Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19495 del 12/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19495 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PENNISI CORRADO N. IL 22/05/1952
avverso l’ordinanza n. 68/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
03/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
lette/,ife le conclusioni del PG Dott. ChavNtAke 4) 1M-e-t, ,14
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Data Udienza: 12/02/2014

RITENUTO IN FATI-0
1. Pennisi Corrado, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata
la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 23.1.2008 al
5.2.2008 (custodia cautelare in carcere) e dal 6.2.2008 al 15.2.2008 agli arresti
domiciliari, in relazione al delitto di usura, per il quali era stato mandato assolto
per insussistenza del fatto.

riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il
comportamento dell’odierno ricorrente aveva dato corso all’ordinanza di custodia
cautelare, individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al
riconoscimento dell’indennizzo richiesto. E ciò in quanto, il Pennisi aveva
effettuato un prestito di denaro a Ponzellini Maurizio, soggetto in stato di
difficoltà economica e pre-fallimentare, al fine di ottenere a titolo di compenso
ragguardevoli somme di denaro ed aveva altresì stipulato alcuni contratti
afferenti immobili in origine attribuibili al Ponzellini, lucrandone vantaggi usurari.

2. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione
dell’art. 314 cod. proc. pen. e vizio motivazionale, rilevando che la Corte di
Appello ha preso le mosse da una ricostruzione degli accadimenti smentita
dall’accertamento processuale (e già posta in dubbio dal Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Busto Arsizio nella prima ordinanza, reiettiva
della richiesta cautelare avanzata dall’organo dell’accusa); che la descrizione
della condotta ritenuta ostativa è “generica e non significativa ai fini della
procedura di interesse”; che quella sarebbe stata identificata nella violazione del
divieto di patto commissorio, che non può valere a fondare una ordinanza di
custodia cautelare; ovvero nell’esercizio di un legittimo diritto (l’azione di sfratto
per morosità intimato ai coniugi Ponzellini-Milani); che la Corte di Appello ha
posto in capo all’istante l’onere di chiarire le ragioni del proprio comportamento
piuttosto che quello di non adottare una condotta gravemente colposa; mentre
essa non ha dimostrato che la presunta condotta colposa del Pennisi ha avuto
valenza sinergica nella emissione dell’ordinanza custodiale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
3.1. E’ opportuno premettere che, in tema di riparazione per l’ingiusta
detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o
concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo
autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare

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La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto alla

riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica
negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del
convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è
incensurabile in sede di legittimità (Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002 – dep.
15/10/2002, Min. Tesoro in proc. De Benedictis, Rv. 222263). In particolare,
quanto al compendio degli elementi valutabili, il S.C. ha ripetutamente
puntualizzato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione
ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione,

rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la
condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla
sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza
della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. U, n. 32383 del
27/05/2010 – dep. 30/08/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664; nel medesimo senso
già Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv.
203636).
Va poi tenuta distinta l’operazione logica propria del giudice del processo penale,
volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da
parte dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione. Questi, pur
dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un “iter”
logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se
determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste
come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione
dell’evento “detenzione”; ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha
piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per
rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni
dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa
l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (in
tal senso, espressamente, Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996,
Sarnataro ed altri, Rv. 203638).
Resta fermo, tuttavia, il vincolo del giudice della riparazione a far propri i fatti
così come ricostruiti nel giudizio di merito. Con l’ulteriore precisazione che gli
elementi di prova acquisiti nelle indagini possono essere impiegati nel
procedimento riparatorio sempre che non siano stati smentiti dalle acquisizioni
dibattimentali (in questo senso, tra le altre, Sez. 4, n. 11428 del 21/02/2012 dep. 23/03/2012, Nocerino, Rv. 252735).

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consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato

3.2. Orbene, l’ordinanza in esame, come rileva correttamente il P.G. requirente,
opera una valutazione degli elementi disponibili che contrasta con quanto
accertato in sede di merito.
Il Collegio distrettuale ha rammentato che l’ordinanza cautelare prendeva le
mosse dal fatto che il Pennisi aveva effettuato un prestito di lire 188.454.387 al
Ponzellini, con la richiesta di lire 51.545.613 a titolo di interessi usurari; inoltre
tra i due era stata conclusa la compravendita simulata di un’abitazione e di un
box del Ponzellini al fine di sottrarre gli stessi ai creditori fallimentari, quindi un

Ponzellini aveva corrisposto altri vantaggi usurari per lire 108.827.125, pari alla
somma dei canoni versati dal 1.10.1997 al 2002; infine avevano concordato la
rivendita dell’immobile dal Pennisi al Ponzellini per un prezzo di lire 325.000.000.
A fronte di ciò la Corte di Appello ha affermato che la colpa grave è “ravvisabile
nel comportamento del Pennisi, quando, in occasione della vendita precedente,
corrispondeva soltanto una somma molto inferiore (I. 188 milioni) rispetto al
valore accertato successivamente (I. 312 milioni), imponendo, sotto altro profilo,
…, il pagamento, da parte del Ponzellini, di ulteriori somme di denaro, non
costituenti il prezzo già concordato e dichiarato”. Il concetto viene ribadito più
volte, sia pure in termini nient’affatto cristallini; sembra però di poter affermare
che per la Corte di Appello la colpa grave del Pennisi è in sostanza consistita
nell’effettuare il prestito di denaro a soggetto in condizioni di difficoltà
economiche, al fine di trarne vantaggi usurari, e nel concludere una simulata
vendita in violazione del divieto di patto commissorio, senza chiarire
successivamente le altre finalità illecite perseguite.
Orbene, la Corte di Appello non sembra prendere in considerazione quanto
accertato con la sentenza di assoluzione, ovvero che la corresponsione dei poco
più di cinquanta milioni di lire, che sarebbe avvenuta mediante la retrocessione
di parte del prezzo di vendita dell’immobile, non risulta provata; che la differenza
di valore dell’immobile tra la prima e la seconda vendita

“sconta sia la

circostanza che esso (il prezzo maggiorato: ndr) comprende un secondo box
auto e le spese sostenute … per i trapassi di proprietà. Alla fine, il c.t.u. ha
quantificato nella misura del 2,6% il tasso di interesse praticato”;

che neppure

attraverso il pagamento dei canoni di locazione è stato possibile ritenere
integrato il reato di usura, perché essi rappresentavano il corrispettivo del
godimento dell’immobile da parte del Ponzellini.
Ne risulta una motivazione del tutto carente, che valorizza oltremodo un asserito
intento usurario senza neppure esplicitare come tale finalità si sia inverata e
come essa risulti compatibile con quanto accertato nella sentenza di assoluzione.

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contratto di locazione dell’immobile adibito ad abitazione, in forza del quale il

In definitiva, la Corte di Appello, da un canto, è venuta meno all’onere di
individuare correttamente le condotte che, perché almeno non smentite
dall’accertamento di merito, possono essere poste a base di una valutazione in
termini di colpa grave, ostativa al riconoscimento del richiesto indennizzo.
Dall’altro, ha del tutto illogicamente omesso di valutare – nella prospettiva della
possibile rilevanza quale nucleo di una condotta gravemente colposa circostanze pure individuate e non escluse dall’accertamento di merito, come la
consapevole cooperazione con soggetto in stato pre-fallimentare in attività

economica.
Si impone quindi l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte
di Appello di Milano perché operi un nuovo esame delle pur evidenziate
circostanze astrattamente rilevanti, nel quadro di una migliore delineazione degli
effettivi accadimenti della complessiva vicenda che ha coinvolto il Pennisi,
secondo quanto accertato o non escluso nel giudizio di merito.
Alla Corte distrettuale va rimesso anche il regolamento delle spese tra le parti
del presente giudizio.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio, per nuovo esame, alla Corte di
Appello di Milano cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del
presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12.2.2014.

negoziali costituenti illecito civile, in assenza di una trasparente ragione

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