Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19569 del 07/04/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19569 Anno 2015
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: PALLA STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PORCELLI FLAVIO N. IL 18/07/1942
avverso la sentenza n. 2308/2009 CORTE APPELLO di BARI, del
07/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/04/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. STEFANO PALLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. g, ypas,u,
che ha concluso per ‘rt t t
o -J_.(Cent,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

ADo

Data Udienza: 07/04/2015

FATTO E DIRITTO

Porcelli Flavio ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza 7.6.13 della Corte di
appello di Bari che ha confermato quella in data 20.5.08 del Tribunale di Trani con la quale è stato
condannato, concesse attenuanti generiche prevalenti, alla pena — dichiarata interamente condonata

favore della curatela fallimentare, perché ritenuto colpevole dei reati di bancarotta fraudolenta
patrimoniale e documentale in relazione al fallimento, dichiarato il 31.3.04, della Pieffe Pellami
s.r.l. Import-Export, di cui il Porcelli era stato amministratore dalla data di costituzione della
società (21.10.98) fino al 16.9.02.
Deduce il ricorrente, con il primo motivo, violazione dell’art.606, comma 1, lette) c.p.p. per non
avere la Corte territoriale dimostrato , in particolare sostenendo che Palazzo Francesco era subentrato al Porcelli quale
amministratore di comodo, come tale nominato dall’imputato, sol perché aveva negato di essere mai
stato amministratore della `Pieffe Pellami’, disconoscendo tutte le firme apposte.
Al contrario — sostiene il ricorrente – , il Porcelli, presentando le proprie dimissioni formalmente il
30.7.02 aveva manifestato la sua volontà di cessare da qualsiasi attività gestoria della società, tanto
da cedere al Palazzo tutte le proprie quote, con atto pubblico registrato e pertanto le decisioni
successive non avevano avuto alcuna connessione con il Porcelli né di ciò vi era traccia nel
processo e quindi la Corte barese avrebbe dovuto spiegare come l’imputato avesse materialmente
distratto i beni societari ovvero li avesse ceduti al nuovo amministratore con il preventivo accordo
che quest’ultimo li avrebbe distratti.
Con il secondo motivo si assume essere manifestamente illogica la sentenza anche in punto di
affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, avendo i giudici
tenuto conto solo di mere supposizioni e del disconoscimento operato dal Palazzo delle firme
apposte sulle ricevute della documentazione contabile della società.

— di anni tre di reclusione, oltre le pene accessorie di legge, nonché al risarcimento dei danni in

Senonchè — prosegue sul punto il ricorrente — era evidentemente illogico sostenere ciò dopo aver
poco prima affermato che il Palazzo si era personalmente recato a ritirare la documentazione in
questione, consegnatagli direttamente dal professionista incaricato della sua tenuta, né era stato
provato il supposto accordo tra Palazzo e Porcelli che consentisse a quest’ultimo di distruggere lui
stesso le scritture contabili ovvero che tali scritture fossero prese dal Palazzo con il preventivo

fatti, la pena applicatagli da G.u.p. di Trani con sentenza 14.11.05, irrevocabile il 4.7.06.
Con il terzo motivo di deduce violazione di legge per essere stata attribuita dai giudici al Porcelli la
qualifica di amministratore di fatto sulla base di supposizioni che si fondavano su un accordo non
provato con il Palazzo, senza che fossero state tenute in considerazione né la cessione integrale
delle quote in favore del Palazzo né la presentazione delle dimissioni da parte del Porcelli, il quale
dopo le dimissioni mai aveva partecipato alla amministrazione della società, fallita peraltro due anni
dopo, né compiuto atti distrattivi o di occultamento e distruzione della documentazione contabile,
laddove infine la Corte di appello non aveva verificato attentamente la sussistenza della volontà
cosciente del Porcelli di determinare con la propria condotta quello stato di insolvenza della società
che inevitabilmente ne avrebbe determinato il fallimento.
Osserva la Corte che il ricorso non è fondato.
Rilevato come non vengano in contestazione, sotto l’aspetto oggettivo, le singole condotte
distrattive indicate nel capo d’imputazione, né si faccia questione alcuna sull’occultamento o
distruzione delle scritture contabili della fallita `Pieffe Pellami s.r.l.’, l’affermazione di
responsabilità del Porcelli per le condotte di bancarotta fraudolenta ascrittegli è stata
compiutamente argomentata dai giudici territoriali i quali, lungi dal far ricorso a mere supposizionfi,
come lamentato dal ricorrente, hanno basato il loro giudizio sulle granitiche risultanze probatorie
acquisite.
In particolare, sottolineato come sia rimasto provato per tabulas che Porcelli Flavio è stato formale
amministratore della fallita fino al 16.9.02, quando la società aveva già sede in Canosa di Puglia ed

accordo della loro distruzione, considerato anche che il Palazzo aveva patteggiato, per gli stessi

era stato nominato quale formale amministratore unico Palazzo Francesco (soggetto separatamente
giudicato e che ha definito la sua posizione con sentenza di applicazione pena ex artt.444 ss. c.p.p.),
i giudici di merito hanno evidenziato come il Palazzo (soggetto pregiudicato e sottoposto a
sorveglianza speciale, del tutto digiuno di qualunque competenza tecnica o professionale ) sia
risultato una mera ‘testa di paglia’, al quale era poi subentrato, dopo che il 21.5.03 la società aveva

Sulla base delle dichiarazioni rese dallo stesso Palazzo, sentito ai sensi dell’art.197-bis c.p.p., il
quale ha negato di aver mai concretamente gestito la fallita, disconoscendo anche le firme apposte
sulle ricevute della documentazione contabile della società, nonché quelle con le quali la `Pieffe
Pellami’ aveva comunicato a tutti i fornitori il trasferimento dell’azienda in Canosa di Puglia (alla
via D.Cotugno 26, in un’abitazione — hanno rimarcato i giudici — fatiscente dove non vi era traccia
di svolgimento di attività commerciali), non certo illogicamente i giudici pugliesi hanno ritenuto
che il Porcelli, anche dopo le formali dimissioni e la cessione delle quote (al prezzo infimo,
peraltro, di € 9.360,00, contrastante con le ritenute condizioni floride della società) ad un estraneo
quale il Palazzo, sia rimasto 1′ effettivo dominus della fallita, non avendo mai il nuovo
amministratore, dal momento in cui aveva assunto tale qualità, svolto alcuna attività di gestione.
Peraltro — hanno ancora sottolineato i giudici di secondo grado, senza che tali conclusioni siano
state concretamente contrastate dalla difesa dell’odierno ricorrente – , l’attività dissipatoria, in una
con la cessazione dell’attività commerciale, si è verificata, come è risultato dalla espletata
consulenza tecnica, proprio nell’ultimo periodo di amministrazione del Porcelli, durante il quale,
oltre a non residuare traccia della destinazione delle attività, nessuna traccia si è più avuta della
documentazione contabile che avrebbe consentito la ricostruzione del patrimonio societario, il tutto
all’evidenza finalizzato — hanno perspicuamente concluso i giudici territoriali – a recare pregiudizio
alle ragioni dei creditori, in tal modo realizzando gli estremi delle ipotesi di bancarotta contestate al
Porcelli.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

trasferito la propria sede a Trinitapoli, Chincoli Gerardo (coimputato condannato non ricorrente).

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Roma, 7 aprile 2015

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