Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19552 del 09/02/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19552 Anno 2015
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PAULANGELO SALVATORE MARCO N. IL 15/09/1963
avverso la sentenza n. 4197/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del
27/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/02/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 2,deie
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv,
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 09/02/2015

FATTO E DIRITTO

‘ndranghetista denominata “cosca Ferrazzo”.
Deduce
1) la falsa applicazione della legge penale con riferimento all’elemento costitutivo del reato
di bancarotta, rappresentato dalla dichiarazione di fallimento.
La difesa aveva sostenuto che, trattandosi di sentenze emesse dall’autorità svizzera e
non delibate da quella italiana, la condotta in esame dovrebbe degradare a mera
appropriazione indebita aggravata, peraltro prescritta.
La difesa non condivide l’affermazione della Corte secondo cui non sarebbe necessaria
la detta delibazione posto che, per l’integrazione del reato di bancarotta fraudolenta, la
sentenza dichiarativa di fallimento opererebbe solo come presupposto di fatto.
Sostiene, al contrario, che si tratta di provvedimento dell’autorità giudiziaria
insindacabile in sede penale proprio se e in quanto dotata di tutti i connotati tipici della
sentenza efficace nel nostro ordinamento: efficacia che può essere conseguita soltanto
attraverso il giudizio di delibazione il quale, a sua volta, è finalizzato a riscontrare la
rispondenza degli elementi essenziali della statuizione estera ai canoni fondamentali
dell’ordinamento italiano.
Per di più, si tratta di sentenze soltanto menzionate in un’informativa citata nella
sentenza di primo grado;
Il motivo è infondato.
Come correttamente osservato nella sentenza impugnata, le Sezioni unite di questa Corte
hanno osservato, sull’argomento, che
“..in generale, va rilevato che l’atto giuridico richiamato in una fattispecie penale conta per gli
effetti giuridici che esso produce e non per i fatti con esso definiti, sicché, se muta, per jus
superveniens, la definizione legale dei presupposti (che possono a loro volta consistere in dati
di fatto o anche in atti giuridici) perché un certo atto giuridico possa essere legittimamente
adottato, non può dirsi che le norme sopravvenute, che quei presupposti mutino, incidano sulla
struttura del reato.
“E’ il caso poi di precisare che quando un atto giuridico è assunto quale dato della fattispecie
penale (non importa se come elemento costitutivo del reato o come condizione di punibilità),

1

Propone ricorso per cassazione Paulangelo Salvatore Marco, avverso la sentenza della Corte
d’appello di Milano, in data 27 maggio 2013, con la quale è stata riformata, soltanto in punto di
trattamento sanzionatorio, quella di primo grado, emessa all’esito di giudizio abbreviato.
L’imputato è stato, cioè, condannato in ordine al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale
per avere, in concorso con altri, essendo socio ed amministratore delle società “World Financial
service AG” e “PP Finanz Service”, entrambe con sede a Zurigo – dichiarate fallite dalla
competente autorità giudiziaria svizzera il 6 ottobre 2003 e il 20 ottobre 2003- distratto,
occultato e\o dissipato, attraverso transazioni bancarie prive di ragioni economiche ed estranee
all’oggetto dell’attività societaria, valori patrimoniali non inferiori all’importo di 34 milioni di
franchi svizzeri.
Si era trattato di trasferimenti a favore di FINMED srl ( con sede in Milano), di Georgia Finance
(con sede nella British Virgin Islands), di Cubanito Productions e di Massetti De Rico Antinea
(socio ed amministratore della società Intermarket Diamond Business spa con sede in Milano).
Si legge nella sentenza impugnata che era rimasto accertato come l’imputato, peraltro
confesso con riferimento alla quasi totalità delle condotte contestate, avesse prestato ausilio al
concorrente Zoccola Alfonso ai fini della realizzazione della contestata attività distrattiva posta
in essere nella gestione di società che erano state costituite sul territorio elvetico per garantire
il riciclaggio dei proventi dell’attività illecita cui era dedita la cosca calabrese di stampo

esso è sindacabile dal giudice penale nei soli limiti e con gli specifici mezzi previsti dalla legge.
Nel caso, poi, che, come nella specie, si tratti di un provvedimento giudiziale, il giudice penale
non ha alcun potere di sindacato, dovendo limitarsi a verificare l’esistenza dell’atto e la sua
validità formale.
“..quando elemento della fattispecie è una sentenza, il giudice penale non è abilitato a
compiere alcuna valutazione, neppure incidentale, sulla legittimità di essa, perché le sentenze,
a prescindere dalla loro definitività, hanno un valore erga omnes che può essere messo in
discussione solo in via principale, con i rimedi previsti dall’ordinamento per gli errori giudiziari
(e cioè con i mezzi ordinari o straordinari di impugnazione previsti dalla disciplina processuale).
Ebbene, proprio a proposito degli effetti della sentenza attinente al fallimento emessa da
autorità straniera, vale il principio enunciato dalla Cassazione civile, Sez. 1, nella sentenza n.
283 del 10/01/2001 (Rv. 543040), secondo cui le sentenze straniere dichiarative di fallimento
sono assoggettate (qualora manchi una convenzione internazionale che ne disciplini il
riconoscimento con criteri di speditezza e semplicità) all’ordinario procedimento di delibazione
di cui agli artt. 796 ss. cod. proc. civ. che deve ritenersi applicabile tutte le volte in cui l’atto
introduttivo del giudizio innanzi al giudice italiano, nel quale la sentenza straniera dovrebbe
esprimere i suoi riflessi, risulti antecedente alla data di entrata in vigore della legge n. 218 del
1995 (e, cioè, anteriore al 31 dicembre 1996), normativa che ha, invece, introdotto (artt. 72 74), in mancanza di contestazioni, il diverso criterio dell’efficacia automatica della sentenza
straniera in Italia (principio affermato dalla S.C. con riferimento ad una sentenza della S.C.
Corte di Hong Kong con la quale la società resistente risultava in stato di “winding up by order
of the Court”, istituto del tutto affine al nostro fallimento, trattandosi di liquidazione coatta
conseguente ad una situazione di insolvenza).
Non si apprezza dunque, attesa la data del fallimento in esame, il problema della insussistenza
del presupposto ( appunto, dichiarazione di fallimento) previsto per il reato di bancarotta in
contestazione.

2) Con un secondo motivo si denuncia il vizio della motivazione in ordine alla affermata
responsabilità per la c.d. simulazione dell’acquisto dei diamanti.
La motivazione della Corte d’appello attribuiva la responsabilità per tale fatto
all’imputato, fuggito in Sardegna dopo aver ceduto le quote della società, quale
“ispiratore consenziente”: e tale attribuzione era fondata su intercettazioni telefoniche
che la difesa sostiene essere state travisate, allegandole al ricorso. Soltanto una
sarebbe la conversazione del ricorrente con il coimputato Zoccola, vero artefice della
operazione, anche relativa ad argomenti diversi;
Il motivo è inammissibile.
La difesa contesta, denunciando un preteso travisamento della prova, la ricostruzione
motivatamente offerta al riguardo dalla Corte territoriale.
Tale travisamento viene segnalato in riferimento al presunto contenuto di intercettazioni
telefoniche che, in base alla costante giurisprudenza, la Cassazione non può esaminare
direttamente. Tanto più in un caso come quello in esame nel quale la prova della condotta
contestata dalla difesa non è individuata, in sentenza, nel contenuto di intercettazioni
telefoniche bensì nel contenuto degli interrogatori dell’imputato i quali – secondo quanto si
legge nel provvedimento impugnato e non è espressamente contestato nel ricorso- danno
conto di contatti permanenti del ricorrente con Zoccola, ritenuto il concreto autore
dell’operazione relativa al simulato acquisto di diamanti, anche dopo l’inizio della fuga del
ricorrente verso la Sardegna.
2

A9G0 21 z00,8) .

3) Col terzo motivo si deduce il vizio della motivazione in ordine all’affermazione che
l’operazione descritta sub 2) sarebbe l’unico episodio di bancarotta commesso in Italia:
si tratta in realtà di un’operazione che, come affermato anche nel capo d’imputazione,
era simulata per giustificare la distrazione del corrispettivo in danaro. Quell’operazione
era cioè servita a far confluire, per il tramite di transazioni bancarie, e dunque operando
su conti societari aperti a Zurigo, la somma di C 103.000 apparentemente attribuita al
titolare della gioielleria ma in realtà destinata a paradisi fiscali.
Su tale osservazione la difesa basa l’ulteriore rilievo che l’intera condotta distrattiva
attribuita all’imputato si compone di attività, compresa quella di cui appena si è detto,
tutte commesse all’estero in danno di società con sede in Zurigo e conseguentemente di
cittadini stranieri.
Per tale ragione doveva operare l’articolo 9 comma 3 del codice penale e non il comma
1, come peraltro già osservato nel provvedimento di custodia cautelare.
Era cioè stato posto in discussione, dqlla difesa, il tema non della competenza
territoriale (che la Corte ha risolto ai sensi dell’articolo 10 comma due cpp) ma quello
della giurisdizione.
In tale ottica appariva rilevante la richiesta del Ministro, effettivamente formulata.
Ma, pur presenti gli altri due requisiti previsti dall’articolo 9
comma 3 (e cioè la
presenza del reo nel territorio dello Stato e la rinuncia all’estradizione da parte della
Svizzera che aveva addirittura formulato all’autorità italiana la richiesta di assunzione di
procedimento penale), difettava l’ulteriore requisito previsto dall’articolo 128 comma
due c.p. e cioè la tempestività della richiesta del Ministro che deve essere formulata
entro tre anni dall’inizio della permanenza del reo nel territorio dello Stato. E nella
specie tale termine non era stato rispettato dal momento che l’arrivo del ricorrente in
Italia risaliva al 2003 mentre la richiesta del Ministro era datata 7 febbraio 2007.
La difesa avanza pertanto richiesta di annullamento perché l’azione penale non avrebbe
potuto essere iniziata per intempestività della richiesta ministeriale;
Il motivo è infondato.
La contestazione della difesa poggia tutta sul centrale rilievo secondo cui il reato in
contestazione dovrebbe ritenersi, agli effetti del riparto della giurisdizione, commesso all’estero
e, poiché posto in essere in danno di cittadini stranieri, soggetto, tra l’altro, anche alla regola
di cui all’articolo 9 comma 3 c.p. , della previa richiesta del Ministro, assoggettata a sua volta
al termine di decadenza di tre anni (dalla presenza del colpevole sul territorio dello Stato)
previsto dall’articolo 128 c.p.p., nella specie non rispettato.
Orbene, deve ritenersi, al contrario, che nel caso di specie, come affermato dalla Corte
d’appello, operi soltanto il primo comma e non anche il terzo comma dell’articolo 9 citato.
La giurisdizione italiana discende cioè dal rilievo che si procede per delitto comune del cittadino
all’estero, punito con pena di reclusione non inferiore nel minimo a tre anni e essendosi anche
integrata la condizione della presenza dell’imputato sul territorio dello Stato.
Viceversa non risultano integrati i presupposti anche del comma 3 e cioè si tratti di reato
commesso ai danni di uno straniero.
3

La Corte ha posto in evidenza, tra gli altri elementi, come la dismissione delle quote della
società da parte del ricorrente fosse stata del tutto fittizia e come, pertanto, egli avesse
mantenuto la veste di amministratore almeno di fatto con la conseguenza che, in tale veste, è
stato ritenuto partecipe quale ispiratore consenziente all’operazione del simulato acquisto dei
diamanti.
Si tratta di una motivazione del tutto coerente e logica, non ulteriormente censurabile nella
sede della legittimità e soprattutto non alla luce delle argomentazioni contenute nel motivo di
ricorso, del tutto incapaci di incidere sulla tenuta del ragionamento probatorio.

,

La questione appare, in questi esatti termini, posta per la prima volta a questa Corte la quale
non può quindi apprezzarne la sostanza, in assenza di elementi certi sulla composizione della
massa dei creditori i cui interessi sono stati esposti a pericolo.
Non risulta cioè l’identità dei soggetti danneggiati o danneggiabili dal reato in contestazione,
emergendo dalla sentenza impugnata unicamente che il reato accertato è sortito da indagini
volte a contrastare condotte di riciclaggio orientate a frapporre ostacoli tra la provenienza del
denaro ( da condotte illecite poste in essere in Italia)e la sua destinazione e qualificate come
reati fallimentari dal momento che all’epoca non poteva commettere il reato di cui all’articolo
648 bis colui il quale concorre del reato presupposto.
D’altra parte la censura della difesa al riguardo è del tutto generica

4) Con il quarto motivo si deduce la violazione della convenzione europea di assistenza
giudiziaria in relazione alla concreta applicazione all’imputato di una sanzione non
prevista nello Stato che ha rinunciato alla giurisdizione: 10 anni in luogo di 5 previsti
dalla legislazione svizzera.
Il motivo è manifestamente infondato.
La censura fa riferimento ad un principio generale di presunta “doppia incriminazione” che
nella specie non ha alcun riscontro dal momento che l’incriminazione è stata unica ed è
interamente assoggettata alla legge penale e sostanziale italiana.
PQM

rigetta il ricorso condanna il ricorrente il pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma il
9 febbraio
2015
il Presidente
il Consigliere estensore

s i

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