Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19593 del 11/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19593 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Gozzani Renato, nato a Massa il 6.12.1943, e da
Basteri Lina, nata a Massa il 27.2.1946;
avverso la sentenza emessa il 23 gennaio 2013 dalla corte d’appello di Genova;
udita nella pubblica udienza dell’Il marzo 2014 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore Giulio Enzo Frediani;
Svolgimento de/processo
Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Genova confermò la sentenza emessa 1’8.3.2011 dal tribunale di Massa, che aveva dichiarato Basteri Lina e Gozzani Renato colpevoli dei reati loro ascritti ai capi A), B) e C), limitatamente al punto 5) e li condannò alla pena di mesi due di arresto ed €
15.000,00 di ammenda ciascuno, con l’ordine di demolizione del manufatto abusivo di cui al suddetto punto 5), con la sospensione condizionale della pena subordinata alla detta demolizione, mentre dichiarò estinti per intervenuta prescrizione i reati ascritto ai capi A), B), e C) limitatamente ai fatti di cui ai punti 6, 7,
8.
Agli imputati erano stati contestati in particolare i reati di cui:
A) all’art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, perché la Basteri quale
proprietaria e il Gozzani quale esecutore avevano realizzato, senza permesso di
costruire, le seguenti opere:
5) un manufatto in muratura portante su fondazione in calcestruzzo, fuori
terra per m. 0,65 e copertura a capanna con solaio in laterocemento, dimensioni

Data Udienza: 11/03/2014

massime di ml 10,85 x 4,70 ed altezza dal piano di campagna ml 3,60;
6) una tettoia;
7) un manufatto in appoggio della abitazione principale:
8) una tettoia al piano terra con copertura in vetro;
B) agli artt. 64 e 71 d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380;
C) agli artt. 65, 72 d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Gli imputati, a mezzo dell’avv. Giulio Enzo Frediani e dell’avv. Elisabetta
Galeazzi, propongono ricorso per cassazione deducendo:
1) circa il capo A) della imputazione:
I) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 3 c. 1 lett. e), 31 e 44 c.
1 lett. b) DPR 380/2001. Osservano che la corte d’appello ha escluso che il fabbricato de quo costituisca pertinenza e lo ha, invece, qualificato come nuova costruzione e, come tale, soggetto a permesso a costruire, in violazione delle disposizioni dianzi citate. Ora, l’art. 3, comma 1, lett. e.6), stabilisce che sono da
considerare interventi di nuova costruzione (e come tali soggetti a permesso a
costruire) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico
delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% di quello dell’edificio
principale. Ne consegue che è invece esclusa dal regime di nuova costruzione e
rientra quindi nella disciplina delle pertinenze edilizie, la realizzazione di quei
manufatti (come quello de quo) che non siano ricompresi in detta fattispecie.
Nella specie poi non sussistono norme tecniche comunali ed è stato rispettato il
limite di cubatura. Si tratta quindi di una pertinenza, perché il manufatto è di
dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui inerisce; è preordinato ad
un’esigenza necessaria dell’edificio principale; è funzionalmente ed oggettivamente inserito nello stesso, ed è accessorio del medesimo. Non esiste il criterio
assunto dai giudici del merito per escludere la pertinenzialità, della asserita inutilizzabilità della costruzione come garage, come se il vincolo di accessorietà
fosse limitato a questa unica fattispecie. Nella specie il manufatto aveva funzione di autorimessa (essendo provato il suo utilizzo ad uso ricovero piccoli mezzi
quali furgoncini, moto e simili) ed aveva comunque natura pertinenziale per
l’uso a ricovero di attrezzi, articoli ed arredi da giardino.
II) mancanza e/o comunque manifesta contraddittorietà ed illogicità della
motivazione – travisamento della prova, nonché violazione degli artt. 533 comma I e 530 comma I c.p.p. Lamenta che i giudici hanno ritenuto inattendibile la
destinazione del manufatto ad autorimessa, senza però indicare le ragioni di fatto poste a base di questa conclusione. La sentenza ha inoltre omesso di motivare
sulle articolate doglianze proposte contro la sentenza di primo grado, relativamente alla natura pertinenziale del fabbricato. Costituisce poi travisamento delle risultanze istruttorie l’affermazione che i ricorrenti non avrebbero indicato altra destinazione alternativa ad uso pertinenziale. Manca anche la motivazione
sul motivo di gravame volto ad escludere la colpevolezza degli imputati stante
l’evidente errore di diritto su fonte extrapenale che ricade sul fatto ex comma 3
art 47 c.p., non sussistendo negli imputati la convinzione di integrare la fattispecie incriminatrice. E’ evidente l’assenza del nesso psichico-doloso, trattan-

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dosi di errore perfettamente scusabile, stante la ragionevole convinzione di avere ottenuto il titolo abilitativo col rilascio della autorizzazione paesaggistica per
un manufatto pertinenziale.
2) circa il capo B) della imputazione:
I) illogicità della motivazione – travisamento della prova e/o inosservanza
e/o erronea applicazione della legge penale e segnatamente degli artt. 53, 54,
55, 64 commi 2,3,4 e 71 comma 1 DPR n. 380/2001. La Corte di appello ha ritenuto che la realizzazione delle fondazioni in cemento armato imponga l’obbligo della presentazione di un progetto da parte di tecnico abilitato con denunzia
inizio lavori, non potendosi escludere la sussistenza di tali obblighi ove la realizzazione di conglomerato in c.a. investa solo parte dell’opera. Sennonché l’art.
53 d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, presuppone che l’opera debba risultare dal
concorso di una pluralità di strutture in cemento armato, il che nella specie non
si verifica trattandosi di un manufatto con struttura portante in muratura, come
dichiarato dal teste del PM dell’ufficio del Genio civile. Vi è stata inoltre mancanza di risposta alle eccezioni della difesa. L’opera è quindi disciplinata dagli
artt. 51, comma 1, lett. c), comma 2, lett. a), e 55 del d.p.R. 6 giugno 2001, n.
380, e non dal contestato art. 64, che non può estendersi a fattispecie diverse.
Non trova quindi applicazione il contestato art. 71, comma 1, che contempla e
sanziona le opere previste e disciplinate dal solo art. 64, c 2, 3 e 4.
In ogni caso il reato è ascrivibile solo ai soggetti tassativamente elencati
nella disposizione e per “committente” si intende solo chi affida ad altri con idoneo contratto l’incarico di realizzare una delle opere di cui all’art. 53 TU. La
sanzione non può essere quindi applicata alla Basteri, che è la mera proprietaria
del bene.
3) circa il capo C) della imputazione:
I) inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale e segnatamente
degli artt. 65 e 72 DPR n. 380/2001. Osserva che quanto dianzi esposto vale anche in relazione agli obblighi correlati all’art. 65 d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380.
La sentenza impugnata va quindi annullata in ordine al reato di cui all’art. 72
d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, perché il fatto non sussiste. Comunque, eventualmente l’obbligo di denunciare le opere in conglomerato cementizio armato incombe solo sul costruttore, con la conseguenza che solo a carico di questi è configurabile il corrispondente reato.
4) sul capo della sentenza in cui il giudice addebita la realizzazione
dell’opera ad entrambi i coniugi, in particolare anche a Basteri Lina:
I) inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale e segnatamente
dell’art. 110 cp, 29 e 44 e. 1 lett. b) DPR 380/2001; nonché violazione degli artt.
533 comma I e 530 comma I, cod. proc. pen.;
II) mancanza e/o comunque manifesta contraddittorietà ed illogicità della
motivazione – travisamento della prova. Osserva che la sentenza impugnata ha
ritenuto la penale responsabilità di Basteri Lina in ordine a tutti i capi di imputazione, con mero richiamo alla sentenza di primo grado. La motivazione è
quindi inesistente perché si risolve in formule stereotipe e non risulta integrata
con la risposta ai rilievi critici formulati nell’atto di appello. Il giudice non ha
dato riscontro di aver valutato e (poi) disatteso i motivi di gravame, usando e-

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spressioni generiche, senza argomentare sull’inconsistenza o sulla non pertinenzialità di detti motivi e/o sulla loro mancanza di novità, meramente enunciata. E’ così venuta meno la stessa funzione del giudizio d’appello, costituito dalla
revisione critica della precedente pronuncia alla stregua degli argomenti svolti
dall’appellante e quindi la garanzia del doppio grado di giurisdizione. Invero,
secondo la costante giurisprudenza di questa Corte: 1) non può attribuirsi ad un
soggetto, per il solo fatto di essere il proprietario di un immobile, un dovere di
controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione
abusiva; 2) la semplice e sola comproprietà del terreno su cui è stato edificato il
manufatto non è criterio sufficiente neppure quando il soggetto sia a conoscenza
che altri eseguano opere abusive; 3) il giudicante deve valutare la situazione
concreta, tenendo conto non solo della mera disponibilità del bene, ma altresì
dare una particolare attenzione e riscontro ai rapporti tra le parti, anche di fiducia, cioè di tutti quei comportamenti e situazioni, positivi e negativi, da cui sia
possibile trarsi elementi innegabili di colpa e prove circa la partecipazione anche morale all’opera. Nella specie il giudice ha invece fondato il convincimento
di colpevolezza esclusivamente su una ritenuta massima di esperienza, per cui
non sarebbe sostenibile che un componente del nucleo familiare non sappia che
l’altro costruisca una casa abusiva, e sulla apodittica circostanza che costituisca
altro chiaro indice di concorso nel reato l’aver ella sottoscritto, quale formale intestataria del terreno, la DIA e la richiesta di autorizzazione paesaggistica.
5) sulla quantificazione della pena: mancanza e/o comunque manifesta
contraddittorietà ed illogicità della motivazione; violazione degli artt. 81 e 133
cp. Lamentano che la motivazione sul punto è meramente stereotipa e non risponde alle censure rivolte con l’atto di appello, col quale si era evidenziata la
sostanziale mancanza di offensività della condotta sull’assetto del territorio proprio in riferimento alle ridotte dimensioni e natura (pertinenziale) del manufatto,
qualificato dal giudice di primo grado come una sorta di dependance. Manca la
motivazione anche sui criteri di calcolo della pena ex art. 81 cod. pen.
6) sull’ordine di demolizione: mancanza e/o comunque manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione. Osservano che l’opera in questione
non rientra nel novero di quelle soggette a permesso a costruire e quindi non ne
poteva essere ordinata la demolizione.
7) quanto alla concessione dei benefici di legge col vincolo di subordinazione alla previa demolizione: violazione dell’art. 165 cod. pen. e mancanza o
manifesta illogicità della motivazione. Lamenta che sul punto in sostanza manca
la motivazione e che la stessa è comunque manifestamente illogica perché non
esiste un obbligo di legge in tal senso, non essendo obbligatoria la detta subordinazione. Si tratta invero di una facoltà del giudice, che deve dar ragione dei
criteri su cui ha fondato la propria determinazione, anche alle luce delle censure
avanzate dalla difesa.
Motivi della decisione
Per quanto concerne il capo A), il ricorso è chiaramente infondato, perché i
giudici del merito non sono incorsi in alcun errore di diritto in ordine alla qualificazione del manufatto in questione come nuova opera, bisognevole di permesso di costruire ed hanno fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sul-

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le ragioni per le quali, con un apprezzamento di fatto non censurabile in questa
sede, hanno escluso che lo stesso avesse in concreto i caratteri oggettivi di una
pertinenza.
In particolare, la sentenza di primo grado ha messo in rilievo: che si trattava di un manufatto in cemento delle dimensioni di metri 10,85 x 4,70 x 3,60 di
altezza, con fondazione di cemento armato; che per tale manufatto era stata presentata una DIA per la realizzazione di una autorimessa; che tuttavia lo stesso
aveva porte di accesso di dimensioni tali che non avrebbero potuto consentire
l’ingresso di una autovettura; che del resto il comune aveva invitato la Basteri
ad integrare la pratica con la produzione di altri documenti, che non erano stati
presentati, ma i lavori erano continuati; che quindi doveva escludersi che si trattasse di pertinenza non essendo emersa dall’istruttoria l’esistenza di un vincolo
di pertinenzialità che fosse “immediato e riconoscibile”. Ha anche accertato:
che il fabbricato aveva 2 porte e 4 finestre; che l’ingresso era su di uno scalino
molto alto privo di uno scivolo stabile; e che le porte erano di larghezza ridotta.
Da tutto ciò il giudice ha ragionevolmente dedotto che si volesse realizzare un
nuovo volume in ampliamento al preesistente edificio, come una sorta di dependance dello stesso, anche perché nello stesso giardino vi era già una tettoia. Insomma, in base alle caratteristiche ed alle dimensioni dell’opera il giudice ha
plausibilmente ritenuto che non si era in presenza di una pertinenza ma di una
nuova opera che alterava in maniera rilevante l’assetto del territorio, creando un
nuovo volume ed una nuova superficie, sicché per la sua realizzazione occorreva il previo rilascio del permesso di costruire.
Può del resto anche osservarsi che né con l’appello né con il ricorso per
cassazione gli imputati hanno dedotto una plausibile destinazione – oggettiva (e
non solo soggettiva) – del manufatto stesso a pertinenza di quello principale.
Il giudice ha anche, con congrua ed adeguata motivazione, ritenuto sussistente l’elemento psicologico, avendo gli imputati colpevolmente costruito il
manufatto in assenza del permesso previsto dalla legge e quindi in violazione
delle norme di edilizia ed urbanistica e non risultando dedotta, né provata un’ignoranza inevitabile della legge penale. D’altra parte, anche il nulla osta paesistico-ambientale, rilasciato con determinazione n. 4957 del 26/11/08, non poteva indurre la Basteri a credere in buona fede che il manufatto fosse stato autorizzato.
E’ infondato anche il motivo relativo al capo B), avendo il giudice di primo grado evidenziato che gli adempimenti di cui agli artt. 64 e 65 d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, erano obbligatori trattandosi di opera in conglomerato cementizio armato, perché, in particolare, erano in cemento armato le fondazioni, vale
a dire degli elementi strutturali che avevano una essenziale funzione statica rispetto al fabbricato. Il giudice, del resto, si è uniformato alla giurisprudenza di
questa Corte, che sul punto ha affermato che «In tema della violazione della
normativa sul conglomerato cementizio armato, le norme della legge 5 novembre 1971, n. 1086, poste a tutela della pubblica incolumità, per espressa previsione normativa (art. 1) si applicano alle opere comunque caratterizzate dalla
presenza di strutture in cemento armato che assolvano una funzione statica nel
complesso edificato, come può evincersi agevolmente anche dalle relative

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”norme tecniche” emanate dal Ministro dei lavori pubblici, la cui ultima formulazione è contenuta nel D.M 9 gennaio 1996. (Nella specie, relativa a rigetto
di ricorso, la S. C. ha osservato che uno dei muri di sostegno risulta edificato
appunto su un cordolo di fondazione in cemento armato, la cui funzione statica
è palese)» (Sez. III, 2.10.1996, n. 9840, Elia, m. 206474).
Per questo motivo, correttamente sono stati ritenuti sussistenti i reati di cui
ai capi B) C). Giustamente anche l’imputata Basteri è stata dichiarata responsabile per il reato di cui all’art. 71 d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, dal momento
che questa disposizione riguarda «Chiunque commette, dirige e, in qualità di
costruttore, esegue le opere previste dal presente capo, o parti di esse, in violazione dell’art. 64, commi 2, 3 e 4», e cioè non solo il direttore dei lavori e il costruttore, ma anche il committente. Nella specie, appunto, la Basteri è stata dichiarata responsabile in quanto committente della opera abusiva (e non già solo
perché proprietaria).
E’ invece fondato il motivo relativo al reato di cui al capo C) nei confronti
della Basteri. Invero, l’art. 72 del 380 punisce «Il costruttore che omette o ritarda la denuncia prevista dall’art. 65»e non anche il committente, quale è la
Basteri. Ed invero: «Il reato di omessa denuncia delle opere in conglomerato
cementizio armato (artt. 65 e 72, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), in quanto reato
omissivo proprio, è configurabile in capo al costruttore, essendo imposto dalla
legge, in via esclusiva a carico di quest’ultimo, l’obbligo di denuncia. (Fattispecie nella quale è stata esclusa la responsabilità del committente dell’opera)
(Sez. III, 24.3.2010, n. 17539, Musso, m. 247168).
La sentenza impugnata deve quindi essere annullata senza rinvio nei confronti della Basteri in ordine al reato di cui al capo C) per non avere la stessa
commesso il fatto.
Il quarto motivo è infondato, avendo il giudice del merito (e in particolare
quello di primo grado) fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle
ragioni per le quali ha ritenuto che la Basteri avesse assunto la qualifica di
committente e quindi fosse responsabile, in concorso col marito (costruttore),
degli altri reati, come poteva ricavarsi dalla deposizione dei testi che avevano
dichiarato che anche la Basteri era interessata alla costruzione, dal fatto che
l’opera abusiva era stata realizzata dal coniuge Gozzani all’interno del giardino
che faceva parte della villa in cui abitava anche l’imputata: e soprattutto dal fatto che la DIA relativa e la richiesta di autorizzazione paesaggistica erano state
presentate proprio dalla Basteri. La circostanza che la motivazione della sentenza di appello sia effettivamente sommaria è irrilevante, perché con l’atto di appello non erano stati dedotti motivi che non siano stati comunque presi in considerazione dal giudice di appello o comunque idonei a contrastare le ragioni
della sentenza di primo grado sul punto.
Il quinto, il sesto ed il settimo motivo, infine, sono manifestamente infondati perché si risolvono in censure in punto di fatto della decisione impugnata,
con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali non consentita in questa sede di legittimità e perché il giudice del merito
ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sull’esercizio del proprio
potere discrezionale in ordine alla determinazione della pena.

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-7 E difatti, la pena è stata ritenuta equa e proporzionata alla gravità dei fatti e
conforme ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen.; l’ordine di demolizione è imposto dall’art. 31, comma 9, d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, trattandosi di opera che
necessitava del permesso di costruire; la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione è stata plausibilmente ritenuta come condizione per poter formulare una prognosi favorevole sul comportamento futuro
degli imputati.
In conclusione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di Basteri Lina limitatamente al reato di cui al capo C) (art. 72 d.p.R. 6
giugno 2001, n. 380) per non avere la medesima commesso il fatto. Questa Corte può eliminare direttamente la relativa pena fissata dal giudice del merito in
giorni 15 di arresto ed € 1.500 di ammenda. Nel resto il ricorso della Basteri va
rigettato.
Il ricorso di Gozzani Renato deve essere rigettato con conseguente condanna del medesimo al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Basteri Lina
limitatamente al reato di cui all’art. 72 del d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, per non
avere commesso il fatto ed elimina la relativa pena di giorni 15 di arresto ed €
1.500 di ammenda. Rigetta nel resto il ricorso dell’imputata Basteri.
rigetta il ricorso di Gozzani Renato, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, 1’11
marzo 2014.

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