Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19518 del 17/04/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19518 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1. Tomaso Baltolu, nato a Senis il 26/05/1955
2.

Marco Ignazio Erriu, nato a Tonara il 07/04/1951

avverso la sentenza del 26/11/2013 della Corte d’appello di Cagliari
visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto
Aniello, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
uditi gli avv. ti Guido Manca Bitti per Baltolu e Gianni Ignazio Nonnis e Carlo
Maria Amat di San Filippo per Erriu, i quali si sono riportati ai rispettivi ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza del 26/11/2013, in parziale
riforma della sentenza emessa dal Tribunale di quella città, ha dichiarato non
doversi procedere nei confronti di Tomaso Baltolu e Marco Ignazio Erriu in ordine
ai reati loro ascritti, limitatamente alle condotte compiute fino al 14 maggio 2001
perché estinti per prescrizione, e, confermata l’affermazione di responsabilità per
le residue imputazioni di cui all’art. 314 cod. pen., ha ridotto la pena inflitta ad
anni tre e mesi sette di reclusione ciascuno.
La vicenda aveva ad oggetto plurime liquidazioni eseguite dal Comune di
Dolianova per il tramite di Erriu, cui la sentenza attribuiva la qualifica di
responsabile dell’ufficio tecnico, del procedimento e del budget dell’ente
pubblico, di una serie di compensi professionali in favore dell’arch. Baltolu, per
attività professionali conferite con procedure di affidamento dei lavori non

Data Udienza: 17/04/2014

corrette, retribuiti in misura maggiore del dovuto, riconoscendo prestazioni non
previamente convenute, ed in alcun casi non svolte.
2.1. La difesa di Baltolu deduce con un primo motivo violazione degli artt.
314 cod.pen. e 192 cod.proc.pen., nonché violazione di norma processuale in
relazione agli artt. 521 e 522 cod.proc.pen.
Quanto al primo profilo si rileva che i delitti di peculato di cui ai capi
A),B),C),D),E),G) dell’imputazione, che secondo l’accusa il ricorrente avrebbe

ricevendo delle illecite maggiorazioni sui compensi professionali maturati in suo
favore per lo svolgimento di incarichi pubblici, sono fondati sulla pretesa
illegittimità della maggiorazione prevista dall’art. 17 cpv della I.n. 143/1949.
Ampliando l’ambito dell’accusa la Corte ha invece ritenuto di individuare gli
elementi di reato ipotizzando la mancata esecuzione di prestazioni professionali
da parte del ricorrente, con conseguente violazione del principio di correlazione
tra accusa e difesa e nullità della sentenza sul punto.
Richiamato quanto disposto nella norma speciale, si osserva che il diritto
alla maggiorazione del compenso spetta al professionista ove manchi personale
di sorveglianza e di controllo o nel caso in cui i lavori siano eseguiti in economia,
poiché in tali ipotesi viene imposta al direttore dei lavori una prestazione
professionale ulteriore. La funzione richiamata è stata pacificamente svolta dal
ricorrente nei lavori in contestazione, per la cui esecuzione il Comune di
Dolianova non aveva provveduto alla nomina di personale di sorveglianza e
controllo, situazione che genera il diritto alla prestazione economica ulteriore.
Si osserva che la circostanza di fatto non è stata posta in dubbio dal
Tribunale, mentre la Corte è giunta a diversa determinazione, escludendo la
prestazione materiale di natura professionale dell’interessato correlata a tale
assenza, requisito non richiesto per la liquidazione della maggiorazione. Peraltro
l’attività di controllo non richiede la nomina da parte del professionista di
personale idoneo a svolgere tale attività, ben potendo tali funzioni essere svolte
direttamente da questi. Si richiamano in via di fatto gli elementi di prova
acquisiti sull’effettiva maggiore presenza dell’interessato sul cantiere. A tale
proposito si denuncia travisamento della prova, nella parte in cui la Corte ha
ritenuto dimostrata la presenza solo saltuaria dell’interessato nel cantiere
Si contesta la ritenuta illegittimità della maggiorazione per la mancata
previsione contrattuale, richiamando il parere dell’ordine professionale che aveva
ammesso la possibilità che tale ulteriore utilità fosse richiesta in sede di
liquidazione del compenso a lavori ultimati, circostanza che esclude l’illegittimità
dell’istanza formulata in tal senso e dell’erogazione dell’importo.
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consumato in concorso con il pubblico ufficiale sotto la forma dell’istigazione,

Del tutto legittima risulta poi la determinazione autonoma del quantum
dell’aumento, posto che la legge ne prevede solo il limite massimo.
Con riferimento all’asserita illegittimità della maggiorazione del 40% per
misure e contabilità dei lavori la Corte richiama quanto già ritenuto dal Tribunale,
senza confrontarsi con le argomentazioni proposte sul punto dalla difesa; si
contesta inoltre la ritenuta impossibilità di applicare tale maggiorazione in
relazione a lavori di restauro, come nei casi considerati nei relativi capi

dall’ordine professionale. Analoghe osservazioni sono ripetute con riferimento
all’imputazione di cui al capo G).
Con riferimento alla ritenuta illegittimità della maggiorazione di cui all’art.
19 I.n.143/1949, contestata al capo E), la conclusione è fondata sull’accettazione
della tesi del consulente tecnico, secondo cui questa sarebbe applicabile solo per
il caso di collaudo, non nel caso di certificato di regolare esecuzione dei lavori,
conclusione che contrasta con il quadro legislativo, oltre che con quanto stabilito
dall’ordine degli ingegneri, che ha fornito un parere sulla sussistenza della
condizione legittimante il compenso. In argomento si contesta la deduzione della
Corte, che assume che le difese abbiano considerato una diversa tariffa
professionale, richiamando il riferimento a quella presa in considerazione dal
consulente e le disposizioni che equiparano il collaudo al certificato di esecuzione
dei lavori; a sostegno di tale equiparazione si richiamano le fonti normative che
la legittimano.
In ordine alla mancata esecuzione del calcolo “delle prime indicazioni
prescrizioni di sicurezza” di cui si parla al capo G) se ne esclude la sussistenza
sulla base delle affermazioni testuali rese sul punto dal consulente del Pm dalle
quali è dato evincere che, pur mancando un documento specifico al riguardo,
questo debba intendersi incluso nel progetto definitivo e conseguentemente,
essere remunerato posto che pacificamente il ricorrente ha redatto tale progetto.
Circa l’ulteriore contestazione sul punto relativo all’erronea
quantificazione della percentuale spettante, si osserva che lo stesso consulente
ha riconosciuto la mancata inclusione di alcuni compensi dovuti in favore del
professionista, elemento che esclude sia l’offesa patrimoniale alla pubblica
amministrazione, che il dolo del reato contestato al ricorrente.
Gli elementi di fatto esposti impongono, secondo il ricorrente, di valutare
l’insussistenza il dolo del reato ritenuto in quanto le discrasie desumibili
dall’imprecisa individuazione delle voci della tariffa professionale applicabili nella
specie avrebbe dovuto indurre, quanto meno, ad ipotizzare errori che escludono
l’elemento soggettivo richiesto per il reato contestato. In proposito, a sostegno
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d’imputazione, malgrado tale operazione sia stata considerata corretta

della facilità dell’errore, si richiamano le stesse discrasie valutative emerse tra
l’indagine svolta dal consulente del Pm e quanto riconosciuto legittimo dal
Tribunale in primo grado.
2.2.

Con ulteriore motivo si deduce violazione di legge e vizio di

motivazione con riferimento all’accertamento del concorso nel delitto di peculato
e nella valutazione degli elementi di prova, richiamando in proposito precedenti
di questa Corte che esigono la prova del previo accordo tra privato e pubblico

primo ed il provvedimento realizzato del secondo.
La verifica della presenza di tale accordo è fondata su un ragionamento
indiziario, ancorché la Corte non abbia individuato in maniera analitica quali
concreti indizi siano posti a base del ragionamento; in particolare, si contesta
che tali elementi di accusa possano essere tratti dalle dichiarazioni della teste
Loddo, che, al di là di generiche indicazioni sugli specifici lavori oggetto di
contestazione, aveva escluso la volontà del pubblico ufficiale di accedere alle
richieste del professionista.
Si contesta inoltre la deduzione operata dalla Corte di merito della prova
del previo accordo dal disposto collaudo delle opere realizzate dal professionista
attività che, in senso contrario, denota la sottoposizione a controllo dell’attività di
questi, oltre che la svalutazione del provvedimento di archiviazione del
procedimento instaurato a seguito della presentazione del

curriculum del

professionista presso il Comune, episodio a cui ancora una volta, la Corte di
merito attribuisce un’illogica connotazione negativa, che si assume smentita da
ulteriori emergenze probatorie, rispetto alle quali si assume essere avvenuto
dalla Corte territoriale un travisamento.
2.3. Con ulteriore motivo si deduce violazione di legge con riferimento
alle norme di cui agli artt. 314, 640 e 323 cod.pen.
Con riferimento al delitto di peculato si esclude che il funzionario pubblico
avesse la disponibilità giuridica del denaro erogato al professionista poiché essa
non è riconosciuta al responsabile del procedimento, qualifica rivestita da Erriu,
ma dal dirigente dell’ufficio tecnico, il quale in via pressoché esclusiva aveva
disposto gli atti di liquidazione di spese in favore del professionista; la
circostanza legittima, nell’ipotesi di conferma degli elementi di accusa, la
qualificazione del fatto quale truffa, aggravata ai sensi dell’art. 61 n.9 cod.pen. o
in via subordinata l’inquadramento dell’azione nel diverso delitto di abuso
d’ufficio.
3.1. La difesa di Erriu nel suo ricorso deduce violazione di legge nell’aver
la Corte di merito rinvenuto nella condotta contestata gli estremi del reato di
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funzionario, escludendo che possa desumersi dalla coincidenza tra la richiesta del

peculato, malgrado all’interessato non competesse il possesso del danaro
pubblico, né la sua disponibilità giuridica.
3.2. Si deduce inoltre violazione dell’art. 192 cod.proc.pen. nella parte in
cui la Corte ha ricostruito la sussistenza di elementi dimostrativi dell’accordo tra i
coimputati attraverso un ragionamento indiziario, omettendo in relazione ad esso
la verifica dell’avvenuto superamento di ogni ragionevole dubbio, così
determinandosi in contrasto con quanto stabilito dagli artt. 533 e 546 cod. proc.

pen.
In particolare, si rileva che il significato indiziario degli elementi assunti
quale premessa minore della deduzione risultano contrastati da elementi
oggettivi, pacificamente acquisiti al processo, di cui la sentenza, con
argomentazioni illogiche e contraddittorie, è costretta a sminuire o stravolgere
l’oggettivo significato al fine di sorreggere un’interpretazione accusatoria che
risulta così equivoca.
In particolare, si pone a base dell’accertamento l’assunto che il ricorrente
fosse del tutto autonomo nel rilascio dei pareri favorevoli all’attività del
professionista, e si esclude l’intervento dei suoi superiori gerarchici o
l’attribuzione ad organi terzi dello svolgimento di controlli, assunto palesemente
contrastante con i dati acquisiti nel corso dell’istruttoria, la cui fragilità è
confermata dalla valorizzazione quale elemento di conferma del pactum sceleris
di un indimostrato previo accordo difensivo.
3.3. Si rileva violazione di legge con riferimento agli artt. 521 e 533
comma 1 cod.proc.pen. per avere la sentenza affermato la responsabilità
dell’odierno ricorrente per fatto diverso rispetto alla contestazione, posto che
quest’ultima riguarda l’applicazione di maggiorazioni tariffarie non dovute al
professionista, mentre la pronuncia impugnata correla la mancanza di
obbligazione all’omesso svolgimento a cura del professionista delle prestazioni
indicate in parcella, con ciò realizzando una violazione delle prerogative
difensive, in quanto l’accusa risulterebbe fondata su nuovi temi di contestazione,
individuati solo nel giudizio d’appello. In proposito si evidenzia che proprio
l’omessa contestazione aveva indotto la difesa a non produrre documentazione
integrativa, scelta difensiva che è stata interpretata nella sentenza impugnata
come sintomatica dell’infondatezza delle argomentazioni difensive.
3.4. Si deduce manifesta contraddittorietà, illogicità della motivazione e
carenza della stessa, relativamente all’individuazione del ruolo assunto dal
ricorrente all’interno dell’ufficio nel periodo di riferimento, ampiamente smentita
dalla documentazione prodotta, come peraltro ammesso in altri brani della
sentenza, che non fornisce spiegazione di tale antitesi. Più in particolare, proprio
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per le specifiche liquidazioni formulate a vantaggio del professionista oggetto
delle imputazioni, non ancora coperte da prescrizione, la liquidazione era stata
disposta dal responsabile dell’ufficio tecnico.
Ulteriori discrasie argomentative si rilevano quanto alla valutazione delle
deduzioni offerte nel corso dell’istruttoria dai testi escussi, in relazione alle quali
si deduce travisamento del fatto, in particolare ove si attribuiscono ai testi alcune
specifiche affermazioni da queste non formulate. A tal fine, sulla base delle

l’amministrazione a livello politico e non con l’odierno ricorrente, che risultava in
alcune occasioni aver espresso parere negativo, superato dalle contrarie
argomentazioni dei referenti politici. La mancata considerazione di tutti i dati
esposti, emergenti dall’istruttoria dibattimentale, evidenzia, in tesi difensiva, la
presenza dei vizi lamentati nella sentenza.
Analogamente si richiama, con riferimento all’affermazione di
responsabilità di cui al capo H), relativo ad un episodio di peculato in cui la parte
privata sarebbe stata istigatrice, l’incongruenza dell’affermazione di
responsabilità, malgrado l’intervenuta assoluzione del privato istigatore,
ipotizzando l’intervento in favore del privato, all’insaputa di questi, da parte del
professionista coimputato. Sul punto era stata omessa ogni evidenziazione delle
prove ed ignorati gli elementi di segno contrario desumibili dalla richiesta di
esecuzione di un collaudo esterno sui lavori oggetto del pagamento, attività il cui
significato viene svalutato con considerazioni che ignorano gli elementi di prova.
In proposito si lamenta che anche il consulente del Pm aveva
argomentato a sostegno dell’ipotesi d’accusa specifica, senza considerare
l’esistenza del collaudo e dei suoi esiti, circostanza rilevante ove si consideri che
la liquidazione in favore dell’impresa venne eseguita non dall’interessato, ma dal
collaudatore, le cui affermazioni sul punto risultano travisate nella sentenza
impugnata. Tale emergenza avrebbe dovuto condurre all’assoluzione per
insussistenza del fatto sia dell’imprenditore, che dell’odierno ricorrente.
In ordine all’accusa relativa all’appropriazione di somme per il tramite di
liquidazioni non dovute in favore dell’architetto Baltolu, si osserva che il suo
fondamento è la relazione tecnica del consulente del P.m. che inspiegabilmente
viene valutata con metodologia errata sia dal Tribunale che dalla Corte, che ha
ritenuto di muoversi sull’assunto dell’impossibilità di escutere alla pubblica
amministrazione somme al cui pagamento la stessa non si era vincolata per
iscritto, omettendo di considerare che tale corresponsione ben potrebbe essere
sollecitata al titolo di indebito arricchimento.

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testimonianze rese, si ricostruisce la presenza di contatti del professionista con

La deduzione rende rilevante il parere di congruità sulle somme il cui
pagamento è stato richiesto dal professionista.
Si rileva inoltre che la maggiorazione prevista nell’ipotesi di mancata
nomina del responsabile della sorveglianza e sicurezza è dovuta, a prescindere
dalla previsione contrattuale, in quanto matura a seguito della verifica
sull’omessa nomina del personale specializzato da parte del committente.
Da ultimo si contesta la valutazione riguardante l’accertamento del

concorso con l’extraneus con riferimento all’estensione degli incarichi assicurati
in favore del coimputato, che risulta contraddetto dall’intervento del sindaco e
del segretario comunale al riguardo, che esclude qualsiasi potere determinativo
del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono fondati, con riguardo all’erronea qualificazione giuridica
dei fatti.
2. Deve preliminarmente ricordarsi che la distinzione tra il delitto di
peculato e quello di truffa aggravata presuppone l’accertamento nel primo caso
della disponibilità materiale o giuridica dell’utilità sottratta in capo al pubblico
ufficiale, verifica che nel caso di specie, pur in presenza di una specifica
contestazione, non ha ottenuto risposta in termini di certezza.
In particolare, nel capo di imputazione si attribuisce genericamente ad
Erriu la qualità di responsabile dell’area tecnica e responsabile del procedimento,
correlando a tale funzione la disponibilità del denaro erogato
dall’amministrazione per tali scopi; sul punto il giudicante in primo grado, dopo
aver correttamente richiamato la sostanziale parificazione, al fine
dell’individuazione del possesso penalmente rilevante, tra disponibilità di fatto e
disponibilità giuridica, ha concluso accertando quest’ultima in capo all’Erriu,
anche in considerazione anche della sua competenza ad emettere atti
propedeutici all’emissione di un provvedimento riconducibile ad altro pubblico
ufficiale, fattispecie che in realtà non potrebbe ricondurre al reato di peculato,
proprio per la mancanza di rapporto diretto del funzionario con il bene di cui
dispone, se non nell’ipotesi dell’induzione in errore del materiale erogatore, in
applicazione dell’art. 48 cod. pen., che non risulta contestata nel caso di specie,
ove l’imputazione è fondata su una correlazione diretta tra pubblico ufficiale e
denaro del quale ha disposto; la diversa ipotesi non può ritenersi nel corso del
giudizio richiedendo una specifica contestazione (principio pacifico; per tutte Sez.
5, n. 7581 del 05/05/1999 – dep. 11/06/1999, Graci A, Rv. 213776).

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In altra parte della medesima decisione si attribuisce rilievo alla qualifica
del ricorrente quale responsabile di fatto dell’area tecnica, dando conto del
mutamento nel tempo delle sue funzioni formali, senza offrire al riguardo,
malgrado la rilevanza del dato di fatto al fine del corretto inquadramento della
fattispecie, alcuna speciazione, sia di ordine temporale, che sull’individuazione
delle fonti di accertamento del dato.
Risulta conseguentemente essenziale, al fine del corretto inquadramento

giuridico della fattispecie, verificare se nel corso del giudizio si sia pervenuti a
determinazioni di certezza sul punto, tanto più rilevati ove, con la specifica
contestazione sul punto in atto di appello, la difesa di Erriu aveva posto l’accento
sulla funzione preparatoria e prodromica alla disposizione dei fondi dell’attività
rimessa al responsabile del procedimento, qualifica rivestita dal dichiarante, ed
alla disponibilità giuridica delle somme in capo alla differente figura del
responsabile dell’ufficio tecnico. L’esame della sentenza impugnata non ha
consentito l’individuazione di una coerente analisi sul punto in quanto, se nella
sua iniziale esposizione si attribuisce all’Erriu la qualità di responsabile dell’ufficio
tecnico, del procedimento e del budget, nella sua parte interna, e segnatamente
ai fg. 27-28 si dà atto che il responsabile dell’ufficio, ing. Sardu, nel corso della
sua audizione, ha dichiarato di non aver mai verificato le istruttorie dei suoi
collaboratori, per una scelta personale, circostanza di mero fatto che non
attribuiva a questi ultimi la disponibilità giuridica delle somme, che comunque
doveva rimettersi al responsabile dell’ufficio.
La stessa pronuncia individua, per un periodo imprecisato, nell’ing. Sardu
il titolare dell’ufficio che si era determinato nel senso indicato, sicché la modalità
concreta di esplicazione dell’attività da parte del responsabile dell’ufficio tecnico
non esonerava dalla necessità di verificare la disponibilità giuridica che fonda
l’accertamento del possesso del bene della pubblica amministrazione, che nelle
condizioni date non risulta adeguatamente argomentata, non risultando pertanto
correlata tale condizione all’effettivo ruolo rivestito dall’interessato all’interno
della struttura amministrativa.
Più correttamente quindi l’azione contestata deve inquadrarsi nella figura
della truffa aggravata, ai sensi del capoverso della disposizione incriminatrice,
secondo quanto ritenuto costantemente dalla giurisprudenza sul punto (solo per
citare la più recente da ultimo, Sez. 6, n. 41599 del 17/07/2013 – dep.
08/10/2013, P.G. in proc. Fasoli, Rv. 256867), che fissa il discrimine della
fattispecie proprio sulla presenza o meno della disponibilità materiale o giuridica
del beni pubblici; nella specie, per quanto esposto, deve escludersi tale
disponibilità in quanto l’Erriu, proprio contando sulla fiducia riconosciutagli in
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fatto, poneva in essere atti contenenti dati storici non corrispondenti al reale,
così realizzando gli artifici idonei a giustificare l’erogazione di denaro pubblico.
La conclusione raggiunta non si pone in contraddizione rispetto ad altre
pronunce di questa Corte (sez. 6 sentenza n. 3239 del 22/09/2011, dep.
26/01/2012, imp. Campus) che hanno attribuito alla signoria di fatto riconosciuta
dal titolare del diritto in favore di un terzo, la disponibilità necessaria alla
qualificazione di fatti come peculato, poiché nella differente fattispecie richiamata

attraverso la materiale consegna del libretto degli assegni, situazione concreta
che realizzava la relazione di fatto con il bene. Tale relazione non è dato
ravvisare nella specie ove l’erogazione dei fondi avveniva su istruttoria
dell’interessato, e per effetto del mancato controllo del responsabile dell’ufficio,
cui in definitiva doveva rapportarsi l’atto dispositivo.
Più in particolare, è già stato efficacemente osservato (Sez. 6, n. 5447 del
04/11/2009 – dep. 11/02/2010, Donti e altri, Rv. 246070) che “nel delitto di
peculato il possesso e la disponibilità del denaro per determinati fini istituzionali
è un antecedente della condotta incriminata, mentre nella truffa
l’impossessamento della cosa è l’effetto della condotta illecita. È al rapporto tra
possesso da una parte, ed artifizi e raggiri dall’altra, che deve aversi riguardo,
nel senso che, qualora questi ultimi siano finalizzati a mascherare l’illecita
appropriazione da parte dell’agente del denaro o della

res di cui già aveva

legittimamente la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, ricorrerà lo
schema del peculato; qualora, invece, la condotta fraudolenta sia posta in essere
proprio per conseguire il possesso del denaro o della cosa mobile altrui, sarà
integrato il paradigma della truffa aggravata”.
Il mancato accertamento dell’attribuzione all’Erriu della funzione di diritto
di responsabile dell’ufficio, che pure aveva costituito specifico elemento del
gravame di merito, ed imponeva pertanto un’argomentazione analitica sul punto,
e le risultanze contraddittorie richiamate in argomento dalla medesima
pronuncia, escludono la possibilità di ricondurre alla sua funzione la disponibilità
giuridica delle somme, imponendo di operare la diversa qualificazione giuridica
dei fatti.
In conseguenza, diversamente qualificati i delitti di peculato contestati ai
sensi dell’art. 640 cpv cod. pen., deve accertarsi l’intervenuta prescrizione dei
reati, che risultano commessi tutti, al più tardi nel giugno 2004, ed il cui termine
massimo, in considerazione della data della sentenza di primo grado, deve
essere computato in base della nuove norme contenute nell’art. 157 cod. pen.
come modificato dalla I. 5 dicembre 2005 n. 251, maggiorando tale termine
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la signoria si è estrinsecata nel riconoscimento materiale dell’accesso ai fondi,

massimo esclusivamente del periodo complessivo di due mesi e dodici giorni, nel
corso del quale il procedimento è stato rinviato per effetto dell’astensione
dall’attività professionale proclamata dagli organismi di categoria, cui hanno
aderito i difensori.
Ciò impone di individuare il termine di prescrizione al 13/03/2013, data
antecedente alla pronuncia di secondo grado, e conseguentemente di disporre
l’annullamento senza rinvio della pronuncia impugnata.

riguardante la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. in quanto l’esame della
pronuncia di primo grado dà conto dell’avvenuto accertamento, anche in quella
sede, dell’omessa esecuzione da parte del Baltolu, di parte del lavori per i quali
ha richiesto ed ottenuto la liquidazione del compenso, previsione peraltro
pienamente riferibile al capo di imputazione, dove si analizzano somme non
dovute, senza specificare la causa dell’assenza dell’obbligazione.
La circostanza, verificata sulla base delle specifiche deduzioni contenute in
particolare a fg. 8 della sentenza di primo grado, esclude la violazione del diritto
di difesa sul punto, e l’indebita dilatazione del tema di indagine, rispetto
all’imputazione, attribuita alla decisione della Corte territoriale con i motivi di
ricorso.
4.

La doverosa indagine per verificare l’applicabilità di formule di

proscioglimento in fatto deve concludersi nel senso di escludere che dagli atti
emergano circostanze idonee a legittimare tale decisione.
In particolare, nel provvedimento impugnato risultano ampiamente
esaminate le deduzioni poste a fondamento delle eccezioni sulla correttezza delle
determinazioni, e si richiamano specificamente, oltre che gli elementi acquisiti
nel corso delle indagini, le carenza probatorie di segno opposto che, se pur
oggetto di istanza di rinnovazione dibattimentale, ai sensi dell’art. 603 cod. proc.
pen., non sono state concretamente offerte alla cognizione della Corte per la
sopravvenuta rinuncia delle parti, circostanza che ha lasciato priva di sostegno la
protesta di innocenza su alcune determinanti contestazioni, quali l’effettivo
svolgimento di lavori, della cui attuazione si dubitava, e la coerenza delle
liquidazioni sollecitate.
Particolarmente significativa, al fine di escludere la pretesa insussistenza
dei fatti, risulta l’avvenuta liquidazione di compensi per prestazioni ulteriori e di
difficile verificazione, sulla cui esecuzione era assente qualsiasi determinazione
dell’ente erogatore, mentre il riconoscimento del pagamento risulta intervenuto
sulla base della mera richiesta del professionista, con procedimento che si pone

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3. Per completezza si rileva l’infondatezza in fatto del motivo in rito,

al di fuori della regolarità amministrativa, che impone per l’attribuzione degli
incarichi l’atto scritto.
Come già chiarito nella fase di merito l’apposizione del visto di congruità
da parte dell’ordine professionale non assume alcun effetto vincolante, né
riguardo all’accertamento di effettivo svolgimento dell’attività, né con riferimento
alla rispondenza delle voci indicate all’impegno professionale assunto con l’ente
pubblico, poiché la sua funzione si esaurisce in una certificazione della

rispondenza del credito prospettato alla tariffa professionale ed in una
valutazione di astratta congruità del quantum, sulla base della mera allegazione
del creditore, e non può assumere funzione impropria di accertamento
dell’effettività della prestazione, quale risulta attribuita negli atti difensivi.
Si deve rilevare inoltre che la Corte ha svolto una compiuta analisi in
ordine alla qualificazione dell’attività svolta, con particolare riferimento alla
riconducibilità dell’attività demandata dal professionista come restauro o
ordinaria manutenzione, rilevante al fine di accertare la corretta determinazione
in aumento delle competenze, sulla base delle specifiche norme dettate sul
punto, valutazione rispetto alle quali gli appellanti oppongono una difforme
determinazione di merito, che non dà contezza di una non corretta qualificazione
dei fatti sul piano normativo, e che, ancora una volta, escludendo l’erroneo
accertamento del fatto reato, non permette di pervenire all’applicazione di
formule di proscioglimento in fatto sulla specifica contestazione.
Ad analoga conclusione deve giungersi anche in relazione all’illegittimità
della maggiorazione prevista dall’art.19 I.n. 143/1949, in ragione sia della
persistenza degli elementi a carico, desumibili dalla consulenza disposta, sia
dall’insussistenza di elementi sull’effettività delle prestazioni, che la sentenza non
ha ritenuto superata da allegazioni di segno opposto, per l’intervenuta rinuncia
alla prova sul punto.
Le ulteriori deduzioni poste a sostegno dei motivi di ricorso proposte
nell’interesse di Baltolu, in luogo che evidenziare la mancata considerazione di
elementi di prova sull’insussistenza dei fatti, deducono specifici dubbi sulla
ricostruzione accusatoria, che, oltre ad essere state adeguatamente contrastati
nella pronuncia impugnata sono inidonei, proprio perché non dirimenti, ad
imporre una pronuncia di natura assolutoria.
Analogamente, con riferimento alla posizione processuale di Baltolu, non
sussistono elementi che consentono di superare l’ipotesi di accusa afferente al
suo concorso nel reato proprio, verificato in sentenza sulla base di plurimi e
convergenti elementi indiziari, costituiti dal suo costante relazionarsi con il
coimputato, oltre che con i rappresentanti politici del comune, e sul ripetuto
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ot

conferimento di incarichi ed emissione in suo favore di provvedimenti
autorizzativi di pagamento per compensi non dovuti, secondo la corretta
interpretazione delle disposizioni in materia, in assenza di atti dispostivi
attributivi del diritto alla riscossione, per attività non specificamente
commissionate dall’ente pubblico.
Gli elementi di fatto esposti escludono che possa pervenirsi al
proscioglimento in fatto degli imputati, imponendo l’annullamento senza rinvio

come qualificato in questa sede.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, qualificato il fatto come reato di
cui all’art. 640 cpv n. 1 cod. pen. perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 17/04/2014.

della sentenza impugnata, conseguente all’accertamento di estinzione del reato

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