Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19613 del 11/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19613 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Puglisi Giuseppe Alberto, nato a Catania
1’8.4.1969;
avverso l’ordinanza emessa il 19 settembre 2013 dal tribunale del riesame
di Catania;
udita nella udienza in camera di consiglio dell’il marzo 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Svolgimento de/processo
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Catania confermò il
decreto del Gip del tribunale di Catania del 19.7.2013 di sequestro preventivo
di una struttura stabile in relazione ai reati di cui agli artt. 44, lett. b), d.p.R. 6
giugno 2001, n. 380, e 348 cod. pen. Ritenne il tribunale che il fumus dei reati
ipotizzati emergeva dal fatto che era stata constatata, all’interno dei locali della
ditta “Puglisi Marmi s.r.l.”, la realizzazione di opere edilizie abusive ulteriori rispetto a quelle già oggetto di sequestro preventivo nell’ambito di altro procedimento penale avviato nei confronti del Puglisi per il reato di cui all’art. 44
D.P.R. n. 380/2001, definito con sentenza irrevocabile dell’ 11/1/12 emessa dal
Tribunale di Catania – Sezione Distaccata di Mascalucia. Tali nuove opere avevano anche comportato la violazione dei sigilli apposti con il precedente sequestro. Sussisteva poi il periculum in mora, avendo il Puglisi dimostrato una assoluta e radicata noncuranza delle prescrizioni della autorità e delle previsioni di
legge. Osservò poi il tribunale che il sequestro preventivo in esame costituiva
un nuovo sequestro cautelare e non il mantenimento del precedente ed era stato
disposto a fronte della constatazione di una nuova condotta penalmente rilevan-

Data Udienza: 11/03/2014

te accertata in occasione del controllo del 28/06/2013, ovvero la realizzazione
di nuovi abusi edilizi, condotta che integrava entrambe le violazioni contestate
dal P.M. Ne discendeva la piena legittimità del sequestro volto a scongiurare il
pericolo di ulteriori violazioni di sigilli e di prosecuzione di lavori abusivi
L’indagato, a mezzo dell’avv. Giuseppe Failla, propone ricorso per cassazione deducendo mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Ricorda
che l’intera struttura era stata gravata da sequestro preventivo nel procedimento
penale definito con la citata sentenza 11.2.2012 del tribunale di Catania, sezione distaccata di Mascalucia, passata in giudicato. L’attuale sequestro, intervenuto il 28.6.2013, è stato disposto essendosi rilevate opere abusive consistenti
in “un solaio interpiano in ferro e cemento nella zona sud del capannone, nonché, a partire dal lato nord verso il lato sud, una serie di aperture con vari setti
in cemento armato funzionali alla collocazione ed, al supporto di macchinari
vari”. Ora, la sentenza passata in giudicato dispose la demolizione delle opere
abusive senza nulla deliberare in ordine al sequestro preventivo, il quale di conseguenza doveva ritenersi automaticamente decaduto. Pertanto, l’immobile in
questione, al momento in cui sono state realizzate le nuove opere, non era sottoposto ad alcun vincolo. Il tribunale ha invece erroneamente ragionato come se
il sequestro non fosse decaduto dopo la sentenza e quindi ha ritenuto che la
condotta integri anche il reato di violazione dei sigilli.
Deduce inoltre che un nuovo sequestro dell’immobile, già oggetto di un
procedimento penale definito con sentenza passata in giudicato, viola il principio del divieto del bis in idem in materia cautelare. Pertanto, il sequestro preventivo chiesto e disposto dal GIP avrebbe dovuto essere limitato alle opere abusive realizzate successivamente alla sentenza di condanna, ed accertate nel
verbale di sopralluogo redatto dai vigili urbani. La circostanza che il PM abbia
chiesto ed ottenuto, nell’ambito del procedimento n. 9556/13 R.G.N.R. un nuovo sequestro preventivo, significa aver illegittimamente duplicato l’esercizio
dell’azione penale ed in particolare la misura cautelare reale funzionale all’esercizio dell’azione penale. L’ordinanza impugnata non contiene alcuna motivazione in merito alla dedotta violazione del divieto di ne bis in idem.
Motivi della decisione
Entrambi i motivi di ricorso sono fondati sotto il profilo della mancanza di
motivazione o di motivazione meramente apparente.
Quanto al primo motivo di doglianza, da quel che è dato comprendere dalla ordinanza impugnata il sequestro sarebbe stato disposto anche in relazione al
reato di cui all’art. 349 cod. pen. perché il Puglisi, attraverso la realizzazione di
nuove opere abusive, avrebbe violato i sigilli che erano stati apposti con il precedente sequestro.
Sennonché, sembrerebbe che il procedimento penale nell’ambito del quale
era stato disposto il precedente sequestro, fosse stato già definito con la sentenza di condanna del giudice del tribunale di Catania, sezione distaccata di Mascalucia, emessa 1’11.2.2012 e passata in giudicato il 9.3.2012, la quale aveva
disposto la demolizione delle opere abusive, mentre, esattamente non aveva disposto anche il mantenimento del sequestro preventivo in atto.
Va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,

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«L’ordine di demolizione contenuto in sentenza non impedisce il dissequestro
dell’immobile abusivamente costruito, dato che la misura cautelare del sequestro è finalizzata ad impedire la prosecuzione del reato o le conseguenze dannose dello stesso e prescinde dall’ordine di demolizione. (In motivazione la
Corte ha precisato che quando l’ordine di demolizione diventa definitivo il giudice ha l’obbligo di disporre il dissequestro del manufatto abusivo per consentirne l’esecuzione)» (Sez. III, 19.5.2009, n. 27943, Pezza, m. 244562); «In tema
di misure caute/ari reali, mentre l’irrevocabilità della sentenza di condanna determina la perdita di efficacia del provvedimento di sequestro preventivo di un
manufatto edilizio abusivo, diversamente la non definitività della sentenza ne
impedisce la restituzione, salvo che le esigenze caute/ari giustificative del vincolo siano cessate» (Sez. III, 14.12.2007, n. 6462 del 2008, Oriente, m.
239289); «In materia edilizia, dopo la sentenza definitiva, qualora non sia stata disposta la confisca o la conversione in sequestro conservativo, non può essere mantenuto il sequestro del manufatto abusivo, neppure a garanzia della
demolizione disposta con la sentenza di condanna ex art. 7 della Legge 28 febbraio 1985 n. 47 (ora sostituito dall’art. 31, comma 9, del D.P.R. 6 giugno 2001
n. 380) o dei provvedimenti della P.A., ma le cose vanno restituite all’avente diritto» (Sez. III, 21.10.2003, n. 45674, Cotena, m. 226860; conf. Sez. III,
27.9.2000, n. 12288, Cimaglia, m. 218007).
Inoltre, trattandosi di reato di cui all’art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001,
n. 380, nella specie non poteva e non può essere disposta la confisca, legislativamente consentita solo in ipotesi di lottizzazione abusiva.
Di conseguenza, alla data del 9.3.2012 in cui è divenuta irrevocabile la
precedente sentenza di condanna, è anche automaticamente cessata l’efficacia
del sequestro disposto nell’ambito di quel procedimento. Pertanto, a meno che
non fosse stato disposto nel frattempo un nuovo provvedimento cautelare, nel
momento in cui è intervenuto il sopralluogo del 28.6.2003, l’immobile non era
sottoposto ad alcun vincolo e quindi la realizzazione di nuove opere sullo stesso
non poteva configurare il reato di violazione dei sigilli.
A diverse conclusioni potrebbe forse giungersi qualora le nuove opere abusive, scoperte il 28.6.2013, fossero state realizzate prima del 9.3.2012, data
del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ossia quando l’immobile
era ancora sottoposto a sequestro. Ma ciò non emerge in alcun modo dalla ordinanza impugnata, la quale non individua affatto l’epoca di realizzazione delle
nuove opere, ed in particolare che esse fossero state realizzate già un anno e tre
mesi prima dell’accertamento. Di qui la mancanza di motivazione sulla sussistenza del fumus del reato di violazione dei sigilli e la necessità di annullamento
con rinvio sul punto.
L’ordinanza impugnata difetta anche di motivazione in ordine all’altra eccezione della difesa, secondo cui la nuova condotta penalmente rilevante accertata il 28.6.2013 avrebbe potuto giustificare solo il sequestro preventivo delle
nuove opere realizzate, e non anche quello delle opere già sequestrate nel precedente procedimento e già oggetto della sentenza di condanna irrevocabile, risolvendosi pertanto il nuovo sequestro in un non consentito bis in idem.
L’ordinanza impugnata si limita ad affermare che il sequestro (anche) della pre-

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esistente costruzione (già oggetto di condanna) è stato disposto non in relazione
al reato già giudicato, bensì «è stato disposto in relazione ai nuovi fatti addebitati al Puglisi, ovvero la nuova opera edilizia abusiva e la violazione dei sigilli
che erano stati apposti sull’opera precedente». Sennonché, a parte quanto già
osservato in ordine alla violazione dei sigilli, l’ordinanza non spiega come il
nuovo reato commesso con la realizzazione delle nuove opere abbia comportato
anche la consumazione di nuovi reati in relazione all’immobile precedentemente realizzato. In particolare, la motivazione si è limitata ad affermazioni di principio e generiche, senza specificare in concreto se le nuove opere erano legate
da un vincolo oggettivo di connessione con le precedenti tale che la loro realizzazione aveva dato davvero luogo ad un nuovo e diverso reato avente ad oggetto anche l’immobile preesistente.
L’ordinanza impugnata va dunque annullata per mancanza di motivazione,
con rinvio al tribunale di Catania.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Catania.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, 1’11
marzo 2014.

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