Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19533 del 06/05/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19533 Anno 2014
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
D’URSO Giovanni, nato a Catania il 021412/1955,
avverso l’ordinanza del 14/01/2014 della Corte di Appello di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Giacomo Paoloni;
lette le conclusioni del pubblico ministero, in persona del sostituto P.G. Luigi
Riello, che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio degli atti alla
Corte di Appello di Catania per nuovo esame.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il ministero dei difensori l’imputato Giovanni D’Urso, tratto a giudizio per
rispondere dei reati di cui agli artt. 416 bis c.p. e 12 quinquies L. 356/92 in un processo
cumulativo pendente in fase di giudizio dibattimentale di primo grado davanti al Tribunale
di Catania, impugna per cassazione l’ordinanza con cui la Corte di Appello etnea ha
dichiarato inammissibile, ai sensi degli artt. 38 e 41 co. 1 c.p.p., per inosservanza dei
termini di legge, la dichiarazione di ricusazione dell’intero collegio giudicante del
Tribunale di Catania proposta dal D’Urso.
Ricusazione indotta dall’ordinanza con cui il Tribunale il 12.12.2013 ha rigettato
l’istanza di revoca del sequestro di beni dell’imputato ) sottoposti a vincolo preventivo
finalizzato alla confisca con decreto del g.i.p. del 22.10.2010. Ad avviso del ricusante
imputato i giudici del Tribunale, evocando fonti di prova valorizzate dall’ordinanza

Data Udienza: 06/05/2014

cautelare personale emessa a suo carico dal g.i.p. lo stesso 22.10.2010 (benché la
Cassazione abbia per tre volte annullato le ordinanze confermative della misura
custodiale emesse dal Tribunale del riesame di Catania: da ultimo con sentenza di
annullamento senza rinvio del 19.3.2013), hanno impropriamente anticipato un giudizio
di colpevolezza di esso D’Urso. Il Tribunale, infatti, ha motivato -si sostiene nella
dichiarazione ricusatoria- la decisione reiettiva del dissequestro con espliciti riferimenti,
ben prima della conclusione dell’istruzione dibattimentale, alla ritenuta penale
responsabilità dell’imputato, omettendo ogni analisi sulla legittima provenienza dei beni
dell’imputato sottoposti a sequestro e costituente tema centrale della richiesta di revoca

2.

La Corte distrettuale ha dichiarato inammissibile il proposto incidente

endoprocessuale, senza valutarne il merito censorio, evidenziando in limine la tardività
della dichiarazione di ricusazione a firma dell’imputato, in quanto formalizzata oltre il
termine di decadenza di tre giorni dall’acquisita conoscenza della causa di ricusazione
previsto dall’art. 38 co. 2 c.p.p.; causa integrata dal provvedimento decisorio ipotizzato
come “pregiudicante” emesso dal Tribunale al di fuori dell’udienza dibattimentale.
L’ordinanza di rigetto della richiesta di dissequestro dei beni del D’Urso, adottata il
12.12.2013, è stata depositata nella cancelleria del Tribunale il 19.12.2013. A tale data la
Corte etnea connette la conoscenza della causa di ricusazione da parte dell’imputato.
Ciò perché deve ritenersi, da un lato, che i difensori, cui l’ordinanza del Tribunale
è stata comunicata a mezzo fax lo stesso 19.12.2013, abbiano subito comunicato al
D’Urso il provvedimento medesimo e, da un altro lato, che il D’Urso ne abbia acquisito
reale piena conoscenza, avendo sottoscritto la dichiarazione di ricusazione, in cui mostra
di avere una compiuta cognizione dell’ordinanza; di tal che, “in mancanza di elementi di
segno contrario, deve presumersi che tale conoscenza risalga alla data di notifica dell’atto
ai difensori”. La dichiarazione di ricusazione è stata presentata (depositata in cancelleria)
solo il 10.1.2014, ben oltre il termine perentorio di cui all’art. 38 co. 2 c.p.p.
3. Con l’odierno ricorso i difensori del D’Urso denunciano violazione degli artt. 38,
41 e 322 bis c.p.p. ed illogicità manifesta della motivazione dell’ordinanza.
Erroneamente la Corte d’Appello ha giudicato tardiva la dichiarazione di
ricusazione del collegio giudicante del Tribunale, muovendo dall’apodittico assunto che il
D’Urso abbia acquisito effettiva conoscenza dell’ordinanza integrante la causa di
ricusazione ex art. 37 -co. 1, lett. b)- c.p.p. fin dalla data della sua comunicazione ai soli
difensori dell’imputato, avvenuta a mezzo fax il giorno stesso del deposito della decisione
di rigetto della revoca del sequestro dei beni (cioè il 19.12.2013).
Ora, a prescindere dalla dubbia legittimità (quale “notifica” alle parti private: art.
41 co. 4 c.p.p.) della comunicazione del provvedimento reiettivo del Tribunale con lo
strumento del fax (di cui si è avvalsa la cancelleria in assenza di specifica indicazione
dell’autorità giudiziaria procedente ex art. 148 co. 2-bis c.p.p.), l’assunto della Corte di

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della misura cautelare reale.

Appello secondo cui il D’Urso sarebbe stato reso prontamente edotto dell’ordinanza del
Tribunale dai suoi difensori, palesando comunque di conoscerla per aver sottoscritto la
dichiarazione di ricusazione, è incongruo e privo di logica, poiché introduce una
surrettizia categoria di comunicazione/notificazione di un atto giudiziario “per
presunzione”, che è estranea all’ordinamento processuale. E’ soltanto la notifica dell’atto,
nel rispetto dei suoi connotati formali e modali, che può fondare una presunzione di
(legale) conoscenza dell’atto. Senza sottacere che la Corte si astiene dal precisare
quando in realtà dovrebbe supporsi che i difensori abbiano comunicato al D’Urso
l’ordinanza emessa dal Tribunale il 12.12./19.12.2013, è giuridicamente errata la tesi

possibile causa di ricusazione e reso al di fuori dell’udienza dibattimentale. Per la
semplice ragione che il D’Urso aveva diritto a ricevere la notifica dell’ordinanza del
Tribunale ai sensi degli artt. 310 e 322 bis c.p.p. ai fini della sua eventuale impugnazione
con appello innanzi al Tribunale distrettuale di Catania previsto dall’art. 309 co. 7 c.p.p.
Soltanto la notifica dell’ordinanza di rigetto della richiesta di revoca del sequestro, non
avvenuta (o non ancora avvenuta) alla data della proposta ricusazione (10.1.2014)
avrebbe potuto consentire la sicura e oggettiva individuazione dell’inizio del termine
perentorio per la proposizione dell’incidente di ricusazione. Ne discende, quindi, la
perfetta tempestività dell’introdotto incidente, che la Corte di Appello avrebbe dovuto
decidere nel merito delle doglianze delineate dall’imputato ricusante.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso di Giovanni D’Urso è fondato e l’ordinanza impugnata va annullata
senza rinvio con contestuale restituzione degli atti alla Corte territoriale perché decida
sulla tempestiva dichiarazione di ricusazione prospettata dal ricorrente.
2. Il giudizio di tardiva presentazione della dichiarazione di ricusazione del
ricorrente imputato espresso dalla Corte di Appello è giuridicamente erroneo, perché
equipara la conoscenza reale della causa di ricusazione da parte del soggetto processuale
interessato, enunciata con la locuzione “divenuta nota” impiegata dall’art. 38 co. 2 c.p.p.,
in termini di mera virtuale conoscibilità della causa pregiudicante e non quale necessaria
effettiva e diretta conoscenza di essa.
Come osserva lo stesso P.G. in sede nelle sue requisitorie, è ben verosimile che il
D’Urso abbia avuto modo di prendere conoscenza del provvedimento del Tribunale,
sebbene non notificato anche a lui, ma ciò non comporta che -applicando i surrettizi
parametri valutativi di siffatta conoscenza fatti propri dalla Corte etnea- possa
individuarsi una data precisa in cui tale evenienza si sia in concreto verificata, dalla quale
far decorrere il termine di tre giorni previsto dall’art. 38 co. 2 c.p.p. Proprio perché si
vede in presenza di un perentorio termine di decadenza, implicante ipso iure la certezza
“legale” di un determinato evento cui ancorarne la durata, non può farsi ricorso ad

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della non necessità della formale notifica all’imputato del provvedimento ritenuto

estemporanei dati surrogatori di tale conoscenza. Dati che nel caso di specie sarebbero
formati, per la Corte etnea, dalla sola avvenuta comunicazione del provvedimento
giudiziario pregiudicante (ordinanza del Tribunale depositata il 19.12.2013) ai difensori
dell’imputato, a nulla rilevando -deve aggiungersi per incidens

la circostanza che tale

comunicazione sia avvenuta con il mezzo del telefax. Mezzo senz’alto rituale e consentito
dall’art. 148 -co. 2 bis- c.p.p., i rilievi del ricorrente su questo collaterale profilo della
vicenda essendo privi di pregio, avuto riguardo alla recente decisione con cui le Sezioni
Unite di questa S.C. hanno statuito che la notificazione di un atto all’imputato o ad altra
parte privata, in ogni caso in cui possa o debba effettuarsi mediante consegna al

disposizione codicistica (S.U., 28.4.2011 n. 28451, Pedicone, rv. 250121).
3. Tanto chiarito, l’erroneità della decisione della Corte di Appello in punto di
tardività della dichiarazione di ricusazione proposta dal D’Urso s’inscrive, quindi, nella
impropria assimilazione di una possibile conoscenza dell’atto pregiudicante praticabile con
ordinaria diligenza alla conoscenza effettiva e completa della causa di ricusazione.
Assimilazione che confligge con l’indirizzo esegetico maggioritario e più recente di questa
Corte regolatrice, indirizzo condiviso dal collegio decidente, alla cui stregua il termine per
la rituale proposizione della dichiarazione ricusatoria non può che decorrere dal momento
in cui la causa di ricusazione sia venuta a cognizione effettiva e integrale della parte
interessata nei suoi termini fattuali e giuridici, quando tale causa attenga a eventi o atti
giudiziari venuti in essere al di fuori dell’udienza dibattimentale (ex plurimis, da ultimo:
Sez. 6, 4.6.2013 n. 30181, Berlusconi, rv. 255611; Sez. 1, 27.2.2013 n. 16671, Testa,
rv. 255845; Sez. 6, 18.9.2013 n. 41110, D’Alessandro, rv. 256270).
In tale ottica ermeneutica è agevole rilevare che la Corte di Appello di Catania è
incorsa in un duplice errore di valutazione.
3.1. Per un verso i giudici della ricusazione hanno finito per ritenere l’imputato
)
D’Urso rappresentato ad ogni effetto di legge, anche ai fini della proposizione
dell’incidente di ricusazione, dai suoi due difensori. Rappresentazione che avrebbe avuto
una sua valenza logica soltanto nel caso in cui la causa di ritenuto pregiudizio del collegio
giudicante del Tribunale ex art. 37 -co. 1, lett. b)- c.p.p. si fosse manifestata nel corso
del dibattimento o, più precisamente, nel corso di una “udienza” dibattimentale (art. 38
co. 1 c.p.p.). Il che non è stato, giacché l’ordinanza con cui il Tribunale di Catania ha
respinto l’istanza di revoca del sequestro preventivo dei beni del D’Urso, in cui questi
ravvisa un anticipato e predefinito giudizio di colpevolezza nei suoi confronti, è stata
emessa e depositata dal Tribunale in camera di consiglio al di fuori di una udienza
dibattimentale e della relativa dialettica processuale nel contraddittorio delle parti.
3.2. Per altro e congiunto verso, la Corte di Appello ha trascurato di rilevare che il
D’Urso aveva specifico diritto alla notificazione del ridetto provvedimento del Tribunale.

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difensore, può essere eseguita con telefax o altri mezzi idonei a norma della citata

Al riguardo giova incidentalmente chiarire che, al di là di quanto già detto sulla
erronea equiparazione operata dalla Corte di Appello tra situazione di potenziale
conoscibilità da parte dell’imputato della causa di ricusazione e sua effettiva e piena
conoscenza, nessun pregio può in ogni caso riconoscersi al dato per cui il D’Urso ha
sottoscritto di persona la dichiarazione di ricusazione, mostrandosi per ciò stesso
consapevole della dedotta causa di ricusazione dei giudici del Tribunale. In vero la
dichiarazione ricusatoria non avrebbe potuto essere proposta che dallo stesso imputato
D’Urso, tanto più ove si ricordi che la causa di ricusazione è insorta al di fuori di una
udienza dibattimentale per effetto del più volte citato provvedimento camerale reiettivo

decisioni di poco successive all’entrata in vigore dell’attuale codice di rito, il tenore
letterale dell’art. 38 co. 4 c.p.p. rende palese l’intenzione del legislatore di riservare la
legittimazione a dichiarare la ricusazione del giudice personalmente alla parte interessata
o ad un suo procuratore speciale. Ciò che equivale ad affermare che la dichiarazione di
ricusazione è atto strettamente personale dell’interessato, dovendosi escludere
l’eventualità (segnatamente se la causa di ricusazione non sia emersa nel corso di una
udienza nel contraddittorio delle parti e dei loro rappresentanti legali) che la dichiarazione
stessa possa essere proposta -in base all’art. 99 co. 1 c.p.p.- ad iniziativa del difensore
che non sia anche procuratore speciale dell’interessato; difensore che può fungere solo
da “mezzo” o nuncius (come già stabiliva l’art. 65 co. 2 c.p.p. 1930, il cui testo è stato
trasposto immutato nel vigente art. 38 co. 4 c.p.p.) per il deposito in cancelleria dell’atto
ricusatorio (cfr.: Sez. 2, 22.1.1991 n. 1380, Lagostena, rv. 186603; Sez. 1, 7.7.1992 n.
3271, Vianale, rv. 192049; Sez. 1, 30.9.1993 n. 3774, Platania, rv. 195451).
Fatta tale necessaria precisazione, è facile constatare come la Corte territoriale
non abbia rilevato che il D’Urso nella sua specifica qualità di imputato, interessato
dall’istanza di revoca del sequestro preventivo dei beni formulata dai suoi difensori,
aveva diritto alla formale notificazione della corrispondente ordinanza reiettiva
dell’invocato dissequestro ai sensi dell’art. 322 bis c.p.p., essendo egli legittimato a
proporre, al pari dei difensori, personale appello avverso la stessa ordinanza davanti al
Tribunale distrettuale di cui all’art. 310 c.p.p., atteso che il detto art. 322 bis c.p.p.

della richiesta di revoca della misura cautelare reale. Come statuito da questa S.C. con

espressamente deroga al generale principio di cui all’art. 586 c.p.p. dell’impugnabilità di
un’ordinanza del giudice della cognizione unitamente alla sentenza che definisce il
giudizio (v.: Sez. 3, 11.12.2007 n. 4554/08, Argiolas, rv. 238830; Sez. 2, 3.12.2013 n.
51753, Casella, rv. 257358). E’ ben evidente, per tanto, che soltanto a partire dalla data
della notificazione dell’ordinanza in data 19.12.2013 del Tribunale di Catania all’imputato
D’Urso avrebbe potuto e dovuto farsi decorrere il termine di decadenza per proporre la
dichiarazione di ricusazione da parte del medesimo imputato. La conseguenza, parimenti
ovvia, è che la dichiarazione di ricusazione proposta dal D’Urso ancor prima di ricevere
regolare notificazione dell’ordinanza, che stima lesiva del principio di imparzialità dei i

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giudici di cognizione di primo grado, deve ritenersi senz’altro rituale e tempestiva e la
Corte di Appello di Catania dovrà farsi carico di vagliarne le ragioni di merito.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti alla
Corte di Appello di Catania.

Così deciso il 06/05/2014

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