Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19608 del 11/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19608 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Vitale Maria, nata a Frattamaggiore il 5.7.1962;
avverso l’ordinanza emessa il 27 giugno 2013 dal tribunale del riesame di
Santa Maria Capua Vetere;
udita nella udienza in camera di consiglio dell’il marzo 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
Svolgimento del processo
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Santa Maria Capua
Vetere confermò il decreto del Gip di Santa Maria Capua Vetere del 3.5.2013 di
sequestro preventivo di un immobile sito in Orta di Atella, ritenuto illegittimo
in quanto il permesso di costruire sarebbe stato illegittimo, con la conseguenza
che il complesso realizzato avrebbe dato luogo ad una lottizzazione abusiva
(art. 44, lett. c), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380) e che sarebbe stata realizzata la
fattispecie dell’abuso di ufficio (art. 323 cod. pen.).
Osservò, in sintesi, il tribunale del riesame: – che era sufficiente valutare
che sussista la astratta sussumibilità in una determinata fattispecie di reato del
fatto contestato come ipotesi di accusa; – che con delibera del 6/12/1999, il
Consiglio Comunale ha deliberato di adottare il piano di insediamento produttivo (PIP) strumento di attuazione del PRG – definitivamente approvato con delibera del 4/2/2000; – che tuttavia che il PIP è rimasto inattuato, in quanto alla
sua adozione non è seguita tutta l’attività conseguenziale, in primis, l’espropriazione delle aree sulle quali consentire l’attività edificatoria; – che le delibere
comunali n. 61 del 29.11.2001 e n. 5 del 21.1.2005 che avevano previsto un
aumento dell’altezza, erano illegittime, perché, andando a modificare le norme

Data Udienza: 11/03/2014

di attuazione del PRG, sia con riguardo ai parametri urbanistici che alle prescrizioni relative all’attività edificatoria, hanno rappresentato una vera e propria variante (di tipo normativo), assoggettata, come tale, alle stesse procedure e controlli previsti per l’atto da modificare, ovverosia approvazione con decreto da
parte del Presidente della Giunta Provinciale su conforme deliberazione del
Consiglio Provinciale; – che la illegittimità di tali delibere implica che debbano
essere considerate tamquam non essent, con la conseguente illegittimità di
quanto realizzato sul loro presupposto; – che in tale contesto si inseriva il permesso di costruire n. 41/2005 rilasciato a Pedata Antimo, quale amministratore
unico della società ITAL GROUP s.r.I., per la realizzazione – di fatto avvenuta
di fabbricati di tipo misto e riguardanti due particelle – p.11a 5267 e p.11a 5271
– ricadenti, rispettivamente, in zona di rispetto stradale e in zona D2; – che la illegittimità di tale permesso a costruire viene fatta discendere anzitutto dalla
considerazione che il suo rilascio è stato possibile proprio in forza delle richiamate delibere del Cons.Com . n. 61 del 29.11.2001 e n.5 del 21/1/05; – che infatti il vigente PRG prevede all’art. 28 delle NTA, ai fini del rilascio della concessione edilizia per la zona in esame, l’obbligo di preventivo strumento attuativo,
costituito dal P.I.P. di natura pubblicistica ovvero dal piano di lottizzazione
convenzionata; – che inoltre gli interventi edificatori previsti nelle dette delibere
erano subordinati all’assunzione dell’impegno da parte dell’interessato di procedere alle opere di urbanizzazione; – che ciò era sufficiente alla configurabilità
del delitto di abuso d’ufficio inerente al rilascio del permesso di costruire n.
41/05, avuto riguardo alla particolare gravità ed evidenza della violazione di
legge; – che era configurabile anche il reato di lottizzazione abusiva materiale,
in quanto l’attività edificatoria consentita sulla base del titolo concessorio in esame ha determinato la realizzazione di un insediamento urbano differente per
tipologia e destinazione da quelle realizzabili nella zona interessata in forza delle previsioni contenute nel PRG; – che infatti l’art. 27 delle NTA prevede che
nella zona D2, previa adozione di un piano particolareggiato, l’intervento interessi una superficie minima di 10.000 mq e non possa superare i 12 metri di altezza (elevati a 21 della delibera n 5 del 21.1.2005, da ritenersi illegittima), la
destinazione d’uso è esclusivamente per attività piccolo artigianali e commerciali, è consentita la realizzazione di alloggio per il custode, il piano è unico; che invece il lotto su cui insistono i fabbricati oggetto dell’intervento ha una superficie di mq. 7.996 e l’intervento realizzato ha prevalentemente natura residenziale, oltre che commerciale al dettaglio; riguarda una pluralità di edifici a
più piani ed uno di essi, quello autorizzato ex novo, è addirittura composto da 5
piani fuori terra; infine, l’altezza dei fabbricati è di 15 mt.; – che sussiste il periculum in mora per il pericolo di aggravamento del carico urbanistico; – che questo periculum in mora sussiste anche nei confronti del terzo in buona fede e non
indagato, quale appunto l’attuale ricorrente; – che invero oggetto del sequestro
preventivo può essere qualsiasi bene, a chiunque appartenente e, quindi, anche
a persona estranea al reato, a prescindere dalla buona fede; – che il vincolo in
esame, diretto a rendere indisponibile la res, è imposto per più generali esigenze
di giustizia, quali sono quelle relative alla tutela della collettività, che, sebbene
pregiudizievoli per il soggetto che ne è gravato, vanno necessariamente soddi-

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sfatte; – che quindi è irrilevante lo stato soggettivo dell’istante, quale terzo acquirente; – che il sequestro è stato comunque disposto anche in vista di una futura confisca; – che secondo la più recente giurisprudenza, nel giudizio cautelare concernente il sequestro di immobili lo terreni abusivamente lottizzati, la dedotta buona fede del terzo acquirente può essere oggetto di valutazione a condizione che risulti immediatamente evidente, ovvero percepibile “ictu oculi”; che nella specie la buona fede del terzo acquirente non appare immediatamente
evidente, tenuto conto delle macroscopiche illegittimità riscontrate.
L’interessata Vitale Maria, a mezzo dell’avv. Carlo De Stavola, propone
ricorso per cassazione deducendo:
1) Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 323
c.p., 44 lett. C) DPR 380/2001, 321 commi I e II e 324 c.p.p. Lamenta la assoluta carenza motivazionale, sia sotto il profilo della assoluta inconferenza del fatto contestato in relazione alla specifica posizione della Vitale quale terza interessata in qualità di acquirente di buona fede, e, sotto altro profilo, rispetto agli
atti prodotti dalla difesa a sostegno della richiesta di annullamento del decreto
ex art. 321 c.p.p. In particolare ricorda che a sostegno della sua buona fede al
momento dell’acquisto, la Vitale aveva prodotto in sede di udienza camerale, il
contratto di compravendita dell’appartamento dalla mera lettura del quale è evincibile come la stessa abbia sottoscritto un atto nel quale, per un verso, l’appartamento che stava acquistando veniva descritto come assolutamente regolare, ma soprattutto il notaio si poneva come garante delle legittimità e regolarità
degli atti amministrativi ed autorizzativi ed, ancor di più, nella parte del contratto intitolata “Dichiarazioni urbanistiche — fiscali e finali”, al secondo capoverso, il venditore, espressamente, “garantisce l’esistenza e la regolarità amministrativa dei descritti titoli autorizzativi”.
Nella specie la Vitale ha acquistato un immobile sottoscrivendo un contratto nel quale in primo luogo non era fatto alcun riferimento a qualsivoglia
problema legato alla regolarità o legittimità dei titoli autorizzativi, in allegato al
quale era proprio il permesso di costruire. Nessun elemento, quindi, per poter
anche lontanamente subdorare profili di illegittimità dei titoli autorizzativi da
parte dell’acquirente. Non è perciò spiegato perché il tribunale abbia ritenuto
non ravvisabile ictu °culi la buona fede della Vitale, pur in presenza di un contratto regolarmente stipulato, nel quale il venditore allega i titoli autorizzativi e
si fa garante della regolarità e legittimità degli stessi, ed ancor di più un notaio,
in qualità di pubblico ufficiale, a sua volta si fa garante della regolarità degli atti e della procedura seguita. Il tribunale inoltre ha omesso di considerare che se,
nel procedimento de quo, il Pubblico Ministero, per pervenire alla conclusione
che gli atti ed i titoli abilitativi erano illegittimi ha avuto la necessità di affidare
un incarico ad un tecnico del settore di elevatissimo livello, docente di diritto
Urbanistico presso la facoltà di Architettura dell’Università di Napoli, il quale a
sua volta ha impiegato un anno per acquisire ed esaminare tutti gli atti e formulare le proprie conclusioni in relazione alla detta illegittimità, peraltro in una situazione ingarbugliatissima di sovrapposizione e successione di permessi di costruire, varianti e SCIA, che hanno implicato la verifica ed il controllo di atti catastali, grafici, progetti, P.R.G., delibere modificative dello stesso, non è logi-

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camente pretendibile che si accorga della illegittimità il quivis de populo, a
fronte di un atto pubblico rispetto al quale per un verso il notaio si pone come
garante della regolarità della procedura, oltre che delle verifiche relative alle visure ipotecarie e catastali, e sotto altro profilo il venditore si fa garante
dell’esistenza e della regolarità amministrativa dei titoli autorizzativi assumendosi espressamente tutte le connesse responsabilità. Non si comprende con precisione, pertanto, quale sia la soglia oltre la quale la buona fede debba risultare
ictu ocu/i al fine di essere ritenuta scriminante rispetto all’acquisto dell’immobile da parte del terzo, o meglio, fino a che punto si ritiene debba spingersi l’ordinaria diligenza del quivis nell’approcciarsi ad acquistare un immobile: se per ritenere la buona fede nell’acquisto di un immobile si debba pretendere che l’acquirente svolga una sorta di “indagine tecnica” mirata ad accertare e verificare
la legittimità dei titoli autorizzativi, rispetto alla quale, evidentemente, servono
delle capacità e delle abilità tecniche peculiari, per disporre delle quali si dovrebbe necessariamente far ricorso a tecnici e periti. E’ quindi evidente che nel
caso di specie non è certo percepibile ictu ocu/i tutta quella serie di elementi
che è di contro acquisibile, ma ancor di più, comprensibile, solo da parte di un
soggetto professionalmente qualificato che sia peraltro, messo in condizione di
aver accesso ad atti che sicuramente accessibili ed ancor di più di semplice
comprensione.
Motivi della decisione
Con il ricorso si censura esclusivamente la presenza del periculum in mora
e non anche la sussistenza del fumus dell’ipotizzato reato di lottizzazione abusiva.
Il ricorso è fondato, in quanto l’ordinanza impugnata si fonda su una motivazione meramente apparente, perché astratta, generica e sganciata dalle concrete caratteristiche e peculiarità dello specifico caso in esame.
Il periculum in mora è stato individuato sotto due diversi profili: a) la necessità di evitare il protrarsi di effetti lesivi dell’equilibrio urbanistico ed ambientale; ed in particolare la necessità di evitare il protrarsi delle conseguenze
del reato; b) la possibilità della confisca del bene all’esito del giudizio di merito.
Sotto il primo profilo, l’ordinanza, al di là della frase di stile, non ha specificato in cosa consisterebbe, nel caso concreto, l’idoneità dell’appartamento sequestrato a costituire attuale e concreto pericolo di aggravamento o di protrazione del reato di lottizzazione abusiva, o di produrre «effetti lesivi
dell’equilibrio urbanistico ed ambientale». Nemmeno, nel caso di specie, è richiamato un pericolo concreto che la ricorrente possa cedere a terzi
l’appartamento acquistato e, in tal modo, possa «determinare il pericolo di ulteriori condotte lottizzatorie sul piano negoziale», ciò che del resto sembrerebbe
doversi escludere per essersi l’ipotizzato reato di lottizzazione abusiva (anche
negoziale) già consumato, relativamente all’immobile in questione. La giurisprudenza citata relativa alla possibilità di sequestro preventivo dell’immobile
abusivo già ultimato per la possibilità di aggravare il carico urbanistico si riferisce al reato di realizzazione di un immobile senza permesso di costruire (art. 44,
lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380) che nella specie non è stato contestato,

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non al reato di lottizzazione abusiva contestato. In ogni modo, l’ordinanza impugnata non ha spiegato perché, in concreto, il mancato sequestro preventivo
dell’appartamento in questione comporterebbe l’aggravarsi delle lesioni
dell’equilibrio urbanistico e del territorio, e non ha tenuto conto della giurisprudenza secondo cui «La realizzazione di un immobile ad uso residenziale in
contrasto con la destinazione alberghiera prevista dallo strumento urbanistico
non determina un aggravamento del carico urbanistico sulle infrastrutture preesistenti idoneo a legittimare l’adozione di un provvedimento di sequestro preventivo, salvo che si tratti di unità immobiliari ancora in vendita, sussistendo in
tale ultimo caso il pericolo che il reato venga portato ad ulteriori conseguenze.
(Nella specie gli immobili, assentiti per uso residenziale turistico – alberghiero,
erano stati venduti come seconde case)» (Sez. III, 29.9.2009, n. 42178, Spini,
m. 245171). Nella specie, appunto, il tribunale del riesame avrebbe dovuto motivare sul pericolo, attuale e concreto, di aggravamento del reato di lottizzazione
abusiva e non di un reato (non contestato) di abuso edilizio.
Sotto il secondo profilo, l’ordinanza impugnata si limita ad osservazioni
generiche ed astratte, senza un approfondita valutazione del caso concreto, finendo così (come altre coeve ordinanze dello stesso tribunale nell’ambito della
stessa vicenda) per seguire, di fatto, un principio secondo cui il terzo acquirente
non potrebbe mai e in nessun caso considerarsi terzo di buona fede, con sostanziale elusione dei principi e delle norme della CEDU, secondo l’interpretazione
datane dalla Corte di Strasburgo (norme che nel nostro ordinamento devono
considerarsi di rango superiore a quelle ordinarie, rispetto alle quali costituiscono parametro di legittimità, con conseguente obbligo del giudice di fornire
di quest’ultime una interpretazione adeguatrice), nonché dei principi più volte
affermati da questa Corte.
Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte ha invero affermato che: «In
tema di reati edilizi, la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere
abusivamente costruite, attesa la natura sanzionatoria, non può essere disposta
nei confronti di soggetti estranei alla commissione del reato che siano possessori di buona fede, non essendo ammissibili criteri di responsabilità oggettiva
neppure con riferimento alle sanzioni amministrative. (In motivazione la Corte,
nell’annullare con rinvio l’ordinanza di rigetto dell’istanza di revoca del sequestro preventivo di un manufatto abusivo, ha sottolineato la necessità di tener
conto in sede di rinvio anche della sentenza C.e.d.u. del 20 gennaio 2009 nel
caso Sud Fondi s.r.l. c/ Italia)» (Sez. III, 12.12.2008, n. 12118 del 2009, Scalici, m. 243395); «Il terzo acquirente di un immobile abusivamente lottizzato, pur
partecipando materialmente con il proprio atto di acquisto al reato di lottizzazione abusiva, può subirne la confisca solo nel caso in cui sia ravvisabile una
condotta quantomeno colposa in ordine al carattere abusivo della lottizzazione
negoziale e/o materiale» (Sez. III, 29.9.2009, n. 42178, Spini, m. 245170); «In
tema di reati edilizi ed urbanistici, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di un immobile abusivamente lottizzato può essere adottato anche nei confronti del terzo acquirente, qualora egli non abbia assunto, deliberatamente o
per trascuratezza, tutte le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo
abilitativo, nonché sulla compatibilità dell’immobile con gli strumenti urbani-

it

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StiCi» (Sez. VI, 23.11.2010, n. 45492, Murolo, m. 249215); «In tema di lottizzazione abusiva, la confisca può essere applicata anche al di fuori dei casi di
condanna, a condizione che nella condotta del terzo acquirente, sul cui patrimonio la misura viene ad incidere, siano riscontrabili quantomeno profili di
colpa. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta la buona fede dell’acquirente
desunta dall’avvenuta allegazione al rogito del certificato di destinazione urbanistica, oltre che per il fatto che lo stesso aveva riposto legittimo affidamento
sulla prassi comunale di rilasciare le concessioni pur in assenza del piano di
lottizzazione)» (Sez. III, 18.10.2012, n. 45833, Comune di Palermo, m.
253853); «In tema di reati edilizi, la confisca di un immobile abusivamente lottizzato può essere disposta anche nei confronti del terzo acquirente, qualora
nei suoi confronti siano riscontrabili quantomeno profili di colpa per non aver
assunto le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e
sulla compatibilità dell’intervento con gli strumenti urbanistici. (Fattispecie
nella quale la buona fede dell’acquirente è stata desunta dal prolungato comportamento omissivo della P.A., dall’esistenza di una prassi favorevole attestata dal notaio rogante e dall’assoluzione per carenza dell’elemento soggettivo
dei venditori degli immobili)» (Sez. III, 6.3.2013, n. 15987, Parisi, m. 255416).
Dinanzi al tribunale del riesame, la ricorrente aveva specificamente eccepito che la sua buona fede emergeva da una serie di elementi, quali: il fatto che
aveva acquistato la singola unità abitativa da una società conosciuta nella realtà
imprenditoriale locale; il fatto che la stipula di acquisto era avvenuta a mezzo di
un notaio, particolarmente qualificato nella valutazione della legalità
dell’acquisto; che la regolarità dell’immobile era emersa anche dagli accertamenti effettuati dall’istituto bancario per erogare il mutuo; il rilascio di permesso di costruire regolare almeno da un punto di vista formale e di una successiva
sanatoria; il prezzo assolutamente compatibile con i valori di mercato; il fatto
che l’acquisto degli immobili da parte di una società immobiliare aveva interessato una molteplicità di soggetti, la gran parte dei quali aveva fatto ricorso al
mutuo bancario, con i conseguenti accertamenti sulla regolarità dell’operazione.
Aveva altresì evidenziato che nel caso in esame il Pubblico Ministero, per dubitare della legittimità degli atti e dei titoli abilitativi aveva dovuto di affidare un
incarico ad un tecnico del settore di elevatissimo livello, docente di diritto Urbanistico presso la facoltà di Architettura dell’Università di Napoli, il quale ha
poi impiegato un anno per esaminare gli atti e formulare le proprie conclusioni;
sicché non si poteva logicamente pretendere che il semplice cittadino acquirente
potesse avere dubbi sulla legittimità che gli veniva garantita, per lo più in una
situazione ingarbugliatissima di sovrapposizione e successione di permessi di
costruire, varianti e SCIA, progetti, P.R.G., delibere modificative dello stesso.
Il tribunale del riesame ha omesso di esaminare questi specifici rilievi dedotti dall’attuale ricorrente, e si è limitato a richiamare una serie di elementi da
cui ha desunto la macroscopica illegittimità dei titoli abilitativi concessi e la
mancanza di buona fede dell’acquirente (che peraltro non è nemmeno inquisita), senza però spiegare in concreto perché la ritenuta illegittimità dei provvedimenti amministrativi in questione sarebbe stata immediatamente percepibil
dalla ricorrente.

La motivazione — anche in riferimento alla macroscopicità della illegittimità degli atti abilitativi – si svolge su un piano di astrattezza e genericità e sul fatto storico «in generale», senza alcuna indagine o valutazione circa
l’atteggiamento concreto assunto dalla singola acquirente rispetto alla condotta,
ritenuta costituente reato, attribuita al venditore.
Non è stato risposto specificamente all’eccezione della ricorrente secondo
cui, invece, nella specie la eventuale illegittimità dei titoli abilitativi e la sussistenza del fumus di una lottizzazione abusiva erano di difficilissima conoscibilità, come sarebbe dimostrato dal fatto che l’ufficio del pubblico ministero, per
giungere alla formulazione di una mera ipotesi di reato, ha dovuto far ricorso ad
indagini di polizia giudiziaria e ad un docente universitario di diritto urbanistico, il quale ha impiegato un anno per esaminare gli atti e giungere alle sue conclusioni; e comunque non è stato indicato, a fronte di questa circostanza, quali
ulteriori informazioni e quali concreti accertamenti avrebbe dovuto svolgere
l’acquirente Vitale Maria, ossia quale concreto comportamento avrebbe dovuto
tenere, per andare esente da colpa e comunque da conseguenze penali.
Alle considerazioni dianzi svolte ed alla giurisprudenza di questa Corte richiamata, occorre aggiungere che il giudice dovrà ora anche tenere conto della
nel frattempo intervenuta sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del
29.10.2013, Varvara c. Italia (Ricorso n. 17475/09), la quale ha ribadito che la
confisca per il reato di lottizzazione abusiva ha natura di sanzione penale e non
può essere applicata senza una condanna.
L’ordinanza impugnata deve dunque essere annullata per mancanza di
concreta ed adeguata motivazione sul periculum in mora, con rinvio al tribunale
di Santa Maria Capua Vetere per nuovo esame.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, 1′ 11
marzo 2014.

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