Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19533 del 14/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19533 Anno 2018
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: COSTANZO ANGELO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROFETA SALVATORE nato il 04/09/1945 a PALERMO

avverso l’ordinanza del 14/12/2017 del TRIB. LIBERTA di PALERMO
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO COSTANZO;
sentite le conclusioni del PG SIMONE PERELLI che conclude per l’inammissibilita’
Il difensore presente l’avvocato PETRONIO SALVATORE del foro di PALERMO
conclude riportandosi ai motivi di ricorso.

Data Udienza: 14/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 15/12/2017-13/01/2018, il Tribunale di Palermo ha
rigettato la richiesta di riesame presentata da Salvatore Profeta contro
l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo
gli ha applicato la custodia cautelare in carcere per reati, tentati o consumati, di
estorsione aggravata anche ex art. 7 legge 12 luglio 1991 n. 203 (capi 3, 4, 9) e
per concorso in esercizio abusivo di attività di gioco a scommessa (capo 10).

luogo si deduce vizio della motivazione sulla sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza perché tratti da conversazioni dalle quali si desume che Profeta non
diede consigli agli associati ma solo ai suoi più stretti familiari e perché il
Tribunale si è limitato a richiamare sul punto l’ordinanza genetica, in particolare:
le condotte relative al capo 3) sono solo espressioni di intenzioni generiche;
quelle relative al capo 4) esprimono un sentimento di offesa per il diniego di un
sconto nell’acquisto di due sportelli di auto usati che Profeta si riprometteva
comunque di pagare; quelle relative al capo 9) non hanno contenuto estorsivo
ma riguardano una intermediazione per il recupero di un credito; dai contenuti
delle intercettazioni relative al capo 10) emerge solo il ruolo di consigliere
informale della famiglia Guadagna, già oggetto di precedente ordinanza di
custodia cautelare relativa al reato ex art. 416 bis cod. pen.. In secondo luogo si
deduce vizio di motivazione sulla sussistenza dell’aggravante ex art. 7 legge n.
203/1991, applicato solo sulla base dei precedenti criminali dell’indagato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
L’ordinanza impugnata dà distintamente conto dei dati indiziari relativi ai
reati contestati e specifica come dai contenuti di conversazioni intercettate risulti
che Profeta affiancasse il sottocapo del mandamento mafioso di Santa Maria di
Gesù -Villagrazia (pag. 5) inoltre, si sottolinea che la interpretazione del
linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito – che si sottrae alla valutazione del
sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri
della logica e delle massime di esperienza (ex plurimis: Sez. 6, n. 46301 del
30/10/2013, Rv. 258164; Sez. 6, n. 5501 del 12/12/1995, dep. 1996, Rv.
205651). Risulta, però, che i motivi di ricorso concernono il merito del
2

2. Nel ricorso di Profeta si chiede l’annullamento dell’ordinanza. In primo

f

provvedimento senza peraltro impegnarsi, in termini che non siano generici,
nella confutazione degli argomenti che lo sorreggono.

2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato perché si limita a
richiamare genericamente alcuni dei criteri concernenti l’applicazione
dell’aggravante ex art. 7 legge 203/1991, trascurando che nella fattispecie essa
è stata contestata tenendo conto della “posizione di stratega assunta da Profeta
Salvatore quale anziano di caratura mafiosa al fine di mantenere gli equilibri
all’interno della famiglia mafiosa”

(pag. 10) basandosi però, sulle specifiche

circostanze emergenti dai contenuti delle conversazioni intercettate (in relazione
alle quali vale quanto sopra considerato sub 1) e non solo sotto il profilo
dell’agevolazione della associazione mafiosa ma anche per l’utilizzo del metodo
mafioso.

3. Dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso deriva, ex art. 616 cod.
proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma che
risulta congruo determinare in euro duemila.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle
ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 14/03/2018

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