Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19495 del 15/02/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19495 Anno 2018
Presidente: CAPOZZI ANGELO
Relatore: RICCIARELLI MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Giorgio Antonio, nato il 28/11/1948 a Sant’Andrea di Conza

avverso la sentenza del 06/04/2017 della Corte di appello di Napoli

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale,
Roberto Aniello, che ha concluso per l’annullamento con rinvio in ordine
all’attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 4 cod. pen. e in subordine per
l’annullamento senza rinvio per prescrizione;
udito il difensore, Avv. Gerardo Mariano Rocco di Torrepadula, che si è riportato
al ricorso, chiedendo l’annullamento senza rinvio delle statuizioni penali e
l’annullamento con rinvio quanto alle statuizioni civili.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 6/4/2017 la Corte di appello di Napoli ha, in parziale
riforma di quella del Tribunale di Napoli del 5/7/2011, prosciolto Giorgio Antonio

Data Udienza: 15/02/2018

dal reato sub A), riqualificato ex art.

319-quater cod. pen., e da talune delle

ipotesi di peculato contestate al capo C), perché i reati erano estinti per
prescrizione, ma confermato il giudizio di penale responsabilità del Giorgio in
ordine alle residue ipotesi di peculato sub C), rideterminando la pena e
confermando le statuizioni civili relative al capo A).

2. Ha proposto ricorso il Giorgio tramite il suo difensore.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 314

quanto dalle dichiarazioni dei testi escussi era emerso che il ricorrente aveva
ricevuto presso il suo studio alcuni pazienti, che lo avevano scelto

intuitu

personae e non in ragione del suo rapporto con l’Ospedale Cotugno, non essendo
incompatibile con il rapporto di esclusiva lo svolgimento di attività professionale
fuori dell’orario di lavoro, fermo restando che anche nel caso di attività contra
legem proprio per questo non si sarebbe potuto ravvisare il possesso qualificato
di somme di denaro da parte del ricorrente, tenuto poi a riversarle alla struttura
ospedaliera: di qui la non configurabilità del delitto di peculato, ma semmai di
quello di abuso di ufficio ex art. 323 cod. pen. da ritenersi estinto per
intervenuta prescrizione da epoca anteriore alla sentenza di appello.
2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione all’art.
323-bis cod. pen., in quanto la Corte aveva indebitamente negato l’attenuante
considerando la globalità degli episodi, anziché ciascuno di essi, e comunque non
tenendo conto dell’intervenuta estinzione del reato per prescrizione con riguardo
a taluni episodi.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 62,
comma primo, n. 4 cod. pen., in quanto la Corte non aveva riconosciuto sul
piano oggettivo la minima consistenza del danno patrimoniale, fra l’altro
richiamando erroneamente la giurisprudenza di legittimità invocata.
2.4. Con il quarto motivo deduce violazione di legge e omessa motivazione
in ordine alle attenuanti generiche, che erano state chieste con i motivi di appello
ma sulle quali la Corte aveva del tutto omesso di pronunciarsi.
2.5. Con il quinto motivo denuncia carenza di motivazione in ordine alle
statuizioni civili, giacché la Corte aveva confuso il tema dedotto, che non era
quello dell’estromissione della parte civile ma dell’esclusione della concessa
provvisionale, anche a fronte dell’assenza di prova di danno arrecato alla
costituita parte civile.

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cod. pen., con riguardo alla qualificazione giuridica dei fatti di cui al capo C), in

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
1.1. Ed invero, per quanto sia stato dedotto che il ricorrente veniva scelto
intuitu personae dai pazienti, che si recavano presso il suo studio in ragione delle
sue elevate qualità professionali, deve nondimeno osservarsi che il ricorso non si
confronta con la ratio giustificativa della sentenza impugnata.
Il giudizio di penale responsabilità del Giorgio in ordine al delitto di peculato

esclusiva, ma era autorizzato allo svolgimento di attività

intra moenia c.d.

allargata, con utilizzo di uno studio privato, esterno alla struttura ospedaliera; lo
stesso Giorgio aveva ricevuto un bollettario dall’Azienda ospedaliera, che il
ricorrente avrebbe dovuto compilare in occasione delle visite effettuate, in vista
della corresponsione di quanto dovuto alla struttura; egli era ben consapevole di
tutto ciò, tanto da aver sul punto reso precise dichiarazioni, salvo aver attribuito
a mera dimenticanza la mancata compilazione del bollettario in corrispondenza di
tutte le visite effettuate.
Su tali basi è stato correttamente rilevato che il ricorrente anche presso il
suo studio operava pur sempre nella veste di soggetto autorizzato ad attività
intra moenia, con la consapevole assunzione della veste pubblicistica in relazione
alla corresponsione di somme che egli sapeva spettare percentualmente alla
struttura pubblica e di cui dunque acquisiva il possesso solo in funzione del
successivo versamento.
1.2. Non è dunque in discussione la legittimità o meno dell’agire del
ricorrente al di fuori dei limiti del rapporto di esclusiva, posto che il prof. Giorgio
operava in realtà all’interno della cornice delineata dalla disciplina vigente e dal
tipo di rapporto contrattuale per il quale egli aveva optato.
D’altro canto non può attribuirsi rilievo al dato estrinseco rappresentato
dalla volontà dei pazienti, che in nessun caso avrebbe potuto influire sulla
relazione tra il ricorrente e la struttura e sull’immanenza dell’obbligo di
corresponsione delle somme ricevute gravante sul medico: anche volendo
considerare il carattere privatistico dell’attività professionale, la qualità
pubblicistica del ricorrente è da ricondurre al sottostante rapporto con la
struttura, in forza del quale egli avrebbe dovuto riversare quanto incassato per
conto della struttura medesima, ravvisandosi in ciò la ragione di ufficio del
possesso.
Sul punto va richiamato il consolidato orientamento di legittimità (Cass. Sez.
6, n. 29782 del 16/3/2017, Tenaglia, rv. 270556; Cass. Sez. 6, n. 27954 del
6/7/2016, Strozzieri, non mass.; Cass. Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012,

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di cui al capo C) è stato invero fondato sul fatto che: egli operava in regime di

Minervini, rv. 253098), anche se in una pronuncia è stata introdotta una
distinzione, riferibile al caso di affidamento devoluto intuitu personae o al caso di
attività contra legem, non riconducibile allo svolgimento di una pubblica funzione
(Cass. Sez. 6, n. 35988 del 21/5/2015, Berti, rv. 264578).
Sta di fatto che nel caso di specie non può parlarsi di attività contra legem,
proprio in ragione della specifica relazione intercorrente tra il prof. Giorgio e la
struttura, e che inoltre, a prescindere dai criteri in base ai quali i pazienti si
erano rivolti al ricorrente, assume rilievo dirimente il fatto che quest’ultimo

svolgimento di attività intra moenia allargata, in funzione della quale aveva
ricevuto dalla struttura il bollettario che egli ben sapeva di dover compilare,
tanto da essersi difeso solo adducendo una mera dimenticanza.
Di qui l’inammissibilità del motivo di ricorso, in quanto da un lato aspecifico
e dall’altro manifestamente infondato.

2. E’ parimenti inammissibile il secondo motivo, da ritenersi manifestamente
infondato.
Il ricorrente deduce l’erroneità del diniego dell’attenuante di cui all’art. 323bis, cod. pen., in quanto fondato sulla valutazione globale degli episodi, a fronte
della modesta consistenza di ciascuno.
Ma in realtà deve ritenersi che la Corte abbia correttamente fatto
applicazione di un principio costantemente affermato, in forza del quale «la
circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuità ricorre
quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta,
dovendosi a tal fine considerare non soltanto l’entità del danno economico o del
lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento
soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato» (Cass. Sez. 6, n.
14825 del 26/2/2014, Di Marzio, rv. 259501), ciò che nel caso di reato
continuato implica che debba tenersi conto della vicenda nel suo complesso e
non solo della violazione più grave, autonomamente considerata (Cass. Sez. 6,
n. 30821 del 18/4/2013, Moretto, rv. 256291).

3. Sono invece fondati il terzo e il quarto motivo.
3.1. Quanto all’attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen.,
deve rilevarsi come la Corte abbia formulato il proprio giudizio sulla base di una
valutazione globale degli episodi valutati in continuazione, omettendo di
considerare lo specifico danno patrimoniale arrecato in relazione a ciascun
singolo episodio e specificamente in relazione all’episodio ritenuto più grave: è
per contro consolidato il principio per cui «ai fini dell’applicazione della

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avesse piena consapevolezza di agire sulla base dell’autorizzazione allo

circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., la valutazione della
speciale tenuità, nel caso di reato continuato, va effettuata non in relazione
all’importo complessivo delle somme contestate, ma con riguardo al danno
patrimoniale cagionato per ogni singolo fatto-reato» (Cass. Sez. 6, n. 14040 del
29/1/2015, G., rv. 262975; Cass. Sez. 6, n. 30154 del 12/6/2007, Bortolotto,
rv. 237329).
3.2. Quanto alle attenuanti generiche, deve rimarcarsi come a fronte di un
diffuso motivo di appello, formulato dall’Avv. Vitiello, volto a sollecitarne il

4. Deve però a questo punto rilevarsi che sulle ragioni di fondatezza prevale
il decorso del termine massimo di prescrizione, dovendosi a tal fine considerare
che l’ultimo degli episodi per i quali in grado di appello era stata confermata la
condanna, risale al maggio del 2005, con la conseguenza che il termine di
prescrizione deve ritenersi maturato nel novembre del 2017.
Su tali basi, non potendosi addivenire ad un più ampio proscioglimento, la
impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio, quanto al capo C),
perché il reato di peculato è estinto per prescrizione.

5. Risulta infine inammissibile il quinto motivo, riguardante le statuizioni
civili, in particolare la concessa provvisionale, riferita al capo A), per il quale in
grado di appello è stata dichiarata agli effetti penali l’estinzione per prescrizione.
Al di là della motivazione formulata sul punto dalla Corte, che si è limitata a
rilevare, peraltro correttamente, che la riqualificazione del fatto nella

319-quater cod. pen. non vale ad

sopravvenuta fattispecie di cui all’art.

eliminare la legittimazione della parte civile a reclamare il risarcimento del danno
maturato prima dell’introduzione della nuova fattispecie, va comunque osservato
che avverso il provvedimento che, nel pronunciare condanna generica al
risarcimento del danno, assegna una somma da imputarsi a titolo di
provvisionale alla liquidazione definitiva, non è ammesso ricorso per cassazione
(Cass. Sez. 3, n. 18663 del 27/1/2015, D.G., rv. 263486; Cass. Sez. 6, n. 50746
del 14/10/2014, G., rv. 261536).

6. In definitiva dunque deve annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata,
quanto alle residue ipotesi di peculato continuato, perché estinto per
prescrizione, con declaratoria di inammissibilità del ricorso nel resto.

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riconoscimento, la Corte abbia omesso di pronunciarsi sul tema.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente alle residue
ipotesi di peculato continuato di cui al capo C), perché estinto per prescrizione.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

Così deciso il 15/2/2018

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