Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19598 del 04/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19598 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
Cotugno Giuseppe, nato il 19 novembre 1955
avverso l’ordinanza del Tribunale di Messina del 10 ottobre 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

Data Udienza: 04/02/2014

RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 10 ottobre 2013, il Tribunale di Messina ha rigettato
l’appello proposto dal prevenuto avverso l’ordinanza del Gip dello stesso Tribunale del
15 settembre 2012, con la quale era stata rigettata l’istanza di sostituzione della
misura della custodia cautelare in carcere – disposta in relazione ai reati di cui agli
artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 – con quella degli arresti domiciliari.
2. – Avverso l’ordinanza il prevenuto ha proposto, tramite il difensore, ricorso

esigenze cautelari e ai connessi profili di adeguatezza, di cui agli artt. 274, 275,
comma 3, 292, comma 3, cod. proc. pen.
Rileva la difesa che il provvedimento cautelare si riferisce a un arco temporale
ristretto, tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, oltre che lontano nel tempo, e che il
Tribunale non avrebbe fornito un’adeguata motivazione circa tale specifico profilo. Né
sufficiente a tal fine sarebbe il passaggio argomentativo in cui il Tribunale fa
riferimento al fatto che, durante il regime degli arresti domiciliari, il prevenuto aveva
continuato a delinquere, mantenendo i contatti con i fornitori palermitani di
stupefacenti, perché anche tali episodi risalgono a più di cinque anni fa. Si sarebbe
operato, inoltre, un richiamo all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui
opera una presunzione assoluta di inadeguatezza di misure meno afflittive della
custodia cautelare in carcere, senza considerare che la Corte costituzionale ha ritenuto
incostituzionale tale presunzione con riferimento a diverse fattispecie di reato, anche
se non con riferimento a quella di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
Quanto all’attualità delle esigenze cautelari, a fronte di generici rilievi difensivi
circa la lontananza nel tempo dei reati contestati e dei contatti mantenuti con
ambienti criminali anche durante il periodo degli arresti domiciliari, la Corte d’appello
ha fornito una motivazione pienamente logica e coerente – e, dunque, insindacabile in
sede di legittimità – laddove specificato che: a) non vi è stato alcun affievolimento
delle esigenze cautelari e il fatto che il Tribunale di sorveglianza abbia dato una
valutazione positiva della partecipazione del prevenuto al progetto di reinserimento e
rieducazione intrapreso con la misura alternativa concessa è dovuto semplicemente
alla circostanza che lo stesso Tribunale non era conoscenza degli esiti del presente
procedimento, con particolare riferimento alla sua fase di merito; b) l’entità della pena
riportata in sede di giudizio abbreviato, di ben anni 8 e mesi 4 di reclusione, la

per cassazione, rilevando la manifesta illogicità della motivazione in relazione alle

contestazione della fattispecie associativa, la pluralità e la gravità dei delitti, riferiti a
considerevoli quantitativi di stupefacente, sono elementi che denotano una spiccata
professionalità e un pieno coinvolgimento nell’ambiente criminale del narcotraffico; c)
la particolare spregiudicatezza del soggetto emerge dalle modalità dei trasporti dello
stupefacente e dai suoi quantitativi; d) il prevenuto ha mantenuto i contatti con i
fornitori palermitani anche durante gli arresti domiciliari, perché assicurava loro
l’adempimento di debiti contratti dal figlio per pregresse forniture di droga.

della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., in
relazione all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, deve rilevarsi – a prescindere dalla
genericità della prospettazione difensiva della relativa questione di legittimità
costituzionale – che la stessa non viene in rilievo nel caso di specie. La Corte d’appello
non ha, infatti, fatto ricorso a tale presunzione, perché ha fornito – come sopra
ricordato – un’ampia motivazione circa l’inadeguatezza in concreto della misura degli
arresti domiciliari a realizzare le esigenze cautelari.
4. – Il ricorso deve essere dunque dichiarato inammissibile. Tenuto conto della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2014.

Quanto alla presunzione assoluta di inadeguatezza di misure meno afflittive

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