma di svincolare la richiesta dell'imputato sia dal parere del Pubblico Ministero che da qualsiasi apprezzamento discrezionale del giudice, secondo una prospettiva di "ordinarietà" del giudizio abbreviato (si veda S.U. n. 44711/2004 WAJIB Nabil non massimata e già citata). In buona sostanza sia l'art. 111 della Costituzione sia le norme della CEDU (art. 6) evidenziano con chiarezza che solo l'imputato può scegliere di rinunciare all'acquisizione delle prove nel 71 contraddittorio delle parti e, dunque, di non accedere al cosiddetto processo equo. Dunque mai un Giudice può autoritativamente imporre di procedere al giudizio abbreviato secco o semplice. E' opportuno ricordare sul punto quanto deciso nel caso Scoppola contro Italia (sentenza CEDU del 17.09.2009): "la Corte ha già avuto l'occasione di esaminare le peculiarità del giudizio abbreviato previsto dal c.p.p. italiano. Essa ha osservato che questa procedura presentava dei vantaggi innegabili per l'imputato: in caso di condanna, quest'ultimo beneficia di una importante riduzione della pena e la procura non può interporre appello avverso le sentenze di condanna che non modificano la qualificazione giuridica del reato (Hermi, già cit., § 78, e Hany c. Italia (dec.), n. 17543/05, 6 novembre 2007). Questa procedura, tuttavia, è accompagnata da una attenuazione delle garanzie processuali offerte dal diritto interno, in particolare per quanto riguarda la pubblicità del dibattimento, la possibilità di chiedere la produzione di elementi di prova e di ottenere la convocazione di testimoni (Kwiatkowska c. Italia (dec.), n. 52868/99, 30 novembre 2000). In effetti, nell'ambito del giudizio abbreviato, la produzione di nuove prove, in linea di massima, è esclusa, poiché la decisione deve essere presa, salvo eccezioni, sulla base degli atti contenuti nel fascicolo della procura (Flermi, già cit., § 87; v. anche paragrafo 27 supra). Le garanzie sopra indicate costituiscono degli aspetti fondamentali del diritto a un processo equo sancito dall'articolo 6 della Convenzione. Né il testo né lo spirito di questa disposizione impediscono che una persona vi rinunci spontaneamente in maniera espressa o tacita. Tuttavia, per essere presa in considerazione sotto il profilo della Convenzione, tale rinuncia deve essere stabilita in maniera non equivoca ed essere accompagnata da un minimo di garanzie corrispondenti alla sua importanza (Poitrimol c. Francia, 23 novembre 1993, § 31, serie A n. 277-A, e Hermi, già cit., § 73)". Non incide negativamente su quanto sopra la decisione delle Sezioni Unite di questa Corte secondo la quale l'ordinanza di ammissione al giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria non è revocabile nel caso in cui l'acquisizione della prova dedotta in condizione divenga impossibile per circostanze imprevedibili e sopraggiunte, atteso che il vincolo di subordinazione insito nella richiesta condizionata è utilmente assolto con l'instaurazione del rito e con l'ammissione della prova sollecitata 72 dall'imputato. (Sez. U, Sentenza n. 41461 del 19/07/2012 Ud. - dep. 24/10/2012 - Rv. 253211). Infatti, come correttamente rilevato nel ricorso dell'Avvocato Gaito (pagina 12), in tale decisione si tratta di un caso completamente diverso da quello di cui oggi ci occupiamo: era stata, infatti, emessa l'ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato condizionato ad un'integrazione probatoria, poi, divenuta inammissibile. subordinata ad integrazione probatoria inutile, errata, impossibile o inesistente giuridicamente solo l'imputato può chiedere di procedere a giudizio abbreviato secco o semplice (come ben rilevato — seppure come mera ipotesi — a pagina 15 dei motivi nuovi dell'Avvocato Coppi). Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deliberato in camera di consiglio, il 13/02/2014. Quindi anche nel caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato

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