Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19547 del 29/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19547 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: OLDI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Strangio Francesco, nato a Melito di Porto Salvo il 23/08/1966

avverso l’ordinanza del 12/02/2013 della Corte di appello di Reggio Calabria

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Aurelio Galasso, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. A seguito dell’annullamento, ad opera della Corte di Cassazione, di una
precedente ordinanza emessa in sede di esecuzione dalla Corte d’Appello di
Reggio Calabria, quest’ultima veniva nuovamente investita, quale giudice di
rinvio, dell’istanza con cui Francesco Strangio aveva chiesto l’applicazione della
continuazione fra i reati per i quali era stato condannato dalla Corte d’Appello di
Milano con sentenza del 27 gennaio 2004 e quelli di cui alla successiva condanna

Data Udienza: 29/01/2014

inflittagli dalla Corte reggina con sentenza del 5 febbraio 2008.
1.1. L’annullamento del precedente deliberato era dipeso dalla constatata
violazione del principio secondo cui il giudice dell’esecuzione che debba
procedere alla rideterminazione della pena per la continuazione tra reati
separatamente giudicati con sentenze, ciascuna delle quali per più violazioni già
unificate a norma dell’art. 81 cod. pen., deve dapprima scorporare tutti i reati
che il giudice della cognizione abbia riunito in continuazione, individuare quello
più grave e solo successivamente, sulla pena come determinata per quest’ultimo

compresi quelli già riuniti in continuazione con il reato posto a base del nuovo
computo.
1.2. Il giudice di rinvio, attenendosi al principio suesposto, ha individuato il
reato punito con pena più grave in quello di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. 9
ottobre 2990, n. 309, oggetto della sentenza datata 27 gennaio 2004 della Corte
d’Appello di Milano, che aveva inflitto allo Strangio la pena di anni 8 di reclusione
ed euro 30.000,00 di multa; ha poi applicato gli aumenti di pena per i singoli
reati satelliti, pervenendo a un totale complessivo di anni 14 di reclusione ed
euro 60.000,00 di multa.

2. Ha nuovamente proposto ricorso per cassazione lo Strangio, per il tramite
del difensore, affidandolo a un solo motivo articolato in due censure. Con esso
lamenta che, per un verso, la Corte di merito abbia errato nell’individuare il reato
più grave, per inosservanza del principio che impone di avere riguardo alla pena
edittale prevista in astratto; e che, per altro verso, abbia violato il divieto della
reformatio in peius, quantificando la pena finale in misura maggiore di quella che
era stata determinata con l’ordinanza travolta dal giudizio di annullamento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è solo in parte fondato e va accolto per quanto di ragione.
1.1. Ciò non è a dirsi della censura inerente alla individuazione del reato più
grave. È pur vero, infatti, che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema hanno
enunciato il principio secondo cui, in tema di reato continuato, la violazione più
grave va individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato
ritenuto dal giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si è
manifestata e all’eventuale giudizio di comparazione fra di esse. (Sez. U, n.
25939 del 28/02/2013, Ciabotti, Rv. 255347); ma è altrettanto vero che tale
regula iuris non opera in sede di esecuzione, ivi trovando applicazione il disposto
dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., a norma del quale «per l’applicazione

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dal giudice della cognizione, operare autonomi aumenti per i reati satellite,

della disciplina del concorso formale e del reato continuato da parte del giudice
dell’esecuzione si considera violazione più grave quella per la quale è stata
inflitta la pena più grave, anche quando per alcuni reati si è proceduto con
giudizio abbreviato».
La Corte d’Appello di Reggio Calabria ha mostrato di attenersi in ciò al
disposto normativo, rilevando che il reato per il quale era stata inflitta allo
Strangio la pena più grave era quello di cui all’art. 73 d.P.R. 309/1990,
contemplato dal capo 2 bis nella sentenza della Corte d’Appello di Milano in data

di multa. Corretta è tale determinazione, atteso che per l’analogo reato giudicato
con sentenza del 5 febbraio 2008 la Corte di Reggio Calabria aveva applicato la
pena, più ridotta, di anni sette, mesi otto di reclusione ed euro 40.000,00 di
multa.

2. È invece da accogliere la censura con cui si denuncia la violazione del
divieto di reformatio in peius.
2.1. La giurisprudenza di questa Corte Suprema è costante nell’affermare il
principio a tenore del quale il predetto divieto opera anche nel giudizio di rinvio
susseguente ad annullamento pronunciato su ricorso dell’imputato (Sez. 2, n.
3161 del 11/12/2012 – dep. 22/01/2013, F., Rv. 254536; Sez. 6, n. 4162 del
07/11/2012 – dep. 28/01/2013, Ancona, Rv. 254263; Sez. 1, n. 28862 del
18/06/2008, Giunta, Rv. 240461); in esso al giudice è bensì consentito
rideterminare l’aumento di pena ex art. 81 cod. pen. per i singoli reati minori in
misura superiore a quella stabilita nel provvedimento annullato (così come, del
resto, espressamente indicato nella sentenza di annullamento cui ha fatto
seguito l’ordinanza qui impugnata), ma non gli è dato superare, nel trattamento
sanzionatorio complessivo, il limite segnato dalla pena finale applicata col
provvedimento annullato. Sarebbe, infatti, contraria a un principio di portata
generale – immanente all’intera procedura penale, ancorché reso effettivo nel
titolo del relativo codice dedicato all’appello (art. 597, comma 2, n. 3) – la
possibilità che il trattamento dell’imputato, o, come nel presente caso, del
condannato, subisse un deterioramento a seguito di un’impugnazione da lui
stesso attivata.
2.2. L’ordinanza della Corte d’Appello di Reggio Calabria ha aggravato la
pena complessivamente applicata allo Strangio elevandola dagli anni undici, mesi
otto di reclusione ed euro 50.000,00 di multa, determinata nell’ordinanza
cassata, ad anni 14 di reclusione ed euro 60.000,00 di multa, così ponendosi in
conflitto col principio suesposto. Essa va dunque annullata senza rinvio e la
statuizione ivi assunta va sostituita con quella, conforme a legge, che

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27 gennaio 2004, in quanto punito con otto anni di reclusione ed euro 30.000,00

ridimensiona la pena finale in anni undici, mesi otto di reclusione ed euro
50.000,00 di multa.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e ridetermina la pena
complessiva in anni 11 e mesi 8 di reclusione ed euro 50.000,00 di multa.

Così deciso il 29/01/2014.

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