Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19612 del 11/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19612 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Esposito Mario, nato a Napoli il 20.9.1942;
avverso l’ordinanza emessa il 28 giugno 2013 dal tribunale del riesame di
Santa Maria Capua Vetere;
udita nella udienza in camera di consiglio dell’il marzo 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della
ordinanza impugnata;
udito il difensore avv. Vincenzo Di Vaio, in sostituzione dell’avv. Giovanni Cantelli;
Svolgimento de/processo
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Santa Maria Capua
Vetere confermò il decreto del Gip di Santa Maria Capua Vetere del 3.5.2013 di
sequestro preventivo di un immobile sito in Orta di Atella, ritenuto illegittimo
in quanto il permesso di costruire sarebbe stato illegittimo, con la conseguenza
che il complesso realizzato avrebbe dato luogo ad una lottizzazione abusiva
(art. 44, lett. c), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380) e che sarebbe stata realizzata la
fattispecie dell’abuso di ufficio (art. 323 cod. pen.).
Osservò, in sintesi, il tribunale del riesame: – che era sufficiente valutare
che sussista la astratta sussumibilità in una determinata fattispecie di reato del
fatto contestato come ipotesi di accusa; – che il fumus dei reati contestati emergeva dal provvedimento di annullamento in autotutela emesso dal comune in
data 4.12.09 (allegato all’informativa del 27.12.12), da cui risultavano numerosi
profili di illegittimità del permesso di costruire n. 59/2005; – che invero: a) le
costruzioni sono state realizzate con altezze superiori a quelle consentite (la ci ri__

Data Udienza: 11/03/2014

costanza avrebbe richiesto una variante al piano regolatore, mai posta in essere); b) la zona, pur essendo destinata ad uso residenziale, avrebbe richiesto la
realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria non esistenti al
momento dell’edificazione; c) proprio alla luce della mancanza di dette opere di
urbanizzazione, sarebbe stato necessario adottare un piano urbanistico attuativo,
per il raccordo con preesistente aggregato abitativo e per il potenziamento delle
opere di urbanizzazione; – che pertanto l’edificazione ha comportato uno sviluppo disomogeneo dell’area, proprio a causa della mancanza di una razionale
lottizzazione; – che sussisteva il periculum in mora, dal momento che, trattandosi di immobili utilizzati come civile abitazione, la loro libera disponibilità potrebbe comportare il protrarsi delle conseguenze del reato, perché la possibilità
di cedere a terzi i beni determina il pericolo di ulteriori condotte lottizzatorie sul
piano negoziale; – che inoltre il sequestro è stato disposto anche in funzione
della confisca prevista dall’art. 44, co. 2 D.P.R. n. 380/01; – che la sussistenza
del fumus commissi delitti legittima quindi l’imposizione del vincolo in vista
della prevedibile ablazione dei beni all’esito del giudizio di merito; – che, sulla
presunta buona fede del terzo acquirente, evincibile, secondo l’assunto difensivo, dalla stipulazione di un contratto di compravendita, l’intervento del pubblico ufficiale non è circostanza sufficiente – di per sé sola – a supportare la convinzione della regolarità urbanistica dei beni e a far ritenere assolto il dovere di
diligenza nel verificare la circostanza; – che nel contratto di compravendita allegato dalla parte istante si legge che la parte venditrice ha dichiarato l’assoluta
conformità dell’immobile in oggetto alle vigenti previsioni urbanistiche, garantendo, l’esistenza e la regolarità amministrativa del titoli autorizzativi, sicché è
evidente che il notaio non ha effettuato accertamenti ulteriori su questi aspetti,
né che la parte acquirente li abbia richiesti; – che in sostanza, ci si è limitati a
recepire acriticamente quanto dichiarato dalla parte venditrice, sia da parte
dell’acquirente che da parte del pubblico ufficiale rogante; – che la mera asseverazione dell’esistenza del permesso di costruire e della regolarità urbanistica
della costruzione da parte del venditore, non è sufficiente. allo stato, a configurare la buona fede richiesta per considerare l’acquirente “estraneo” al reato; che nel caso di specie all’asserito controllo notarile non ha neppure fatto seguito
l’ipotetico controllo di un istituto di credito, dal momento che il pagamento del
prezzo pattuito è interamente avvenuto mediante cessione di assegni circolari
non trasferibili, dei quali uno solo, dell’importo di € 29.000, rilasciato a seguito
di un mutuo bancario; – che inoltre il prezzo era stato addirittura già versato dalla parte acquirente prima della stipula del rogito a titolo di caparra confermativa; – che pertanto allo stato non emergeva con evidenza l’effettiva buona fede
del terzo acquirente (non potendosi ritenere integrato il suo dovere di informazione dalla mera stipulazione di un atto pubblico), e quest’ultimo non può ritenersi terzo estraneo dal reato, dal momento che la condotta di lottizzazione abusiva non si esaurisce con la mera parcellizzazione del territorio in difformità allo strumento urbanistico vigente, né con l’edificazione susseguente a tale attività, ma prosegue fino alla successiva negoziazione del manufatto illecito, dando
vita alla c.d. lottizzazione mista.
L’interessato Esposito Mario, a mezzo dell’avv. Giovanni Cantelli, pro-

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-3 pone ricorso per cassazione deducendo:
1) nullità dell’ordinanza per violazione degli artt. 321, commi 2 e 2, cod.
proc. pen. in relazione ai reati di cui agli artt. 323 cod. pen. e 44, lett. c), d.p.R.
6 giugno 2001, n. 380. Osserva che la condizione di estraneo al reato determina
già di per sé la inapplicabilità del sequestro (e quindi della confisca). Nel caso
di specie, al di là del fatto che il terzo acquirente non risulta indagato in relazione al reato di lottizzazione abusiva, è del tutto generica l’affermazione del
tribunale del riesame, secondo cui l’intervento del notaio non sarebbe sufficiente a supportare la convinzione della regolarità urbanistica dei beni e far ritenere
assolto il dovere di diligenza nel verificare la circostanza. Invero, la indagine
conoscitiva sul punto avrebbe dovuto riguardare non già il fatto storico ‘in generale’ quanto, piuttosto, l’atteggiamento assunto dal singolo acquirente rispetto
alla condotta, ritenuta costituente reato, attribuita al venditore. Il tribunale avrebbe dovuto spiegare in che modo il privato cittadino, come dedotto nella
memoria difensiva depositata (in relazione alla quale vi è una sostanziale mancanza di motivazione) avrebbe potuto avere cognizione della eventuale illegittimità di provvedimenti amministrativi che, sotto un profilo formale, erano assolutamente regolari ed avevano consentito la realizzazione di appartamenti
messi in vendita anche tramite agenzie immobiliari e la erogazione di mutui. Il
tribunale avrebbe, dovuto, inoltre, tenere conto del comportamento tenuto dal
ricorrente che ha acquistato l’immobile solo all’esito del controllo di legalità effettuato dal notaio, corrispondendo un prezzo congruo con strumenti di pagamento `tracciabili’ ed agendo in perfetta conformità a quanto prescritto dalla
legge. Non sono stati individuati gli eventuali strumenti che avrebbero dovuto
essere utilizzati dal terzo per essere definito “in buona fede”. Lamenta che il tribunale ha omesso di considerare che se, nel procedimento de quo, il Pubblico
Ministero, per formulare una mera ipotesi di reato, ha dovuto fare ricorso, per
molti mesi, a tutti i mezzi a propria disposizione (consulenze, indagini di PG),
non si vede quale strumento avrebbe consentito al privato cittadino di ‘dubitare’
della legittimità dei provvedimenti amministrativi e della intera operazione immobiliare. Era invece onere del tribunale spiegare, con motivazione logica, le
ragioni per le quali ha escluso che l’acquirente fosse estraneo al reato ipotizzato
senza limitarsi all’utilizzo di formule generiche e ad elaborazioni tecnicogiuridiche che non tutelano adeguatamente il cittadino che, per responsabilità
non sue, vede mortificati i propri rilevantissimi sacrifici economici pur avendo
agito in conformità a quanto prescritto dalla legge.
Lamenta inoltre che l’ordinanza impugnata non ha neppure valutato che
l’acquisto degli immobili de quibus ha interessato una molteplicità di soggetti.
Ebbene, a meno che non si voglia ipotizzare che ciascuno di essi avesse ab initio consapevolmente concorso nella realizzazione del presunto reato, è evidente
che il fatto che gli immobili venissero acquistati da più soggetti (peraltro da una
società immobiliare non certo sconosciuta nella realtà imprenditoriale locale) ha
ulteriormente indotto ciascun acquirente a non dubitare della legittimità degli
stessi.
2) violazione degli artt. 240 cod. proc. pen. e 44, lett. c), d.p.R. 6 giugno
2001, n. 380. Osserva che l’ordinanza impugnata fonda le esigenze cautelari e-

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sclusivamente sulla necessità di assicurare la futura confisca. Ma il sequestro
preventivo finalizzato alla confisca è previsto esclusivamente per le ipotesi di
confisca obbligatoria ex art. 230 cod. pen. alle quale non può equipararsi la
confisca prevista dal d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, quale sanziona amministrativa conseguente all’ipotesi di lottizzazione abusiva. Sotto il profilo della violazione edilizia, il sequestro degli immobili sarebbe stato giustificato solo in ipotesi di un aggravio del carico urbanistico, di cui non vi è traccia in motivazione,
derivante dal loro uso. Sul punto la motivazione è altresì manifestamente illogica laddove ritiene la sussistenza del periculum in mora in relazione ad opere edilizie definitive e stabilmente già da anni abitate dai legittimi proprietari.
Motivi della decisione
Con il ricorso si censura esclusivamente la presenza del periculum in mora
e non anche la sussistenza del fumus dell’ipotizzato reato di lottizzazione abusiva.
Il ricorso è fondato, in quanto l’ordinanza impugnata si fonda su una motivazione meramente apparente, perché del tutto astratta, generica e sganciata
dalle concrete caratteristiche e peculiarità dello specifico caso in esame.
Il periculum in mora è stato individuato sotto due diversi profili: a) la necessità di evitare il protrarsi di effetti lesivi dell’equilibrio urbanistico ed ambientale; ed in particolare la necessità di evitare il protrarsi delle conseguenze
del reato, perché la possibilità di cedere a terzi i beni determinerebbe il pericolo
di ulteriori condotte lottizzatorie sul piano negoziale; b) la possibilità della confisca del bene all’esito del giudizio di merito.
Sotto il primo profilo, l’ordinanza, al di là della frase di stile, non ha specificato in cosa consisterebbe, nel caso concreto, l’idoneità dell’appartamento sequestrato a costituire attuale e concreto pericolo di aggravamento o di protrazione del reato di lottizzazione abusiva, o di produrre «effetti lesivi
dell’equilibrio urbanistico ed ambientale». Nemmeno ha spiegato da quali elementi si desumerebbe il pericolo concreto che il ricorrente possa cedere a terzi
l’appartamento acquistato e, comunque, che tale eventuale ipotetica cessione
possa «determinare il pericolo di ulteriori condotte lottizzatorie sul piano negoziale», e senza valutare come possa interferire su questa possibilità il fatto che
l’ipotizzato reato di lottizzazione abusiva (anche negoziale) si sia già consumato, relativamente all’immobile in questione.
Sotto il secondo profilo, l’ordinanza impugnata si limita ad osservare che
l’intervento di un notaio non è sufficiente «a supportare la convinzione della
regolarità urbanistica dei beni e a far ritenere assolto il dovere di diligenza»,
perché le parti potrebbero rendere dichiarazioni non veritiere, o produrre documenti parziali, o il notaio potrebbe concorrere nella lottizzazione abusiva. Si
tratta di affermazioni ricavate da una decisione di questa Corte che vanno condivise e ribadite, ma che costituiscono, appunto, affermazioni astratte e di ordine generale che devono poi essere valutate ed applicate, dal giudice del merito,
con riferimento allo specifico caso concreto. Questa valutazione, con riferimento al caso concreto, nella specie è mancata non essendo specificate le ragioni
per le quali dovrebbe ipotizzarsi che le parti (specialmente la venditrice) abbiano, nella vicenda in esame, fatto dichiarazioni menzognere o prodotto docu-

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mentazione incompleta, o il notaio sia venuto meno ai suoi obblighi di verifica
o addirittura abbia concorso nella lottizzazione abusiva. Del resto, non risulta
che nei confronti dell’attuale ricorrente o del notaio sia stato prospettato un
concorso nel reato di lottizzazione abusiva o siano state prospettate altre ipotesi
di reato (o di violazione dei doveri professionali).
La realtà è che, limitandosi a ripetere genericamente formule ed affermazioni generali ed astratte, senza alcuna specifica considerazione e valutazione
del caso concreto, l’ordinanza impugnata finisce per seguire, di fatto, un principio secondo cui il terzo acquirente non potrebbe mai e in nessun caso considerarsi terzo di buona fede, con sostanziale elusione dei principi e delle norme
della CEDU, secondo l’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo (norme
che nel nostro ordinamento devono considerarsi di rango superiore a quelle ordinarie, rispetto alle quali costituiscono parametro di legittimità, con conseguente obbligo del giudice di fornire di quest’ultime una interpretazione adeguatrice), nonché dei principi più volte affermati da questa Corte.
Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte ha invero affermato che: «In
tema di reati edilizi, la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere
abusivamente costruite, attesa la natura sanzionatoria, non può essere disposta
nei confronti di soggetti estranei alla commissione del reato che siano possessori di buona fede, non essendo ammissibili criteri di responsabilità oggettiva
neppure con riferimento alle sanzioni amministrative. (In motivazione la Corte,
nell’annullare con rinvio l’ordinanza di rigetto dell’istanza di revoca del sequestro preventivo di un manufatto abusivo, ha sottolineato la necessità di tener
conto in sede di rinvio anche della sentenza C.e.d.u. del 20 gennaio 2009 nel
caso Sud Fondi s.r.l. c/ Italia)» (Sez. III, 12.12.2008, n. 12118 del 2009, Scalici, m. 243395); «Il terzo acquirente di un immobile abusivamente lottizzato, pur
partecipando materialmente con il proprio atto di acquisto al reato di lottizzazione abusiva, può subirne la confisca solo nel caso in cui sia ravvisabile una
condotta quantomeno colposa in ordine al carattere abusivo della lottizzazione
negoziale e/o materiale» (Sez. III, 29.9.2009, n. 42178, Spini, m. 245170); «In
tema di reati edilizi ed urbanistici, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di un immobile abusivamente lottizzato può essere adottato anche nei confronti del terzo acquirente, qualora egli non abbia assunto, deliberatamente o
per trascuratezza, tutte le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo
abilitativo, nonché sulla compatibilità dell’immobile con gli strumenti urbanistici» (Sez. VI, 23.11.2010, n. 45492, Murolo, m. 249215); «In tema di lottizzazione abusiva, la confisca può essere applicata anche al di fuori dei casi di
condanna, a condizione che nella condotta del terzo acquirente, sul cui patrimonio la misura viene ad incidere, siano riscontrabili quantomeno profili di
colpa. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta la buona fede dell’acquirente
desunta dall’avvenuta allegazione al rogito del certificato di destinazione urbanistica, oltre che per il fatto che lo stesso aveva riposto legittimo affidamento
sulla prassi comunale di rilasciare le concessioni pur in assenza del piano di
lottizzazione)» (Sez. III, 18.10.2012, n. 45833, Comune di Palermo, m.
253853); «In tema di reati edilizi, la confisca di un immobile abusivamente lottizzato può essere disposta anche nei confronti del terzo acquirente, qualora

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-6 nei suoi confronti siano riscontrabili quantomeno profili di colpa per non aver
assunto le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e
sulla compatibilità dell’intervento con gli strumenti urbanistici. (Fattispecie
nella quale la buona fede dell’acquirente è stata desunta dal prolungato comportamento omissivo della P.A., dall’esistenza di una prassi favorevole attestata dal notaio rogante e dall’assoluzione per carenza dell’elemento soggettivo
dei venditori degli immobili)» (Sez. III, 6.3.2013, n. 15987, Parisi, m. 255416).
Dinanzi al tribunale del riesame, il ricorrente aveva specificamente eccepito che la sua buona fede emergeva da una serie di elementi, quali: il fatto che
aveva acquistato la singola unità abitativa da una società conosciuta nella realtà
imprenditoriale locale; il fatto che la stipula di acquisto era avvenuta a mezzo di
un notaio, particolarmente qualificato nella valutazione della legalità
dell’acquisto; il rilascio di permesso di costruire regolare almeno da un punto di
vista formale e di una successiva sanatoria; il prezzo assolutamente compatibile
con i valori di mercato; il fatto che l’acquisto degli immobili da parte di una società immobiliare aveva interessato una molteplicità di soggetti, la gran parte
dei quali aveva fatto ricorso al mutuo bancario, con i conseguenti accertamenti
sulla regolarità dell’operazione.
Il tribunale del riesame ha totalmente omesso di esaminare questi specifici
rilievi dedotti dall’attuale ricorrente, e si è limitato a fare riferimento alla circostanza che quest’ultimo non aveva acceso un mutuo e che aveva pagato in contanti la gran parte del prezzo prima della stipula a titolo di caparra, circostanze
queste di cui non è spiegata la valenza indiziaria, anche in considerazione del
fatto che gli appartamenti erano stati posti in vendita anche tramite agenzie immobiliari e che erano stati concessi dei mutui.
In ogni modo, tutta la motivazione si svolge su un piano di astrattezza e
genericità e sul fatto storico «in generale», senza alcuna indagine o valutazione
circa l’atteggiamento concreto assunto dal singolo acquirente rispetto alla condotta, ritenuta costituente reato, attribuita al venditore.
Esattamente poi il ricorrente eccepisce che nella specie la eventuale illegittimità dei titoli abilitativi e la sussistenza del fumus di una lottizzazione abusiva
erano di difficile conoscibilità, come sarebbe dimostrato dal fatto che l’ufficio
del pubblico ministero, per giungere alla formulazione di una mera ipotesi di
reato, avrebbe dovuto fare ricorso, per molti mesi, ad indagini di polizia giudiziaria ed a consulenze di specialisti nel settore; e comunque che, a fronte di
questa circostanza, il giudice non ha indicato quali specifiche indagini, quali ulteriori informazioni e quali concreti accertamenti avrebbe dovuto svolgere
l’acquirente Esposito Mario e sulla base di quali elementi indiziari avrebbe dovuto ipotizzare che poteva trattarsi di una lottizzazione abusiva. Insomma non è
stato indicato quale comportamento il ricorrente avrebbe dovuto tenere per andare esente da colpa e, comunque, da conseguenze penali.
A tutte le considerazioni dianzi svolte ed alla giurisprudenza di questa
Corte richiamata, occorre ora aggiungere che il giudice dovrà anche tenere conto della nel frattempo intervenuta sentenza della Corte Europea dei diritti
dell’uomo del 29.10.2013, Varvara c. Italia (Ricorso n. 17475/09), la quale ha
ribadito che la confisca per il reato di lottizzazione abusiva ha natura di sanzio-

-7 ne penale e non può essere applicata senza una condanna.
L’ordinanza impugnata deve dunque essere annullata per mancanza di
concreta ed adeguata motivazione sul periculum in mora, con rinvio al tribunale
di Santa Maria Capua Vetere per nuovo esame.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, 1′ 11
marzo 2014.

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