Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19517 del 17/04/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19517 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1. Pasquale Pierro, nato a Napoli il 23/07/1970
avverso la sentenza del 12/06/2013 della Corte d’appello di Napoli
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto
Aniello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli avv. Domenico Ducci e Ettore Stravino, che si sono riportati al ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Napoli con sentenza del 12/06/2013, giudicando
in sede di rinvio disposto a seguito dell’annullamento della pronuncia della Corte
d’appello, limitatamente alla determinazione della pena, pronunciato da questa
Corte con sentenza dell’08/01/2013, ha quantificato la sanzione nei confronti di
Pasquale Pierro, con riferimento a vari delitti di usura, in anni cinque mesi dieci
di reclusione ed C 5800 di multa.
2. La difesa del Pierro deduce nel suo ricorso mancanza ed illogicità della
motivazione sulla determinazione della sanzione dedotta dal computo
complessivo, riferibile al reato di falso prescritto, ed assume, sulla base degli
atti, la mancanza di proporzionalità della quantificazione operata rispetto ai
criteri di computo seguiti nelle precedenti pronunce di merito, ritenendo
conseguentemente ingiustamente penalizzante e non sostenuta da adeguata
motivazione la determinazione del giudice del rinvio in argomento.

Data Udienza: 17/04/2014

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
2. L’assunto sul quale è fondato il ricorso -presunto trattamento deteriore
del ricorrente, rispetto al coimputato del medesimo reato in primo grado- è
fondato su presupposti insussistenti, in fatto ed in diritto.
Sotto il primo profilo deve escludersi, sulla base della medesima
documentazione prodotta dalla difesa, la perfetta equiparabilità della condizione

processuale del coimputato Gallo rispetto a quella del ricorrente, atteso che al
primo risultava ascritto solo il delitto di falso, e per il secondo questo risultava
costituire l’imputazione meno grave di un complesso di contestazioni di notevole
entità. Tale condizione di fatto sorregge la ratio giuridica della differenziazione
tra le sanzioni comminate, poiché per Gallo sussisteva un vincolo edittale
correlato all’unicità della contestazione, mentre per Pierro, pur essendo
maggiormente gravato dalle accuse, in conseguenza dell’applicazione dell’istituto
di cui all’art. 81 cod. pen. di cui è noto l’effetto calmieratore della sanzione,
quest’ultima in relazione ai singoli reati fine, ben può -e solitamente deveessere stata applicata in misura più favorevole al reo, malgrado la sua condotta
e personalità risulti tratteggiata in maniera negativa, rispetto a quanto avvenuto
per il Gallo.
Ne consegue che viene a mancare una componente essenziale del
sillogismo sul quale è fondata l’eccezione formulata in ricorso.
3. Deve inoltre rilevarsi che proprio la mancanza di elementi indicatori
sulla singola determinazione in aumento della pena per ogni violazione ha
imposto a questa Corte, con precedente sentenza, l’annullamento con rinvio per
nuova determinazione sul punto. In argomento la Corte territoriale, muovendosi
in piena autonomia sulla base della considerazione della determinazione della
pena per il reato più grave e degli aumenti complessivamente apportati per i
reati satellite, ha doverosamente operato una valutazione proporzionale, in base
al loro numero e gravità, determinando per il reato di falso prescritto una
sanzione computabile in mesi due, al fine di garantire l’equilibrio degli aumenti
apportati, in considerazione del complesso delle accuse mosse.
L’autonomia determinativa della sanzione per Pierro, derivante
dall’applicazione del’istituto di cui all’art. 81 cod. pen., precludeva nei fatti
qualsiasi raffronto con il trattamento sanzionatorio riconosciuto ad altri
coimputati per i quali tale istituto non è stato applicato, in ragione dell’unicità
della contestazione.
Né per contro può ritenersi l’illegittimità della determinazione utilizzando
quale base comparativa la sentenza di primo grado – ove l’aumento per il falso

2

Cass. VI sez. pen.r.g.n. 49701/2013

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era stato computato in mesi sei di reclusione- poiché tale pronuncia, oltre che
contenere un calcolo matematicamente errato nella determinazione finale della
sanzione, è stata travolta dalla sentenza di secondo grado poi annullata, che ha
ridotto complessivamente di un anno e mesi sei l’aumento per tutti i reati
satellite, mutando conseguentemente, pur senza indicarli, i complessivi termini
di riferimento.
È bene ricordare che in argomento questa Corte ha già stabilito

– dep. 28/01/2013, Ancona e altri, Rv. 254263) nell’ipotesi di annullamento per
nuova quantificazione della pena, che resta limitata esclusivamente dall’obbligo
del rispetto del divieto di reformatio in pejus sulla pena complessiva, che
all’evidenza nel caso di specie non viene in considerazione.
Sulla base degli elementi di fatto emergenti dagli atti risulta quindi
imprescindibile valutare la congruità della motivazione che ha sorretto la
determinazione discrezionale del giudice del rinvio nella sua componente interna
al provvedimento, e non in rapporto alle precedenti pronunce, stante la chiara
diversità dei presupposti determinativi, in quella sede non esplicitati.
In relazione a tale ambito valutativo nel ricorso non si opera alcuna
contestazione di contraddizione o illogicità nella giustificazione del proprio
percorso decisionale, proponendo nei fatti un ricorso inammissibile, poiché non si
confronta con il concreto elemento giustificativo seguito, ma persegue un’ ipotesi
di dipendenza della decisione dalle precedenti che, proprio in quanto sfornita di
argomentazione, aveva subito l’annullamento sul punto, e non poteva, per
l’effetto, costituire un termine di riferimento per la parcellizzazione delle singole
sanzioni componenti l’aumento per la continuazione.
4. L’inammissibilità del ricorso impone la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma indicata in dispositivo, in
favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 17/04/2014.

l’autonomia determinativa del giudice del rinvio (Sez. 6, n. 4162 del 07/11/2012

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