Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19585 del 04/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19585 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

Data Udienza: 04/02/2014

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
Putignano Giuseppe, nato il 9 luglio 1940
avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce del 27 marzo 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

i

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 27 marzo 2013, la Corte d’appello di Lecce ha confermato
la sentenza del Tribunale di Brindisi – sezione distaccata di Ostuni dell’Il novembre
2010, con la quale l’imputato era stato condannato, per il reato di cui all’art. 10

bis

del d.lgs. n. 74 del 2000, per non avere versato nel termine di legge, quale legale
rappresentante di una società e sostituto d’imposta, le ritenute alla fonte relative agli
emolumenti erogati nell’anno 2005 risultanti dalle dichiarazioni rilasciate ai sostituiti,

2.

– Con unico motivo di doglianza, la sentenza è stata impugnata

dall’imputato, tramite il difensore, sul rilievo che il controllo espletato dall’Agenzia
delle entrate avrebbe riguardato esclusivamente la dichiarazione modello 770
presentata dal sostituto d’imposta e non anche la certificazione rilasciata ai lavoratori
(CUD). Non vi sarebbe, del resto, prova in atti del rilascio di tale certificazione
annuale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile perché basato su un motivo manifestamente
infondato.
La Corte d’appello ha evidenziato che l’accertamento dell’Agenzia delle entrate è
stato condotto sulla base del modello 770 presentato dall’imputato, dal quale emerge
l’ammontare delle retribuzioni corrisposte e delle ritenute alla fonte su di esse operato
in qualità di sostituto d’imposta. Si tratta di una dichiarazione che, provenendo dallo
stesso datore di lavoro, ha natura ricognitiva del rapporto di lavoro, del trattamento
economico mensilmente corrisposto e delle ritenute su ciascuna delle retribuzioni
effettuate, con la conseguenza che essa può essere utilizzata, in assenza di prova
contraria, per dimostrare il materiale esborso delle retribuzioni e l’accantonamento
delle ritenute alla fonte. Come chiarito da questa Corte, in mancanza di elementi in
contrario, la prova dell’effettiva corresponsione delle retribuzioni può ricavarsi, oltre
che dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti cui fa riferimento l’art. 10 bis del d.lgs. n.
74 del 2000, anche da atti equipollenti, quale è, appunto, il modello 770, o sulla base
di prove documentali, testimoniali o indiziarie (ex multis, sez. 3, 12 giugno 2013, n.
33187; sez. 3, 15 novembre 2012, n. 1443).
Facendo applicazione di tali principi, correttamente la Corte d’appello ha
affermato, quanto al caso in esame, che, a fronte dell’inequivoco tenore del modello
770, non vi sono elementi di senso contrario, non avendo l’imputato neppure dedotto,
ancor prima che provato, alcun fatto o alcuna circostanza che fosse indicativa di una

per un ammontare complessivo di euro 146.961,82.

realtà effettiva (in punto di materiale pagamento delle retribuzioni e delle ritenute
d’acconto effettuate) contraria a quanto formalmente risultante dalla dichiarazione
inviata all’Agenzia delle entrate; e ciò a fronte della testimonianza del funzionario
accertatore, il quale ha riferito puntualmente la natura e i risultati delle indagini
svolte.
4. – Il ricorso deve essere dunque dichiarato inammissibile. Tenuto conto della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella

senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2014.

fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso

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