Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19612 del 23/05/2014


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 19612 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRILLO RENATO

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ORINÀNA

sul ricorso proposto da:
VASTO ANTONIO N. IL 13/06/1969
AMATO CLARA N. IL 11/08/1973
avverso la sentenza n. 1480/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
19/04/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;

Data Udienza: 23/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 19 aprile 2013 la Corte di Appello di Napoli, in parziale riforma della
sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Nola emessa in data 24 ottobre
2012 nei confronti di VASTO Antonio e AMATO Clara, imputati, in concorso tra loro, del reato di
cui all’art. 73 comma 1 bis D.P.R. 309/90 – detenzione illecita a fini di spaccio di gr. 802,5 di
sostanza stupefacente del tipo hashish – capo B) della epigrafe – ed il solo VASTO anche di

epigrafe – recidiva reiterata per il VASTO – reati commesso il 21 aprile 2012, riduceva nei
confronti del solo VASTO la pena originariamente irrogatagli dal G.U.P, nella misura di anni
quattro e mesi sei di reclusione ed € 20.000,00 di multa, confermando, invece, la sentenza
pronunciata nei riguardi della AMATO (coniuge del VASTO).
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso entrambi gli imputati a mezzo del loro
difensore. In particolare, per la ricorrente AMATO viene dedotto come primo motivo la
inosservanza della legge penale con riferimento alla erronea applicazione della norma
codicistica di cui all’art. 110 cod. pen. in tema di concorso di persone, lamentandosi il mancato
proscioglimento della AMATO in quanto mera connivente non punibile. Con un secondo motivo
viene censurata la decisione della Corte nella parte in cui non ha tenuto conto delle specifiche
censure difensive sollevate sul punto. Con un terzo motivo la sentenza viene impugnata
sempre per quanto riguarda la AMATO in relazione al mancato proscioglimento per
insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, asserendosi l’inconsapevolezza della AMATO
in ordine alla illecita attività posta in essere dal coniuge. Per quanto riguarda il VASTO con
unico motivo la difesa lamenta manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in
punto di quantificazione della pena, pur dando atto della ulteriore riduzione operata dalla Corte
distrettuale.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Tutte le censura sono in sé inammissibile perché manifestamente infondate. Rileva il
Collegio che i tre motivi sviluppati con riferimento alla posizione della AMATO sono stati già
analizzati dalla Corte territoriale che ha approfonditamente valutato le censure esposte con
l’atto di appello, escludendo recisamente – sulla base delle condotte concretamente poste in
essere dalla AMATO – che potesse versarsi inj una ipotesi di connivenza non punibile.
2. La giurisprudenza di questa Corte Suprema è ferma nel ribadire che in tema detenzione
di sostanze stupefacenti a fine di spaccio, la distinzione tra connivenza non punibile del coniuge
e concorso nel delitto va individuata nel fatto che mentre la prima postula che l’agente
mantenga un comportamento meramente passivo, nel secondo detto comportamento deve
manifestarsi in modo che si arrechi un contributo alla realizzazione del delitto, come in ipotesi
mantenere i contatti con gli altri spacciatori o con gli acquirenti, ricevere telefonate e riferirne

detenzione, trasporto e cessione di sostanza della medesima natura – capi A) e C) della

al proprio coniuge, facilitare ed agevolare la detenzione, contribuendo allo occultamento e
fornendo così maggior senso di sicurezza al coniuge etc.. Ne consegue che solo un
atteggiamento inerte esclude la punibilità così come assume valore neutro la eventuale
destinazione da parte del marito dei proventi dell’illecita attività al mantenimento della famiglia
verificandosi in siffatte ipotesi alcun alcun contributo casuale alla detenzione della droga, che
pertanto non integra la figura del concorso nel reato (Sez. 6^ 22.9.1995 n. 751, Pisciotta, Rv.
20411). Ai detti principi si è uniformata la Corte territoriale (vds. in particolare le pagg. 2 e 3

concedibilità della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. e naturalmente escluso
che nel caso in esame la AMATO versasse in una situazione di inconsapevolezza. Rileva in
proposito il Collegio che le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli
passaggi della ricostruzione dei fatti e dell’attribuzione degli stessi alla persona dell’imputato
non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia
sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli
elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del
quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
2.1 Anche con riferimento alla posizione del VASTO le censure sollevate con il ricorso sono
non soltanto manifestamente infondate ma anche generiche, avendo anche in questo caso la
Corte chiarito in modo più che adeguato le ragioni per le quali la riduzione della pena non
potesse oltrepassare i limiti prefigurati dalla Corte distrettuale, tenuto conto della gravità e
pluralità delle condotte poste in essere dal VASTO.
3. La conclusione di tale ragionamento dovrebbe condurre alla inammissibilità tout court
del ricorso nella sua interezza. Senonchè va rilevato che, successivamente alla presentazione
del ricorso, la disciplina applicabile è mutata in senso favorevole alla posizione dei ricorrenti, i
quali non erano certo nelle condizioni di formulare uno specifico motivo di impugnazione
afferente alla quantificazione della pena, in relazione allo stato della legislazione vigente al
momento della proposizione del ricorso.
3.1 D sistema sanzionatorio previgente è stato oggetto – come è noto – di una serie
rilevante di modifiche in conseguenza, anzitutto, delle Leggi 10/14 (di conversione del D.
Legge 146/13) e 79/14 (di conversione del D.L. 36/14), in tema di lieve entità del fatto
(comma 5 0 del D.P.R. 309/90) non rilevanti in questa sede (perché per il ricorrente non è stata
riconosciuta dalla Corte territoriale la fattispecie attenuata) e, ancora, della sentenza n. 32 del
12 febbraio 2014 – qui rilevante – con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato la
illegittimità degli artt.4-bis e 4-vicies ter del D.L. 30 dicembre 2005, n.272, convertito in legge
21 febbraio 2006, n.49, che modificavano la disciplina dei commi 1 e 4 dell’art.73 del D.P.R. 9
ottobre 1990, n.309 e abbandonavano i diversi regimi sanzionatori fissati per le sostanze
stupefacenti elencate, da un lato, nelle tabelle I e III (le c.d. “droghe pesanti”) e quelle
elencate nelle tabelle II e IV (le c.d. “droghe leggere”). La nuova disciplina fissava dunque agli

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,

della sentenza gravata) la quale ha anche articolatamente spiegato le ragioni per la non

artt.1 e 1-bis dell’art.73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, un unico trattamento sanzionatorio
per tutte le sostanze stupefacenti e tale soluzione è stata censurata dalla Corte che ha
ripristinato il testo anteriore.
3.2 Con riguardo al caso di specie, il Giudice per l’Udienza Preliminare e di seguito la Corte
territoriale – hanno preso in considerazione, quale minimo, la pena-base, rispettivamente di
anni sette e mesi sei di reclusione ed C 39.000,00 di multa (VASTO) e di anni sei di reclusione
ed C 27.000,00 di multa (AMATO), procedendo poi nei confronti di quest’ultima alla riduzione

442 cod. proc. pen. fino alla pena finale come sopra indicata. Vero è che la Corte territoriale ha
ulteriormente ridotto la pena a suo tempo irrogata al VASTO procedendo ad una
rideterminazione della pena base in anni sei di reclusione ed C 27.000,00 di multa, ma la
motivazione resa in proposito dalla Corte distrettuale è risultata carente in ordine alle ragioni
della minima riduzione operata rispetto alla pena inflitta dal G.U.P. nonostante sia stato dato
atto della resipiscenza manifestata dal VASTO che gli è valsa, come richiesto dallo stesso P.G.
di udienza, una ulteriore modifica verso il basso della pena.
3.3 Così facendo il Giudice si è attestato su un livello edittale minimo coincidente con
quello previsto in relazione alla normativa vigente al momento della decisione. In realtà per
effetto delle ricordate modifiche normative, il minimo edittale è profondamente cambiato
attestandosi sul livello di anni due di reclusione ed C 5.164,00, di molto inferiore rispetto alla
pena minima individuata dal giudice di merito. Ne deriva che la pena come sopra inflitta deve
ritenersi illegale in quanto nettamente superiore, a ben vedere, per quanto riguarda la pena
detentiva, al minimo previsto per le cd. “droghe leggere” di cui alla tabella 4^ del D.P.R.
309/90 nella sua originaria versione.
3.4 Ciò precisato, si osserva che già all’indomani delle dette modifiche normative questa
Suprema Corte ha affermato il principio (che questo Collegio condivide), secondo il quale
l’illegalità sopravvenuta della pena è rilevabile di ufficio in sede di legittimità anche nel caso di
inammissibilità originaria del ricorso, laddove quella illegalità derivi da una modifica normativa
incidente sui minimi e massimi edittale che risulti più favorevole per l’imputato (in termini Sez.
4″ 13.3.2014 n. 27600, Buonocore).
4. Si impone, pertanto, la necessità di annullare la decisione impugnata in ordine alla
determinazione della pena con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli perché
proceda a nuovo giudizio sul punto, alla luce del trattamento sanzionatorio previsto dalla più
favorevole disciplina oggi in vigore con riferimento al delitto di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90.
Nel resto il ricorso va dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

3

nella misura di 1/3 ex art. 62 bis cod. pen. ed alla definitiva diminuzione processuale ex art.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e rinvia ad
altra Sezione della Corte di Appello di Napoli. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma il 23 maggio 2014
tensore

Il Presidente

Il Consi lier

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