Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19525 del 17/04/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19525 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

Data Udienza: 17/04/2014

SENTENZA
sul ricorso proposto dal
P.m. presso il Tribunale di Palermo
avverso l’ordinanza del 23/12/2013 del Tribunale di Palermo emessa nel
procedimento a carico di
1. Aldo Roberto Licata, nato a Palermo il 01/03/1979
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto
Aniello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli avv.ti Domenico Ducci e Giuseppe Ferro, che hanno chiesto il rigetto del
ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Palermo, con ordinanza del 23/12/2013, in accoglimento
del riesame proposto dalla difesa di Aldo Roberto Licata avverso l’ordinanza di
custodia cautelare in carcere emessa dal Gip di quell’ufficio in relazione al reato
di cui all’art. 416 ter cod.pen., ha disposto l’annullamento della misura e
l’immediata scarcerazione del ricorrente, se non detenuto per altra causa.
2. Il P.m. presso quel Tribunale propone ricorso con il quale richiama in
fatto gli elementi desunti dalle intercettazioni disposte, ritenuti pacifici dal
Tribunale del riesame, che avevano permesso di accertare che l’odierno
ricorrente si era più volte avvalso dell’intermediazione di Pietro Paolo Polizzi e
Nicolò Polizzi, che risultavano in contatto con il latitante Matteo Messina Denaro
per conoscere le determinazioni di quest’ultimo in materia di appalti, oltre che

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per ottenere da costoro, dietro pagamento di una somma di danaro, l’impegno a
procacciare voti in favore della sorella Doriana candidata alle elezioni regionali
siciliane nel 2012, attività nella quale risultava dispiegato un impegno effettivo in
tal senso cui era seguito, malgrado la mancata elezione, il versamento della
somma di danaro. Si rileva inoltre che anche in occasione della consultazione
elettorale comunale di Campobello di Mazara nel corso del 2011, gli stessi
Polizzi avevano indirizzato i voti in favore della cugina dell’odierno ricorrente.

Il Tribunale del riesame, pur non dubitando di tali elementi di fatto, era
pervenuto all’annullamento della misura nel presupposto della mancanza degli
elementi costitutivi del delitto contestato, individuati nella prova che i Polizzi
avessero trasferito parte delle somme ricevute in favore di tali Centonze e
Gianni, incaricati della materiale raccolta di consensi, e che questi a loro volta
avessero dispiegato, per provvedere in tal senso, le armi dell’intimidazione e
della prevaricazione mafiosa, in luogo che provvedere all’acquisto dei voti.
A seguito di tale premessa si segnala nel ricorso l’erronea applicazione
della legge penale, nella parte in cui si disconosce che il reato contestato possa
profilarsi anche nell’ipotesi di mera promessa di voti in cambio di erogazione di
danaro, che porta a ritenere perfezionato il delitto le volte in cui venga concluso
un accordo tra chi elargisce danaro e chi si impegna procurare voti grazie alla
sua capacità intimidatoria, sicché ogni ulteriore condotta rispetto a tale negozio
risulta un postfatto irrilevante al fine della consumazione del reato, chiave di
lettura confermata dalla qualità di reato di pericolo del delitto contestato. In
senso contrario si imporrebbe una prova diabolica per la dimostrazione di
sussistenza del reato, dovendosi dimostrare che ogni singolo elettore sia stato
coartato ed abbia espresso quel voto solo per effetto di tale attività.
Si deduce che l’interpretazione posta a base della decisione è intervenuta
in conseguenza dell’erronea analisi dei precedenti in materia di questa Corte che
hanno valutato la rilevanza della promessa e la correlativa superfluità
dell’individuazione di specifici atti di sopraffazione o minaccia al fine della
consumazione del reato, in senso opposto a quanto ritenuto dal Tribunale.
Si deduce inoltre manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui
ha ritenuto di individuare un elemento positivo di riscontro della causale dei voti
offerti nel versamento di somme di danaro da uno stralcio della conversazione
che si riferiva alla necessità di pagamento che, secondo la prospettazione
rimessa, non necessariamente doveva riferirsi alla retribuzione del singolo
elettore, potendo riferirsi a quello di coloro i quali dovevano attivarsi per il
reperimento dei voti, sicché l’assunto tratto da parte del Tribunale da tale
conversazione risulta illogico.
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t

Si deduce inoltre carenza di motivazione poiché il Tribunale, pur avendo
ritenuto dimostrati tutti gli elementi di fatto, ha omesso di valutare la prova della
natura mafiosa e non meramente economica del rapporto, malgrado in tal senso
deponessero i precedenti contatti fra l’odierno ricorrente ed i Polizzi, gli stralci di
conversazioni che si riferivano all’impossibilità per gli interlocutori di Polizzi di
opporsi, a proposito del suo interessamento per la raccolta dei voti per le elezioni
comunali; la circostanza che lo stesso intermediario per procurare voti al di fuori

i diversi mandamenti.
3. La difesa del Licata ha depositato memoria nella quale si contesta il
fondamento dell’impugnazione proposta dall’accusa, evidenziando elementi in
fatto che denotano la mancanza di indizi sugli elementi essenziali della
fattispecie contestata, quali la natura personale, derivante da rapporto di lavoro
subordinato che giustificava i contatti tra Licata e Polizzi, accusato di essersi
attivato per la ricerca di consensi elettorali; l’insuccesso dell’iniziativa nella
duplice occasione secondo la quale si sarebbe verificata l’attivazione; la
mancanza di correlazione tra le conversazioni colte in occasione della
consultazione elettorale che aveva riguardato la cugina del Licata, e quella
oggetto dell’impugnazione, successiva ed imprevedibile rispetto a tale data.
Si rileva inoltre che nessun elemento di segno contrario, rispetto a quanto
rilevato dal giudice del riesame, è stato indicato dal ricorrente sul nodo
essenziale della conquista del consenso elettorale per il tramite della forza di
sopraffazione mafiosa, mentre dal contenuto di alcune intercettazioni
riconducibili al Polizzi era dato ricavare l’assenza di qualsivoglia intimidazione e
l’intervenuto interessamento, a fini personali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. L’ordinanza impugnata ritiene essenziale alla configurazione degli indizi
del reato contestato l’acquisizione di elementi sulla sollecitazione al voto svolta
da appartenenti alla cosca mafiosa con la forza intimidatoria tipica
dell’associazione mafiosa, presso i singoli elettori, in luogo che tramite il
versamento di somme di denaro, a retribuzione del singolo voto o dell’attività
svolta dai componenti del gruppo.
In realtà la fattispecie di reato di cui all’art. 416 ter cod. pen. come può
desumersi dal tenore testuale della disposizione, presuppone la presenza di
un’associazione di stampo mafioso che si occupa anche del condizionamento del
voto, e lo eserciti a servizio dei terzi, anche in conseguenza della corresponsione

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del comune si era rivolto agli esponenti delle associazioni mafiose competenti per

di somme di denaro, in cambio della promessa di voto. Contrariamente a quanto
ritenuto dal Tribunale nel provvedimento impugnato, ciò che è essenziale alla
configurazione del reato, e nella specie alla verifica degli indizi sul punto, è la
certezza dell’intervento di componenti dell’associazione di stampo mafioso nel
condizionamento del voto, e l’avvenuta promessa da parte dell’estraneo alla
compagine della corresponsione di denaro in cambio del procacciamento di
consenso, risultando indifferente che le somme promesse vadano a retribuire il

singolo voto procacciato, o l’azione dei responsabili di zona che tale attività sul
territorio vadano concretamente ad esercitare.
In argomento si è di recente affermato (Sez. 5, n. 23005 del 22/01/2013
– dep. 28/05/2013, Alagna e altri, Rv. 255502) che “l’elemento essenziale del
delitto di cui all’art. 416 ter, cod.pen. … è rappresentato dalla conclusione di un
rapporto sinallagmatico tra due parti che danno vita ad uno scambio, fondato sul
reciproco interesse: ricevere per uno dei due contraenti i voti procurati dall’altro,
avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo di stampo mafioso
e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, in cambio della
elargizione di denaro ovvero, come è stato opportunamente affermato, di ogni
altro bene traducibile in un valore di scambio immediatamente quantificabile in
termini economici (cfr. Cass., sez. VI, 11/04/2012, n. 20924, G.). Ciò che
caratterizza il delitto in esame è la corruzione della libertà del voto, ridotto alla
mera entità di bene economicamente valutabile, il cui “prezzo” viene corrisposto
dal candidato all’altra parte, che ne garantisce l’allocazione in favore del
candidato stesso, non in virtù di una generica pressione illecita esercitata sui
titolari del diritto di voto (ché altrimenti la fattispecie non si distinguerebbe da
quelle di cui agli artt. 96 e 97 T.U. delle leggi elettorali approvato con d.p.r. 30
marzo 1957, n. 361), ma grazie all’intimidazione ovvero alla prevaricazione
mafiosa, ossia alle modalità precisate nel terzo comma dell’art. 416 bis,
cod.pen”.
Non può dimenticarsi infatti che in uno specifico alveo interpretativo si
inseriscono decisioni, che, nel tentativo di approfondire il significato della
promessa di voti prevista dal comma 3 dell’art. 416 bis, ritengono che, per la
sussistenza del reato di cui si discute, non sia necessario che nel corso della
campagna elettorale vengano realizzati comportamenti violenti, specifiche
minacce o venga comunque esternata in forma cogente l’indicazione di voto,
essendo sufficiente invece che la predetta indicazione sia percepita all’esterno
come proveniente dall’organizzazione mafiosa e come tale risulti sorretta dalla
forza d’intimidazione derivante dal vincolo associativo, in quanto gli
atteggiamenti succubi e omertosi indotti nella popolazione non costituiscono
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l’effetto “meccanico” e diretto di singoli, individuabili, atti di sopraffazione o di
minaccia, ma sono la conseguenza del prestigio criminale dell’associazione che,
per il sol fatto di esistere, di operare e di aver operato, per la sua fama negativa,
per la capacità di lanciare avvertimenti, anche simbolici e indiretti, si accredita
come un effettivo, temibile ed “autorevole” centro di potere” (cfr. Cass., sez. I,
14/01/2004, n. 3859, M., rv. 227476), interpretazione pienamente legittimata
dal tenore della disposizione di cui all’art. 416 bis comma 3 cod. pen. che alla

esaustivo.
Del resto, se pacificamente il reato si consuma con la conclusione
dell’accordo e la formulazione della promessa che vincola reciprocamente le parti
alla raccolta dei voti, in cambio di denaro, è del tutto evidente che non possano
assumere alcuna rilevanza concrete le modalità di reperimento del consenso,
poiché la potenzialità lesiva della condotta è data dalla mercificazione del libero
consenso democratico, di cui viene aumentata la potenzialità corruttiva in quanto
perseguita attraverso l’attività di un gruppo associato, in attività nella zona
territoriale di interesse, e le cui connotazioni di pericolosità emergano e siano
conosciute al proponente. Questi, con l’accordo concluso, ottiene l’ulteriore
risultato di aumentare le potenzialità invasive della libera determinazione delle
persone sul territorio a cura dei componenti del gruppo illecito, legittimati ad
intervenire sulla raccolta di consenso, a prescindere dalle loro concrete modalità
attuative, che necessariamente vengono realizzate ad accordo concluso e quindi
a reato già perfezionato.
La natura di pericolo del reato in esame, impone di ritenere che il bene
protetto, oltre che la libertà di voto, sia quello dell’ordine pubblico, posto in
pericolo dalla possibilità che la forza della compagine illecita si estenda anche al
di fuori delle sue immediate sfere di pertinenza, divenendo punto di riferimento
di persone estranee alla stessa, che, riconoscendone l’esistenza e la capacità di
azione, possano, per fini particolari, sfruttarne la specifica forza intimidatoria ed
organizzativa, con l’ulteriore effetto di rafforzare presso i potenziali elettori la
percezione della sua forza espansiva. In tal senso quindi, in presenza di una
compagine, con le caratteristiche descritte dall’art. 416 bis comma 3 cod. pen.
espressamente richiamato dalla disposizione contestata nella specie, non è
necessario che l’accordo si attui o preveda l’esercizio delle armi dell’intimidazione
o prevaricazione per acquisire il consenso elettorale, ma che l’estraneo che
formula la proposta di acquisto dei voti, consapevole della forza territoriale del
gruppo, secondo le modalità operative descritte nella disposizione citata, ne
sfrutti la potenzialità, formulando la richiesta con la prospettazione di un
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forza intimidatoria essenziale della figura associativa, opera un riferimento

compenso alle loro prestazioni. In tale ricostruzione interpretativa rimane
indifferente che il gruppo si attivi distribuendo ai singoli elettori, o agli
intermediari utilizzati, le utilità economiche percepite, trattandosi di modalità
esecutiva che sopraggiunge al perfezionamento dell’accordo, e quindi alla
consumazione del reato.
In tal senso quindi la condotta contestata assume, rispetto ai reati
elettorali previsti dagli artt. 96 e 97 d.P.R. 30 marzo 1957 n.361 e 86 del d.P.R.

n. 570 del 1960, che sanzionano l’acquisto dei voti, l’ulteriore connotazione
negativa derivante dall’implicito riconoscimento del controllo del territorio da
parte del gruppo e per tanto, rafforza la potenzialità lesive di tali compagini che,
con la spendita di tale influenza presso singoli elettori, vedono aumentare la loro
capacità intimidatoria.
Nel caso concreto il Tribunale conclude per la piena consapevolezza da
parte di Licata della natura dei suoi interlocutori e dell’interesse che muoveva
Polizzi, l’intermediario, al fine di reperire il contatto richiesto, ma opera una
valutazione di radicale inconciliabilità logica dell’ipotesi di accusa per effetto della
mancata conferma dell’esercizio della forza di intimidazione mafiosa nella
concreta sollecitazione dei voti, e della traccia di pagamenti in cambio di tali
consensi, che si assume antitetica rispetto alla richiesta di voti con l’uso
dell’intimidazione, condizioni che non è dato trarre dalla lettera della norma, né
dalla sua applicazione, secondo l’interpretazione più recente, espressa in plurime
pronunce di questa Corte, tra le quali quelle sopra richiamate.
In applicazione di tali principi la fattispecie delittuosa risulta contestata in
aderenza alla lettera della disposizione, che, nell’operare i suoi riferimenti alle
modalità di acquisizione del consenso di cui all’art. 416 bis comma 3 cod. pen.,
inevitabilmente rievoca la forza di intimidazione insita nel controllo del territorio,
ove riferisce la sua espressione all’esistenza del vincolo associativo e della
condizione di assoggettamento e di omertà che la connota, senza richiedere
l’estrinsecazione della forza per ogni azione che si intenda realizzare a tal fine,
ove risulti nota la correlazione dell’agente con l’illecita compagine.
Tale modalità di comportamento è pienamente compatibile con la
promessa di voti in cambio dell’elargizione di somme di denaro, che costituisce
l’elemento caratterizzante della fattispecie e non collide con la previsione
normativa, che non effettua alcuna distinzione in ordine ai destinatari del
pagamento, che potrebbero rivelarsi gli stessi elettori, il gruppo richiesto, o i
singoli associati utilizzati quali intermediari territoriali. La lettura del
provvedimento impugnato nel conferire rilievo all’accertamento degli effettivi

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destinatari del denaro, opera una distinzione concettuale per quanto esposto non
corretta.
3. Deve convenirsi inoltre sulla carenza di motivazione dell’ordinanza ove,
pur dando per dimostrati i presupposti di fatto, costituiti dalla consapevolezza da
parte del Licata della natura dei suoi interlocutori, e sulla costante informazione
assicuratagli sull’effettivo sviluppo dell’azione, e delle correlative pretese
economiche, desumibili dall’intercettazione delle comunicazioni intercorse tra le

pregresse situazioni sviluppatesi in termini analoghi, ritenendole estranee al capo
di imputazione.
Il dato storico, pur effettivamente estraneo alla contestazione, non risulta
irrilevante al fine di accertare la presenza di elementi indiziari di conferma della
consapevolezza del modus operandi dell’interlocutore scelto per l’attività di
procacciamento dei voti, mentre la determinazione del giudice sul punto
irragionevolmente sottovaluta la portata loro effettivamente attribuita
nell’impostazione di accusa.
4. Le osservazioni di merito svolte nella memoria depositata in questa
sede dalla difesa non possono trovare spazio di valutazione, risultando estranee
sia al devoluto, che allo specifico accertamento di legittimità cui è circoscritta la
cognizione di questa Corte.
5.

Le circostanze esposte impongono l’annullamento dell’ordinanza

impugnata, ed il rinvio per nuovo esame al Tribunale territoriale, che dovrà
conformarsi alle indicazioni offerte in ordine alla qualificazione giuridica del fatto
ed all’individuazione dei suoi elementi caratterizzanti.

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
Palermo.
Così deciso il 17/04/2014.

parti, ha svalutato gli elementi di conferma di tale consapevolezza derivanti da

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