Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19615 del 11/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19615 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Gamba Giandomenico;
avverso l’ordinanza emessa il 9 ottobre 2013 dal tribunale del riesame di
Venezia;
udita nella udienza in camera di consiglio dell’Il marzo 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Svolgimento de/processo
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Venezia confermò il
decreto emesso dal PM di Venezia in data 23.9.2013 di convalida di sequestro
probatorio effettuato dalla Guardia di finanza nei confronti dell’allevamento di
molluschi denominato CAM srl, di due pontili in legno, con sopra un gruppo
elettrogeno ed un serbatoio di gasolio, nonché di 28 pali in legno, rivestiti in
calcestruzzo, di sostegno al casone lagunare, sommersi in ambito demaniale,
opere realizzate in assenza di permesso a costruire e di autorizzazione ambientale e per quanto riguarda la palificazione in cemento, anche senza la previa denuncia alla autorità competente. Ciò in riferimento ai contestati reati di cui agli
artt. 146 e 181 d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, 10 comma 1 d.p.R. 6 giugno
2001, n. 380, 14 legge 5 novembre 1971, n. 1086, e 635 e 734 cod. pen. Il sequestro probatorio veniva convalidato dal PM trattandosi di beni costituenti
corpi di reato.
Osservò il tribunale del riesame che il PM aveva correttamente convalidato
il sequestro probatorio poiché i manufatti in questione, costruiti in area demaniale ed in zona sottoposta a vincolo ambientale, sono risultati, a seguito di accertamenti presso il Comune di Chioggia, privi di permesso di costruire (art.

Data Udienza: 11/03/2014

comma 1 DPR 380/2011), nonché di autorizzazione ambientale (art. 146 D.Lgs
n. 42/2004 e 734 c.p.). Gli operanti, inoltre, hanno verificato che parte della palificazione risulta rivestita in calcestruzzo, senza che la loro posa in opera sia
stata denunciata all’organo competente prima del loro realizzo (art. 14 L.
1086/1971) e l’intervenuta sommersione di tali pali danneggia la zona demaniale (art. 635 c.p.). Sussistono quindi gli elementi per ravvisare la astratta configurabilità dei reati ascritti all’indagato.
Osservò poi il tribunale del riesame che all’evidenza il vincolo imposto risponde a necessità probatorie, tanto più che, nel caso di specie, occorre procedere ad una verifica strutturale, per accertare se effettivamente il rivestimento in
calcestruzzo svolga una funzione statica, nonché occorre esaminare il loro stato
di conservazione, per individuare la data della loro installazione. Era vero che il
PM nel proprio decreto non ha esplicitato le concrete esigenze di accertamento
perseguite — ma nel verbale di sequestro, richiamato nel provvedimento, si precisava che il vincolo era stato disposto per impedire l’alterazione o la modifica
delle tracce del reato — e tuttavia in questo caso tale indicazione appariva superflua, poiché trattandosi di beni costituenti corpo del reato (consumatosi tramite
la posa in essere di quelle opere edilizie abusive) il decreto di sequestro probatorio non abbisogna di alcuna motivazione in ordine alle necessità di accertamento dei fatti, poiché l’esigenza probatoria del corpo del reato è in re ipsa.
Non era poi fondata l’ulteriore tesi difensiva relativa al preteso condono per i
manufatti in questione, mentre per quanto riguarda, infine, l’epoca della loro costruzione, sul punto erano in corso specifiche indagini.
L’indagato, a mezzo dell’avv. Daniele Grasso, propone ricorso per cassazione deducendo violazione dell’art. 325 cod. proc. pen. per mancanza assoluta
di motivazione dell’ordinanza di riesame e del decreto di convalida del sequestro probatorio di cosa costituente corpo di reato in ordine alle finalità probatorie perseguite con il vincolo reale. Ricorda che con il decreto di convalida il PM
non ha addotto alcuna motivazione sulle specifiche esigenze probatorie funzionali all’accertamento dei fatti reato per cui si procede, ma si è limitato a rilevare
che quanto è stato oggetto di sequestro è corpo di reato. Con l’istanza di riesame veniva eccepita la nullità del decreto richiamando la giurisprudenza delle
Sezioni Unite secondo cui anche per le cose che costituiscono corpo di reato il
decreto di sequestro probatorio deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea
motivazione in ordine alle finalità in concreto perseguite per l’accertamento dei
fatti. Il tribunale del riesame ha rigettato l’eccezione sostenendo che la motivazione sulle finalità probatorie non sarebbe necessaria poiché quando si tratta di
corpo di reato l’esigenza probatoria è in re ipsa.
Si tratta di motivazione erronea che si pone in contrasto con quanto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 5876 del 2004, da cui si ricava che,
ove il sequestro sia operato di iniziativa dalla polizia giudiziaria, spetta solo ed
esclusivamente al Pubblico Ministero, nel provvedimento di convalida, l’indicazione della qualificazione del sequestro e delle finalità in concreto perseguite.
Nella specie poi l’onere motivazionale non è stato assolto nemmeno nel verbale
della Guardia di Finanza.
Osserva infine che il decreto di convalida è parimenti nullo per mancanza

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assoluta di motivazione anche sulla base della sentenza della Sez. II, 3.7.2013,
n. 31950, richiamata dal tribunale del riesame, perché il PM ha solo indicato le
norme di legge asseritamente violate senza la benché minima descrizione degli
elementi essenziali del fatto reato.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.
Con l’istanza di riesame la difesa aveva eccepito la nullità del sequestro
probatorio perché nel decreto di convalida del PM non era contenuta alcuna
motivazione in ordine alle specifiche esigenze probatorie funzionali
all’accertamento dei fatti reato per cui si procede, non essendo a tal fine sufficiente la qualifica di «corpo di reato» del manufatto oggetto di sequestro per
giustificare il provvedimento cautelare reale.
Il tribunale del riesame ha respinto l’eccezione di nullità osservando che
«è ben vero che il P.M nel proprio decreto non ha esplicitato le concrete esigenze di accertamento perseguite — ma nel verbale di sequestro, richiamato nel
provvedimento, si precisava che il vincolo era stato disposto per impedire l’alterazione o la modifica delle tracce dei reato — e tuttavia in questo caso tale indicazione appare superflua, poiché, trattandosi di beni costituenti corpo del
reato il decreto di sequestro probatorio non abbisogna di alcuna motivazione
in ordine alla necessità di accertamento dei fatti poiché l’esigenza probatoria
del corpo del reato è in re ipsa».
Il tribunale del riesame, a tal fine, ha richiamato Sez. II, 3.7.2013, n.
31950, Fazzari, m. 255556, secondo cui, effettivamente, «Il decreto di sequestro probatorio delle cose che costituiscono corpo del reato deve essere sorretto, a pena di nullità, dà idonea motivazione in ordine alla sussistenza della relazione di immediatezza tra la “res” sequestrata ed il reato oggetto di indagine,
non anche in ordine alla necessità di esso in funzione dell’accertamento dei fatti, poiché l’esigenza probatoria del corpo del reato è “in re ipsa”».Nello stesso
senso, si sono espresse, recentemente, anche Sez. II, 2.7.2013, n. 43444, Di Nino, m. 257302; Sez. IV, 2.3.2010, n. 11842, Bottino, m. 247039; nonché Sez.
IV, 15.1.2010, n. 8662, Bettoni, m. 246850, secondo cui «In tema di sequestro
probatorio, non è richiesta la dimostrazione in relazione alle cose che costituiscono il corpo di reato, della necessità del sequestro in funzione dell’accertamento dei fatti, poiché l’esigenza probatoria del “corpus delicti” è in “re ipsa”.
(Fattispecie in tema di convalida del sequestro di sostanza stupefacente)».
Si tratta però di un orientamento minoritario che non può essere condiviso
e confermato.
Tale orientamento, in sostanza, riproduce quello risalente delle Sez. Un.,
11.2.1994, n. 2, Carella, m. 196261, per le quali «in tema di sequestro probatorio, in relazione alle cose che assumono la qualifica di “corpo di reato” non è
necessario offrire la dimostrazione della necessità del sequestro in funzione
dell’accertamento dei fatti, atteso che l’esigenza probatoria del “corpus delicti”
è “in re ipsa”. Ne consegue che i provvedimenti dell’autorità giudiziaria di sequestro o di convalida del sequestro sono sempre legittimi quando abbiano ad
oggetto cose qualificabili come “corpo di reato”, essendo necessario e suffìciente, a tal fine, che risulti giustificata tale qualificazione, senza che occorra

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specifica motivazione sulla sussistenza nel concreto delle finalità proprie del
sequestro probatorio».
Questa interpretazione è stata però poi superata dalla sentenza delle Sez.
Un., 28.1.2004, n. 5876, Ferazzi, m. 226711, 226.712, e 226.713, massimata
nel senso che «Anche per le cose che costituiscono corpo di reato il decreto di
sequestro a fini di prova deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per
l’accertamento dei fatti». Hanno, tra l’altro, affermato le Sezioni Unite che «il
vigente codice di rito non prevede affatto, accanto alle tre forme tipiche di sequestro – probatorio, preventivo, conservativo – la figura autonoma del sequestro del corpo del reato come quartum genus, suscettibile di automatica e obbligatoria applicazione in virtù della sola qualità della cosa, essendo invece
necessario che ogni provvedimento diretto all’apprensione della res ed alla
conseguente imposizione del vincolo temporaneo di indisponibilità su di essa
rientri per le specifiche finalità di volta in volta perseguite, in uno dei tre menzionati modelli legali». Ne consegue che « a) «anche per le cose che costituiscono corpo di reato il decreto di sequestro a fini di prova deve essere sorretto,
a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità
perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti»; b) «qualora il pubblico
ministero non abbia indicato, nel decreto di sequestro a fini di prova, le ragioni
che, in funzione dell’accertamento dei fatti storici enunciati, siano idonee a
giustificare in concreto l’applicazione della misura e abbia persistito nell’inerzia pure nel contraddittorio del procedimento di riesame, il giudice di quest’ultimo non è legittimato a disegnare, di propria iniziativa, il perimetro delle spec(che finalità del sequestro, così integrando il titolo cautelare mediante
un’arbitraria opera di supplenza delle scelte discrezionali che, pur doverose da
parte dell’organo dell’accusa, siano state da questo radicalmente e illegittimamente pretermesse»; c) «nel caso di radicale mancanza della motivazione, in
ordine alla necessaria sussistenza della concreta finalità probatoria perseguita
in funzione dell’accertamento dei fatti, del decreto di sequestro di cose qualificate come corpo di reato, che, sebbene non integrato sul punto dal p.m. neppure all’udienza di riesame, sia stato confermato dall’ordinanza emessa all’esito
di questa procedura, la Corte di cassazione deve pronunziare sentenza di annullamento senza rinvio di entrambi i provvedimenti».
Questa interpretazione è stata poi confermata e ribadita innumerevoli volte. Fra le decisioni più recenti massimate, si ricordano: «Il decreto di convalida
del sequestro delle cose che costituiscono corpo di reato, sequestrate dalla
P. G. in sede di perquisizione ex art. 352, comma secondo cod. proc. pen., deve
essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti» (Sez. VI,
12.2.2008, n. 21736, Possanzini, m. 230353); «È nullo il decreto di convalida
del sequestro probatorio operato dalla polizia giudiziaria su cose costituenti
corpo di reato, in difetto di idonea motivazione in ordine al presupposto della
finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti. (Nella specie la
Corte ha ritenuto meramente apparente la motivazione sintetizzata nell’espressione “trattandosi di corpo del reato di cui all’art. 474 c.p.”)» (Sez. II,

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13.7.2012, n. 32941, Albanese, m. 253658); «// decreto di sequestro probatorio
di cose costituenti corpo di reato deve essere necessariamente sorretto da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto,
per l’accertamento dei fatti, avuto riguardo ai limiti dell’intervento penale sul
terreno delle libertà fondamentali e dei diritti dell’individuo costituzionalmente
garantiti, quale è certamente il diritto di proprietà garantito dall’art. 42 Cost. e
dall’art. 1 de/primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo» (Sez. V, 15.3.2013, n. 46788, Scriba, m. 257537).
Questa sezione ritiene di dover confermare, anche in questa occasione,
questo orientamento interpretativo — alle cui motivazioni integralmente si riporta -, non essendo stati addotti argomentazioni idonee a superarlo.
Poiché il diverso orientamento interpretativo che si disattende appare minoritario e non consolidato e poiché, comunque, si stanno qui seguendo e confermando i principi interpretativi enunciati dalle Sezioni Unite, non si ritiene di
dover rimettere la questione alle stesse Sezioni Unite, come invece dovrebbe
farsi qualora si optasse per la diversa interpretazione.
Nel caso in esame si tratta di sequestro probatorio effettuato di propria iniziativa dalla polizia giudiziaria e convalidato dal pubblico ministero con decreto del 23 settembre 2013, il quale però non contiene alcuna indicazione delle
concrete finalità probatorie che rendevano necessario il vincolo, e si limita invece a giustificalo con la frase di stile e prestampata che «quanto è stato oggetto
di sequestro è corpo di reato (trattasi di cose sulle quali il reato è stato commesso».
Né a tal fine potrebbe farsi utile riferimento al richiamo al verbale di sequestro della GdF, nel quale era indicata l’esigenza di impedire l’alterazione o la
modifica delle tracce del reato, Tale inciso, difatti, valeva unicamente per legittimare il potere di iniziativa, prima dell’intervento del Pubblico Ministero,
nell’esecuzione del sequestro, secondo quanto disposto dall’art 354 (disposizione infatti espressamente citata nella frase verbale) e dunque per legittimare un
sequestro “probatorio” urgente del corpo del reato ad opera della polizia giudiziaria, ma ciò non esimeva, in sede di convalida, il Pubblico Ministero dall’indicare le ragioni probatorie per le quali era necessario mantenere il sequestro. Del
resto, proprio l’art. 354, comma 2, cod. proc. pen. in riferimento al sequestro
probatorio d’urgenza sia del corpo del reato che delle cose pertinenti al reato
contiene l’inciso “se del caso”, e ciò significa che il vincolo reale è solo facoltativo e non obbligatorio e che è necessario motivare la rilevanza funzionale
dell’atto per l’accertamento dei fatti.
Nel caso di specie tale motivazione manca radicalmente, sia nel verbale
della Guardia di Finanza, sia nel decreto di convalida del PM, sia infine
nell’ordinanza impugnata che giustificano il sequestro probatorio esclusivamente con il vincolo di pertinenzialità tra cose sequestrate e reato ipotizzato e con la
natura di corpo di reato, senza però fare alcun cenno a quali in concreto fossero
le esigenze probatorie che determinavano la necessità di operare e mantenere il
sequestro e il tipo di accertamenti che avrebbero dovuto essere compiuti. Del
resto, nemmeno davanti al tribunale del riesame il PM ha specificato quali accertamenti erano stati compiuti e quali ancora avrebbero dovuto essere compiu-

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ti. La mancanza di motivazione circa le esigenze probatorie non poteva peraltro
essere colmata dal tribunale del riesame, il quale, stante il difetto di qualsiasi ulteriore indicazione da parte del PM, non ha potuto far altro che riproporre una
motivazione parimenti generica ed astratta.
Quanto sopra è sufficiente per l’annullamento senza rinvio della ordinanza
impugnata e del decreto di convalida, con conseguente ordine di restituzione
delle cose in sequestro.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché il decreto di convalida
del sequestro probatorio emesso dal pubblico ministero di Venezia in data
23.9.2013 e dispone restituirsi i beni sequestrati all’avente diritto.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, 1’11
marzo 2014.

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