Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19611 del 11/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19611 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Ammirato Arcangelo, nato a Caserta il 16.8.1969;
avverso l’ordinanza emessa il 26 giugno 2013 dal tribunale del riesame di
Santa Maria Capua Vetere;
udita nella udienza in camera di consiglio dell’Il marzo 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. Giuseppe Stellato;
Svolgimento del processo
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Santa Maria Capua
Vetere confermò il decreto del Gip di Santa Maria Capua Vetere del 3.5.2013 di
sequestro preventivo di un immobile sito in Orta di Atella, ritenuto illegittimo
in quanto il permesso di costruire sarebbe stato illegittimo, con la conseguenza
che il complesso realizzato avrebbe dato luogo ad una lottizzazione abusiva
(art. 44, lett. c), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380) e che sarebbe stata realizzata la
fattispecie dell’abuso di ufficio (art. 323 cod. pen.).
Osservò, in sintesi, il tribunale del riesame: – che era sufficiente valutare
che sussista la astratta sussumibilità in una determinata fattispecie di reato del
fatto contestato come ipotesi di accusa; – che il fumus del reato ipotizzato emerge dagli elementi indicati nel decreto di sequestro e nella relazione del consulente del PM, da quali emergono numerosi profili di illegittimità del permesso
di costruire n. 31/2005; ed in particolare: a) l’edificio, riportato al Foglio 8, particelle n. 5225 e 5226 del Comune di Orta di Atella, ricade in zona D5, nella
quale è previsto come necessaria l’adozione di un preventivo strumento attuativo, ossia il Piano degli insediamenti produttivi ex art. 27 1. 865/1971 a natura

Data Udienza: 11/03/2014

pubblicistica, come tale, ad iniziativa soltanto pubblica; b) l’intervento in parola
interessa un’area di 6.997 mq. a fronte della consistenza minima del lotto che
deve essere pari a 8.000 mq; c) l’ intervento autorizzato prevede la realizzazione
di sette piani. laddove il numero massimo di piani da realizzare, ai sensi dell’art.
30 delle N.T.A. è di cinque; d) il fabbricato è posto ad una distanza inferiore a
40 metri dalla strada S.V. Noia — Villa Literno, come previsto, invece, nel vigente P.R.G. e nelle disposizioni del d.lgs. 285/1992 (Codice della strada) e dal
DPR 495/1992; e) è stato accertato che le attrezzature pubbliche previste obbligatoriamente dalla legge e dal citato art. 30 di P.R.G, rappresentate, oltre che
dalle sedi viarie, da parcheggi così come previste dal D.M. n. 1444/1968, sono
inesistenti; f) il complesso, ricadente nella zona D5 del P.R.G. comunale – zona
a destinazione produttiva di tipo misto (commerciale, direzionale, turisticoalberghiero e di servizi, per il tempo libero) – ha invece sostanzialmente una destinazione abitativa e non di tipo ricettizio, come si ricava sia dalla tipologia dei
manufatti, divisi per 80 unità abitative di 100 mq con numero uguale di box auto; – che, in ragione degli evidenziati elementi di criticità, oltre che del conseguente sospetto di illegittimità che investe il permesso di costruire n. 31 del
2005, viene in rilievo, in definitiva, una ipotesi di lottizzazione abusiva di tipo
materiale ex art. 30 DPR 380/2001; – che il ricorrente Ammirato è indagato in
relazione al permesso di costruire n. 31/2005, in quanto amministratore della
società titolare dell’area sulla quale insiste il bene oggetto del reato di lottizzazione abusiva, oltre che realizzatrice del complesso edilizio; – che era irrilevante
la mancata contestazione al ricorrente del reato di cui all’art. 323 cod. pen., perché il profilo della illegittimità dell’atto amministrativo non riflette un imprescindibile elemento costitutivo delle fattispecie penali in materia urbanisticoedilizia, in mancanza del quale la figura criminosa in esame non potrebbe ritenersi integrata; – che ai fini della configurabilità sul piano astratto della fattispecie di cui all’art. 44, lett. c) del DPR n. 380 del 2001 non risulta pregiudiziale la
contestazione del reato di abuso di ufficio, sicché può ritenersi che allo stato
non appaia destituita di fondamento la configurazione dei fatti in termini di lottizzazione ex art. 44, lett. C) del DPR n. 380 del 2001; – che sussiste il periculum in mora in quanto la libera disponibilità del bene è suscettibile di aggravare
o protrarre le conseguenze dell’illecito, insita non solo nel possibile utilizzo che
del bene potrebbe essere fatto ma anche per la possibilità di cedere a terzi i beni
che determina il pericolo di ulteriori condotte lottizzatorie sul piano negoziale; che il sequestro è stato disposto anche in funzione della confisca prevista
dall’art. 44, co. 2 D.P.R. n° 380/01 per gli immobili realizzati abusivamente, ai
sensi dell’art. 321, co. 2 c.p.p.
L’indagato Ammirato Arcangelo, a mezzo dell’avv. Giuseppe Stellato,
propone ricorso per cassazione deducendo:
1) Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 44 lett.
c) D.p.r. 380/01, nonché all’art. 321 c.p.p. Osserva che il tribunale richiama fra
i titoli di reato a supporto della misura anche l’art. 323 c.p., anche se, invero, il
titolo cautelare originario fa riferimento solo ed esclusivamente all’art. 44 lett.
c), non evidenziando in alcun modo riferimenti all’ art. 323 c.p. Secondo l’ipotesi accusatoria, il sequestro si fonda su una ritenuta illegittimità del permesso di

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costruire originario rilasciato in favore di soggetto diverso dalla società gruppo
P.I. Srl, riconducibile all’Ammirato (in cui favore il permesso di costruire sarebbe stato volturato in data 9/12/05). L’illegittimità del titolo, di consistenza tale da farlo ritenere tamquam non esset, unitamente alla mancanza di preventiva
lottizzazione per l’intervento operato, integrerebbero la violazione dell’art. 44
lett. c) DPR 380/01. In relazione alla fattispecie concreta il tribunale evidenzia
la illegittimità del permesso di costruire in contestazione, n. 31/05, in quanto
l’intervento, ricadente in zona D5, richiedeva l’adozione di un preventivo strumento attuativo; il lotto di intervento avrebbe avuto una estensione inferiore a
quella prevista per il lotto minimo di 8.000 mq; la struttura sarebbe costituita da
7 piani a fronte di un numero massimo ammissibile di 5 piani fuori terra; la
stessa ricadrebbe ad una distanza dall’asse viario Nola — Villa Literno inferiore
ai previsti mt. 40 di fascia di rispetto; la struttura avrebbe caratteristiche diverse
da quelle di progetto, risultando di fatto edificio residenziale e non con destinazione ad insediamenti produttivi.
Lamenta il ricorrente come la difesa, anche attraverso il deposito di specifica relazione di consulenza tecnica a firma dell’arch. Di Luise, aveva evidenziato l’assoluta carenza degli elementi appena evidenziati in quanto non erano
stati presi in considerazione atti amministrativi a contenuto generale, che avendo inciso sulla strumentazione urbanistica, avevano reso possibili gli interventi
in parola. Vi è quindi vizio di omessa motivazione per avere il tribunale omesso
di valutare le deduzioni difensive.
In particolare osserva che l’immobile in parola è stato realizzato sulla
scorta di un titolo edilizio rilasciato, peraltro, in favore dei coniugi Di Giorgio
che lo volturarono all’Ammirato e non è ubicato in via A. Sordi come erroneamente riportato del provvedimento impugnato. Questo errore iniziale evidenzia
un approccio superficiale ad una materia che, invece, andava valutata anche tenendo conto della prospettazione difensiva che aveva, tra l’altro, evidenziato
come le norme urbanistiche fossero state oggetto di interventi deliberativi, di
carattere modificativo e di come, peraltro, anche l’autorità giudiziaria, occupatasi di analoga vicenda, aveva evidenziato i notevoli problemi interpretativi che il
caso presentava, tanto che era stata emessa sentenza di non luogo a procedere
per fattispecie analoghe alla presente. Era stato, altresì, sottolineato dalla difesa
che la mancata contestazione del delitto di abuso in atti d’ufficio incideva sulla
stessa configurabilità degli illeciti urbanistico-edilizi che, per come contestati si
ricollegavano ad una giuridica valutazione di inesistenza del titolo edilizio da
ritenersi mai emesso in quanto illegittimo. Per quanto attiene, poi, alla lottizzazione abusiva, la stessa veniva ricollegata alla mancanza di un preventivo piano
di lottizzazione richiesto per gli interventi ricadenti in zona D5.
Eccepisce quindi il ricorrente che gli elementi di carattere tecniconormativo richiamati dal Tribunale non assumono affatto quel carattere di certezza che dovrebbe supportare una adeguata motivazione.
Ed invero, innanzitutto, circa la mancata adozione di un preventivo P.I.P. a
natura pubblicistica, rileva che con le delibere n. 5 del 21 gennaio 2005 e 61 del
29 novembre 2011 la normativa era stata integrata consentendo interventi non
solo in base a piani attuativi pubblici, ma anche ad iniziativa di privati. Quanto

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poi alla estensione del lotto, la stessa nella misura di 8.000 mq era richiesta a
fronte di interventi pubblici e non privati. Solo qualora gli interventi privati afferissero a comparti superiori ai 10.000 mq, si rendeva necessario il preventivo
strumento attuativo. Dunque, ben era possibile l’intervento operato anche in un
Tasso inferiore (quello della società in esame era di circa 7000 mq). Inoltre, in
base alle su richiamate delibere, il lotto minimo di intervento per i privati veniva indicato in 5000 mq, sicché anche la ritenuta violazione riguardante la estensione minima del lotto è da ritenersi superata. Anche per ciò che attiene al numero dei piani, gli stessi risultano in numero di 5 ove si consideri che, per numero di piani, va inteso il numero di piani fuori terra utilizzabili conformemente
alla strumentazione urbanistica: su tale aspetto si imponeva la necessità di una
interpretazione delle norme amministrative in materia, del tutto omessa dal tribunale. Analogo errore valutativo attiene alla individuazione delle distanze
dall’asse viario Nola/Villa Literno dal momento che la normativa attuata ha ridotto le stesse a 20 mt come evidenziato anche nella allegata CT di parte. Del
tutto apodittiche risultano, poi, le affermazioni relative alla mancanza del rispetto degli standard e relative alla diversità di destinazione urbanistica degli immobili come realizzati. Su tale ultimo aspetto, il parametro di raffronto non poteva che essere il titolo edilizio sul quale alcuna incidenza ha avuto o potuto avere l’Ammirato, a cui il permesso di costruire è stato solo volturato da soggetti
diversi.
Osserva quindi come non vi sia né reato di abuso in atti d’ufficio (perché
non contestato) e come non sia in alcun modo configurabile il reato di lottizzazione abusiva. L’immobile in esame è stato realizzato sulla scorta di regolari titoli rilasciati dalla p.a. e non risulta che vi sia stata un’attività di frazionamento
delle unità immobiliari come originariamente autorizzato. Eccepisce che il reato
di lottizzazione abusiva, caratterizzato da un coefficiente psicologico particolare che è dato dallo scopo edificatorio, doveva essere in concreto individuato attraverso la specificazione delle materiali attività di frazionamento o delle specifiche attività negoziali che avevano dato luogo ad una frammentazione di un
immobile ovvero di un fondo unitario. Nella specie non è ravvisabile alcuna attività di tal genere e la stessa motivazione del provvedimento si sofferma su aspetti amministrativi di illegittimità del titolo edilizio, senza preoccuparsi di individuare gli ulteriori elementi che avrebbero dovuto comportare la possibilità
di qualificare i fatti ai sensi dell’ art. 44 lett. c) d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380. Erroneamente e immotivatamente poi il tribunale del riesame ha ristretto l’ambito
del sindacato di legittimità sui presupposti del reato urbanistico ed ha basato il
suo ragionamento su una serie di deduzioni non fondate. Il tema in esame, infatti, non è quello della disapplicazione di un atto amministrativo (peraltro, difficilmente operabile proprio in assenza della contestazione di abuso), bensì proprio quello della individuazione degli elementi essenziali della fattispecie lottizzatoria che non possono essere presunti né collegati ad indefinite illegittimità
amministrative cui l’Ammirato è pacificamente estraneo (non essendo il titolare
originario del permesso di costruire) ed avendo fondato sull’atto amministrativo
la propria convinzione di legittimità dell’atto stesso. Considerando che il reato
edilizio si realizza qualora manchi il relativo titolo e non già quando lo stesso

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sia da ritenere, in ipotesi, illegittimo, nel caso di specie, non vi è spazio per tale
reato, difettandone i presupposti. Seguendo il percorso logico del tribunale, l’esistenza del titolo preclude qualsiasi verifica in punto di legittimità dello stesso.
Solo qualora il titolo risulti oggetto di collusione fra privato e pubblica amministrazione, risultando conseguenza diretta del reato ed incidendo sulla liceità del
titolo, determina la sua possibile disapplicazione. Dunque, risulta impossibile,
in assenza di una contestazione dell’art. 323 c.p., come connessa all’abuso in atti
di ufficio, ritenere configurabile qualsiasi reato edilizio.
E’ comunque impossibile nella specie configurare il reato di cui all’art. 44,
lett. c), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380. Proprio perché, infatti, l’intervento edilizio
si pone come unitario e successivo al rilascio di un permesso di costruire, eventuali illeciti potrebbero riguardare in astratto ipotesi di reato di costruzione abusiva, ma in alcun caso quello di lottizzazione. Non basta, pertanto, dire che la
configurabilità della lottizzazione ex art. 44 lett. c) non appare destituita di fondamento, essendo compito del tribunale individuare gli elementi concreti della
condotta lottizzatoria per pervenire alla individuazione del fumus. La verifica di
sussistenza del reato di lottizzazione abusiva non è assolutamente di secondo
momento ove si consideri che il sequestro è stato disposto anche in funzione di
confisca ex art. 44 co. 2 dpr 380/01.
2) Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 321
c.p.p. per mancanza di motivazione sul periculum in mora. Ricorda che il tribunale del riesame ha ritenuto l’esigenza tesa ad impedire un aggravamento o la
protrazione delle conseguenze del reato, pure essendo cessata la condotta criminosa. Sennonché il tribunale non poteva limitarsi ad affermare che l’uso o il
godimento del bene determinerebbero una protrazione delle conseguenza del
reato, dovendo, invece, individuare in termini concreti se l’uso o il godimento
dello stesso determinino un incremento del carico urbanistico alterando l’equilibrio territoriale cui presiede la pianificazione. Su tale aspetto, la motivazione,
limitandosi a richiamare il generico pericolo derivante dall’uso del bene, non si
sofferma affatto, incorrendo in un inammissibile difetto di motivazione.
Motivi della decisione
Il ricorso va accolto per le ragioni che seguono.
L’ordinanza impugnata si basa su una premessa erronea, ossia sull’assunto
che nel giudizio di riesame il controllo del giudice sarebbe limitato alla verifica
della astratta conformità del provvedimento alle norme che ne impongono o ne
consentono l’emissione e della ricorrenza delle esigenze preventive previste dalla legge, e non anche della fondatezza dell’imputazione, che è invece oggetto
del procedimento principale, salvo il caso della palese difformità tra fattispecie
reale e fattispecie legale. In altri termini, la verifica dell’antigiuridicità penale
del fatto andrebbe compiuta su un piano di astrattezza, nel senso che essa non
potrebbe investire la sussistenza in concreto dell’ipotesi criminosa, ma dovrebbe
essere limitata alla configurabilità del fatto come reato. La sussistenza del fumus quindi andrebbe accertata solo sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non potrebbero essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che andrebbero
valutati così come proposti dal pubblico ministero. Ora, questo principio, che

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pure a volte in passato era stato affermato da una parte della giurisprudenza di
questa Corte (sulla base di una incompleta considerazione del reale contenuto
motivazionale della sentenza delle Sez. Un., 29.1.1997, n. 23) è ormai da tempo disatteso dalla giurisprudenza più recente, alla quale questo Collegio aderisce, secondo cui il tribunale del riesame, per espletare il ruolo di garanzia dei
diritti costituzionalmente tutelati che la legge gli demanda, non può avere riguardo solo alla astratta configurabilità del reato, ma deve prendere in considerazione e valutare, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e
quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche
le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza
sulla configurabilità e sulla sussistenza del fumus del reato contestato (cfr., ex
plurimis, Sez. I, 9 dicembre 2003, n. 1885/04, Cantoni, m. 227498; Sez. IV,
29.1.2007, 10979, Veronese, m. 236193; Sez. V, 15.7.2008, n. 37695, Cecchi,
m. 241632; Sez. I, 11.5.2007, n. 21736, Citarella, m. 236474; Sez. IV,
21.5.2008, n. 23944, Di Fulvio, m. 240521; Sez. II, 2.10.2008, n. 2808/09, Bedino, m. 242650).
E difatti si è plurime volte affermato che: «Il sequestro preventivo può essere disposto in quanto sia ravvisabile l’esistenza di un reato: è dunque compito del giudice valutare, non solo l’astratta sussumibilità del fatto in una fattispecie penale, ma anche se sia ravvisabile il “fumus” del reato ipotizzato, tenendo conto sia degli elementi forniti dall’accusa che delle argomentazioni difensive. Ne consegue che la motivazione del provvedimento deve dar conto anche delle ragioni per le quali il fatto integra il reato contestato, posto che
quest’ultimo è antecedente logico e necessario del provvedimento cautelare»
(Sez. II, 23.3.2006, Cappello, m. 234197); «Nella verifica dei presupposti per
l’emanazione del sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma primo, cod.
proc. pen., il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta
configurabilità del reato, ma, valutando il “fumus commissi delicti”, deve tenere conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e
dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, non occorrendo la sussistenza d’indizi di colpevolezza o la loro gravità, ma solo elementi
concreti conferenti nel senso della sussistenza del reato ipotizzato» (cfr. Sez. V,
15.7.2008, n. 37695, Cecchi Gori, m. 241632; Sez. IV, 29.1.2007, n. 10979,
Veronese, m. 236193; Sez. I, 19.12.2003, n. 1885, Cantoni, m. 227498; v. Corte
cost. ord. n. 153 del 2007).
Questo indirizzo viene ormai seguito dalla giurisprudenza assolutamente
prevalente, anche in materia edilizia e urbanistica, affermandosi che: «il tribunale del riesame, nel verificare i presupposti per l’adozione di una misura cautelare reale, non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve valutare, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma
anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del “fumus” del reato contestato. (Nella specie, relativa ad esercizio di attività di cava in zona vincolata, il
tribunale si era limitato a prendere atto della mancanza di autorizzazione paesaggistica senza considerare se, nel caso di specie, la stessa, come sostenuto

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dalla difesa, non fosse richiesta).» (Sez. III, 11.3.2010, n. 18532, D’Orazio, m.
247103); «Nella valutazione del “fumus commissi delicti” quale presupposto
del sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma primo, cod. proc. pen., il
giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità
del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti
dalle parti, indicando, sia pure sommariamente, le ragioni che rendono allo
stato sostenibile l’impostazione accusatoria. (In applicazione di tale principio
la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza che, confermando il sequestro
preventivo di immobile per il reato di lottizzazione abusiva, aveva fatto generico richiamo alla consulenza tecnica del P.M e agli altri atti di polizia giudiziaria senza alcun riferimento ai contenuti e alle ragioni della loro prevalenza sui
rilievi di carattere difensivo). (Conf. Cass., sez. III, n. 26198 del 2010, non
massimata)» (Sez. III, 5.5.2010, n. 26197, Bressan, m. 247694); «Il tribunale
del riesame, nel verificare i presupposti per l’adozione di una misura cautelare
reale, non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma
deve valutare, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e
quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche
le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza
sulla configurabilità e sulla sussistenza del “fumus” del reato contestato. (Nella
specie, relativa ad abuso edilizio, il Tribunale si era limitato ad affermare la
non manifesta totale infondatezza della interpretazione delle norme rilevanti
operata dal P.M)» (Sez. III, 20.5.2010, n. 27715, Barbano, m. 258134). In senso conforme: Sez. V, 26.1.2010, n. 18078, De Stefani, m. 247134; Sez. IV,
14.3.2012, n. 15448, Vecchione, m. 253508.
Nella specie, invece, il tribunale del riesame, fondandosi sull’erroneo presupposto, ha appunto omesso di considerare e valutare le tesi della difesa e la
documentazione prodotta a loro sostegno, con ciò eludendo il suo compito istituzionale di controllo «in concreto» del provvedimento impugnato. Ciò integra,
in sostanza, un rifiuto di provvedere, derivante da una erronea interpretazione
delle proprie funzioni, e comunque una violazione dell’obbligo di motivazione
(cfr. Sez. II, 22.5.1997, n. 3513, Acampora, m. 208078).
Nel caso in esame, la mancanza di motivazione della ordinanza impugnata
riguarda diverse circostanze e questioni prospettate dalla difesa.
Il ricorrente, infatti, anche mediante deposito di apposita consulenza tecnica, aveva eccepito la carenza degli elementi prospettati dall’accusa, in quanto
questa non aveva preso in considerazione alcuni atti amministrativi generali,
che avevano modificato gli strumenti urbanistici rendendo possibili gli interventi di cui si tratta, tanto che in fattispecie del tutto analoghe era stata emessa
sentenza di non luogo a procedere. Su queste eccezioni difensive manca la motivazione.
In particolare, il ricorrente aveva eccepito – in ordine alla contestata mancanza di adozione di un preventivo P.I.P. a natura pubblicistica – che con le delibere n. 5 del 21 gennaio 2005 e 61 del 29 novembre 2011 la normativa era stata integrata consentendo interventi non solo in base a piani attuativi pubblici,
ma anche ad iniziativa di privati..

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Aveva poi eccepito – in ordine alla estensione del lotto — che la misura di
8.000 mq era richiesta a fronte di interventi pubblici e non privati. Solo qualora
gli interventi privati afferissero a comparti superiori ai 10.000 mq, era necessario il preventivo strumento attuativo. Il lotto minimo per gli interventi dei privati era invece indicato nella misura 5000 mq, di modo che non sussisteva la violazione riguardante la estensione minima del lotto perché quello della società
del ricorrente in esame era di circa 7000 mq.
Quanto al numero dei piani, aveva eccepito che essi in realtà erano 5 e non
7, perché per numero di piani doveva essere inteso quello dei piani fuori terra
utilizzabili conformemente alla strumentazione urbanistica. Anche su questa eccezione manca una motivazione nella ordinanza impugnata, la quale ha omesso
anche la necessaria interpretazione delle norme amministrative in materia.
Il ricorrente aveva altresì eccepito che non sussisteva la contestata violazione delle distanze dall’asse viario Noia/Villa Literno dal momento che la
normativa attuata aveva ridotto le stesse a 20 mt come evidenziato anche nella
allegata CT di parte.
Aveva ancora contestato la denunziata mancanza di rispetto degli standard
nonché la diversità di destinazione urbanistica degli immobili come realizzati.
Su tutti questi punti, come già rilevato, manca la motivazione,
Inoltre manca una adeguata motivazione anche sulla stessa sussistenza del
fumus del reato di lottizzazione abusiva. Esattamente il ricorrente lamenta che
in sostanza l’ordinanza impugnata si è limitata ad indicare la illegittimità del titolo abilitativo rilasciato dal comune, ossia una circostanza che potrebbe configurare il (non contestato) reato di costruzione abusiva ai sensi dell’art. 44, lett.
b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, ma non ha specificato quali sono gli specifici
elementi che nella concreta fattispecie in esame porterebbero alla integrazione
del reato di lottizzazione abusiva. Sul punto, invero, la motivazione si è svolta
per lo più sul piano astratto e generale, richiamando una serie di massime di
giurisprudenza in tema di reato di lottizzazione abusiva, piuttosto che sulla verifica della concreta condotta del ricorrente. Ed effettivamente, non è stata data
adeguata risposta alle eccezioni dell’indagato che aveva dedotto la mancanza di
una attività materiale di frazionamento delle unità immobiliari come originariamente autorizzate o di specifiche attività negoziali che avessero dato luogo al
frazionamento di un immobile o di un fondo unitario, ed aveva altresì eccepito
che l’accusa si basava solo su aspetti amministrativi di illegittimità del titolo edilizio senza preoccuparsi di individuare gli elementi per la qualificazione del
fatto come lottizzazione abusiva.
Sembra che anche la carenza di motivazione su questo aspetto rilevante
derivi dalla erronea considerazione del tribunale del riesame circa l’estensione
dei suoi compiti di garanzia. Difatti, l’ordinanza impugnata afferma che «può
ritenersi che allo stato non appaia destituita di fondamento la configurazione
dei fatti in termini di lottizzazione ex art. 44 lett. c) DPR 380/01» (pag. 4). Al
contrario, per consentire la limitazione del diritto costituzionalmente tutelato,
non è sufficiente che la configurazione del reato ipotizzata dall’accusa «non appaia destituita di fondamento» in astratto, ma occorre in concreto la sussistenza
del fumus del reato ipotizzato, e quindi dei suoi elementi essenziali, che non

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possono essere solo presunti.
Infine, la motivazione è mancante o meramente apparente e di stile anche
in ordine al periculum in mora. L’ordinanza impugnata non indica se il reato di
lottizzazione abusiva si è consumato e, in particolare, se vi siano appartamenti
rimasti ancora invenduti o se tutti gli immobili siano stati già venduti, nel qual
caso non si comprende come ulteriori cessioni possano configurare ulteriori
condotte lottizzatorie rispetto ad un reato consumato. Nemmeno è specificato in
concreto quale sarebbe il pericolo di incisione sull’equilibrio urbanistico ed
ambientale, La giurisprudenza richiamata riguarda per lo più il reato di costruzione abusiva (nella specie non contestato), mentre, in tema di lottizzazione abusiva, si è affermato che «La realizzazione di un immobile ad uso residenziale
in contrasto con la destinazione alberghiera prevista dallo strumento urbanistico non determina un aggravamento del carico urbanistico sulle infrastrutture preesistenti idoneo a legittimare l’adozione di un provvedimento di sequestro
preventivo, salvo che si tratti di unità immobiliari ancora in vendita, sussistendo in tale ultimo caso il pericolo che il reato venga portato ad ulteriori conseguenze. (Nella specie gli immobili, assentiti per uso residenziale turistico – alberghiero, erano stati venduti come seconde case)» (Sez. III, 29.9.2009, n.
42178, Spini, m. 245171). La motivazione sul punto non può quindi esaurirsi in
una astratta affermazione di principio.
In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata per carenza di
motivazione con rinvio al tribunale di Santa Maria Capua Vetere per nuovo esame.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, l’ 11
marzo 2014.

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