Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19589 del 04/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19589 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
Amicone Ioime Emanuele, nato 1’11 febbraio 1988
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli del 20 maggio 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 04/02/2014

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 20 maggio 2013, la Corte d’appello di Napoli ha
confermato, quanto alla responsabilità penale, la sentenza del GUP del Tribunale di
Napoli del 9 novembre 2012, resa a seguito di giudizio abbreviato, con la quale
l’imputato era stato condannato, con la concessione delle circostanze attenuanti
generiche ritenute equivalenti alla contestata recidiva semplice, per il reato di cui agli
artt. 110 cod. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, perché, in concorso con un

tipo marijuana per un peso netto di g 38,61 e con un principio attivo di g 4,8,
suddivisa in 61 bustine di plastica trasparente.
La Corte d’appello ha ritenuto le già concesse circostanze attenuanti generiche
prevalenti sulla contestata recidiva e ha conseguentemente rideterminato la pena in
diminuzione.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, con il quale, con unico motivo di doglianza, lamenta il mancato
riconoscimento dell’ipotesi di minore gravità di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n.
309 del 1990, sul rilievo che non vi sarebbe tra l’imputato stesso e il presunto correo
alcuna organizzazione, neanche rudimentale, e che il presunto correo non fungeva da
collettore di acquirenti, né da sentinella. Si sarebbe dovuto, inoltre, considerare il
minimo quantitativo di marijuana detenuto, oltre allo stato di tossicodipendenza
dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile perché diretto ad ottenere da questa Corte una
rivalutazione della qualificazione giuridica della condotta, sulla base di considerazioni
di merito circa la mancanza di un vero e proprio coordinamento fra l’imputato e il
presunto correo e circa il modesto quantitativo di stupefacente detenuto. Una tale
rivalutazione è preclusa in questa sede. Deve, infatti, farsi richiamo alla consolidata
giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il controllo sulla motivazione demandato
al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione
normativa dell’art. 606, primo comma, lettera

e),

cod. proc. pen., al solo

accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento
a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa
lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma
scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei
fatti (ex plurimis, tra le pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 cod.
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soggetto ignoto, illecitamente deteneva a fine di spaccio, sostanza stupefacente del

proc. pen. dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46: sez. 6, 29 marzo 2006, n. 10951; sez.
6; 20 aprile 2006, n. 14054; sez. 3, 19 marzo 2009, n. 12110; sez. 1, 24 novembre
2010, n. 45578; sez. 3, 9 febbraio 2011, n. 8096).
Anche a prescindere da tali assorbenti considerazioni, deve in ogni caso rilevarsi
che la Corte d’appello ha fornito, sullo specifico punto oggetto di doglianza, una
motivazione che, oltre a porsi in totale continuità con quella del giudice di primo
grado, risulta pienamente adeguata e coerente, perché prende le mosse da dati

di mere indimostrate asserzioni, neanche con il ricorso per cassazione – quali: a) il
fatto che vi fosse una rudimentale organizzazione, con la predisposizione di un’attività
di controllo da parte di altro correo; b) il quantitativo non minimo di sostanza
stupefacente detenuto.
Così argomentando, la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione del
principio di diritto costantemente affermato la giurisprudenza di questa Corte – e non
contestato in quanto tale della difesa – secondo cui, la fattispecie di cui all’art 73,
comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 può essere riconosciuta solo nell’ipotesi di
minima offensività penale della condotta, deducibile sia del dato qualitativo e
quantitativo, sia degli altri parametri espressamente richiamati dalla disposizione
(mezzi, modalità, circostanze dell’azione); con la conseguenza che, ove uno di detti
indici risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di
incidenza sul giudizio (ex plurímis, sez. 4, 22 dicembre 2011, n. 6732/2012; sez. un.,
24 giugno 2010, n 35737).
4. – Il ricorso deve essere dunque dichiarato inammissibile. Tenuto conto della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2014.

correttamente ritenuti rilevanti – e sostanzialmente non contestati, se non sulla base

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