Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19545 del 22/01/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19545 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cinnini Michela, nata a Potenza Picena il 27/0571965,

avverso l’ordinanza del 22/04/2014 del Tribunale del riesame di Macerata;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito per la ricorrente l’avv. Alberto Feliziani, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.La sig.ra Michela Cimini ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del
Tribunale di Macerata che ha respinto l’istanza di riesame da lei proposta avverso
il decreto dell’11/03/2014 con il quale il Giudice per le indagini preliminari di
quello stesso Tribunale, sulla ritenuta sussistenza indiziaria del reato di cui
all’art. 2, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ha ordinato il sequestro preventivo,

Data Udienza: 22/01/2015

finalizzato alla confisca per equivalente, di denaro, titoli ed altri beni mobili e/o
immobili in disponibilità della stessa, fino alla concorrenza di € 526.000,00,
corrispondente all’imposta evasa negli anni di imposta 2007, 2008 e 2009.
Secondo la contestazione provvisoria, la Cimini, nella sua qualità di legale
rappresentante della società <>), nonché quelle rese dal ragioniere della società, Sergio Mengaroni che,
pur avendo comprensibilmente negato di aver mai fatto firmare al Beato
documenti falsi e tantomeno confermato il metodo di pagamento delle fatture da
questi descritto, ha comunque ammesso di conoscerlo e di averlo accompagnato
presso l’istituto di credito per il pagamento degli assegni emessi a suo favore per
le prestazioni fatturate e per presentarlo al personale dell’istituto stesso. Persino
il marito della Cimini aveva affermato di non aver più visto il Beato dai primi del
mese di giugno del 2005, in occasione della stipula di contratto di subappalto;
nemmeno i dipendenti della «MICHELA COSTRUZIONI S.r.l.» (tranne uno che
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dalle imprese individuali all’insegna «Marasca Simone» e «Edil Fo. Bea dì

però aveva e fornito indicazioni del tutto generiche) erano stati in grado di
indicare anche un solo nominativo dei dipendenti della Edil Bea che risultavano
impiegati nei cantieri della società.
Il responsabile della sicurezza nei cantieri della società marchigiana,
geometra Franchi Guido, che pure aveva genericamente confermato la presenza
di alcuni dipendenti nel cantiere di Porto Potenza Picena, non era stato in grado
di indicarne i nominativi, dando così adito al sospetto che potesse averli confusi
con i dipendenti di altra impresa locale. Del resto, prosegue il Tribunale, nessuno

Bea, né aveva saputo dire come i dipendenti di quest’ultima raggiungessero i
vari cantieri. La contraddittorietà e genericità delle allegazioni difensive,
aggiunge, deriva dal fatto che la perizia di parte non menziona i lavori che la Edil
Fo. Bea avrebbe effettuato in Falconara, seppur menzionati da alcuni dipendenti
(limitatamente però all’anno 2005), dal Mengaroni e dal Franchi.
Il corredo fotografico prodotto dalla difesa documentava solo cantieri, senza
alcun riferimento specifico alle imprese coinvolte, né, aggiunge il Tribunale, la
formale regolarità contabile poteva escluderne la sostanziale falsità, tanto più
che non erano stati prodotti i contratti che secondo le deduzioni difensive
sarebbero stati stipulati con la Edil Fo. Bea e che proprio le anomale modalità di
pagamento delle prestazioni di quest’ultima avevano suscitato le attenzioni della
Guardia di Finanza.
1.1 Con il primo motivo la Cimini eccepisce inosservanza degli artt 273 e
192, comma 3, cod. proc. pen., e deduce, al riguardo, che l’accusa si fonda
esclusivamente sulle dichiarazioni interessate e non riscontrate del titolare della
Edil.Fo Bea, smentito dai testimoni Mengaroni, Franchi e Mencarelli.
1.2 Con il secondo eccepisce l’illegittimità del sequestro per la parte relativa
a condotte anteriori all’entrata in vigore della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

2. Il 17/01/2015 il difensore della ricorrente ha depositato una memoria
difensiva alla quale ha allegato atti di indagine difensiva, insistendo per
l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.11 ricorso è infondato.

4.E’ necessario ricordare che il ricorso per cassazione contro le ordinanze
emesse a norma dell’art. 324, cod. proc. pen. è ammesso solo per violazione di
legge (art. 325, comma 1, cod. proc. pen.).

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dei dipendenti della società marchigiana aveva mai visto automezzi della Edil Fo.

Questa Corte regolatrice ha più volte ribadito che nella nozione di
“violazione di legge” rientrano anche la mancanza assoluta di motivazione o la
presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate
all’inosservanza di precise norme processuali, ma non, per esempio, l’illogicità
manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo
specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso
codice» (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004; si vedano anche, nello stesso senso,
Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, e Sez. U, n. 5 del 26/02/1991,

Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, Chiesi; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013,
Buonocore).
Motivazione assente è quella che manca fisicamente (Sez. 5, n. 4942 del
04/08/1998, Seana; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini) o che è
graficamente indecifrabile (Sez. 3, n. 19636 del 19/01/2012, Buzi); motivazione
apparente, invece è solo quella che «non risponda ai requisiti minimi di
esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è fondata
la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle
critiche pertinenti dedotte dalle parti» (Sez. 1, n. 4787 del 10/11/1993, Di
Giorgio), come, per esempio, nel caso di utilizzo di timbri o moduli a stampa
(Sez. 1, n. 1831 del 22/04/1994, Caldaras; Sez. 4, n. 520 del 18/02/1999,
Reitano; Sez. 1, n. 43433 dell’8/11/2005, Costa; Sez. 3, n. 20843, del
28/04/2011, Saitta) o di ricorso a clausole di stile (Sez. 6, n. 7441 del
13/03/1992, Bonati; Sez. 6, n. 25361 del 24/05/2012, Piscopo) e, più in
generale, la motivazione che dissimuli la totale mancanza di un vero e proprio
esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, o sia
priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi
inidonea a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U.,
n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov).
Orbene, si è indugiato a lungo nell’illustrazione dell’articolata e complessa
motivazione dell’ordinanza cautelare da un lato per evidenziare come il caso di
specie sia tutt’altro rispetto a quelli dai quali questa Corte di cassazione ha tratto
i principi di diritto sopra indicati, dall’altro per risaltare anche il vero obiettivo del
primo motivo di ricorso che, dietro l’invocata applicazione corretta degli artt. 273
e 192, comma 3, cod. proc. pen., nasconde l’intento di aggredire la correttezza
del metodo di valutazione del materiale investigativo del quale la ricorrente
propone una diversa lettura anche mediante l’inammissibile allegazione diretta dì
atti delle indagini difensive.
Qui si deve solo evidenziare che la oggettiva sussistenza indiziaria del reato,
sufficiente a supportare un’ordinanza cautelare reale, non richiede il ricorso ai

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Bruno, nonchè, tra le più recenti, Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini;

criteri più stringenti richiesti dall’art. 273, comma 1-bis, cod. proc. pen., ai fini
dell’emissione di ordinanze cautelari personali.
In sede cautelare reale, dunque, non si applicano i criteri di valutazione della
chiamata in correità previsti dall’art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., per cui
non è necessario, per affermare la sussistenza indiziaria del reato, che tali
dichiarazioni siano valutate unitamente ad altri elementi di prova che ne
confermino l’attendibilità.
Ciò nondimeno, come visto, il Tribunale di Macerata si è attardato a lungo

Bea verificandone l’attendibilità alla luce di riscontri estrinseci, pur non
necessari.
Il che, oltre a rendere manifestamente insussistente la violazione di legge
denunciata, conduce l’eccezione nel suo vero alveo: la inammissibile censura
dell’apparato argomentativo.
Il primo motivo è perciò inammissibile.

5.11 secondo motivo è infondato.
Ancorché l’accusa contempli un arco temporale più ampio (gli anni di
imposta dal 2005 al 2009), il decreto di sequestro si concentra sui soli periodi di
imposta successivi all’anno 2006.
Il reato di cui all’art. 2, d.lgs. n. 74 del 2000, si consuma con la
presentazione della dichiarazione annuale che, come noto, deve essere
presentata nell’anno successivo a quello di chiusura del periodo di imposta (artt.
2 e 8, d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322).
Nel caso di specie, la dichiarazione annuale relativa all’anno di imposta 2007
è stata presentata nell’anno 2008 e dunque in epoca successiva all’entrata in
vigore della legge n. 244 del 2007.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 22/01/2015

nella valutazione delle dichiarazioni eteroaccusatorie del titolare della Edil Fo.

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