Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19591 del 20/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19591 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Gonella Ferruccio, nato in Padova il 11/10/1948
avverso la sentenza del 20/03/2013 della Corte di appello di Trieste
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Aldo
Policastro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Bernardo Lovat che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 20/02/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Trieste ha confermato la
pronuncia resa dal Tribunale di Udine – sezione distaccata di Palmanova – che
aveva condannato Ferruccio Gonella alla pena di mesi tre di arresto per il reato
di cui all’art. 137, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 perché, nella qualità di
procuratore speciale e unico responsabile della società Friulana trattamenti s.r.I.,
non rispettava le prescrizioni della determina di autorizzazione allo scarico di

sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate
nella tabella 5 dell’allegato 5 alla parte III del d.lgs. n. 152 del 2006.

2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza, tramite il proprio difensore,
ricorre l’imputato affidando il gravame a quattro motivi e deducendo:
1) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 42 e 43 cod. pen. in
relazione all’art. 47 cod. pen. nonché mancanza di motivazione su un punto
decisivo del tema di prova in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod.
proc. pen.;
2) omessa pronuncia su un motivo di appello ed in particolare quanto alla
mancata concessione delle attenuanti generiche in relazione all’art. 606, comma
1, lett. b) e c) cod. proc. pen.;
3)

inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen.,

contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alle risultanze
istruttorie in ordine alla gravità del fatto in relazione all’art. 606, comma 1, lett.
e) cod. proc. pen.;
4 carenza di adeguata motivazione in ordine alla mancata concessione dei
benefici richiesti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Non controversa l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato, le
ragioni poste a fondamento del primo motivo di gravame non resistono al rilievo,
sottolineato nella sentenza impugnata, circa la natura contravvenzionale
dell’addebito, e dunque dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato
anche a titolo di colpa, laddove il numero e la natura delle prescrizioni violate
convalida quantomeno il giudizio di rimproverabilità mosso nei confronti del
ricorrente e fondato sia sulla negligenza che sulla violazione delle regole cautelari
in considerazione della potenzialità degli scarichi a produrre sostanze pericolose.
2

acque reflue industriali dell’impianto produttivo della predetta società contenenti

3. Quanto ai restanti motivi, essi possono essere congiuntamente esaminati
in quanto le doglianze sono tutte relative ai criteri utilizzati ex art. 133 cod. pen.
per la mancata concessione delle attenuanti generiche, per la determinazione
della pena e per il diniego dei benefici richiesti.
Osserva preliminarmente il Collegio come la concessione o meno delle
attenuanti generiche costituisca un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità
del giudice, sottratto al controllo di legittimità, e può ben essere motivato
implicitamente attraverso l’esame esplicito di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod.

ricorso alla motivazione implicita o per relationem o a formule sintetiche (Sez.
4, 23/04/2013 n. 23679, Viale e altri, Rv. 256201).
Quanto alla motivazione in ordine alla determinazione della pena base, essa
è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura
media edittale. Fuori di questo caso anche il richiamo alla gravità del reato o alla
capacità a delinquere dell’imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice
abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall’art. 133 cod.
pen. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in
ordine al “quantum” della pena (Sez. 5, 29/08/1991, n. 9141, Ormando, Rv.
188590).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha confermato la misura della pena,
applicata in primo grado, peraltro, nel minimo edittale (tre mesi di arresto)
tenuto conto del reato ritenuto in sentenza, ed ha specificato come gli addebiti
fossero da ritenersi decisamente gravi in quanto la violazione degli obblighi di
tempestiva comunicazione dei prelievi e dei risultati di essi, la mancata
effettuazione periodica delle analisi nella cadenza temporale prescritta, e con
riguardo ai parametri elencati, hanno di certo comportato una maggiore difficoltà
nel controllo dello scarico e quindi una maggiore probabilità di scarico di
sostanze inquinanti in modo incontrollato.
Tanto anche in considerazione della specifica attività svolta dal ricorrente
(lavorazione di profilati in alluminio) e dunque dell’astratta idoneità di essa a
produrre sostanze nocive soprattutto in termini di metalli pesanti con
conseguente inquinamento dell’ambiente, se non adeguatamente controllato lo
scarico.
Sono stati infine citati i numerosi precedenti penali riportati del ricorrente ed
i casi in cui, irrogata la pena detentiva, essa è stata sostituita con la
corrispondente pena pecuniaria ed è stato correttamente ritenuto, da un lato,
come la pluralità delle violazioni reiterate nel tempo deponesse per una prognosi
negativa circa l’astensione dalla futura commissione dei reati (ragione per la
quale non è stato concesso il beneficio, pur astrattamente concedibile, della
sospensione condizionale della pena) e come, dall’altro, le misure alternative alla

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pen. (Sez. 6, del 04/07/2003 n. 36382, Dell’Anna e altri, Rv. 227142) o con il

pena detentiva, già in passato concesse, non abbiano sortito alcun effetto

I

rieducativo (ragione per la quale la Corte di appello non ha proceduto a sostituire
nuovamente la pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria).

3. Ne deriva il rigetto del ricorso, cui segue la condanna al pagamento delle
spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 20/02/2014

P.Q.M.

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