Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19554 del 10/02/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19554 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Tettamanti Marco, nato a Como il 23/04/1966

avverso la sentenza del 31/05/2013 della Corte d’Appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per le parti civili l’avv. Paolo Riva, che ha concluso per l’inammissibilità o il
rigetto del ricorso depositando nota spese;
udito per l’imputato l’avv. Fabio Scudellari, che ha concluso per l’accoglimento
del ricorso;

1

Data Udienza: 10/02/2015

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale di
Como del 25/10/2012, con la quale Marco Tettamanti era ritenuto responsabile
del reato continuato di cui agli artt. 348, 582 e 495 cod. pen., commesso nel
2007 esercitando abusivamente in Villa Guardia la professione di medico
chirurgo in mancanza della relativa abilitazione professionale, visitando e
medicando nel corso di detta attività Stefano Lironi, affetto da una vescica al

accertamenti diagnostici ed il ricovero ospedaliero in conseguenza dell’evoluzione
della malattia e cagionando un processo gangrenoso che esitava
nell’amputazione della gamba destra, ed il 21/05/2008 dichiarando falsamente
alla polizia giudiziaria della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Como
di essere in possesso della laurea in medicina e di svolgere la professione di
medico; e condannato alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione, oltre
al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
L’imputato ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione sulla
qualificazione del reato di lesioni come doloso anziché colposo; la ravvisabilità
del dolo sarebbe stata succintamente motivata in base all’assimilabilità del caso
di specie a quello dell’intervento medico nel quale il consenso informato del
paziente sia stato ottenuto con l’inganno, nella specie perpetrato tacendo la
mancanza del titolo abilitativo, ma l’assenza di un valido consenso informato non
comporterebbe una necessaria conclusione in termini di sussistenza del dolo; e
nella situazione esaminata non sarebbero state valutate a questi fini le
circostanze per le quali nella querela il Lironi riferiva di essersi rivolto al
Tettamanti in quanto fiducioso nelle sue cure, già prestate con esito positivo in
una precedente occasione, numerosi interventi venivano effettuati con successo
su altri pazienti, nessuno dei quali sporgeva querela nei confronti dell’imputato, il
perito accertava che l’intervento del Tettamanti nella sua fase iniziale era stato
corretto e non era individuabile un interesse personale che avrebbe spinto
l’imputato ad agire a scapito dell’integrità fisica del Lironi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
Le censure del ricorrente sono essenzialmente articolate con riguardo al
tema dell’esistenza o meno di un valido consenso informato della persona offesa,
che nel complesso motivazionale della sentenza impugnata assumeva un rilievo
2

piede destro, omettendo di prescrivergli la necessaria terapia antibiotica, i dovuti

secondario.

La

Corte

territoriale,

riproponendo

sinteticamente

un’argomentazione più estesamente sviluppata nella sentenza di primo grado,
giungeva infatti a confermare quest’ultima principalmente in base alla
ravvisabilità, nei confronti dell’imputato, del dolo eventuale con riguardo alla
causazione delle lesioni. Ed osservava in questi termini come il Tettannanti
avesse agito accettando il rischio dell’evento lesivo; segnatamente
intraprendendo l’intervento curativo senza la necessaria preparazione, con ciò
prefigurandosi la possibilità, senza essere in grado di escluderla in base alle

insufficiente in assenza di più approfonditi accertamenti e di un’adeguata terapia
farmacologica, e che la malattia evolvesse fino a rendere necessario il ricovero
ospedaliero.
Gli elementi segnalati dal ricorrente, per quanto detto precipuamente riferiti
alla tematica del consenso informato, risultano privi di decisività nella diversa
prospettiva della sussistenza di un dolo eventuale nei termini appena indicati, e
pertanto coerentemente non considerati nella sentenza impugnata. E’ invero
irrilevante in questa prospettiva l’affidamento dichiarato dal Lironi nelle capacità
dell’imputato; ed altrettanto lo è la mancanza di un interesse dell’imputato ad
agire in spregio del’integrità fisica del Lironi. Il successo di interventi realizzati
nei confronti di altri pazienti non contrasta con la consapevolezza dell’imputato di
potersi trovare nell’impossibilità di gestire situazioni diverse, in mancanza di
adeguata preparazione professionale, e con la conseguente accettazione del
realizzarsi di tali condizioni; e nessuna contraddittorietà è altresì ravvisabile
rispetto all’iniziale correttezza delle cure effettuate dal Tettamanti nel caso in
esame, nel momento in cui il ravvisato dolo eventuale ha ad oggetto
l’accettazione della possibilità di uno sviluppo infettivo quale quello
effettivamente verificatosi, che avrebbe richiesto interventi che l’imputato
sapeva essere al di sopra delle proprie possibilità.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, seguendone la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e delle spese sostenute nel
grado dalla parte civile, che avuto riguardo alla dimensione dell’impegno
processuale si liquidano in € 3.500 oltre accessori di legge.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al rimborso delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, che liquida
in complessivi € 3.000, oltre accessori di legge.
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cognizioni delle quali disponeva, che la semplice medicazione della vescica fosse

Così deciso il 10/02/2015

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