Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19540 del 24/02/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19540 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
TARGIA DOMENICO, n. 5/11/1977 a Palermo

BEN ZAMMEL SELMA, n. 8/05/1986 a Palermo

FLAUTO MARIANO, n. 16/04/1975 a Palermo
FRANGIAMORE DOMENICO, n. 8/02/1988 a Palermo

INZERRA VINCENZO, n. 28/07/1967 a Palermo

avverso la sentenza della Corte d’appello di PALERMO in data 23/04/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. F. Salzano, che ha chiesto annullarsi con rinvio l’impugnata
sentenza;
udite, per i ricorrenti, le conclusioni dell’Avv. A. Turrisi (per Inzerra, Targia e
Flauto), che ha chiesto accogliersi i ricorsi;

Data Udienza: 24/02/2015

RITENUTO IN FATTO

1. TARGIA DOMENICO, BEN ZAMMEL SELMA, FLAUTO MARIANO, FRANGIAMORE
DOMENICO e INZERRA VINCENZO hanno proposto ricorso avverso la sentenza
della Corte d’appello di PALERMO emessa in data 23/04/2014, depositata in data
16/07/2014, con cui, in parziale riforma della sentenza emessa dal tribunale di

e mesi 10 di reclusione e, diversamente qualificato il fatto previsto dall’art. 73,
comma 5, T.U. Stup. come fattispecie autonoma, escludeva il giudizio di
equivalenza ex art. 69 cod. pen. operato relativamente alle posizioni di FLAUTO e
FRANGIAMORE, confermando nel resto l’impugnata sentenza; giova precisare,
per migliore intelligibilità dell’impugnazione, che con la sentenza appellata i
ricorrenti erano stati condannati: a) l’INZERRA, alla pena di anni 15 di
reclusione, con il concorso di attenuanti generiche e ritenuta la continuazione tra
i delitti ascritti, per i reati sub b), esclusa l’aggravante di cui al comma 3 dell’art.
74, T.U. Stup. e b1) della rubrica (in particolare, quale promotore ed
organizzatore di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti
del tipo cocaina, operante a Palermo ed in altri comuni della provincia tra
l’agosto del 2007 ed il maggio del 2008 nonché per aver realizzato atti di
detenzione e cessione di quantità imprecisate di cocaina in favore di soggetti non
identificati, fatti contestati come commessi tra agosto 2007 e febbraio 2008 in
concorso con Militello e Mannino, separatamente giudicati); b) il TARGIA, alla
pena (poi ridotta c.s. in appello) di anni 5 e mesi 6 di reclusione, previo
riconoscimento dell’attenuante di cui al comma 6 dell’art. 74 T.U. Stup., nonché
l’allora attenuante di cui all’art. 73, comma 5, T.U. Stup. quanto agli episodi di
detenzione e cessione di sostanza stupefacente e con il concorso delle attenuanti
generiche e ritenuta la continuazione tra i delitti ascritti, per i reati sub c) e sub
c1) della rubrica (in particolare, per aver preso parte come organizzatore ad
altro sodalizio criminoso finalizzato all’esecuzione di diverse cessioni al minuto di
sostanze stupefacenti del tipo cocaina, dall’agosto 2007 al maggio 2008, nonché
di diversi episodi di detenzione e cessione della medesima sostanza commessi
nel medesimo periodo, meglio specificati ai capi da c1) a c4), c8), c9), c10) e
c20); c) il FLAUTO, alla pena dì anni 2 e mesi 6 di reclusione ed C 4000,00 di
multa, riconosciuta in relazione al delitto associativo l’attenuante del comma 6
dell’art. 73, T.U. Stup., ed in relazione agli episodi di detenzione e cessione di
sostanza stupefacente, l’allora attenuante di cui al comma 5 dell’art. 73, T.U.
STUP., ritenuta equivalente alla contestata recidiva ed unificati i delitti sotto il
vincolo della continuazione, per i reati sub c) e sub c9) della rubrica (in
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PALERMO in data 22/02/2013, veniva ridotta la pena inflitta a TARGIA ad anni 4

particolare, quale partecipe della predetta associazione e di diversi episodi di
acquisto di sostanza stupefacente ai fini di spaccio da parte di tale Discrede
Agostino, commessi in concorso con il Targia); d) il FRANGIAMORE, alla pena di
anni 2 di reclusione ed C 3500,00 di multa, ritenuta equivalente all’allora
attenuante di cui al comma 5 dell’art. 73, T.U. Stup. alla contestata recidiva, per
il reato sub c4) della rubrica (in particolare, per aver eseguito in concorso con

febbraio a maggio 2008); e) la BEN ZAMMEL, infine, alla pena di mesi 2 di
reclusione ed C 500,00 di multa, pena inflitta a titolo di aumento previo
riconoscimento della continuazione con i fatti di cui alla sentenza irrevocabile
emessa dal GUP del tribunale di Palermo in data 21/07/2008, per i reati sub c16)
e sub c17) della rubrica (in particolare, per i reati di detenzione e di cessione in
favore di Targia di sostanza stupefacente del tipo cocaina commessi tra febbraio
e marzo 2008).

2. Con i ricorsi TARGIA e FLAUTO (e con il primo motivo di ricorso INZERRA),
proposti dal comune difensore fiduciario cassazionista Avv. A. Turrisi, vengono
dedotti due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2i. Deducono, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c) ed e)
c.p.p., in relazione agli artt. 135, 136, 191, 266, 267, 268, 271 e 609, comma
secondo, cod. proc. pen. e correlato vizio di illogicità della motivazione.
La censura investe l’impugnata sentenza per aver la Corte d’appello rigettato
l’eccezione di inutilizzabilità di nove decreti autorizzativi all’esecuzione di
operazioni di intercettazione telefonica e per illogicità della relativa motivazione.
Al fine di meglio comprendere l’eccezione, occorre precisare quanto segue.
Nel corso del giudizio di merito e in sede di appello il ricorrente precisa di aver
eccepito l’inutilizzabilità di nove decreti di autorizzazione alle operazioni di
intercettazione (nn. 2157/07, 2259/07, 2301/07, 2302/07, 2386/07, 2486/07,
2659/07, 2735/07 e 2829/07) e dei decreti successivi di proroga nonché
l’inutilizzabilità degli esiti delle relative intercettazioni per insufficiente od omessa
motivazione in relazione all’utilizzo di impianti diversi da quelli in uso alla Procura
della Repubblica di Palermo; con i predetti decreti, il PM aveva disposto in via di
urgenza l’intercettazione delle conversazioni telefoniche relative a diverse utenze
cellulari in uso ad alcuni degli allora indagati nel presente procedimento; le
relative operazioni tecniche avrebbero dovuto essere eseguite con l’utilizzo delle
attrezzature CNS fornite all’A.G. dalla ditta AREA S.p.A. di Milano; con i predetti
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Targia diverse cessioni di cocaina in favore di persone non identificate, da

decreti, dunque, il PM delegava per l’esecuzione dei provvedimenti gli ufficiali di
PG della Compagnia CC di Bagheria autorizzandoli ad utilizzare le attrezzature
CNS installate presso la sala ascolto della Procura di Palermo; il medesimo PM,
con note inviate alla ditta fornitrice ed alla PG delegata, precisava che le
operazioni avrebbero dovuto essere svolte presso la sala ascolto della Procura di
Palermo; in contrasto, però, con quanto disposto dal PM, le operazioni di

Compagnia CC di Bagheria, senza che i decreti di autorizzazione del PM ed i
successivi decreti di convalida e proroga delle operazioni di intercettazione,
motivassero in ordine all’utilizzo di impianti esterni a quelli esistenti presso la
Procura della Repubblica; quanto sopra, si sostiene in ricorso, sarebbe
comprovato dalla lettura dei verbali di chiusura delle operazioni captative, da cui
emerge che le operazioni di ascolto e registrazione sono state eseguite presso i
locali della caserma di Bagheria, mediante l’utilizzo delle apparecchiature di
proprietà della AREA S.p.A.; non vi è dubbio sulla natura certificativa di atto
pubblico di detti verbali, né sul loro inequivoco significato letterale, essendo
peraltro quanto attestato nei predetti verbali anche da diverse note della stessa
P.G. che, nel richiedere la proroga delle predette attività captative, si riferiva ad
attività di intercettazione in corso “presso la sala ascolto del Comando
Compagnia CC”; ulteriore dato anomalo, si evidenzia in ricorso, è rappresentato
dalla mancanza nei documenti relativi alle operazioni di intercettazione, dei
verbali di inizio delle operazioni captative relative a tutti e nove decreti
autorizzativi, verbali necessari ed imprescindibili ai sensi dell’art. 268, comma 1,
c.p.p., per descrivere e certificare il materiale espletamento delle operazioni
intercettative, mediante la specificazione dei dati normativamente richiesti
(giorno, ora, luoghi, etc.) nonché anche per certificare, con forza di atto
pubblico, un’attività che non si svolge in pubblica udienza né nel contraddittorio
tra le parti.

2.2. Tanto premesso, i ricorrenti hanno dunque eccepito anzitutto, la violazione
degli artt. 268, comma 1, e 135 ss. c.p.p., in quanto difetterebbe in atti il
verbale di inizio delle operazioni di intercettazione, il quale non risulta essere
stato redatto, redazione invece necessaria in quanto nel medesimo occorre
indicare il giorno in cui lo stesso è stato dato inizio alle operazione e quando è
stato chiuso, ex art. 136 cod. proc. pen.
In secondo luogo, poi, ha eccepito la violazione degli artt. 268, comma 3 e 3bis,
e 271, comma 1, c.p.p., in quanto le attività di intercettazione, con le relative
registrazioni, sarebbero avvenute presso i locali della Compagnia CC di Bagheria
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registrazione ed ascolto sarebbero di fatto avvenute presso la sala ascolto dalla

e con strumenti di proprietà di una ditta privata ed installati presso il predetto
comando carabinieri, non emergendo dai decreti autorizzativi e di proroga una
specifica ed adeguata motivazione ed autorizzazione, sia per quanto concerne
l’utilizzo di apparecchiature private, sia con riferimento al loro utilizzo al di fuori
dei locali della Procura della Repubblica, sia, soprattutto, in merito all’attività di

2.3. A sostegno della tesi difensiva, i ricorrenti, poi, richiamano alcune decisioni
sia della giurisprudenza di legittimità (in particolare, il riferimento, in ricorso è:
a) alla sentenza n. 19603/2010 della sez. V^ penale di questa Corte, dep.
24/05/2010; b) alla sentenza n. 35120/2011 della Sez. I^ penale di questa
Corte, dep. 28/09/2011; c) alla sentenza n. 9643/11 della Sez. V^ penale di
questa Corte, dep. 9/03/2011; d) alla sentenza n. 9644/11 della Sez. V^ penale
di questa Corte, dep. 9/03/2011; e) alla sentenza n. 34001/10 della Sez. V^
penale di questa Corte, dep. 21/09/2010; f) alla sentenza 34000/10 della Sez.
V^ penale di questa Corte, dep. 21/09/2010; g) alla sentenza n. 33999/10 della
Sez. V^ penale di questa Corte, dep. 21/09/2010; h) alla sentenza n.
10952/2011 della Sez. V^ penale di questa Corte, dep. 16/03/2011; i) alla
sentenza n. 10951/2011 della Sez. V^ penale di questa Corte, dep. 16/03/2011;
sentenze tutte allegate al ricorso) nonché dei giudici di merito (GIP tribunale di
Palermo e tribunale della libertà di Palermo) che tra il luglio e il novembre 2010,
in accoglimento delle eccezioni difensive, rilevarono come sussistesse una
situazione di obiettiva incertezza circa il luogo di esecuzione delle operazioni
captative ed, in particolare, di quello di prima registrazione, atteso che nei
verbali di chiusura delle operazioni intercettative era evidenziato come le
operazioni di ascolto e di registrazione fossero state eseguite presso i locali della
Compagnia CC di Bagheria; l’accoglimento delle predette eccezioni, nel
comportare la scarcerazione degli imputati che le avevano sollevate (Citarelli,
Ingrassia, Esposto Bertino, D’Anna, Frangiamore e Flauto), confermerebbe*
dunque l’inutilizzabilità degli esti delle predette operazioni di intercettazione.

2.4. Osservano, peraltro, i ricorrenti, che a seguito di tali decisioni, la Procura
della Repubblica di Palermo, in sede di udienza preliminare, ha prodotto una
prima certificazione rilasciata dall’Ufficio intercettazioni della Procura in data
15/10/2010 attestante che tutti i decreti intercettativi sarebbero stati
esclusivamente registrati presso i server della Procura palermitana e che, a far
data dal settembre 2005, tutti i decreti intercettativi sarebbero esclusivamente
registrati nel server esistente presso la Procura di Palermo; detta certificazione,
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registrazione e di ascolto in locali esterni ai locali della Procura della Repubblica.

Ali, osserva, venne però subito contrastata dalla produzione da parte delle difese
di numerosi decreti di autorizzazione disposte dopo il settembre 2005 nei quali,
diversamente, si autorizzava l’esecuzione delle operazioni presso impianti esterni
a quelli della Procura di Palermo, con ciò dimostrando l’inattendibilità della
certificazione rilasciata dall’Ufficio intercettazioni della Procura di Palermo; a
seguito di tale produzione documentale, all’udienza preliminare, la stessa

medesimo Ufficio intercettazioni, datato 28/10/2010, con cui si affermava che
solo i nove decreti in questione sarebbero stati esclusivamente registrati presso i
server della Procura palermitana, certificazione, questa, di cui il ricorrente
deduce l’inutilizzabilità, come già eccepito davanti al GUP.
In particolare, il GIP, nel rigettare l’eccezione, con ordinanza 3/02/2010, non
forniva alcuna specifica motivazione sulla doglianza per la quale la certificazione
dell’Ufficio intercettazioni non fosse coevo, ai decreti autorizzativi e di proroga
delle intercettazioni, essendo successivo,di ben tre anni rispetto alla conclusione
delle operazioni ed alle pronunce di legittimità e di merito che avevano statuito
in ordine all’inutilizzabilità degli esiti delle operazioni di intercettazione; la Corte
d’appello, nella motivazione dell’impugnata sentenza, ha invece ritenuto
valutabili le note dell’Ufficio intercettazioni, in quanto finalizzate ad individuare le
concrete modalità esecutive delle operazioni stesse, consentendo di dimostrare
che la prima registrazione delle conversazioni intercettate è avvenuta presso il
server installato nella sala ascolto della Procura di Palermo, così superando
quello stato di incertezza che aveva determinato la declaratoria di inutilizzabilità;
l’utilizzabilità, dunque, per la Corte d’appello discenderebbe dal fatto che le
certificazioni di cui si discute non attengono al momento genetico del
provvedimento di intercettazione, costituendone una tardiva integrazione, ma
contribuirebbero a spiegare le modalità con cui l’attività di registrazione è stata
eseguita, in conformità a quanto disposto dal PM.

2.5. Si censura, in particolare, l’assunto motivazionale che ha così superato
l’eccezione difensiva, in quanto lacunoso ed illogico, oltre che inficiato da
violazione di legge. Ed invero, osservano i ricorrenti, la Corte d’appello avrebbe
illegittimamente distinto il vaglio della legittimità genetica del provvedimento del
PM, dal controllo sulle modalità esecutive delle captazioni telefoniche autorizzate
dal provvedimento, con ciò legittimando l’utilizzo di documentazione non coeva
alle operazioni di intercettazione, al fine di acclarare la loro regolare conformità a
quanto autorizzato dal PM; in realtà, si sostiene in ricorso, si tratterebbe di due
aspetti inscindibili della medesima questione, in quanto non potrebbe esistere un
6

Procura della Repubblica produsse un secondo certificato rilasciato sempre dal

giudizio di inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni telefoniche senza il
preliminare giudizio di nullità del decreto del PM che le ha disposte ed
autorizzate, atteso che la non regolare esecuzione delle operazioni captative,da
parte della PG delegata, travolgerebbe la validità procedurale del decreto che le
ha disposte e di quelli successivi, che hanno continuato ad autorizzare lo
svolgimento delle operazioni stesse con modalità del tutto diverse da quelle poi

degli esiti delle operazioni di intercettazione, previo giudizio di nullità dei
provvedimenti giudiziali di autorizzazione e proroga, atteso che le predette
operazioni captative sono state espletate con modalità del tutto diverse da quelle
autorizzate e disposte dall’A.G.

2.6. A comprova della fondatezza dell’assunto, i ricorrenti rilevano in fatto che, a
seguito delle eccezioni difensive, la Procura della Repubblica di Palermo aveva
prodotto al tribunale della libertà una serie di documenti (note CC Bagheria
4/01/2010 e 5/01/2010; lettera ditta AREA S.p.A. datata 29/12/2009; lettere di
inizio dei servizi di intercettazione redatti dal predetto Comando CC), tutti
dichiarati sia da questa Corte che dal tribunale della libertà di Palermo inidonei e
non conducenti ai fini integrativi o chiarificatori degli originari decreti
autorizzativi e di proroga delle autorità giudiziarie e/o delle coeve relazioni di
P.G., richiamate

per relationem

dai suddetti provvedimenti giudiziali; in

particolare, si evidenzia in ricorso, proprio la Corte di Cassazione (sentenza
22/04/2010 della Sez. V^ penale e sentenza 19/04/2011 della Sez. I^ penale, in
atti allegate) ha ritenuto come l’obiettiva incertezza circa il luogo di esecuzione
delle operazioni di prima registrazione non potesse ritenersi risolto né dalle
lettere della ditta AREA né dalle lettere di inizio servizio inviate dai carabinieri; in
altri termini, si precisa in ricorso, gli unici elementi che avrebbero potuto
eliminare quella situazione di incertezza circa il luogo di esecuzione delle
operazioni di prima registrazione delle disposte intercettazioni sarebbero stati
quelli relativi a documentazione coeva all’esecuzione delle predette operazioni, in
particolare i verbali di inizio delle operazioni di intercettazione disposte con í
nove decreti di cui si discute, verbali che, tuttavia, nonostante il provvedimento
di acquisizione disposto dai tribunale della libertà di Palermo a seguito di
annullamento con rinvio da parte di questa Corte dell’ordinanza riguardante
l’Inzerra, non risultano essere stati prodotti dal PM, determinandone quindi la
scarcerazione (detta ordinanza, si aggiunge, pur impugnata dal PM davanti a
questa Corte, è stata confermata con sentenza 19/04/2011 dalla Sez. V^
penale).
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poste in essere dagli ufficiali di PG; ne conseguirebbe, dunque, l’inutilizzabilità

In definitiva, dunque, nessuna delle tre note chiarificatrici a firma del funzionario
responsabile dell’Ufficio intercettazioni della Procura di Palermo sarebbe idonea a
risolvere la oggettiva situazione di incertezza sul luogo di prima registrazione del
segnale audio intercettato, trattandosi di documenti non coevi all’adozione dei
decreti autorizzativi delle captazioni telefoniche o all’esecuzione delle operazioni
di intercettazioni, in quanto si tratta di documentazione analoga a quella già

merito dianzi richiamati, come del resto puntualizzato da plurime decisioni di
questa Corte (si richiamano, in ricorso, i principi affermati in particolare dalle
Sezioni Unite Esposito, Campennì e Gatto).

2.7. In ogni caso, anche a voler considerare le predette certificazioni utilizzabili,
deducono i ricorrenti il vizio motivazionale che inficerebbe la motivazione della
sentenza impugnata, in quanto la Corte d’appello avrebbe dovuto comunque
esaustivamente argomentare sulla circostanza per cui le stesse siano del tutto
disancorate dai dati oggettivi di riferimento e siano connotate da assoluta
genericità; nessuna giustificazione argomentativa sarebbe stata fornita sulla
circostanza per cui dalla compilazione di dette certificazioni non si riesca ad
evincere se le affermazioni in esse contenute siano tratte da qualche brogliaccio
o se da altro elemento ufficialmente affidabile, idoneo ad attribuire loro quel
carattere di certezza necessario, al fine di dissipare qualsiasi ulteriore dubbio
circa il luogo di esecuzione della registrazione delle intercettazioni telefoniche;
del resto, si aggiunge, i dati riportati nelle predette certificazioni sono
meramente duplicativi di quanto due anni prima attestato in tutti i verbali di
chiusura delle operazioni intercettative redatti dagli ufficiali di PG della caserma
CC di Bagheria.
Peraltro, si prosegue in ricorso, quanto sostenuto nella sentenza impugnata (nel
senso che non vi sarebbe ragione di dubitare di quanto attestato dal funzionario,
in quanto sarebbe evidente che i dati dell’orario di inizio delle registrazioni
sarebbero stati desunti dall’esame dei file contenuti nel server centrale della
Procura) non sarebbe rispondente alla realtà dei fatti per tre ordini di ragioni: a)
anzitutto, perché la semplice lettura delle tre certificazioni esclude che il
funzionario abbia attestato di aver desunto date ed orari precisi di prima
registrazione delle intercettazioni dall’esame dei file contenuti nel server della
Procura; b) in secondo luogo, perché quanto attestato sarebbe meramente
duplicativo di quanto attestato nei verbali di chiusura delle operazioni
intercettative, sicchè sarebbe illogico quanto sopra affermato essendo evidente
che gli ufficiali di PG della predetta caserma hanno potuto essere precisi
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giudicata inidonea dalla stessa Cassazione e dai provvedimenti dei giudici di

nell’indicazione degli orari, date e luoghi dell’inizio delle operazioni intercettative
in quanto hanno letto i predetti dati dal server installato nei locali della caserma
in cui le operazioni sono state eseguite; c) infine, in assenza dei verbali di inizio
delle operazioni captative relative ai nove decreti di autorizzazione, permarrebbe
quella obiettiva situazione di incertezza sul luogo ove è avvenuta la prima
registrazione, in quanto le predette note dell’Ufficio intercettazioni sarebbero

certificato nei nove verbali di chiusura delle operazioni di intercettazione, redatti
dagli ufficiali di PG della caserma di Bagheria, nonché con quanto attestato nelle
varie richieste di proroga delle intercettazioni, tutti atti coevi alle operazioni,
laddove le note del funzionario della Procura di Palermo sono tutte postume di un
biennio rispetto alla cessazione delle operazioni, dunque inaffidabili e smentite
almeno in parte dalla documentazione prodotta dal ricorrente.
La Corte territoriale, dunque, avrebbe dovuto motivare in modo congruo ed
esaustivo sulla risultanza per la quale la certificazione dell’Ufficio intercettazioni
della Procura 15/10/2010 fosse smentita da elementi fattuali di segno contrario,
contenendo affermazioni destituite di fondamento in punto di fatto; a ciò si
aggiunge, in ricorso, il rilievo che nessuna delle note 15/10/2010 e 28/10/2010
rappresenti un atto riconducibile all’attività autorizzatoria del PM né all’attività
operativa della PG che le ha eseguite, non potendo pertanto legittimarsi, in
difetto dei già più volte richiamati verbali di primo inizio delle operazioni
captative mai prodotti dal PM, una sanatoria postumet dei vizi delle
intercettazioni telefoniche in questione.

2.8. Altro profilo di censura di cui al primo motivo, concerne la violazione
dell’art. 268, comma 3bis, c.p.p., che facoltizza il PM ad autorizzare l’esecuzione
delle operazioni intercettative mediante impianti appartenenti a ditte private; nel
caso in esame, risulta palese il difetto di motivazione circa l’insufficienza o
l’inidoneità degli impianti in dotazione alla Procura, estendendosi dunque
l’eccezione all’inutilizzabilità all’utilizzo di strumenti diversi da quelli in dotazione
alla Procura, come già deciso dalle Sezioni Unite Aguneche e Gatto, richiamate in
ricorso; in altri termini, la registrazione delle conversazioni avrebbe potuto
essere eseguita presso o con impianti di pubblico servizio o in dotazione alla PG
solo nell’ipotesi in cui le apparecchiature della Procura fossero insufficienti e ciò
risulti espressamente disposto dal PM, con decreto motivato, non potendo
l’esistenza dell’impedimento emergere dalla mera valutazione conclusiva operata
dall’organo requirente.

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comunque in una situazione di insanabile contrasto con quanto attestato e

Ne

discenderebbe,

quindi,

l’inutilizzabilità

degli

esiti

delle

operazioni

intercettative per violazione degli artt. 125, 267, 268 e 271 c.p.p. (peraltro
precisandosi che, a differenza di quanto statuito in sentenza, la difesa mai aveva
eccepito l’inutilizzabilità di captazione con il sistema della remotizzazione, in
quanto la censura riguardava l’esistenza di una netta difformità tra quanto
autorizzato dal PM con i nove decreti in questione e quanto eseguito dalla PG in

2.9. Infine, ultimo profilo di censura svolto in sede dì primo motivo, riguarda
l’eccezione di inutilizzabilità per aver il PM disposto esclusivamente che le
operazioni di ascolto sarebbero dovute avvenire mediante impianti in dotazione
alla PG, senza indicare il luogo in cui dovevano essere registrate le conversazioni
in argomento; la fondatezza dell’eccezione (relativa ai soli decreti autorizzativi n.
2301/07, 2829/07, 2386/07, 2659/07 e 2302/07) emergerebbe dalla semplice
lettura di tali decreti in quanto non viene negli stessi indicato in quali locali
doveva essere eseguita la prima registrazione delle intercettazioni, lacuna non
colmabile facendo rimedio ai contenuti della relazioni di PG coeve o precedenti
all’adozione di tali decreti; non essendovi altri atti dotati dì pari fidefacienza
rispetto ai verbali di chiusura delle operazioni di captazione, da cui risulta che le
operazioni vennero compiute nei locali della caserma di Bagheria, ne
discenderebbe l’illegittimità della motivazione dell’impugnata sentenza per
violazione degli artt. 135, 136, 191, 266, 267, 268, 271 e, 609, comma secondo,
c.p.p.

3. Deducono TARGIA e FLAUTO, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606,
lett. b) ed e) c.p.p., in relazione agli artt. 187, 192, comma 2, 530 c.p.p. e 73/4
T.U. Stup.
La censura investe l’impugnata sentenza per aver la Corte d’appello fondato la
responsabilità dei ricorrenti in assenza di prove certe della responsabilità dei
medesimi, con motivazione illogica e in più punti lacunosa; in particolare, la
responsabilità sarebbe stata fondata sugli esiti delle intercettazioni telefoniche e,
quanto al Targia, sulle dichiarazioni confessorie rese dal medesimo al PM in sede
di interrogatorio in data 14/03/2011; tuttavia, si sostiene in ricorso, la
confessione del TARGIA delle proprie condotte materiali non implicherebbe la
fisiologica ricorrenza di profili di reità a suo carico per il delitto associativo sub
c); segnatamente, poi, entrambi i ricorrenti si dolgono in quanto la Corte
d’appello avrebbe omesso di motivare sulla doglianza difensiva che evidenziava
come, per quasi tutti i presunti sodali dei ricorrenti, lo stesso tribunale del
10

violazione delle richiamate norme processuali).

riesame abbia escluso la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al
reato associativo (ordinanze allegate al ricorso e relative alle posizioni: a)
Frangiamore, dep. 12/01/2010; b) Di Maria, dep. 15/01/2010; c) Flauto, dep.
13/01/2010; d) D’Alia, dep. 25/03/2010; e) Ben Zamrnel, dep. 23/10/2010; f)
Targia, dep. 12/01/2010; g) Amato, dep. 2/01/2010), sicchè si giungerebbe alla
paradossale conclusione che il Targia si sarebbe associato solo con il Flauto e

mossa la contestazione di reato associativo.

4. Con il ricorso INZERRA, proposto dal difensore fiduciario cassazionista Avv. A.
Turrisi, viene dedotto un secondo motivo, di seguito enunciato nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

4.1. Deduce, con tale secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e)
c.p.p., in relazione agli artt. 187, 192, commi 2 e 3, 238 bis, 530 e 648 c.p.p.,
73/74 d.P.R. n. 309 del 1990.
La censura investe l’impugnata sentenza per aver ritenuto il ricorrente
responsabile del delitto associativo sub b) e del reato di cui all’art. 73, T.U. Stup.
(capo b1) in assenza di prove certe e sulla base di motivazione illogica e
lacunosa; in particolare, i giudici avrebbero dichiarato la responsabilità penale
dell’Inzerra sulla base degli esiti delle operazioni di intercettazione telefonica
aventi ad oggetto alcuni conversazioni tra questi e tale Militello, nonché sulle
accuse mosse dal collaborante Bonaccorso.

4.2. Con particolare riferimento al delitto associativo, osserva il ricorrente questi
avrebbe fondato e promosso un’associazione unitamente a tale Cucina; tale
contestazione, come già oggetto di doglianza in sede d’appello, non rispondeva
ai dati processuali: a) sia perché nel corso di un anno di indagini preliminari, la
figura del ricorrente non era mai venuta fisicamente in rilievo tanto che nessun
sequestro di stupefacente o servizi di PG avevano accertato la sua presenza; b)
sia perché il correo dell’Inzerra, il Cucina, risulta essere stato assolto con
sentenza irrevocabile, dunque utilizzabile ex art. 238 bis c.p.p., dal delitto
associativo, come anche i coimputati Ingrassia, Esposto bertino, Ciglia e
Montaperto, tutti presunti sodali dell’Inzerra nel reato associativo sub b); c) sia,
infine, perché le condotte illecite di Mannino e Mílitello, non possono avere
alcuna refluenza sulla posizione processuale dell’Inzerra.
Nella specie, si taccia di illogicità motivazionale l’impugnata sentenza nella parte
in cui la Corte d’appello ha ritenuto dimostrata l’esistenza di due gruppi
11

viceversa, in quanto nei confronti del correo Discrede non è stata nemmeno

organizzati, i quali operano per compiere una serie indefinita di reati di
detenzione e cessione di cocaina, un primo gruppo (grossisti) costituito
dall’Inzerra, Militello e Mannino, ed un secondo gruppo (acquirenti/pusher)
facente capo a Targia che si riforniva con continuità da Militello e Inzerra; tale
affermazione, si sostiene in ricorso, sarebbe manifestamente illogica per almeno
tre ordini di ragioni: a) perché l’Inzerra non potrebbe essere definito come colui
che cedeva stupefacenti al Targia in quanto da tale specifica condotta l’Inzerra

22/02/2013; b) perché l’affermazione secondo cui l’Inzerra si occupava di
acquistare rilevanti quantità di cocaina costituirebbe un elemento probatorio mai
emerso, non essendo mai stato operato alcun sequestro di stupefacenti né
emergerebbe da trascrizioni o altri elementi, essendo quindi rimasta una mera
ipotesi accusatoria non corroborata da elementi oggettivi; c) perché il Targia non
poteva essere un correo dell’Inzerra nella sistematica attività di smercio di
stupefacenti, acquistato all’ingrosso da quest’ultimo, perché il Targia non è
accusato di far parte della stessa associazione a delinquere ex art. 74, T.U. Stup.
contestata all’Inzerra, atteso che il primo è accusato di far parte del sodalizio
criminale descritto al capo c) (non contestato all’Inzerra) ed è stato condannato
nel presente procedimento, mentre l’Inzerra è accusato del delitto associativo
sub b) (di cui non fa parte il Targia).

4.3. Con particolare riferimento al delitto di cui all’art. 73, T.U. Stup., invece,
sostiene la difesa che l’Inzerra è stato assolto dall’imputazione di cessione di
stupefacente nei confronti di alcuni soggetti identificati, mentre è stato
condannato per cessioni “generiche” a soggetti non identificati, contestazione,
questa, che non compariva nell’originario capo di imputazione sub bl), che
invece conteneva la dettagliata contestazione di aver ceduto stupefacenti proprio
a quei soggetti identificati in relazione alla cui contestazione l’Inzerra è stato
assolto; tale lacuna descrittiva, osserva il ricorrente, non sarebbe stata colmata
con l’istruttoria id primo grado, non essendosi evidenziati specifici fatti di
acquisto e di cessione di stupefacenti da parte del ricorrente e dei suoi presunti
correi, in favore di soggetti individuati; la Corte territoriale, dunque, avrebbe
dovuto principalmente offrire congrua motivazione sull’effettiva sussistenza di
fatti di acquisto e cessione di sostanze stupefacenti ben determinate;
diversamente, i giudici palermitani, con motivazione manifestamente illogica e
carente, si sarebbero limitati a confermare l’ipotesi accusatoria ventilando
l’equivocità delle conversazioni telefoniche tra il ricorrente, il Militello ed il
Manníno ed il numero dei contatti telefonici intercorsi tra gli stessi.
12

(capo b1) della rubrica) è stato assolto con sentenza definitiva in data

4.4. Altri profili di censura sollevati con tale secondo motivo,

sub specie di

carenza e travisamento del fatto, riguarderebbero, anzitutto, quella parte della
motivazione della sentenza che dà per provata l’esistenza tra i tre (Inzerra,
Militello e Mannino) di svolgere una qualche attività speculativa sostanzialmente
illecita, affermazione censurata in quanto l’Inzerra nel corso del suo esame
dibattimentale, avrebbe chiarito la liceità dei rapporti intercorrenti con il Mannino

In secondo luogo, si censura quella parte della motivazione in cui la Corte
d’appello avrebbe travisato il contenuto di alcune conversazioni telefoniche tra i
tre, in particolare qualificando illogicamente un soggetto, citato dai tre, come “il
picciotto”, come un acquirente di stupefacente che sarebbe stato indirizzato alla
palestra del coimputato Ingrassia.
Terza censura di illogicità della motivazione riguarderebbe quella parte della
sentenza in cui la Corte territoriale afferma che Militello e Mannino sarebbero
approvvigionati da Inzerra, affermazione questa affetta dal vizio di travisamento
probatorio, non spiegando i giudici in forza di quali elementi fosse possibile
affermare che l’Inzerra si fosse effettivamente rifornito di stupefacente e lo abbia
ceduto al Mannino, se non travisando il contenuto di una conversazione
telefonica intercorsa in data 22/08/2007.
Ulteriore censura investe, poi, l’impugnata sentenza sotto il profilo dell’illogicità
motivazionale, nella parte in cui conferma la responsabilità penale dell’Inzerra
sulla base dell’assiduità di contatti telefonici e della presunta equivocità dei
contenuti delle conversazioni, ma in assenza di prova su specifici fatti criminosi
di acquisto e cessione di stupefacenti.
Infine, ultimo profilo di censura che investe l’impugnata sentenza sotto il profilo
dell’illogicità della motivazione e della sua lacunosità riguarda l’inidoneità del
presunto riscontro costituito dalle dichiarazioni accusatorie del collaborante
Bonaccorso, il quale non avrebbe riferito nulla di significativo in ordine ai fatti
contestati all’Inzerra.

5. Con i ricorsi BEN ZAMMEL e FRANGIAMORE, proposti personalmente dai
ricorrenti, viene dedotto un motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente
necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

5.1. Deducono, con tale motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c) ed e) c.p.p., in
relazione agli artt. 268, comma 3 e 271, comma 1, c.p.p., sotto il profilo della
nullità del decreto di autorizzazione n. 2301/07 e successive proroghe nonché
della inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni per mancanza o insufficiente
13

e Militello, peraltro evidenziando la conoscenza anche familiare con il Militelio.

motivazione in ordine alle ragioni che hanno comportato l’utilizzo di impianti
diversi da quelli installati nella Procura della Repubblica.
La censura investe l’impugnata sentenza per profili sostanzialmente analoghi a
quelli già avanti nel primo motivo di ricorso TARGIA, dolendosi i ricorrenti in
quanto, nonostante le operazioni di intercettazione fossero state disposte in via
d’urgenza sull’utenza cellulare in uso al Targia, autorizzando le apparecchiature

chiusura delle operazioni captative datato 2/10/2007 attestava che le operazioni
di ascolto e registrazione erano state eseguite presso i locali della caserma di
Bagheria, con conseguente violazione, come detto delle norme processuali
richiamate; sarebbe assente, peraltro, si censura, la motivazione del decreto del
PM in ordine alle ragioni dell’insufficienza degli impianti installati presso la
Procura, insufficienza che aveva determinato l’uso di impianti esterni, essendosi
limitato il PM a riportare una clausola di stile; né, si aggiunge, la lacuna
motivazionale potrebbe essere colmata dalla documentazione postuma prodotta
dal PM nel corso del procedimento (il riferimento è alla nota 4/01/2010 dei CC di
Bagheria che attesterebbe l’esecuzione di attività intercettativa eseguita con la
procedura della rernotizzazione, nonché alle già richiamate certificazioni
dell’Ufficio intercettazioni della Procura di Palermo 15/10/2010 e 28/10/2010), in
quanto documentazione postuma, non idonea a sanare i vizi emergenti dai
decreti originari; non sarebbe, infatti, consentito al giudice di colmare lacune
motivazionali sulla base di atti processuali diversi dal decreto del PM e da quelli
che lo integrano per relationem, donde l’assenza di motivazione in ordine alle
ragioni di insufficienza degli impianti installati presso la Procura determinerebbe
la violazione delle richiamate norme processuali; da qui, dunque, la nullità della
sentenza impugnata che su tali esiti inutilizzabili si fonda.

6. Con il ricorso FRANGIAMORE, proposto personalmente dal ricorrente, viene
dedotto un secondo motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente
necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

6.1. Deduce, con tale secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c) ed e)
c.p.p., in relazione agli artt. 125, 192 c.p.p. e 73, d.P.R. n. 309 del 1990.
La censura investe l’impugnata sentenza per aver ritenuto il ricorrente
responsabile del delitto di cui all’art. 73, T.U. Stup. omettendo, al fine di
interpretare correttamente il contenuto delle conversazioni, di esaminare tutte le
emergenze probatorie; in particolare, la Corte avrebbe dovuto prendere in
esame quegli elementi indicati nei motivi di appello che escludevano che lo
14

della AREA S.p.A. stante l’insufficienza degli apparati della Procura, il verbale di

stupefacente detenuto fosse finalizzato allo spaccio, in quanto in realtà destinato
ad uso esclusivamente personale (il riferimento è, nel ricorso, alla deposizione
del Magg. Tocci che attesterebbe l’assenza di contatti tra il ricorrente e quei
soggetti ritenuti debitori o fornitori del Targia sia l’assoluta mancanza di
accertamenti in ordine ad attività di cessione di stupefacenti; l’assenza di
contatti telefonici con terzi soggetti da parte del ricorrente, al di fuori di quelli

spiegazioni in ordine alla natura dei rapporti leciti con il Targia ed in ordine alla
sostanza acquistata e menzionata nel corso delle operazioni di intercettazione,
destinata ad uso esclusivamente personale; il riscontro alle affermazioni del
ricorrente, attraverso le deposizioni dei testi a difesa, attestante lo stato di
tossicodipendenza); i giudici d’appello, diversamente, si sarebbero limitati ad
affermare che la versione del ricorrente non sarebbe credibile, senza alcuna
motivazione, limitandosi peraltro a riportare le intercettazioni ed a attribuire alle
stesse l’interpretazione fornita dal PM, il tutto senza esplicitare le ragioni per cui
questi non fosse credibile, e perché non fossero attendibili le prove contrarie
favorevoli all’imputato, dimostrative invece che la sostanza menzionata nelle
conversazioni intercettate era destinata ad uso esclusivamente personale; infine,
la motivazione sarebbe illogica in quanto trae dall’assoluzione per il delitto
associative la prova della responsabilità per il delitto di cui all’art. 73, T.U.
Stup., ragionamento del tutto erroneo ed in violazione di legge, soprattutto in
quanto i giudici non avrebbero potuto trarre elementi dimostrativi dalla
destinazione a terzi dello stupefacente sulla base del contenuto delle sole
conversazioni, a fronte di dati probatori, quali lo stato di tossicodipendenza e
l’assenza di rapporti con creditori/debitori del Targia, che deponevano per la
destinazione ad uso esclusivamente personale dello stupefacente.

7. Con atto depositato presso la Cancelleria di questa Corte in data 2/02/2015, il
difensore fiduciario dei ricorrenti INZERRA, TARGIA e FLAUTO ha proposto motivi
nuovi, in particolare deducendo il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c) ed e), cod.
proc. pen., in relazione agli artt. 135, 136, 191, 266, 267, 268, 271 e 609,
comma 2, c.p.p.
In particolare, richiamando quanto già oggetto del primo motivo di ricorso
comune a tutti í ricorrenti, avente ad oggetto la richiesta declaratoria di
inutilizzabilità delle operazioni captative, i ricorrenti evidenziano come la
questione sia stata decisa con sentenza n. 40209/2014 di questa stessa Sezione,
dep. 29/09/2014 (allegata ai motivi nuovi), accogliendo la deduzione difensiva
afferente all’inutilizzabilità delle stesse intercettazioni telefoniche, poste dai
15

giustificati con il Targia; l’esame del Frangiamore, che avrebbe fornito

giudici di merito a fondamento del giudizio di colpevolezza degli imputati Militello
Vincenzo ed altri 14, separatamente giudicati, annullando con rinvio la sentenza
di appello nei confronti dei predetti per nuovo giudizio di merito che prescinda
dalla valutazione e dall’utilizzabilità delle predette captazioni telefoniche.

8.

I ricorsi sono fondati per le ragioni di seguito esposte, conseguendone

l’annullamento dell’impugnata sentenza, con rinvio ad altra Sezione della Corte
d’appello di Palermo.

9. Ed invero, assume valenza assorbente dei plurimi profili di doglianza esposti,
il rilievo — contenuto nell’atto depositato in data 2/02/2015 dai ricorrenti
INZERRA, TARGIA e FLAUTO i quali hanno evidenziato come la questione
processuale oggetto di comune doglianza sia stata decisa con sentenza n.
40209/2014 di questa stessa Sezione, dep. 29/09/2014 (allegata ai motivi
nuovi), accogliendo la deduzione difensiva afferente all’inutílizzabilità delle stesse
intercettazioni telefoniche, poste dai giudici di merito a fondamento del giudizio
di colpevolezza degli imputati Militello Vincenzo ed altri 14, separatamente
giudicati, annullando con rinvio la sentenza di appello nei confronti dei predetti
per nuovo giudizio di merito che prescinda dalla valutazione e dall’utilizzabilità
delle predette captazioni telefoniche.

10.

Come emerge dalla lettura della motivazione dell’impugnata sentenza, la

Corte d’appello – sostanzialmente condividendo la motivazione della sentenza di
primo grado sul punto – ha ritenuto di superare l’eccezione di inutilizzabilità delle
intercettazioni prospettata dalle difese, evidenziando che il luogo ove sono
avvenute le operazioni di prima registrazione è individuato in maniera certa nel
server installato presso la Procura della Repubblica di Palermo, rimanendo
demandata agli uffici di polizia giudiziaria la sola fase di ascolto delle
conversazioni. La stessa Corte sottolinea che il pubblico ministero ha disposto, in
via d’urgenza, l’intercettazione di conversazioni telefoniche relative ad utenze
cellulari in uso agli imputati mediante l’utilizzazione di attrezzature fornite alla
Procura da una società privata, nel contempo delegando per l’esecuzione ufficiali
di polizia giudiziaria e autorizzandoli ad utilizzare tali attrezzature installati
presso la sala di ascolto della Procura. Nondimeno, all’esito delle operazioni di
intercettazione, i carabinieri delegati all’ascolto hanno redatto verbali di chiusura
delle operazioni attestanti testualmente che le operazioni di ascolto e
16

CONSIDERATO IN DIRITTO

registrazione non erano avvenute presso la Procura, ma presso la caserma dei
carabinieri. Vi erano state note successive – emesse a richiesta del pubblico
ministero dal comandante della compagnia dei Carabinieri e dalla società privata
fornitrice delle attrezzature ad oltre due anni di distanza dalla chiusura delle
operazioni di intercettazione – con le quali veniva puntualizzato che presso la
caserma dei carabinieri si erano svolte esclusivamente le operazioni di ascolto,

In particolare, nell’attestazione del 29 dicembre 2009 si affermava che la
registrazione dell’intercettazione telefonica aveva avuto luogo presso il server
installato dalla società privata in un luogo nella disponibilità della Procura della
Repubblica, mentre il solo ascolto remotizzato era stato eseguito presso la
caserma, con la precisazione che quanto indicato nel verbale di fine servizio delle
attività tecniche in argomento è da intendersi un mero errore. La Corte d’appello
rileva che tali note, cui attribuisce il valore di atti fidefacenti, avevano innescato
una situazione di incertezza in ordine alla ritualità delle avvenute intercettazioni
con riguardo alla fase di registrazione, per l’evidente contrasto con i verbali di
fine operazioni, anch’essi atti fidefacenti. Tale contrasto non può dirsi fugato
neppure per effetto delle lettere di inizio del servizio, ove si rappresentava che le
operazioni di ascolto sarebbero state eseguite presso il comando dei carabinieri,
trattandosi di lettere che si riferivano ad attività che dovevano essere ancora
svolte e non già in corso e che, dunque, lasciavano impregiudicata la questione
del luogo in cui le registrazioni si erano effettivamente poi svolte. La Corte
d’appello ritiene, però, che la situazione di incertezza sia stata definitivamente
risolta alla luce delle certificazioni del 15 e del 28 ottobre 2010, provenienti dal
funzionario responsabile dell’ufficio intercettazioni presso la Procura della
Repubblica, il quale – dopo aver premesso che le operazioni di intercettazione
relative ai decreti in contestazione erano avvenute esclusivamente presso il
server della procura della Repubblica, per ciascun decreto e per ciascuna utenza
telefonica sottoposta ad intercettazione – ha estratto e certificato la data e
l’orario della registrazione in originale delle conversazioni. Secondo la Corte
d’appello, tali certificazioni, sono idonee ad individuare con certezza il luogo di
prima registrazione delle intercettazioni, perché il funzionario responsabile
dell’ufficio intercettazione ha rinvenuto nel server della Procura i dati con
riferimento puntuale ai giorni e agli orari di inizio delle registrazioni. La
circostanza che presso la caserma dei carabinieri si sarebbero svolte solo le
operazioni di ascolto remotizzato sarebbe confermata, inoltre, dal fatto che i
verbali redatti indicavano, per l’inizio delle operazioni, gli stessi orari e gli stessi
giorni delle registrazioni nel server della Procura.
17

ma non anche quelle di registrazione.

11. Tali conclusioni non sono condivisibili.
La Corte territoriale non considera, infatti, due elementi fondamentali: in primo
luogo è pacifico che manchino in atti i verbali di inizio delle operazioni di
intercettazione, dai quali sarebbero dovute risultare le modalità e i luoghi delle
intercettazioni stesse; in secondo luogo, il dato risultante dai verbali di fine

compagnia dei Carabinieri; sia con quanto attestato dalla società che ha fornito
gli impianti alla Procura della Repubblica; sia con quanto, infine, affermato dal
funzionario responsabile del servizio intercettazioni della stessa Procura.
Non si pone qui il problema della possibilità di un ascolto remoto delle
registrazioni effettuate, pacificamente ammissibile secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis. Sez. U, n. 36359 del 26/06/2008 dep. 23/09/2008, Carli, Rv. 240395), la quale ha chiarito che non è necessario
che nei locali della Procura della Repubblica vengano svolte anche le attività di
ascolto, verbalizzazione ed eventuale riproduzione dei dati registrati presso i
locali della procura della Repubblica, perché tali operazioni possono essere
eseguite in remoto presso gli uffici della polizia giudiziaria.
La questione che invece si pone – e che emerge come tale sia dalla motivazione
della sentenza impugnata sia dalla prospettazione dei ricorrenti – è se, in
mancanza dei verbali di inizio delle operazioni di intercettazione e in presenza di
dati equivoci, formatisi in larga parte successivamente alla chiusura delle
operazioni di intercettazione, vi sia sufficiente certezza, ai fini dell’applicazione
dell’art. 268 c.p.p., comma 3, primo periodo, del fatto che le operazioni di
registrazione siano state compiute per mezzo di impianti installati presso la
Procura della Repubblica. Si tratta – come già anticipato – di una questione
evidentemente diversa e più ampia rispetto alla questione della motivazione dei
decreti che autorizzano il compimento delle operazioni mediante impianti esterni
rispetto a quelli della Procura della Repubblica; con la conseguenza che non
trova applicazione – nel caso in esame – il richiamato orientamento di questa
Corte, secondo cui i profili della motivazione dei decreti autorizzativi al
compimento delle intercettazioni in esterna sono riconducibili alla categoria
dell’inutilizzabilità fisiologica e, dunque, non possono essere fatti valere
dall’imputato che abbia scelto il rito abbreviato. Nel caso qui in esame – lo si
ripete – si controverte, infatti, non solo dei presupposti per lo svolgimento delle
operazioni di intercettazione, ma della stessa certezza delle modalità
effettivamente seguite per tali operazioni. Si tratta di un aspetto che, attenendo

18

operazioni risulta in contrasto: sia con quanto attestato dal comandante della

alla genuinità del procedimento formativo della prova, appare riconducibile alla
categoria dell’inutilizzabilità cosiddetta “patologica”.

12. La questione è già stata affrontata da questa Corte, in sede cautelare, in
relazione alla presente vicenda, anche con riferimento alle posizioni di soggetti
coimputati diversi dagli odierni ricorrenti.

novembre 2010, nn. 10951/2011 e 10952/2011 (allegate ai ricorsi TARGIA ed
INZERRA), si è evidenziato che agli atti non era allegato il verbale di inizio
operazioni, al quale non può ritenersi equivalente la “comunicazione di inizio del
servizio” effettivamente prodotta dal pubblico ministero, perché quest’ultima è
riferita ad attività da porre in essere e non già in atto, cosicché lascia
impregiudicata la questione relativa all’uso della registrazione e fa permanere
l’incertezza costituita dalla contraddizione tra le risultanze dei verbali di chiusura
delle operazioni e le note dei carabinieri e della società fornitrice degli impianti,
successive di due anni, con le quali era stato precisato che presso la caserma
erano state effettuate solo le operazioni di ascolto rennotizzato. Con le sentenze
pronunciate nel procedimento cautelare relativo alle posizioni di Mannino
Antonino (sez. 5, 24 novembre 2010, n. 9643/2011) e di Citarelli Placido (sez. 5,
24 novembre 2010, n. 9644/2011), si è inoltre precisato che i verbali di
trascrizione delle intercettazioni presenti in atti fanno espresso riferimento ad
un’attività di “riascolto e trascrizione” delle conversazioni, il che, se colloca detta
attività presso gli uffici della polizia giudiziaria, non per questo consente di
affermare con sicurezza che le precedenti operazioni di registrazione ed ascolto
si siano svolte nella diversa sede dei locali a disposizione della Procura della
Repubblica; anche detti atti non risultano dunque risolutivi, nella segnalata
situazione di contraddittorietà documentale, rispetto a quella che ancora una
volta si appalesa come l’insuperabile carenza del dato attestativo tipico
rappresentato dai verbali di inizio delle operazioni.
A queste già decisive considerazioni, vi è da aggiungere che, in diverse richieste
di proroga delle intercettazioni, particolarmente significative in quanto emesse
nel pieno svolgimento dell’attività, è invero presente un riferimento generale ed
indifferenziato all’esecuzione delle operazioni negli uffici del Comando dei
Carabinieri; e in una richiesta di proroga nei confronti del Mannino (in data 22
settembre 2007) compare addirittura un testuale accenno alla “registrazione ed
al riascolto” di conversazioni quali operazioni eseguite presso il suddetto
Comando.

19

In particolare, con le sentenze sez. 1, 19 aprile 2011, n. 35120, sez. 5, 24

13.

Deve in conclusione affermarsi che una sanatoria postuma dei vizi delle

intercettazioni non solo non è possibile, per la mancanza dei verbali di inizio delle
operazioni, ma non si è comunque in concreto verificata, in presenza di elementi
contraddittori circa le modalità di svolgimento di dette operazioni; con la
conseguenza che la sentenza deve essere annullata con rinvio, sul punto. Nè può
ritenersi sufficiente, in tal senso, l’attestazione proveniente dal funzionario

direttamente ascrivibile al magistrato del pubblico ministero o alla polizia
giudiziaria, irritualmente intervenuto dopo anni dal compimento degli atti e in
corso di giudizio.
Va dunque rilevata l’inutilizzabilità delle intercettazioni affette dalle ragioni di
inutilizzabilità appena evidenziate.

14.

Come costantemente affermato da questa Corte, l’effetto estensivo

dell’impugnazione, in caso di accoglimento dì un motivo di ricorso per cassazione
non esclusivamente personale, giova anche agli altri imputati, ivi compresi coloro
che non hanno proposto ricorso, che hanno concordato la pena in appello, che
hanno proposto un ricorso originariamente inammissibile o che al ricorso hanno
successivamente rinunciato (Sez. 1, n. 2940 del 17/10/2013 – dep. 22/01/2014,
Del Re, Rv. 258393). Si è inoltre precisato che l’effetto estensivo
dell’impugnazione, in caso di accoglimento di un motivo di ricorso per cassazione
non esclusivamente personale, giova anche nei confronti del coimputato che ha
proposto ricorso per motivi diversi da quelli accolti, con conseguente applicabilità
della disciplina prevista dall’art. 627 c.p.p., comma 5, (Sez. 6, n. 46202 del
02/10/2013 – dep. 18/11/2013, Serio, Rv. 258155).
Tali principi trovano applicazione proprio in relazione ai motivi di ricorso relativi
all’oggettiva inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni telefoniche, su cui la
sentenza impugnata ha fondato il giudizio di responsabilità, trattandosi – con
tutta evidenza – di motivi che devono essere considerati non esclusivamente
personali (Sez. U, n. 30347 del 12/07/2007 – dep. 26/07/2007, Aguneche ed
altri, Rv. 236756), perché attinenti ad un dato decisivo nell’ambito del
complessivo quadro probatorio (cfr., per un’applicazione dell’effetto estensivo
nell’ambito della presente vicenda, ma con riferimento a coimputati diversi dai
presenti ricorrenti nella fase cautelare, sez. 5, 24 novembre 2010, n.
10952/2011).

15.

L’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di tutti gli imputati

odierni ricorrenti, deve essere pronunciato con assorbimento, allo stato, degli
20

addetto al servizio presso la Procura della Repubblica, trattandosi di un atto non

altri motivi di ricorso proposti relativamente alla responsabilità penale o al
trattamento sanzionatorio (nonché a quelli di natura processuale, quali indicati ai
precedenti §§ 2.8 e 2.9, la cui soluzione presuppone il previo esperimento della
c.d. prova di resistenza alla dichiarata inutilizzabilità degli esiti intercettativi nei
termini di cui sopra), e va disposto – come anticipato – con rinvio ad altra sezione
della Corte d’appello di PALERMO. È necessario, difatti, riesaminare nella

utilmente utilizzabili per la eventuale affermazione di responsabilità (la cd.
“prova di resistenza”).
Tale ricognizione, propriamente di merito e dunque preclusa a questa Corte
(posto che al giudice di legittimità in questi casi spetta unicamente verificare,
senza possibilità di accesso agli atti, semplicemente attraverso il raffronto tra gli
esiti intercettativi inutilizzabili e il provvedimento impugnato, se l’inutilizzabilità
dichiarata sia idonea a inficiare la decisione di merito, giudizio affermativo nel
caso in esame), avrà per oggetto – sul presupposto dell’inutilizzabilità delle
intercettazioni telefoniche di cui sopra – sia l’idoneità del restante quadro
probatorio a sostenere l’accertamento della responsabilità penale per i diversi
reati contestati, sia la verifica di tale idoneità con riferimento alle singole
posizioni dei ricorrenti, rispetto alle quali le intercettazioni in questione
potrebbero avere, in ipotesi, un rilievo nullo o del tutto marginale.

16. Il disposto annullamento, pur se con rinvio, impone al giudice di legittimità
di dichiarare la cessazione dell’efficacia della misura cautelare degli arresti
domiciliari in atto applicata al solo ricorrente TARGIA; ed invero, tenuto del
termine massimo di custodia di cui all’art. 303, comma quarto, lett. b), cod.
proc. pen. in relazione al reato di cui all’art. 74, comma sesto, T.U. Stup. per cui
è intervenuta condanna (termine massimo stabilito in anni quattro, tenuto conto
che per il reato di cui all’art. 74, comma sesto, che rinvia all’art. 416, comma
primo, cod. pen., la pena edittale massima è di anni 7), la misura cautelare degli
arresti domiciliari cesserà i suoi effetti a far data dal 25/02/2015.
Segue, pertanto, la comunicazione al PG presso questa Corte per quanto di
competenza ai sensi dell’art. 626 cod. proc. pen.

P.Q.M.

La Corte annulla con rinvio la sentenza impugnata ad altra Sezione della Corte
d’appello di PALERMO.

21

competente sede di merito se sussistano o meno altri e diversi elementi di prova

Dispone la cessazione della misura cautelare in atto applicata a TARGIA
Domenico a far data dal 25 febbraio 2015, mandando alla Cancelleria per gli
adempimenti di cui all’art. 626 c.p.p.

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 24 febbraio 2015

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