Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19522 del 23/01/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19522 Anno 2018
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: D’ARCANGELO FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da

Curini Ruggiero, nato a Rieti il 29/06/1960
nel procedimento a carico di quest’ultimo

avverso la ordinanza del 14/07/2017 del Tribunale di Rieti

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D’Arcangelo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Stefano Tocci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. Luca Conti, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Rieti ha rigettato la richiesta di
riesame ed ha confermato il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla

Data Udienza: 23/01/2018

confisca ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen., emesso dal Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Rieti in data 25 maggio 2017 nei confronti di Ruggero
Curini sino alla concorrenza del valore di euro 119.200,00, quale profitto del
delitto di corruzione al medesimo contestato al capo Al2).
Il Tribunale di Rieti ha disposto al contempo, che il vincolo reale in sede
esecutiva non dovesse eccedere, in relazione agli emolumenti retributivi
eventualmente corrisposti dallo Stato o dagli enti pubblici equiparati, il quinto del
relativo importo, al netto delle ritenute.

dell’Ufficio Manutenzioni edili dell’U.T.P. dell’A.S.L. di Rieti, nonché di direttore
dei lavori in alcuni appalti affidati da tale ente all’ATI ACMM S.r.l./Provaroni
Costruzioni, ed in parte subappaltati alla impresa Silvestri, per compiere atti
contrari ai propri doveri di ufficio, aveva ricevuto per sé e per propri familiari
danaro ed altre utilità in relazione alle opere indicate al capo Al), sub 10), 11),
13) e 14), in Rieti dall’anno 2004 all’anno 2014.

2. L’avv. Luca Conti nell’interesse di Ruggero Curini ricorre avverso tale
ordinanza e ne chiede l’annullamento, deducendo due motivi e, segnatamente:
– la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. con
riferimento agli artt. 321, 309, comma 9, e 324 comma 7, cod. proc. pen.
– la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. e la
erronea applicazione degli artt. 318, 319, 157 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto proposto per
motivi diversi da quello consentito dall’art. 325 cod. proc. pen. e, comunque,
manifestamente infondati.

2. Con il primo motivo il ricorrente censura la violazione di legge ai sensi
dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 321,
309, comma 9, e 324 comma 7, cod. proc. pen.
La motivazione del provvedimento impugnato si rivelava, infatti,
approssimativa ed incompleta e non aveva tenuto conto delle argomentazioni
avanzate dalla difesa nel procedimento di riesame avverso la misura cautelare
reale.
Il Tribunale di Rieti aveva, infatti, ritenuto che le illecite somme di danaro
percepite dal Curini fossero documentate dal “File Franco”, rinvenuto all’interno
del computer di proprietà ed in uso a Claudio Monti, nonché dalle dichiarazioni

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Secondo la imputazione cautelare, il Curini, in qualità di Responsabile

accusatorie di Antonello Pisanu che, per conto dell’imprenditore Vincenzo
Silvestri, indagato per gli episodi di corruzione contestati ai capi A2) ed A3),
aveva eseguito alcuni lavori di ristrutturazione nel casale della moglie
dell’indagato.
Nessuna argomentazione era, tuttavia, stata svolta dal Collegio in ordine ai
vizi di illegittimità dedotti dalla difesa, che aveva evidenziato come l’elemento
probatorio costituito dal file c.d. “Nota spese per Franco” fosse del tutto estraneo
alla posizione del Curini ed inidoneo a supportare il fumus commissi delicti.

di un soggetto diverso ed estraneo al Curini e recava un generico elenco di
presunti pagamenti in danaro che non avevano trovato ulteriori riscontri, né in
ordine alla effettività delle dazioni asseritamente intervenute, né alla riferibilità
delle stesse alle funzioni pubbliche esercitate dall’indagato.
Gli accurati accertamenti bancari, eseguiti su soggetti anche diversi dal
Curini, contrariamente a quanto sostenuto dagli inquirenti, dimostravano, inoltre,
l’insussistenza di un nesso con le presunte dazioni riportate nel file.
Inoltre, quanto all’esecuzione dei lavori, asseritamente in assenza di
corrispettivo, presso il casale della moglie del Curini, il Tribunale del riesame
aveva completamente omesso i rilievi formulati dalla difesa in ordine alla
assoluta carenza di prova di tali fatti.

3. Il motivo è inammissibile in quanto volto a sollecitare una diversa, e più
favorevole, valutazione dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata.
Il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro
preventivo è, peraltro, ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione
dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi
della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a
sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di
coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere
comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis: Sez. U, n. 25932
del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli,
Rv. 269656).
Il sindacato di legittimità sui sequestri preventivi è, dunque, limitato alla
violazione di legge e non si estende al controllo dell’iter giustificativo della
decisione, a meno che questo sia del tutto assente (ex plurimis: Sez. 6, n. 35044
del 08/03/2007, Bruno, Rv. 237277) e, pertanto, non può essere dedotto come
vizio di motivazione mancante o apparente la sottovalutazione di argomenti
difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o che,

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Tale file, infatti, era stato rinvenuto nella memoria del computer personale

comunque, risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del
provvedimento impugnato.

4. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione di legge e
della erronea applicazione degli artt. 318, 319, 157 cod. pen., in quanto gran
parte delle illecite dazioni contestate si riferivano a fattispecie delittuose già
ampiamente prescritte.
L’ordinanza impugnata, infatti, a fronte di ipotesi di reato contestate con

risalenti nel tempo, aveva eluso il doveroso intervento di riduzione
dell’ammontare del sequestro per i delitti medio tempore prescritti, delineando,
invece, un unico reato permanente, una sorta di “pan-corruzione, con la
conseguenza di far decorrere la prescrizione dall’ultima prestazione economica
corrisposta”.
Tale impostazione, oltre ad esulare dalla imputazione formulata in sede
cautelare, aveva esautorato il necessario nesso di sinallagmaticità tra
prestazione e controprestazione ed aveva reso applicabile, retroattivamente, alle
fattispecie di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio contestate il più
ampio termine di prescrizione introdotto dalle leggi 6 novembre 2012, n. 190 e
27 maggio 2015, n. 69.
Le ipotesi di reato antecedenti al luglio 2011 dovevano, pertanto, essere
considerate ormai prescritte, con conseguente esclusione delle relative somme
dall’importo complessivo del sequestro.
Parimenti la dazione posta in essere in data 27 ottobre 2010, denominata

“contributo PD”, che poteva al più integrare una ipotesi di finanziamento illecito,
risultava prescritta, al pari della somma di euro 15.000 percepita dal Curini
prima del luglio 2011, asseritamente quale valore dei lavori di ristrutturazione
eseguiti presso il casale della moglie.

5.

Anche tale censura si rivela manifestamente infondata in quanto

l’ordinanza impugnata sul punto è sorretta da una motivazione tutt’altro che
apparente e che, non integrando alcuna violazione della legge, esula dai limiti del
sindacato di legittimità sui provvedimenti cautelari reali.
Il Tribunale di Rieti ha, infatti, rilevato come sul c.d. “file Franco”
risultassero annotate plurime e consistenti dazioni di danaro in favore del Curini,
con cadenza mensile, come una sorta di “stipendio”, che non rinvenivano
giustificazione alcuna se non quella dello stabile asservimento delle funzioni
pubbliche ricoperte dal ricorrente agli interessi degli imprenditori aggiudicatari
delle varie commesse.

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riferimento a specifici atti contrari ai doveri di ufficio ed a controprestazioni

Il Curini aveva, inoltre, ricevuto anche l’utilità costituita dall’esecuzione di
lavori di ristrutturazione dai predetti imprenditori, senza erogare alcun
corrispettivo, come era stato confermato anche da alcuni dei dipendenti delle
imprese appaltatrici.
Tali operai avevano, infatti, riferito di essere stati delegati all’esecuzione
dei lavori nel predetto casale dall’ACMM, cui avevano fatturato i costi.
Ulteriore conferma del quadro accusatorio emerso a carico del Curini era,
inoltre, stata rinvenuta nel titolo genetico negli esiti degli accertamenti bancari,

proprio conto corrente, come su quello della moglie e del figlio, pari, negli anni
dal 2005 al 2015 alla somma di complessivi euro 71.861,37, non giustificabili
quali entrate lecite in virtù del rapporto di pubblico impiego intrattenuto dal
ricorrente.
Pertanto, nella valutazione del Tribunale di Rieti, non si era in presenza di
plurime elargizioni di utilità economiche, destinate alla remunerazione di singoli
ed identificati atti contrari al dovere di ufficio, ma ad una più generale
disponibilità del pubblico ufficiale a favorire, in ogni occasione possibile, il
soggetto privato mediante l’adozione di atti non previamente pattuiti.
In tale contesto le singole utilità venivano a costituire i segmenti di un
medesimo approvvigionamento economico, idoneo a determinare solo
progressivamente, nel beneficiario, l’effetto sperato e, pertanto, il delitto di
corruzione contestato doveva essere ritenuto unitario e permanente.
Tale interpretazione, peraltro, non risulta violare la previsione della
fattispecie incriminatrice contestata, in quanto il delitto di corruzione è un reato
a duplice schema e, pertanto, si perfeziona alternativamente con l’accettazione
della promessa ovvero con la dazione-ricezione dell’utilità, e tuttavia, ove alla
promessa faccia seguito la dazione-ricezione, è solo in tale ultimo momento che,
approfondendosi l’offesa tipica, il reato viene a consumazione (Sez. U, n. 15208
del 25/02/2010, Mills, Rv. 246583; Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, n. 33435,
Battistella, Rv. 234360); pertanto, quando alla promessa segue l’effettiva
dazione del denaro, il termine di prescrizione decorrere da tale momento (Sez. 6,
n. 4105 del 01/12/2016, Ferroni, Rv. 269501; Sez. 6, n. 50078 del 28/11/2014,
Cicero, Rv. 261540).
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal
quale non vi è ragione per discostarsi, tuttavia, a fronte di plurime dazioni nei
confronti del pubblico ufficiale o, per converso, di plurimi atti contrari ai doveri di
ufficio, la unicità o la pluralità dei reati va stabilita in funzione della unitarietà o
meno dell’accordo tra il privato ed il pubblico agente (Sez. 6, n. 33453 del

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che avevano disvelato le frequenti rimesse di danaro contante in entrata sul

04/05/2006, Battistella, Rv. 234358; Sez. 6, n. 47191 del 28/10/2004,
Lacatena, Rv. 230465).
Il reato è, pertanto, unico quando le dazioni indebite trovano una comune
ragione giustificativa nell’asservimento della pubblica funzione.
Lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi,
con episodi sia di atti contrari ai doveri d’ufficio che di atti conformi o non
contrari a tali doveri, configura, infatti, l’unico reato, eventualmente
permanente, previsto dall’art. 319 cod. pen., con assorbimento della meno grave

Giangreco, Rv. 267634; Sez. 6, n. 49226 del 25/09/2014, Chisso, Rv. 261352;
Sez. F, n. 32779 del 13/08/2012, Lavitola, non massimata sul punto).
Pertanto, in tal caso, pur a fronte di plurimi pagamenti cadenzati nel
tempo, allorché i medesimi costituiscano adempimento di un unico accordo, il
momento consumativo del delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di
ufficio coincide con la conclusione della complessiva prestazione o con la sua
improvvisa cessazione (ad esempio, dovuta all’arresto dal funzionario) (Sez. 6,
n. 39542 del 22/03/2016, non massimata sul punto).
Ritiene, pertanto, il Collegio che, nei limiti delibatori propri della presente
sede cautelare, nessuna prescrizione sia intervenuta nella specie e, pertanto, la
doglianza la doglianza si riveli manifestamente infondata.

6. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato
inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
siano stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di duemila euro, in favore della cassa delle
ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro duemila in favore della
cassa delle ammende.
Così deciso il 23/01/2018.

fattispecie di cui all’art. 318 stesso codice (Sez. 6, n. 40237 del 07/07/2016,

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