Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19557 del 25/03/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19557 Anno 2014
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dai difensori di:
Mirabello Rosario, nato a Vibo Valentia, il 2/1/1953;

avverso l’ordinanza del 21/10/2013 del Tribunale di Vibo Valentia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Mario
Fraticelli, che ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;
udito per l’indagato l’avv. Salvatore Papa, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 25/03/2014

1.Con ordinanza del 21 ottobre 2013 il Tribunale di Vibo Valentia rigettava l’istanza di
riesame del decreto di sequestro preventivo del patrimonio e delle quote sociali di Blu
Mar & Charter s.r.I., Casa del Sole s.r.l. e Vielle Immobiliare s.r.l. e beni mobili ed
immobili ritenuti pertinenti al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale aggravata
commesso nella gestione della Costruzioni Santa Venere s.r.l. per il quale si procede,
tra l’altro, nei confronti di Mirabello Rosario .

quattro motivi.
2.1 Con il primo deduce l’insussistenza dei presupposti per l’adozione della misura
cautelare reale e correlati vizi motivazionali del provvedimento impugnato. In
particolare il ricorrente lamenta il difetto di qualsiasi evidenza della natura fittizia della
cessione di un immobile di pertinenza della fallita alla Casa del Sole, nonché il difetto
assoluto di motivazione sulla sussistenza del periculum in mora e comunque l’omessa
considerazione della solidità patrimoniale della citata Casa del Sole, nonché l’assenza
nella sua gestione di atti posti in essere in favore di altre società del gruppo.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente denuncia analoghi vizi in relazione alla
sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta contestato all’indagato.
2.3 Con il terzo motivo si lamenta invece la violazione dei principi di adeguatezza e
proporzionalità, da ritenersi operativi anche nella materia cautelare reale, mentre con
il quarto viene eccepita la violazione del contraddittorio in ragione dell’intempestiva
notifica al difensore dell’indagato dell’avviso di fissazione dell’udienza di riesame.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Pregiudiaizle risulta l’esame dell’eccezione processuale sollevata con il primo motivo,
che peraltro risulta inammissibile. Ed infatti non è dubbio che nel procedimento di
riesame l’inosservanza del termine di tre giorni liberi che devono intercorrere tra la
data di comunicazione o notificazione dell’avviso di udienza e quella dell’udienza stessa
è causa di nullità generale (a regime intermedio) dell’atto che, se tempestivamente
eccepita, ne impone la rinnovazione, non essendo sufficiente la concessione di un
ulteriore termine ad integrazione di quello originario (Sez. Un., n. 8881 del 30 gennaio
2002, Munerato Carlino, Rv. 220841). Nel caso di specie non risulta però che il
difensore abbia per l’appunto tempestivamente eccepito la dedotta nullità dinanzi al
Tribunale del riesame; nullità che pertanto deve ritenersi in ogni caso essersi sanata ai
sensi del primo comma dell’art. 184 c.p.p. Non di meno l’eccezione è anche
manifestamente infondata, atteso che entrambi i difensori dell’indagato hanno ricevuto

2. Avverso l’ordinanza ricorre il Mirabello per mezzo del proprio difensore articolando

tempestiva notifica via fax dell’avvenuta fissazione dell’udienza – peraltro poi rinviata
al successivo 21 ottobre per impedimento di un componente del collegio – in data 11
ottobre 2013.

2. Ciò premesso anche il primo motivo deve ritenersi inammissibile.
2.1 E’ certamente consentito ricorrere per cassazione contro ordinanze emesse in
materia di sequestro preventivo quando la motivazione del provvedimento impugnato

per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel
provvedimento impugnato (ex multis Sez. 6, n. 6589 del 10 gennaio 2013, Gabriele,
Rv. 254893).
2.2 Non è invece consentito aggirare i limiti posti dall’art. 325 c.p.p. alla ricorribilità
delle ordinanze in materia cautelare reale, ammessa dalla norma citata solo per
violazione di legge, qualificando come violazione dell’art. 125 comma 3 c.p.p.
qualsivoglia vizio motivazionale del provvedimento impugnato. Perché effettivamente
ricorra l’ipotesi di cui all’art. 606 lett. c) c.p.p. è invece necessario che l’apparato
giustificativo di quest’ultimo risulti o del tutto mancante o, quanto meno, privo dei
requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere
comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. un. n. 25932 del 29 maggio
2008, Ivanov, rv 239692; Sez. Un., n. 5876 del 28 gennaio 2004, P.C. Ferazzi in
proc.Bevilacqua, Rv. 226710).
2.3 Nel caso di specie il ricorrente, invocando apparentemente la violazione dell’art.
321 c.p.p. e dell’art. 104 disp. att. c.p.p. e il difetto assoluto di motivazione, censura
invero la mera incompletezza della motivazione dell’ordinanza del Tribunale, che
invece ha ampiamente indicato le ragioni per cui ha ritenuto sussistente sia il fumus
commissi delicti, che il periculum in mora. Le critiche, peraltro assai generiche, mosse
dal ricorrente si risolvono dunque e per l’appunto nell’inammissibile denuncia di vizi
motivazionali non prospettabili con il ricorso in materia cautelare reale. Quanto, infine,
alla eccepita effettività della cessione dell’immobile della fallita, la doglianza si rivela
ulteriormente inammissibile in quanto non correlata al reale contenuto della
motivazione dell’ordinanza, giacchè il Tribunale non ha sostenuto che tale cessione
fosse fittizia, bensì che la società venditrice non avrebbe mai ricevuto il pagamento del
relativo prezzo, spiegando in maniera logica ed esauriente le ragioni per cui non
appare verosimile che lo stesso sia avvenuto in contanti, mentre il fatto che lo
strumento di pagamento non dovesse essere denunciato nell’atto pubblico di vendita
non significa di per sé – come sostanzialmente pretenderebbe il ricorrente – che il
ricorso a tale forma di pagamento debba ritenersi credibile.

sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi

3. Ad identiche conclusioni deve pervenirsi con riguardo al secondo motivo, con il
quale, oltre alle consuete ed inammissibili censure alla motivazione del provvedimento
impugnato, si lamenta l’errata ricostruzione dell’elemento soggettivo del reato di
bancarotta. Doglíanza manifestamente infondata posto che quello di bancarotta
fraudolenta per distrazione è reato di pericolo (ex multis Sez. 5, n. 11633 del 8
febbraio 2012, Lombardi Stronati, Rv. 252307), nel senso che, essendo l’oggetto della
tutela identificabile nell’interesse dei creditori all’integrità dei mezzi di garanzia, l’art.

cagionamento di un danno al ceto creditorio – che non è elemento costitutivo della
fattispecie tipizzata e che invero rileva esclusivamente ai fini della configurabilità
dell’aggravante di cui al primo comma del successivo art. 219 – bensì anche il pericolo
conseguente alla mera possibilità che questo si verifichi. Pertanto, sul versante
dell’elemento soggettivo del reato, il dolo necessario per la configurabilità della
bancarotta patrimoniale è quello generico, integrato dalla volontà di distaccare il bene
oggetto di distrazione dal patrimonio della fallita nella previdibilità del pericolo che tale
operazione può determinare per gli interessi dei creditori. In altri termini è sufficiente
che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell’attività distrattiva sia
assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale
siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione di
causarlo o che la finalità di determinarlo colori il dolo del reato come specifico (Sez. 5,
n. 9807 del 13 febbraio 2006, Caimmi ed altri, Rv. 234232). Pertanto sulla bas
dell’evidenza disponibile e nei limiti della valutazione rimessa al Tribunale nel caso di
specie – e cioè quella sulla sussistenza del fumus commissi delicti

deve ritenersi che

lo stesso abbia fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
4. Inammissibile per le stesse ragioni risulta anche la doglianza avanzata con il terzo
motivo, atteso che il Tribunale ha specificamente argomentato sulla proporzionalità
funzionale del vincolo cautelare, evidenziando come la sottrazione agli indagati della
disponibilità della società e del suo patrimonio risulti giustificata dall’intensità del
pericolo di reiterazione di condotte distrattive e dal ricorso sistematico ad un circuito
definito di società per la riallocazione dei beni oggetto di spoliazione. In tal senso
dunque le censure mosse dal ricorrente si rivelano in parte manifestamente infondate
e per altra parte l’ennesimo tentativo di forzare i limiti della cognizione del giudice di
legittimità in materia cautelare reale.
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p.
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.

216 legge fall. prende in considerazione non solo la sua effettiva lesione dovuta al

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000 in favore della cassa delle Ammende.

Così deciso il 25/3/2014

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