Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19574 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19574 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ASSIRELLI DANIELO N. IL 15/06/1957
avverso la sentenza n. 274/2013 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
26/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha conc.to per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 21/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza del 31 ottobre 2012, la Corte di Appello di Bologna, in parziale riforma
della sentenza del Tribunale di Ravenna del 13 ottobre 2011 emessa nei confronti di ASSIRELLI
Danilo, imputato del reato di cui all’art. 2 della L. 638/83 (omesso versamento delle ritenute
previdenziali per i lavoratori dipendenti per un importo complessivo di C 64.753,00 – fatto
commesso dall’agosto 2005 al settembre 2007), assolveva l’ASSIRELLI dalle imputazioni

costituisce reato, riducendo conseguentemente l’originaria pena inflitta (pari a mesi quattro di
reclusione ed C 400,00 di multa) a mesi tre e giorni 24 di reclusione ed C 380,00 di multa e
confermando, nel resto, per le condotte residue.
1.2 La Corte territoriale disattendeva sia la tesi della assenza di prova in ordine
all’effettiva corresponsione delle retribuzioni, ricavandola – come aveva fatto il Tribunale – dai
mod. DM10 acquisiti in atti; disattendeva, altresì, la tesi della assenza di prova in ordine al
preventivo avviso di accertamento in quanto notificato regolarmente e rimasto ineseguito solo
per la sopravvenuta dichiarazione di fallimento dell’impresa individuale; conseguentemente
riteneva esente da responsabilità l’ASSIRELLI limitatamente alle condotte poste in essere nei
mesi di agosto e settembre 2007 per le quali il termine di pagamento sarebbe scaduto
successivamente alla dichiarazione di fallimento. La pena veniva pertanto ridotta
proporzionalmente in relazione allo statuito proscioglimento da quelle condotte.
1.3 Per l’annullamento della detta sentenza propone ricorso l’imputato a mezzo del
proprio difensore fiduciario, deducendo, con unico motivo, violazione di legge per manifesta
illogicità della motivazione. Lamenta, in particolare, la difesa che essendo pacifico (per
ammissione della stessa Corte territoriale) che l’avviso di accertamento delle violazioni era
stato notificato all’ASSIRELLI dopo la dichiarazione di fallimento a titolo personale, il giudice di
appello avrebbe dovuto estendere anche alle condotte antecedenti ai mesi di agosto e
settembre 2007 (per le quali è stata riconosciuta l’assenza di responsabilità) il proscioglimento
in quanto l’intervenuta dichiarazione di fallimento impediva in modo assoluto all’ASSIRELLI di
provvedere al pagamento anche per i versamenti precedenti non effettuati quando era in bonis
e di conseguire il beneficio della non punibilità. Da qui la dedotta manifesta illogicità e
contraddittorietà della motivazione per avere la Corte, da un canto, ritenuto esente
l’ASSIRELLI per le condotte successive alla dichiarazione di fallimento (agosto e settembre
2007) e, dall’altro, per avere mantenuto ferma la responsabilità pe le condotte antecedenti,
nonostante l’avviso di accertamento fosse stato notificato successivamente alla dichiarazione di
fallimento.

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relative alle condotte commesse nei mesi di agosto e settembre 2007 perché il fatto non

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene il Collegio, in relazione alle specifiche difese articolate dal ricorrente, di dover
precisare quanto segue.
2. In punto di fatto occorre premettere che l’ASSIRELLI, titolare di ditta individuale, risulta
avere omesso il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali riguardanti i propri
dipendenti per un esteso arco temporale compreso tra il mese di agosto 2005 e il mese di

2007 ed, in ultimo, che l’avviso di accertamento delle violazioni venne notificato da parte
dell’INPS soltanto in data 22 aprile 2009.
2.1 Dall’esame della sentenza di primo grado, richiamata in parte qua dalla sentenza della
Corte bolognese, emerge pacificamente che la prova materiale del reato collegata alla affettiva
retribuzione dei propri dipendenti è stata ricavata documentalmente attraverso i modd. DM10
che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, al di là del
loro contenuto formale, sono documenti forniti dallo stesso datore di lavoro, aventi una
particolare funzione ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro di guisa che la
loro compilazione e presentazione equivale all’attestazione all’ente di aver corrisposto le
retribuzioni in relazione alle quali non sono stati versati i contributi

(ex plurimis, Sez. 3^

10.4.2013 n. 37145, Deiana e altro, Rv. 256957; idem 4.3.2010 n. 14839, Nardiello, Rv.
246966; idem 7.10.2009 n. 46451, Carella, Rv. 2456107).
2.2 In aggiunta a tali brevi considerazioni si osserva che, mentre grava sulla pubblica
accusa l’onere di dimostrare il mancato versamento delle ritenute che può essere provato con
qualsiasi mezzo, è preciso onere dell’imputato dimostrare di non essere stato in grado di
corrispondere le retribuzioni (Sez. 3^ 14.10.2004 n. 46734, Verderosa, Rv. 230423); ed
ancora, che, in presenza delle denunce contributive, l’onere di dimostrare eventuali difformità
rispetto alla situazione in esse rappresentata, incombe sul soggetto che la deduce, sia che si
tratti dell’imputato che dell’organo dell’accusa (in termini Sez. 3^ 8.7.2005 n. 32848, Smedile,

settembre 2007. Risulta anche ex actis che l’ASSIRELLI è stato dichiarato fallito il 5 febbraio

Rv. 232393).
2.3 Nel caso in esame è certo che l’imputato non ha dimostrato, come ricordato dalla
Corte territoriale, l’impossibilità assoluta di adempiere, limitandosi ad indicare, quale causa
giustificativa, l’intervenuta dichiarazione di fallimento che avrebbe, di fatto, reso impossibile
per il fallito provvedere a pagamenti, pena il rischio di incorrere in una situazione di bancarotta
preferenziale. Peraltro non è superfluo rammentare che mentre l’imputato era in bonis egli
aveva ritenuto più corretto omettere il versamento delle ritenute, piuttosto che accantonare
dette somme per provvedere, anche in tempi successivi al versamento: il che ha consentito
allo stesso ASSIRELLI di conseguire profitti illeciti (costituiti dal ricavato degli omessi

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versamenti) ancorchè non più distinguibili nel proprio patrimonio, una volta dichiarato il
fallimento a titolo personale.
3.

Detto questo, occorre anche rilevare che – come costantemente ribadito dalla

giurisprudenza di questa Corte Suprema – l’avviso di accertamento delle violazioni costituisce
non già una condizione di procedibilità, ma una condizione di punibilità. Non a caso il comma 1
bis dell’art. 2 della L. 638/83 testualmente dispone che il datore di lavoro che abbia omesso il
versamento dei contributi, non è punibile se provvede al loro pagamento entro tre mesi dalla

una condizione di punibilità – e non di procedibilità – che in deroga alla regola di cui all’art. 158
c.p., comma 2 in materia di decorrenza della prescrizione di un reato la cui punibilità dipende
da una condizione, stabilisce la sospensione del decorso della prescrizione nel periodo dei tre
mesi di cui al comma 1 bis, anziché l’avvio di esso successivamente a tale periodo (comma 1
quater) (per tali concetti, v. S.U. 24.11.2011 n. 1855, Sodde, Rv. 251268; v. anche Sez. 3^
16.5.2007 n. 27258, Venditti, Rv. 237229; idem 25.9.2007 n. 38501, Falzoni, Rv. 237949).
4. Alla stregua di tali principi occorre ora approfondire la questione prospettata nel ricorso
circa i limiti scaturenti dalla dichiarazione di fallimento del datore di lavoro che si frappongono
al pagamento delle somme dovute all’Istituto previdenziale dopo che sia intervenuta la
dichiarazione di fallimento, ma riguardanti periodi in cui quel datore di lavoro non era ancora
stato dichiarato fallito.
4.1 Va ricordato, a tale proposito, che la giurisprudenza di questa Corte ha sempre escluso
che una situazione di difficoltà finanziaria, anche se grave, possa costituire esimente ai fini
della punibilità: ciò in dipendenza della particolare natura del reato in esame che, sotto
l’aspetto soggettivo, si caratterizza per una forma di dolo generico comportante la scelta
consapevole di omettere i versamenti dovuti. Da qui l’affermata irrilevanza, sempre sotto il
profilo dell’elemento soggettivo, della situazione di criticità attraversata dal datore di lavoro e
anche della circostanza che egli destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più
urgenti (Sez. 3^ 19.1.2011 n. 13100, Biglia, Rv. 249917; idem 21.6.2011 n. 29975, Libutti,
non massimata).
4.2 Ma si è anche affermato che persino la situazione di accertata successiva insolvenza
dell’imprenditore rende configurabile il reato, essendo preciso onere di quest’ultimo ripartire le
risorse esistenti al momento di corrispondere le retribuzioni ai lavoratori dipendenti in modo da
poter adempiere all’obbligo del versamento delle ritenute, anche se ciò possa riflettersi
sull’integrale pagamento delle retribuzioni medesime (Sez. 3^ 25.9.2007 n. 38269, Tafuro, Rv.
237827; idem 5.7.2001 n. 33945 Castellotti, Rv. 219989).
4.3 n datore di lavoro, in quanto debitore delle retribuzioni nei confronti dei propri
dipendenti, è, infatti, tenuto a detrarre dalle stesse l’importo delle ritenute assistenziali e
previdenziali che dovranno essere versate all’Erario quale sostituto del soggetto obbligato. Ed è

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contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione. Si tratta quindi di

proprio per effetto di questa doppia funzione del sostituto di adempiere, contemporaneamente,
a un obbligo proprio e a un obbligo altrui, che si ritiene che lo stesso sia vincolato al
pagamento delle ritenute al medesimo titolo per cui è vincolato al pagamento delle
retribuzioni.
4.4 La conclusione che ne deriva è l’irrilevanza – ai fini della non punibilità – dello stato di
insolvenza del sostituto, dovendo questi adempiere al proprio obbligo di corrispondere le
ritenute all’Inps, così come adempiere a quello di pagare le retribuzioni di cui le ritenute stesse

4.5 Oltretutto la giurisprudenza formatasi in tema di ritenute fiscali alla fonte (materia
sostanzialmente affine a quella in trattazione) ha sempre affermato che quando l’imprenditore,
in presenza di una situazione economica difficile, decida di dare la preferenza al pagamento
degli emolumenti ai dipendenti e di pretermettere il versamento delle ritenute, non può poi
addurre a propria discolpa l’assenza dell’elemento psicologico del reato, ricorrendo in ogni caso
il dolo generico (cfr. oltre alla giurisprudenza precedentemente citata, v. tra le tante, Sez. 3^,
5.5.1994 n. 7099, Serafini, Rv. 198155; idem 6.10.1993 n. 10579, P.M. in proc. Dini, Rv.
195872).
4.6 Così come si è ritenuto che anche il sopravvenuto fallimento dell’agente non sia
sufficiente a scriminare il precedente omesso versamento delle ritenute, essendo preciso
obbligo del sostituto quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle
retribuzioni in modo da poter adempiere il proprio obbligo, anche se ciò dovesse comportare
l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare (Sez. 3^ 18.6.1999 n. 11694
Tiriticco, Rv. 215518; idem 15.2.1996 n. 141 Profili, Rv. 203783).
4.7 Volendo, allora, trarre alcune prime conclusioni, può senz’altro affermarsi – con
riferimento alla fattispecie in esame – che come non scrimina, sotto l’aspetto soggettivo, la
situazione di grave crisi economica dell’imprenditore che, per propria consapevole scelta,
decida di corrispondere le retribuzioni, omettendo di versare le ritenute previdenziali, così non
scrimina la situazione del fallimento in relazione alla possibilità riconosciuta all’imprenditore
oculato di ripartire, mentre è ancora in bonis, le risorse esistenti all’atto della corresponsione
delle retribuzioni, privilegiando il versamento delle ritenute che costituisce un preciso obbligo
al pari della corresponsione delle retribuzioni.
4.8. Quale corollario di tali affermazioni può rilevarsi che l’impossibilità di adempiere
conseguente alla situazione di fallimento non può concettualmente definirsi assoluta, nel senso
che l’imprenditore fallito è tenuto a sollecitare il curatore frattanto nominato (o in alternativa, il
giudice cui può pure rivolgersi) ad adempiere con mezzi propri all’esclusivo fine di poter
beneficiare della condizione di non punibilità che altrimenti gli verrebbe preclusa. Senza dire
che in caso di imprenditore che non sia stato dichiarato fallito personalmente, ben può (ed anzi

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sono, del resto, parte.

deve) lo stesso attivarsi per provvedere al pagamento con risorse proprie, nell’ottica di una
successiva esenzione di responsabilità conseguente al precedente omesso versamento.
5. Alla stregua di tali considerazioni e passando all’esame della fattispecie sottoposta al
vaglio di questa Suprema Corte deve, anzitutto, escludersi che il momento consumativo del
reato in parola coincida con la scadenza dei tre mesi dalla contestazione del mancato
versamento (tesi sostenuta dalla difesa per dimostrare, alla luce della ricezione dell’avviso di
accertamento dopo l’intervenuta dichiarazione di fallimento, l’insussistenza del reato): con

omissivo istantaneo, il mancato versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali si
consuma nel momento in cui scade il termine utile concesso al datore di lavoro per il
versamento, termine attualmente fissato, ex art. 2, comma primo, lett. b) del D.Lgs. n. 422
del 1998, al giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi (oltre a
S.U. 1855/11, Sodde, cit. v. anche Sez. 3^ 16.4.2009 n. 20251, Casciaro, Rv. 243628; idem
14.12.2010 n. 615, Ciampi e altro, Rv. 249164).
5.1 Il mancato accantonamento delle somme o, quanto meno, la mancata ripartizione
delle risorse da parte dell’imprenditore in grave crisi economica in una situazione in cui non è
ancora stato dichiarato il fallimento, concreta una forma di responsabilità a suo carico.
5.2 Tuttavia non può contestarsi che il curatore, opportunamente e doverosamente
sollecitato dall’imprenditore fallito che voglia comunque evitare una responsabilità penale
conseguente all’omesso versamento, può provvedere nei termini previsti dall’art. 2 comma 1
bis della L. 638/83 a versare le somme dovute all’Istituto senza incorrere nel rischio della
bancarotta preferenziale, attingendo, se del caso, alle risorse personali dell’imprenditore
medesimo, così consentendo a quest’ultimo di beneficiare della causa di non punibilità prevista
dallo stesso art. 2 comma 1 bis prima parte.
5.3 Non può quindi definirsi manifestamente infondata la censura sollevata con il ricorso in
riferimento alle condotte pregresse comunque venute ad esistenza quando ancora il fallimento
non era stato dichiarato.
5.4 La non manifesta infondatezza del ricorso determina l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata limitatamente alle condotte commesse dall’agosto 2005 all’aprile 2006,
essendo maturato per esse il termine massimo prescrizionale pari ad anni sette e mesi sei ivi
compreso il periodo di sospensione della prescrizione come previsto dal comma 1 quater dello
stesso art. 2 della L. 638/83.
6. Va contestualmente disposto l’annullamento con rinvio ad altra Sezione della Corte di
Appello di Bologna per la determinazione della pena per le restanti condotte fino al mese di
luglio 2007. Nel resto il ricorso va rigettato.

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orientamento che può dirsi consolidato, è stato da tempo affermato che, in quanto reato

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle omissioni protrattesi fino al
mese di aprile 2006 perché estinti i reati per prescrizione e con rinvio ad altra Sezione della
Corte di Appello di Bologna per la determinazione della pena in ordine ai reati residui. Rigetta,
nel resto, il ricorso.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma il 21 novembre 2013

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