Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19515 del 17/04/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19515 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

Data Udienza: 17/04/2014

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1. Pierangelo Frappi, nato a Castiglion Fiorentino il 10/02/1952
avverso la sentenza del 05/03/2012 della Corte d’appello di Firenze
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto
Aniello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avv. Andrea Iodice per la parte civile, che si è riportato alle conclusioni
scritte;
udito l’avv. Carlo Amat di San Filippo in sostituzione dell’avv. Luca Cianfroni per
il ricorrente, che si è riportato al ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 05/03/2012, in parziale
riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Arezzo a carico di Pierangelo
Frappi in data 15/04/2010, ha dichiarato non doversi procedere nei suoi
confronti per il delitto di lesioni colpose, così riqualificata l’imputazione sub b)
per remissione di querela, e confermato l’affermazione di responsabilità per la
residua imputazione di cui all’art. 337 cod. pen., riconoscendo le ulteriori spese
del grado in favore della parte civile.
2. La difesa del Frappi propone ricorso con il quale si deduce violazione di
legge penale, con riferimento all’individuazione, nella condotta tenuta
dall’interessato, degli elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, del reato di
resistenza, che doveva escludersi per l’inidoneità dell’azione realizzata a

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frapporre un serio ostacolo allo svolgimento dell’attività del pubblico ufficiale,
elemento nel quale deve ravvisarsi l’essenza del reato ritenuto, in quanto dalla
ricostruzione contenuta in sentenza è emerso che l’azione oppositiva si sarebbe
esaurita nella realizzazione di leggerissime spinte contro la borsa posteriore della
motocicletta del pubblico ufficiale, inidonee a condizionarne o limitarne l’attività.
Si evidenzia inoltre l’illogicità di ritenere cosciente e volontaria la pretesa
condotta oppositiva, a fronte dell’intervenuto accertamento della natura colposa

3. Con ulteriore motivo si deduce omessa motivazione sulle circostanze
esposte in atto di gravame, nel quale erano state evidenziate le contraddizioni
contenute nelle ricostruzioni dei fatti offerte dai verbalizzanti, ingiustamente
ignorate o superare da considerazioni personali, che non avevano riscontro in
atti, segnalando in argomento il travisamento della prova.
4.

Si eccepisce inoltre contraddittorietà e manifesta illogicità della

motivazione, nella parte in cui ha respinto l’impugnazione dell’ordinanza di primo
grado che non aveva accolto le richieste formulate ai sensi dell’art. 507 cod. proc
pen., volte all’acquisizione di perizia medico legale sulle lesioni, e sulla
ricostruzione della dinamica dell’urto, concludendo per la realizzazione di una
spinta di lieve entità sulla moto, la cui effettività il consulente tecnico aveva
escluso, senza adeguatamente argomentare sul punto, così superando le
opposte conclusioni tecniche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
2. La qualificazione dell’atto compiuto -spingere con la propria auto la
motocicletta del verbalizzante, per allontanarsi dal luogo ove veniva contestata
l’infrazione, attività che si era già cercato di evitare allontanandosi dal punto ove
la violazione era stata riscontata- deve inquadrarsi nella resistenza a pubblico
ufficiale, essendosi espressa con un atto di opposizione all’azione di controllo,
che ha costretto il vigile, per evitare danni maggiori alla moto, a sorreggerla,
procurandosi le lesioni e ad essere momentaneamente distolto dall’attività.
Nell’impugnazione non si nega l’avvenuto contatto tra i mezzi, ma si
esclude la volontà oppositiva in tale comportamento, malgrado proprio le
conseguenze prodotte, individuabili nell’azione di sostegno del mezzo da parte
del verbalizzante, pur non consentendo la fuga all’interessato, abbiano
sicuramente prodotto la distrazione del vigile dall’azione che stava compiendo.
Esclusa l’accidentalità dell’azione, neppure prospettata dall’interessato, non può

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delle lesioni riportate dal vigile urbano a seguito di tale attività.

che ricondursi la condotta realizzata alla cosciente volontà di opporre ulteriori
ostacoli allo svolgimento dell’azione del pubblico ufficiale.
Tale inquadramento doloso non si pone in antitesi con l’accertamento
della natura colposa delle lesioni conseguite all’interessato per cercare di limitare
i danni al mezzo, in quanto effetto della reazione istintiva di difesa del bene
posta in essere dal verbalizzante, che non risulta essere stata prevista e valutata
probabile, per effetto della posizione assunta dalla parte lesa durante l’azione.

Ciò rendono le lesioni un evento ulteriore ed autonomo rispetto al delitto di
resistenza, che giustificano il differente atteggiamento psicologico.
3. Del tutto generico è il motivo di ricorso che contesta omessa motivazione
e travisamento della prova, poiché si sviluppa con una contestazione di natura
quantitativa sul numero delle pagine dell’atto di appello, poste in relazione
all’entità della sentenza impugnata, o con contestazioni stilistiche sulle modalità
espressive del provvedimento impugnato, senza individuare gli argomenti
specifici che sarebbe rimasti privi di risposta. Analogamente si deduce la
presenza di un contrasto di risultanze tra le dichiarazioni dei due testi
verbalizzanti, denunciando sul punto travisamento della prova, ma si omette sia
l’indicazione specifica del contrasto, che non viene neppure illustrato nei suoi
elementi di fatto, che la segnalazione della collocazione specifica degli atti del
processo dai quali tale contrasto emergerebbe, indicazione che si impone in
ragione del principio dell’autosufficienza del ricorso. (principio pacifico; per tutte,
da ultimo Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013 – dep. 19/06/2013, Natale e altri, Rv.
256723).
4. In merito alla contestazione della decisione di non assumere la perizia
tecnica sulle modalità del contatto tra auto e moto, pur denunciando
formalmente contraddittorietà e carenza della motivazione, di fatto si ripropone
la valutazione sulla sua assoluta necessità, estremo che solo avrebbe potuto
esigere il suo espletamento, formulando le medesime deduzioni di merito,
respinte dalla Corte.
Il giudice di merito ha valutato l’immediata contestualità tra gli eventi ed il
rilievo delle tracce del colpo sulla moto, che si giustificavano con quanto assunto
dai testi ed acquisito anche in ragione delle scarsamente attendibili letture
alternative offerte dall’interessato, la cui ricostruzione è risultata smentita dalla
contraddittorietà della sua stessa esposizione, per escludere la rilevanza
dell’accertamento, con valutazione di fatto che, in quanto intimamente coerente
con le risultanze e svolta secondo criteri logici, non è suscettibile di censure in
questa sede. Oggetto dell’esame sul punto non era la maggiore o minore
plausibilità della lettura alternativa offerta dal consulente, ma la solidità delle
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44.,

risultanze di segno opposto sul punto, la cui assenza avrebbe potuto generare la
necessità di un approfondimento. Per contro la convergenza oggettiva e
temporale degli eventi rilevati escludeva a monte la rilevanza dell’accertamento
richiesto, che per l’effetto risultava non necessario al fine di decidere. La Corte di
merito risulta essersi espressa in tal senso mentre il ricorso sul punto, ignorando
tale preliminare elemento di fatto, fonda i suoi rilievi sulla bontà delle tesi del
proprio consulente, senza porsi il problema di confrontarle con quanto

5. All’accertamento di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma indicata in
dispositivo in favore della Cassa delle ammende in applicazione dell’art. 616 cod.
proc. pen.
Il ricorrente è inoltre tenuto alla rifusione delle spese di rappresentanza in
questo grado della parte civile, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle
ammende.
Condanna inoltre il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida nella
somma di euro 2.000, oltre accessori in favore della parte civile Casini Luca.
Così deciso il 17/04/2014.

sull’argomento già risultava acquisito in atti ed emergente dalla pronuncia.

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