Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19575 del 03/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19575 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GUCCIARDI MICHELE N. IL 11/10/1953
avverso l’ordinanza n. 82/2009 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 04/03/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
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Data Udienza: 03/04/2013

Ritenuto in fatto

La Corte di Appello di Reggio Calabria, con
ordinanza resa all’udienza camerale del giorno
4.03.2011 rigettava l’istanza di riparazione
presentata da Gucciardi Michele per ingiusta
detenzione in regime di custodia in carcere dal
3/03/04 al 29/06/07 perché sospettato del reato
di associazione a delinquere di stampo mafioso e
dedita al traffico di sostanze stupefacenti e del
reato di cui agli articoli 73 e 80 d.PR.309/90,
reati da cui lo stesso era stato assolto per non
con sentenza del
aver commesso il fatto
in data 29.06.2007, passata
Tribunale di Locri
in giudicato.
La reiezione dell’istanza è motivata sulla base
della sussistenza della causa ostativa prevista
dall’art.314, comma 1, c.p.p. per avere lo stesso
richiedente concorso a dare causa alla misura con
colpa grave, desumibile in base alle
dichiarazioni del collaboratore Mario Miceli, il
quale però in dibattimento aveva preferito non
rispondere alle domande, e alle attività di
sostegno all’associazione, desumibili dalle
conversazioni intercettate, nelle quali ci si
riferiva all’istante come “il principale”.
Gucciardi Michele proponeva quindi ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza della Corte di
appello di Reggio Calabria e concludeva chiedendo
di volerla annullare con l’adozione dei
provvedimenti conseguenti, non sussistendo nessun
comportamento caratterizzato da colpa grave a lui
imputabile.
Con il ricorso Gucciardi Michele lamentava vizi
di motivazione dell’ordinanza consistenti: a)
nella carente ricostruzione e valutazione della
condotta del ricorrente,
ignorando i dati
desumibili
dalla decisione assolutoria; b)
nell’aver preso in esame le dichiarazioni
accusatorie del collaboratore Miceli, rese però
nel corso delle indagini e non confermate in
dibattimento, quindi inutilizzabili come prove;
c) nell’avere ritenuto certa l’individuazione
dell’istante come “il principale”.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato presentava tempestiva memoria e
concludeva chiedendo di dichiarare inammissibile
il ricorso ovvero di rigettarlo.
La difesa del ricorrente presentava tempestiva

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memoria di replica in cui ribadiva la richiesta
di annullamento dell’ordinanza impugnata.

Il ricorso è fondato.
Osserva la Corte
che il diritto a equa
riparazione per l’ingiusta detenzione,
regolato
dagli artt. 314 e ss. c.p.p., trova fondamento
nella condizione soggettiva della persona
sottoposta a detenzione immeritata e in tal senso
ingiusta. Il quadro sistematico di riferimento è
un quadro di diritto civile ma non è quello
dell’art. 2043 c.c. che appresta sanzioni contro
chi produce per dolo o colpa un danno ingiusto ad
altri. Il principio regolatore è piuttosto quello
della riparazione legata ad eventi che producono
il sorgere, quali conseguenze di principi di
solidarietà e di giustizia distributiva, di
responsabilità da atto lecito ( la distinzione
tra responsabilità per danno ingiusto ex art.
2043 c.c. e responsabilità per atto lecito è ben
chiarita da Cass. SS.UU. civ. 11/6/2003 n.
9341). E’ ben fermo, in materia, l’assetto delle
regole generalissime che disciplinano l’onere
della prova civile ex art. 2697 c.c.
posto che
il
procedimento relativo alla riparazione per
l’ingiusta detenzione, quantunque si riferisca
ad un rapporto obbligatorio di diritto
pubblico e comporti percio’ il rafforzamento
dei poteri officiosi del giudice, e’ tuttavia
ispirato ai principi del processo civile, con la
conseguenza che l’istante ha l’onere di
provare i fatti costitutivi
della domanda, la
custodia cautelare subita e la successiva
assoluzione ( Corte Cass. Sez. 4 sent. n. 23630
02/04/2004 – 20/05/2004 ).
Peraltro il sorgere del diritto è condizionato
alla esistenza di una condotta del richiedente
che al tempo del processo in nulla abbia dato
causa o concorso a dare causa a quella ingiusta
detenzione. L’operazione intesa a cogliere tali
condizioni deve scandagliare solo l’eventuale
efficienza causale delle condotte dell’imputato
che possano aver indotto, anche nel concorso
dell’altrui errore,
secondo una valutazione
ragionevole e non congetturale
il giudice a
stabilire la misura della detenzione
(Cass.
SSUU,
Sent. n.34559 del 26/06/02, Rv.222263;

Considerato in diritto

(91

PQM
Annulla l’impugnata ordinanza con rinvio alla
Corte di appello di Reggio Calabria.
Così deciso in Roma il 3.04.2013

Cass., Sez IV, Sent. N.2895 del 13/12/2005, Rv.
232884) .
Tanto premesso si osserva che la Corte di Appello
di Reggio Calabria non ha indicato gli elementi
della condotta imputabili a Gucciardi Michele che
avrebbero dato origine all’apparenza di illecito
penale, ponendosi come causa della detenzione.
In particolare l’odierno ricorrente non risulta
essere
uno
degli
interlocutori
delle
conversazioni telefoniche intercettate tra i
sodali di cui si fa cenno nell’ordinanza
impugnata,
che
facevano
riferimento
al
“principale”, persona che in sede di indagini
veniva identificato con l’odierno ricorrente.
Il coimputato Miceli Mario non ha confermato in
dibattimento le dichiarazioni accusatorie rese
nei confronti del Gucciardi, avendo ritenuto di
avvalersi della facoltà di non rispondere.
La sentenza assolutoria poi ha ritenuto che la
persona identificata con “il principale” non
poteva identificarsi con il Gucciardi.
L’ordinanza
impugnata
deve
quindi
essere
annullata con rinvio in quanto la Corte
territoriale dovrà precisare quali siano stati i
comportamenti riconducibili all’indagato che
abbiano indotto in errore il giudice circa
l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a
suo carico.
L’ordinanza
impugnata
deve
essere
quindi
annullata con rinvio alla Corte di appello di
Reggio Calabria.

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