Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19540 del 20/03/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19540 Anno 2014
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DELLA ROCCA STEFANO N. IL 16/05/1975
avverso la sentenza n. 500/2013 CORTE APPELLO di LECCE, del
26/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. c r -f-0A.,,,che ha concluso per (

Udito, per la parte civile, l’Avv Pek.,e, , r1m51_
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 20/03/2014

•*,
o

Propone ricorso per cassazione Della Rocca Stefano, avverso la sentenza della Corte d’appello
di Lecce, in data 26 giugno 2013, con la quale è stata confermata quella di primo grado, di
condanna -all’esito di giudizio abbreviato- in ordine al reato di lesioni personali volontarie
aggravate nonché alla contravvenzione di porto ingiustificato di coltelli, fatti commessi il 28
gennaio 2012, in danno di Campeggio Giuseppe.
Costui, secondo l’ipotesi accusatoria -che originariamente era stata rubricata come tentativo di
omicidio- aveva sferrato, nei confronti della persona offesa, numerose pugnalate, nel corso di
una lite, attingendola alla testa e alla nuca e cagionandole lesioni giudicate guaribili in giorni
30.
Deduce
1) l’inosservanza di norma processuale, non meglio precisata.
Ad avviso del difensore, la Corte d’appello avrebbe ingiustamente disatteso la richiesta
di definizione del procedimento nelle forme previste dagli articoli del codice di rito,
indicati al libro sesto: e cioè o nella forma del patteggiamento o in quella del rito
abbreviato.
Gli articoli di legge, secondo la prospettazione del ricorrente, erano stati da esso
menzionati in modo generico e il giudice non aveva il potere di scegliere
autonomamente in quale forma di rito speciale procedere.
In realtà il ricorrente sembra sostenere che l’accordo con il Pubblico ministero, per la
pena patteggiata, recava una data antecedente a quella della instaurazione del rito
abbreviato e doveva quindi prevalere su quest’ultimo.
Specifica, in conclusione, che il solo interesse a tale eccezione risiede nel fine,
perseguito, di vedere riconosciuta la pena nella misura concordata col PM, inferiore di
sei mesi rispetto a quella in concreto irrogata all’esito del giudizio abbreviato;
2) il vizio della motivazione in riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche.
La Corte d’appello si sarebbe determinata in senso negativo, senza motivazione, se non
con una frase di stile.
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
In ordine al primo motivo di ricorso, la Corte d’appello, adita a suo tempo con doglianze
analoghe, aveva già fornito una risposta del tutto coerente che deve essere qui ribadita, anche
in considerazione del fatto che le circostanze attestate dal giudice a quo non risultano
contestate dal ricorrente.
La Corte d’appello ha, cioè, verificato che, a seguito della notificazione del decreto di giudizio
immediato, il difensore dell’imputato, in data 23 maggio 2012, ha chiesto la definizione del
processo – previa derubricazione del delitto contestato- col rito speciale di cui agli articoli 438 e
seguenti cpp.
Era stata perciò fissata la trattazione del processo, con rito abbreviato, per l’udienza del 17
settembre 2012, alla quale nulla risulta eccepito.
Soltanto alla successiva udienza del 10 ottobre 2012, veniva depositata la richiesta di
applicazione di pena concordata ai sensi dell’articolo 444 c.p. p., recante il consenso scritto del
pubblico ministero.
Se ne deve inferire, come osservato dal giudice a quo, che la richiesta di giudizio speciale
avanzata a seguito della notifica del decreto di giudizio immediato, è stata interpretata
correttamente e legittimamente dal Gip, tenuto conto sia dell’articolo di legge espressamente
menzionato nella richiesta dell’imputato (articolo 438 cpp che è quello concernente il rito

-L

Fatto e diritto

abbreviato), sia del fatto che la richiesta di rito speciale non conteneva l’indicazione della pena

procedente.
In tale situazione deve ritenersi correttamente instaurato il rito abbreviato con riferimento al
quale la giurisprudenza, nella sua totalità ed anche.,Sezioni unite, ha riconosciuto che, una
volta instaurato, non è convertibile in quello del patteggiamento(Sez. 1, sentenza n. 15451 del
25/03/2010 Cc. (dep. 22/04/2010 ) Rv. 246939; conformi: N. 11945 del 1999 Rv. 214855, N.
32234 del 2007 Rv. 237023; Sezioni Unite: N. 12752 del 1994 Rv. 199397).
Infine è destituito di fondamento anche il secondo motivo di ricorso.
Le attenuanti generiche non costituiscono un diritto dell’imputato e tantomeno la loro
concessione è un dovere del giudice dell’appello.
Si tratta, al contrario, di una fattispecie prevista dal legislatore per attenuare il trattamento
sanzionatorio in presenza di una delle condizioni, ricavabili dall’articolo 133cp, ma non
esplicitamente normate nel codice o in altre fattispecie speciali.
Ne consegue che soltanto l’emergere di un elemento positivo di valutazione del reato, nei suoi
presupposti soggettivi e oggettivi, giustifica il riconoscimento delle dette circostanze, anche di
ufficio, ad opera del giudice dell’appello, mentre, per converso, in assenza di tale elemento,
non si pone neppure il dovere del giudice di motivare il diniego.
Nel caso di specie la difesa lamenta il vizio della motivazione in ordine al diniego delle
circostanze attenuanti generiche senza considerare che, non solo tale concessione non è stata
neppure richiesta dal difensore nei motivi d’appello o nella discussione finale , ma che, per di
più, non è emerso alcun elemento valorizzabile in tal senso: elemento che, tanto meno,
l’estensore del ricorso è in grado di indicare nell’atto d’impugnazione dinanzi a questa Corte,
così incorrendo nella violazione del disposto dell’articolo 581 c.p. p. che pretende la
illustrazione non solo delle ragioni di diritto ma anche delle circostanze di fatto a sostegno della
doglianza proposta.

Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cpp, la condanna del ricorrente al versamento, in
favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro 1000.
In base al principio della soccombenza, l’imputato è tento a sopportare le spese sostenute nel
presente grado di giudizio, dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di euro 1000, nonché alla
rifusione delle spese della parte civile, liquidate in complessivi euro 1800 oltre accessori come
per legge.
Così deciso in Roma il 20 marzo 2014

DEPOSITATA

ELLERIA

concordata col pubblico ministero recante, altresì, il consenso da quest’ultimo prestato.
D’altra parte, è stato correttamente posto in evidenza che, nel termine di legge previsto, a
pena di decadenza, dall’articolo 458 cpp, per la commutazione del giudizio immediato in
abbreviato, non risulta contemporaneamente anche avanzata la richiesta di patteggiamento
che, invece, è stata depositata alla seconda udienza di rinvio. E che non ha, di per sé, valenza
costitutiva di un diritto dell’imputato ma assume valenza dichiarativa nel momento in cui esce
dalla sfera di riservatezza dello stesso e viene utilizzata mediante deposito formale al giudice

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