Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19523 del 23/01/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19523 Anno 2018
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: D’ARCANGELO FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da

Fiorenza Marcello, nato a Messina il 02/12/1950

avverso la ordinanza del 15/06/2017 del Tribunale di Rieti

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D’Arcangelo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Stefano Tocci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. Eusebio Graziosi, che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Rieti ha rigettato la richiesta di
riesame ed ha confermato il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla

Data Udienza: 23/01/2018

confisca, emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rieti in
data 25 maggio 2017 nei confronti di Marcello Fiorenza, Dirigente e Responsabile
dell’Ufficio Tecnico Patrimoniale dell’A.S.L. di Rieti, sino all’ammontare della
somma di euro 696.053,22, quale profitto dei delitti di cui agli artt. 81, secondo
comma, 112 n. 1, 319, 319-bis, 321, 479 cod. pen. contestati ai capi Al), A2),
di cui agli artt. 110, 640-bis, 61 n 2 e 9, cod. pen. cod. pen. contestati ai capi
A4), A5) e di cui agli artt. 81, secondo comma, 318, 321 cod. pen. contestato al
capo B).

esecutiva non dovesse eccedere, in relazione agli emolumenti retributivi
eventualmente corrisposti dallo Stato o dagli enti pubblici equiparati, il quinto del
relativo importo, al netto delle ritenute.

2. L’avv. Eusebio Graziosi, nell’interesse di Marcello, Fiorenza ricorre
avverso tale ordinanza e ne chiede l’annullamento, deducendo due motivi e,
segnatamente:
– la violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc.
pen. con riferimento agli artt. 405, 406, 407 cod. proc. pen. in relazione agli
artt. 318, 319 cod. pen.;
– la violazione di legge e della erronea applicazione degli artt. 318, 319,
157 cod. pen. in quanto gran parte delle illecite dazioni contestate si riferivano a
fattispecie delittuose già ampiamente prescritte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto proposto per
motivi diversi da quello consentito dall’art. 325 cod. proc. pen. e, comunque,
manifestamente infondati.

2. Con il primo motivo il ricorrente censura la violazione di legge ai sensi
dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 405,
406, 407 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 318, 319 cod. pen.
L’iscrizione dell’indagato nel procedimento n. 1059/15 R.G.N.R. era, infatti,
avvenuta in data 29 aprile 2015 per il delitto di cui agli artt. 335-319 cod. pen.
e, pertanto, il termine massimo per le indagini preliminari era scaduto in data 12
gennaio 2017, in quanto medio tempore nessuna richiesta di proroga del termine
delle indagini preliminari era stata notificata al Fiorenza.

2

Il Tribunale di Rieti ha disposto, al contempo, che il vincolo reale in sede

Il reato di cui all’art. 416 cod. pen. non risultava contestato in tale lasso
temporale, se non per effetto di una generica indicazione di aggiornamento dei
titoli di reato e degli indagati in data 4 maggio 2017.
Dovevano, pertanto, essere dichiarati inutilizzabili tutti gli atti di indagine
posti in essere successivamente al termine di scadenza iniziale, in quanto non
prorogato e scaduto, e la declaratoria di inutilizzabilità di tutti gli atti da pag. 874
a pag. 2694

bis

si doveva riverberare sulla valutazioni in ordine alla

insussistenza del fumus commissi delicti.

verifica esorbitasse dai propri poteri di controllo ed aveva motivato illogicamente
sul punto, facendo riferimento alla impossibilità di operare tale verifica in ragione
della mole degli atti, costituita da quattordici faldoni.

3. Tale doglianza deve, tuttavia, essere disattesa in quanto si rivela
aspecifica.
Tale censura, infatti, non si confronta, mediante specifica indicazione delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con la
motivazione della ordinanza impugnata, ma si limita a riproporre, in termini
analoghi, la censura già svolta in sede di riesame e disattesa dal Tribunale di
Rieti.
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità,
dal quale non vi è ragione per discostarsi, del resto, la mancanza di specificità
del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione ed, in entrambi i casi, conduce, ai sensi dell’art. 591 cod.
proc. pen., comma 1, lett. c), all’inammissibilità della stessa (Sez. 4, n. 18826
del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007,
Scicchitano; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n.
5191 del 29/03/2000, Barone, Rv. 216473; Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997,
Ahmetovic, Rv. 210157).
Il Tribunale di Rieti, infatti, non ha affermato che la verifica della scadenza
del termine per le indagini preliminari esorbitasse ai propri controlli, bensì ha
stigmatizzato, stante la carenza di poteri istruttori nel procedimento di cui all’art.
324 cod. proc. pen., la incompletezza della allegazione della parte ricorrente, che
“in mancanza delle certificazioni o richieste, non ha nemmeno posto il Tribunale
in condizione di formulare immediate valutazioni in merito alla completezza delle
iscrizioni nel registro degli indagati”.

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Il Tribunale di Rieti, tuttavia, aveva ritenuto illegittimamente che tale

A fronte di tale carenza documentale e della obiettiva parzialità della
allegazione della parte ricorrente, che si è limitata a produrre esclusivamente
copia della originaria iscrizione nel registro degli indagati eseguita in data 29
aprile 2015, il motivo si rivela anche manifestamente infondato.
La mancata notifica all’indagato della richiesta di proroga delle indagini non
esclude, del resto, che la stessa sia stata ritualmente e tempestivamente
depositata dal Pubblico Ministero.
L’omessa notifica all’indagato della richiesta di proroga delle indagini

d’indagine compiuti dopo la sua presentazione (Sez. 3, n. 23953 del 12/05/2015,
Bertino, Rv. 263653; Sez. 5, n. 19873 del 27/01/2012, Beccalli, Rv. 252520) e,
pertanto, sono utilizzabili nel procedimento di riesame gli atti d’indagine assunti
dal pubblico ministero dopo la scadenza del termine delle indagini preliminari, di
cui sia stata tempestivamente richiesta la proroga solo successivamente
concessa (Sez. 6, n. 14515 del 31/03/2016, Lepori, Rv. 267213).

4. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione di legge e
della erronea applicazione degli artt. 318, 319, 157 cod. pen., in quanto gran
parte delle illecite dazioni contestate si riferivano a fattispecie delittuose già
ampiamente prescritte.
Tutte le somme di danaro sequestrate e relative ai capi Al) ed A2) non
soltanto non potevano essere considerate quale controprestazioni
sinallagmatiche di un asserito accordo corruttivo, come ritenuto dal Giudice per
le indagini preliminari con riferimento al delitto di corruzione per atto contrario ai
doveri di ufficio contestato al capo D), ma certamente costituivano fattispecie
ampiamente prescritte, che non consentivano il ricorso al sequestro preventivo.
Il Tribunale di Rieti, tuttavia, aveva ritenuto reati permanenti i delitti
contestati; tale impostazione, tuttavia, aveva esautorato il necessario nesso di
sinallagmaticità tra prestazione e controprestazione ed aveva reso applicabile
retroattivamente il più ampio termine di prescrizione per la fattispecie di
corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio introdotto dalle leggi 6 novembre
2012, n. 190 e 27 maggio 2015, n. 69.
L’ordinanza impugnata, pertanto, a fronte di ipotesi di reato contestate con
riferimento a specifici atti contrari ai doveri di ufficio ed a controprestazioni
risalenti nel tempo, aveva eluso il doveroso intervento di riduzione
dell’ammontare del sequestro per i delitti medio tempore prescritti, delineando,
invece, un unico reato permanente, una sorta di “pan-corruzione”.
Illegittimo era, inoltre, nella determinazione del profitto dei reati contestati,
il rinvio operato per relationem ai prospetti riepilogativi della Guardia di Finanza,

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preliminari non è, infatti, causa di nullità, né determina l’inutilizzabilità degli atti

in quanto gli stessi erano un mero schema, neppure sottoscritto, privo di
motivazione in ordine al riscontro degli elementi probatori ed al tempo delle
ritenute dazioni, spesso del tutto assente.

5. Tale censura si rivela manifestamente infondata in quanto l’ordinanza
impugnata sul punto è sorretta da una motivazione tutt’altro che apparente e
che, non integrando alcuna violazione della legge, esula dai limiti del sindacato di
legittimità sui provvedimenti cautelari reali.

risultassero annotate plurime e consistenti dazioni di danaro in favore del
Fiorenza, che non rinvenivano giustificazione alcuna se non quella dello stabile
asservimento delle funzioni pubbliche ricoperte dal ricorrente agli interessi degli
imprenditori aggiudicatari delle varie commesse.
Ulteriori conferme del quadro accusatorio emerso a carico del Fiorenza
erano, inoltre, state rinvenute nelle intercettazioni telefoniche, nel corso delle
quale il ricorrente trattava della gare oggetto di imputazione in termini che non
apparivano congruenti con il proprio ruolo, nelle sommarie informazioni
testimoniali, che avevano chiarito la commistione tra interessi personali
dell’indagato (quali la candidatura del figlio alle elezioni comunali del 2012) e le
funzioni esercitate, e nelle relazioni tecniche redatte dall’ing. Giovanni
Ma rti nazzoli.
Pertanto, nella valutazione del Tribunale di Rieti, non si era in presenza di
plurime elargizioni di utilità economiche, destinate alla remunerazione di singoli
ed identificati atti contrari al dovere di ufficio, ma ad una più generale
disponibilità del pubblico ufficiale a favorire, in ogni occasione possibile, il
soggetto privato mediante l’adozione di atti non previamente pattuiti.
In tale contesto le singole utilità venivano a costituire i segmenti di un
medesimo approvvigionamento economico, idoneo a determinare solo
progressivamente, nel beneficiario, l’effetto sperato e, pertanto, il delitto di
corruzione contestato doveva essere ritenuto unitario e permanente.
Tale interpretazione, peraltro, non risulta violare la previsione della
fattispecie incriminatrice contestata, in quanto il delitto di corruzione è un reato
a duplice schema e, pertanto, si perfeziona alternativamente con l’accettazione
della promessa ovvero con la dazione-ricezione dell’utilità, e tuttavia, ove alla
promessa faccia seguito la dazione-ricezione, è solo in tale ultimo momento che,
approfondendosi l’offesa tipica, il reato viene a consumazione (Sez. U, n. 15208
del 25/02/2010, Mills, Rv. 246583; Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, n. 33435,
Battistella, Rv. 234360); pertanto, quando alla promessa segue l’effettiva
dazione del denaro, il termine di prescrizione decorrere da tale momento (Sez. 6,

5

Il Tribunale di Rieti ha, infatti, rilevato come sul c.d. “file Franco”

n. 4105 del 01/12/2016, Ferroni, Rv. 269501; Sez. 6, n. 50078 del 28/11/2014,
Cicero, Rv. 261540).
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal
quale non vi è ragione per discostarsi, tuttavia, a fronte di plurime dazioni nei
confronti del pubblico ufficiale o, per converso, di plurimi atti contrari ai doveri di
ufficio, la unicità o la pluralità dei reati va stabilita in funzione della unitarietà o
meno dell’accordo tra il privato ed il pubblico agente (Sez. 6, n. 33453 del
04/05/2006, Battistella, Rv. 234358; Sez. 6, n. 47191 del 28/10/2004,

Il reato è, pertanto, unico quando le dazioni indebite trovano una comune
ragione giustificativa nell’asservimento della pubblica funzione.
Lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi,
con episodi sia di atti contrari ai doveri d’ufficio che di atti conformi o non
contrari a tali doveri, configura, infatti, l’unico reato, eventualmente
permanente, previsto dall’art. 319 cod. pen., con assorbimento della meno grave
fattispecie di cui all’art. 318 stesso codice (Sez. 6, n. 40237 del 07/07/2016,
Giangreco, Rv. 267634; Sez. 6, n. 49226 del 25/09/2014, Chisso, Rv. 261352;
Sez. F, n. 32779 del 13/08/2012, Lavitola, non massimata sul punto).
Pertanto, in tal caso, pur a fronte di plurimi pagamenti cadenzati nel
tempo, allorché i medesimi costituiscano adempimento di un unico accordo, il
momento consumativo del delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di
ufficio coincide con la conclusione della complessiva prestazione o con la sua
improvvisa cessazione (ad esempio dovuta all’arresto dal funzionario) (Sez. 6, n.
39542 del 22/03/2016, non massimata sul punto).
Ritiene, pertanto, il Collegio che, nei limiti delibatori propri della presente
sede cautelare, nessuna prescrizione sia intervenuta nella specie e, pertanto, la
doglianza la doglianza si riveli manifestamente infondata.

6. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato
inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
siano stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di duemila euro, in favore della cassa delle
ammende.

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Lacatena, Rv. 230465).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro duemila in favore della
cassa delle ammende.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Fabrizio D’Arcangelo

(incenzo Rondo

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Così deciso il 23/01/2018.

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