Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19504 del 23/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19504 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: RICCIARELLI MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
De Leonardis Massimiliano, nato il 13/10/1975 a Roma

avverso la sentenza del 13/02/2017 della Corte di appello di Roma

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola
Filippi, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, Avv. Simona Carloni, in sost. dell’Avv. Fulvio Romeo, che ha
insistito nell’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13/2/2017 la Corte di appello di Roma ha confermato
quella del 6/7/2016 con cui il Tribunale di Roma ha riconosciuto la penale
responsabilità di De Leonardis Massimiliano in ordine alla detenzione illegale di
un quantitativo di hashish, fatto riqualificato ai sensi dell’art. 73, comma 5,
d.P.R. 309 del 1990.

Data Udienza: 23/03/2018

2. Ha presentato ricorso il De Leonardis tramite il proprio difensore.
2.1. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in ordine all’esclusione
della destinazione ad uso personale.
La Corte aveva ritenuto che la droga fosse detenuta per conto di terzi, anche
considerando la mancanza di materiale per confezionamento: peraltro non era
stato chiarito in che cosa tale materiale dovesse consistere, trattandosi di
hashish che come sostanza compattata non può essere facilmente separata in

Inoltre era stata esclusa una conservazione prolungata a fronte della
povertà intellettiva dell’imputato, ma in assenza di supporti scientifici e in
contrasto con le valutazioni del perito circa l’uso voluttuario e in parte
autocurativo della sostanza stupefacente da parte del ricorrente.
Apoditticamente e in assenza di basi scientifiche era stata formulato
l’assunto circa l’inusuale percentuale di principio attivo, pari al 20%, essendo
inoltre errato il ragionamento fatto dalla Corte per giungere alla conclusione
dell’impossibilità per il ricorrente di procedere alla preparazione di dosi singole
con 12 milligrammi di sostanza, in senso contrario dovendosi considerare che il
quantitativo pari a circa 97 grammi era idoneo alla preparazione di 769 dosi di
circa 126 milligrammi.
Incongruo era l’assunto che lo stupefacente fosse stato occultato prima
dell’ingresso degli operanti e dunque recato in dosso in vista della sua consegna,
quando la perquisizione si era protratta ed era possibile che il ricorrente avesse
nascosto la droga in quel frangente.
Privo di riscontri era l’assunto della detenzione del panetto per conto di un
terzo, fermo restando che lo stesso non era integro, ma recava i segni dell’inizio
del consumo da parte del De Leonardis.
Era contraddittoria l’affermazione secondo cui il ricorrente per la sua povertà
intellettiva non avrebbe potuto gestire una rilevante scorta, a fronte di altre
risultanze che non erano incompatibili con l’ipotesi della detenzione per uso
personale e semmai la suffragavano.
2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 533 cod. proc. pen.
La stessa Corte aveva parlato di caso «border line», in tal modo
riconoscendo che vi era alla base un dubbio circa l’esatta ricostruzione, che non
avrebbe potuto dirsi superato, in presenza di non irragionevoli ipotesi
alternative.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 597
cod. proc. pen. in quanto la ricostruzione proposta, incentrata sulla detenzione
per conto di terzi, se non violava il principio della correlazione tra contestazione

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dosi e si conserva in tavolette.

e sentenza, arrecava alla difesa un

vulnus,

essendo stato sottratto al

contraddittorio sia in primo che in secondo grado un determinato tema di prova
riguardante la configurabilità di condotta in concorso con terzi ignoti.
2.4. Con il quarto motivo deduce mancanza di motivazione in ordine al
mancato riconoscimento del vizio parziale di mente e alla mancata riduzione
della pena.
La Corte si era basata apoditticamente sulle conclusioni del perito,
disattendendo le risultanze di un diverso accertamento, compiuto nell’ambito di

2.5. Con il quinto motivo deduce vizio di motivazione in ordine alla mancata
disapplicazione della recidiva e alla mancata riduzione della pena.
Erano stati indicati gli elementi che avrebbero dovuto condurre alla
disapplicazione della recidiva, mentre la Corte aveva semplicemente reputato
proporzionata ai fatti e alla personalità del reo la pena irrogata, posto che il
ricorrente si sarebbe prestato ad attività illecite rilevanti che finivano per
vanificare la possibilità di indagini tendenti ad individuare livelli di maggiore
significatività nella catena dello spaccio.
Ma in realtà era pacifico che una parte dello stupefacente fosse destinato ad
uso personale mentre la quantificazione di tale parte non era stata effettuata,
essendo stata calcolata la pena sulla base di affermazioni apodittiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato in relazione ai primi due motivi, dovendosi ritenere
assorbiti gli altri.

2. Ed invero, mentre il primo Giudice aveva ritenuto che il quantitativo di
hashish detenuto dal ricorrente, reputato assai significativo, fosse almeno in
parte destinato allo spaccio, pur a fronte dell’uso personale del resto, la Corte ha
svalutato alcuni elementi valorizzati dal primo Giudice, affermando che non
potesse attribuirsi rilievo né alla dispersione naturale del principio attivo né
all’ipotizzata incompatibilità con la capacità reddituale dell’imputato, ma nel
contempo ha ritenuto che lo stupefacente fosse detenuto ai fini della consegna a
terzi e dunque per tale via destinato allo spaccio, nel presupposto che al
ricorrente spettasse in cambio un compenso, costituito dal fabbisogno per uso
personale.
2.1. Ma la motivazione della sentenza impugnata risulta sotto svariati profili
apodittica e illogica.

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altro procedimento.

In primo luogo va considerato che la Corte, sia pur senza soffermarsi sul
punto, ha convenuto con la difesa che il ricorrente non sarebbe stato capace per
le sue limitate facoltà intellettive di organizzare un’attività di spaccio in proprio.
Peraltro ha confermato che il ricorrente era dedito all’uso personale di
hashish.
A fronte di ciò, la Corte non ha spiegato se il ricorrente fosse in grado di
approvvigionarsi costantemente di droga ovvero dovesse di volta in volta
ricorrere a meccanismi del tipo di quello ipotizzato nel caso di specie,

compenso costituito da quantitativo destinato ad uso personale.
Ma se il ricorrente fosse risultato capace di approvvigionarsi, avrebbe dovuto
altresì spiegarsi in che modo ciò avvenisse e se la disponibilità nel caso di specie
del quantitativo rinvenuto, costituito da tavoletta compattata, costituisse o meno
un caso isolato.
2.2. Di tutto ciò la Corte non ha dato conto, ma soprattutto non ha dato
conto di elementi idonei a suffragare l’esistenza del fantomatico terzo
beneficiario dell’attività di custodia, posta in essere dal ricorrente in vista della
successiva consegna.
La Corte ha fatto leva sul quantitativo rinvenuto, affermando, anche in
questo caso senza approfondire il tema, che l’imputato non avrebbe potuto dirsi
in grado di gestire in maniera efficace quella scorta, e ha inoltre rilevato che la
mancanza di materiale per il confezionamento e l’entità del principio attivo,
ritenuto inusuale, avrebbero implicato una troppo complessa attività di
predisposizione di singole dosi.
Ma l’assunto si appalesa da un lato inadeguato e dall’altro manifestamente
illogico.
Ed invero, dato per scontato il diretto consumo di droga, la Corte non si è
confrontata con l’effettivo fabbisogno del ricorrente, di tipo voluttuario e in parte
autocurativo (secondo quanto desunto dalla relazione peritale), e ha solo
apoditticamente affermato, senza considerare le modalità da lui di consueto
utilizzate, l’incapacità del ricorrente di prepararsi da sé singole dosi, peraltro non
fornendo indicazioni circa il fatto che il panetto fosse o meno integro.
Inoltre ha errato nel computo delle dosi, che corrisponderebbero non a 12
milligrammi bensì a 126 milligrammi rispetto al quantitativo rinvenuto.
Infine ha ritenuto sulla scorta di tali inadeguati presupposti di poter giungere
alla conclusione della necessaria esistenza di un terzo soggetto, destinatario
dell’intero quantitativo, conclusione a quel punto manifestamente illogica, in
quanto non più idoneamente sostenuta dalle premesse.

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asseritamente caratterizzato da detenzione a vantaggio di terzi in cambio di un

Ma apodittico risulta altresì l’ulteriore assunto secondo cui dimostrerebbe
l’imminente consegna a terzi la circostanza che la droga fosse stata occultata dal
ricorrente negli slip: la Corte infatti non ha in questo caso valutato il contesto
della vicenda e lo svolgersi della perquisizione, omettendo di confrontarsi con
l’ipotesi che il ricorrente avesse occultato la droga con quella modalità nel corso
di essa.

3. In conclusione, se da un lato può dirsi accertata la detenzione di un

contempo il diretto consumo di hashish da parte del ricorrente, la motivazione
con cui la Corte ha inteso escludere la mera destinazione ad uso personale
dell’intero quantitativo risulta apodittica e in parte illogica, ciò che impone
l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra
sezione della Corte di appello di Roma, che, senza incorrere nei vizi riscontrati,
dovrà rivalutare il tema della destinazione o meno del quantitativo ad uso
personale.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione
della Corte di appello di Roma.
Così deciso il 23/3/2018

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Massimo Ri9c . arelli

Giacom d1Paoloni

quantitativo di hashish sufficiente per la preparazione di circa 760 dosi e nel

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