Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19490 del 12/03/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19490 Anno 2014
Presidente:
Relatore: BIANCHI LUISA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARTOLO FRANCESCO N. IL 01/09/1974
CAFIERO FERDINANDO N. IL 19/03/1971
CAIANIELLO FLORA N. IL 21/07/1978
CASABURI RAFFAELE N. IL 08/03/1973
CASCELLA ANTONIETTA N. IL 13/06/1961
DE CARO FRANCESCO N. IL 20/01/1979
DE GENNARO GIOSUE’ N. IL 06/02/1978
GABRIELE SALVATORE – RINUNCIA AL RICORSO N. IL
06/04/1976
GALLORO GIULIANO N. IL 13/12/1978
IOVA SALVATORE N. IL 13/07/1961
LAZZARI VINCENZO N. IL 21/09/1977
LONGOBARDI ASSUNTA N. IL 19/10/1950
MARTINIELLO VINCENZO N. IL 01/04/1976
MUNEROTTO NARCISO N. IL 02/06/1972
NERI LUCIANO N. IL 03/03/1969
PAESANO GAETANO N. IL 15/07/1979
PAPA RAFFAELE N. IL 05/06/1981
PETRONE SALVATORE N. IL 01/10/1976
PICONE MASSIMO N. IL 11/12/1972
PIZZO STEFANIA N. IL 27/12/1976
SCHETTINO LUCIANO N. IL 27/10/1956
UGON CIRO N. IL 16/10/1971
avverso la sentenza n. 2569/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
11/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUISA BIANCHI

Data Udienza: 12/03/2014

Udito il Procuratore Generale in persona del D
che ha concluso per
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17507/2013

1.11 presente procedimento riguarda i ricorsi di 22 imputati cui in sede di
merito sono stati contestati reati ex artt. 74 e 73 DPR 309/90 commessi negli
anni 2002, 2003 e 2004. Più specificamente le contestazioni riguardano due
distinte associazioni a delinquere finalizzate al traffico di sostanza
stupefacente, cui sono stati ritenuti appartenere per quella di cui sub A
Salvatore GABRIELE,
LAZZARI Vincenzo LONGOBARDI Assunta,
MARTINIELLO Narciso, NERI Luciano, PAESANO Gaetano, PAPA Raffaele,
PETRONE Salvatore, PICONE Massimo, PIZZO Stefania, SCHETTINO Luciano,
UGON Ciro, CAIANIELLO Flora, CASCELLA Antonietta, CASABURI Raffaele;
per quella sub B BARTOLO Francesco, CAFIERO Ferdinando, DE CARO
Francesco, DE GENNARO Giosuè, GALLORO Giuliano, IOVA Salvatore.
Agli imputati sono stati anche contestati singoli reati fine in materia di spaccio
di sostanze stupefacenti, estorsione e detenzione di armi che verranno
indicati con riferimento alle singole posizioni degli imputati ricorrenti.
A seguito delle dichiarazioni accusatorie di due collaboratori di giustizia,
Angelillo Aristide e Tipaldi Massimo, è stata svolta una attività investigativa
volta ad acquisire elementi di riscontro a quanto dai medesimi riferito in
merito a organizzazioni criminali con sede nel capoluogo campano ma
operanti su una vasta area del territorio nazionale e finalizzate al traffico di
sostanze
stupefacenti.
E’
emersa
l’esistenza
di
due
diverse organizzazioni criminali dedite al traffico di ingenti quantitativi di
sostanze stupefacenti con diramazioni in numerose località d’Italia, che
avevano quale punto di contatto la figura di DE GENNARO Giosué, risultato
essere a capo della organizzazione indicata al capo B e in rapporti
con GABRIELE Salvatore, a sua volta risultato essere a capo della
organizzazione di cui al capo A, con il quale ha trattato, senza esito, alcune
forniture di sostanza stupefacente ; sono state sottoposte a intercettazione le
linee telefoniche in uso a GABRIELE Salvatore e ” a cascata” quelle in uso ai
suoi principali interlocutori fra cui lo stesso DE GENNARO Giosuè. Sui rapporti
fra il GABRIELE Salvatore e DE GENNARO Giosuè è tuttavia emerso che le
trattative fra i due non sono mai sfociate in effettive compravendite di
sostanze stupefacenti, tanto che il DE GENNARO Giosuè è stato assolto dalla
imputazione di cui al capo A. Le conversazioni telefoniche, in cui il riferimento
alla sostanza stupefacente è stato desunto dai termini usati fuori di un
contesto che rendesse plausibile l’interpretazione conforme al significato
letterale, hanno trovato riscontro in parallele attività di indagine come
l’osservazione e il pedinamento degli imputati nonché nelle verifiche di tipo
documentale relative alla titolarità di autovetture e ai passaggi in nave o in
aereo sulla rotta Napoli – Palermo ovvero circa l’utilizzo di vaglia postali per il
versamento degli incassi; si è altresì proceduto a sequestri delle sostanze
stupefacenti commercializzate dalla due associazioni e all’arresto in flagranza
di alcuni partecipi. E’ emersa l’esistenza di un associazione per delinquere
(capo A) facente capo a Gabriele Salvatore che acquistava in prima persona lo
stupefacente attraverso canali preferenziali e stabili, preferibilmente tramite
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RITENUTO IN FATTO

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Petrozzi Antonio, e successivamente la commercializzava attraverso contatti
e trattative con gli abituali clienti dislocati in varie parti di Italia, gestiti quasi
sempre dal predetto Gabriele o dai suoi più stretti collaboratori (Gabriele Ugo,
Paesano Gaetano e Lazzari Vincenzo) e attraverso l’organizzazione del
trasporto della sostanza stupefacente affidata ai corrieri (Ugon Ciro, fratelli
Avagnano, Del Core Gaetano, Raimo Bruno) e lo smercio della sostanza
attraverso una catena di distributori rappresentata da rivenditori all’ingrosso
o da meri intermediari sia in loco che in varie piazze italiane (Casaburi
Raffaele a Modena, Picone Massimo ad Aprilia); anche numerosi abituali clienti
identificati nel corso delle intercettazioni sono stati ritenuti appartenere
all’associazione in base alla frequenza quasi settimanale del loro rapporto
commerciale con il Gabriele Salvatore e i suoi diretti collaboratori che li
qualificava quali referenti locali per la vendita della sostanza stupefacente
nelle varie piazze.
Alla individuazione della associazione sub B si perveniva in modo certo dal
resoconto delle intercettazioni telefoniche e della attività di indagine
concentrasi, a seguito dell’arresto di Gabriele Salvatore, su De Gennaro
Giosuè più volte contattato dal GABRIELE per forniture di sostanze
stupefacenti Dal monitoraggio della utenza cellulare utilizzata da DE
GENNARO Giosuè, iniziata il 23.10.2002, emergeva in maniera chiara il
coinvolgimento del predetto nell’illecita attività di traffico di stupefacenti
unitamente ad altri personaggi successivamente identificati. In particolare
emergevano le figure di: “Peppe”, identificato in CAMPITIELLO Giuseppe, che
svolgeva le mansioni di custode ed addetto alla suddivisione dei quantitativi
necessari all’organizzazione ; – “O Nonno”, identificato in CAPUOZZO Angelo,
che veniva impiegato nel trasporto dello stupefacente dal deposito del
CAMPITIELLO alla “piazza” gestita dal gruppo, e per la consegna ai corrieri in
partenza da Napoli per la Sicilia; – “O TENENTE”, identificato in MARI
Salvatore; “TOTORE”, identificato in IOVA Salvatore, autista di TIR della ditta
JUNIOR TRASPORTI, utilizzato quale corriere da Napoli a Palermo; “Mimmo ‘O
Mericano”, identificato in CATALDO Domenico, proprietario amministratore
della JUNIOR TRASPORTI, organizzatore dei trasporti di stupefacente tra
Napoli e Palermo; “Antonio”, identificato in VENTIMIGLIA Antonino,
pregiudicato del quartiere Zisa di Palermo, destinatario delle ingenti partite di
stupefacente inviate in quella città dall’organizzazione; “Carlo”, in seguito
identificato in RUSSOTTO Carlo, cugino di VENTIMIGLIA Antonino e
sovrintendente capo della Polizia di Stato in servizio presso il Commissariato
di P.S. di Napoli Scampia, che fungeva da tramite tra i Siciliani ed il vertice
dell’organizzazione Napoletana, occupandosi altresì dei trasporti di
stupefacente per Palermo,arrestato proprio nel corso della presente indagine
in data 15.02.2003 e separatamente giudicato. Sin dalle prime telefonate
intercettate, emergeva lo stretto vincolo che legava CAMPITIELLO Giuseppe
(Peppe), CAPUOZZO Angelo CO Nonno), MARI Salvatore CO Tenente) e DE
GENNARO Giosuè (Jost), finalizzato alla gestione dello spaccio di stupefacente
in Secondigliano Zona 167. In tale contesto, CAMPITIELLO Giuseppe risultava
essere custode dello stupefacente, al quale il DE GENNARO richiedeva di volta
in volta di consegnare al CAPUOZZO Angelo i vari quantitativi, che questi,
unitamente al MARI Salvatore, avrebbe distribuito ai vari spacciatori nella

2. Ricorrono per cassazione BARTOLO Francesco, CAFIERO Ferdinando,
CAIANIELLO Flora, CASCELLA Antonietta, CASABURI Raffaele, DE CARO
Francesco, DE GENNARO Giosuè, GABRIELE Salvatore, GALLORO Giuliano,
IOVA Salvatore, LAZZARI Vincenza, LONGOBARDI Assunta, MUNEROTTO
Narciso,MARTINIELLO Narciso, NERI Luciano, PAESANO Gaetano, PAPA
Raffaele, PETRONE Salvatore, PICONE Massimo, PIZZO Stefania, SCHETTINO
Luciano, UGON Ciro, formulando i motivi di seguito indicati.
GABRIELE Salvatore (capi a, t, u, ab, ac, ad, ag, ah, al, ap, aq, ar, as, at, au,
av, ba, bb, bc ,bd, bn)
1) Chiede l’assoluzione per sé e i propri congiunti ( Pizzo Stefano, Caianiello
Flora, Cascella Antonietta e Longobardi Assunta) dal reato associativo (capo
A) perché non è provato che vi fossero almeno dieci persone della stessa
zona che fossero state insieme per almeno un anno (le indagini sulla
associazione sono durate solo sei mesi); 2) contesta la responsabilità per í
reati di cui ai capi AG, AH, AL, AP e BA; 3) sostiene che i capi T, AB, AC, AV
sono prescritti.
CAIANIELLO Flora (capo a )
Si duole della condanna per il reato associativo basata solo sul contenuto di
intercettazioni telefoniche che non hanno mai trovato alcun riscontro
probante, senza che la medesima avesse mai partecipato ad alcun reato fine e
senza che il suo nome fosse stato fatto da alcun collaboratore di giustizia.
CASCELLA Antonietta (capi a, bd, bi)
Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al quadro probatorio
costituito dalle intercettazioni telefoniche disposte a seguito delle dichiarazioni
del collaboratore Angelillo, essendo sia le dichiarazioni del collaboratore che le
intercettazioni prive di riscontri probatori.
CASABURI Raffaele (capi a, av, bd, bi)
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“Piazza”. L’ascolto delle conversazioni telefoniche consentiva la effettuazioni di
numerose operazioni di Polizia Giudiziaria con l’arresto in flagranza dei
possessori di consistenti quantitativi di sostanze stupefacenti assortite e con il
sequestro delle stesse.
In primo grado il processo si è svolto con rito abbreviato con condanna degli
attuali ricorrenti alle pene di giustizia. In appello alcuni imputati, lova, De
Gennaro, Bartolo, Lazzari, Petrone, Cascella, Galloro e Munerotto, hanno
rinunciato ai motivi proposti ad eccezione di quelli attinenti la determinazione
della pena.
La sentenza della Corte di appello di Napoli, sempre per quanto qui rileva, ha
confermato la responsabilità degli imputati per i reati loro ascritti salvo che
per Papa Raffaele che ha assolto dal reato di cui al capo AP con conseguente
eliminazione della relativa pena; ha diminuito la pena nei confronti di lova, De
Gennaro, Bartolo, Lazzari, Petrone, Cascella, Galloro e Munerotto , che
avevano rinunciato ai motivi sulla responsabilità, confermando nel resto la
sentenza di primo grado.

LONGOBARDI Assunta (capi a, bd)
1) 2) 3) I primi tre motivi attengono alla ritenuta partecipazione al reato
associativo di cui al capo A) e al reato fine sub BD). Quanto a quest’ultimo,
sostiene che non è provato che la donna abbia effettivamente partecipato al
viaggio in treno da Napoli a Modena insieme alla Cascella per trasportare lo
stupefacente; vi è un solo indizio a sostegno della tesi accusatorio, quello
rappresentato dalla telefonata della Cascella al figlio Gabriele Salvatore in cui
si faceva riferimento al compenso da dare alla Longobardi; ma non è stato
detto come sia possibile collegare tale espressione a quello specifico episodio
e perché la Assunta chiamata in causa sia proprio la Longobardi. Quanto al
reato ex art. 74,
manca la prova dell’elemento soggettivo necessario per
ritenere la partecipazione alla associazione e cioè la prova della
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Con un primo motivo deduce inosservanza di legge con riferimento all’articolo
192 cpp; il ricorrente si duole della carenza dell’impianto accusatorio fondato
solo su intercettazioni telefoniche di contenuto non chiaramente indicativo del
riferimento al traffico di stupefacenti, intercettazioni per le quali i giudici
tuttavia hanno pervicacemente escluso una chiave di lettura diversa, in tal
modo violando la norma invocata che richiede che gli indizi siano gravi, precisi
e concordanti; ciò vale sia per gli episodi ex articolo 73 che per il reato
associativo per il quale in particolare vi sono soltanto tre elementi indiziari,
cioè che il Casaburi aveva contatti con altri indagati, che aveva inviato dei
vaglia alla coimputata Caianello e che aveva in uso l’auto di Gabriele
Salvatore, circostanze sulle quali la corte d’appello ha voluto ignorare le
considerazioni della difesa volte a dare una interpretazione lecita di tali
circostanze. Anche in relazione al capo DB è del tutto illogica la motivazione
con la quale si ritiene che Casaburi si sia recato a Modena per effettuare una
consegna alla madre di Gabriele. Con un secondo motivo lamenta mancanza e
illogicità di motivazione in relazione al reato associativo. Rileva il ricorrente
che manca la prova dell’elemento soggettivo: si era evidenziato che Casaburi
gestiva autonomamente la propria supposta attività di spaccio rifornendosi
non solo dalla supposta organizzazione napoletana ma anche da altri fornitori,
rifiutando lo stupefacente quando era di scarsa qualità. Tali considerazioni
sono state ignorate dai giudici e il ruolo di spacciatore nella zona di Modena è
stato ritenuto pur in mancanza di prova, mancanza che dovrebbe risultare
evidente se in otto mesi di intercettazione vi è stata una sola conversazione,
quella con Pistoni Barbara, che potrebbe aver avuto riguardo alla cessione di
stupefacenti; si sarebbe dovuto concludere che l’imputato aveva acquistato lo
stupefacente per uso personale; deduce ancora il ricorrente che i rapporti con
l’organizzazione della quale è ritenuto cliente non dimostrano che egli ne
facesse parte specie perché non è dimostrato a quando tali rapporti risalgono
e non vi è prova della percezione da parte sua di utili.
Con il terzo ed il quarto motivo il ricorrente solleva il problema della ritenuta
sussistenza delle aggravanti ex art. 74 comma tre, relativa al numero delle
persone, e comma quattro, associazione armata. Con il quinto motivo deduce
un errore nel calcolo della pena atteso che nella sentenza di primo grado si
era ritenuto di concedere le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza.
Con successiva memoria il ricorrente insiste sui motivi dedotti.

Nell’interesse della medesima Longobardi è stato proposto anche un secondo
ricorso, che riguarda anche PAESANO Gaetano (capi a, t, ah, al, an). Per
entrambi i propri assistiti il difensore eccepisce i vizi di violazione di legge e
difetto di motivazione per non avere la sentenza fornito una congrua
motivazione a fronte delle censure proposte con l’appello limitandosi a
richiamare la motivazione di primo grado sulle cui determinazioni i secondo
giudici si sono appiattiti; si contesta in particolare per la Longobardi la
mancanza di prova dell’elemento soggettivo sotto il profilo della
consapevolezza della medesima di agire per conto dell’associazione e per il
Paesano che la motivazione si risolve nel richiamo di massime
giurisprudenziali arricchito dalla sterile riproposizione del contenuto delle
conversazioni telefoniche e delle dichiarazioni del collaboratore Angelillo che
non fugano però ogni dubbio sulla consapevolezza di agire per conto
dell’associazione.
MARTINIELLO Vincenzo (capo a)
1)Violazione di legge, difetto di motivazione e travisamento della prova in
relazione al reato associativo. Il ricorrente riporta il testo della motivazione
resa dalla Corte di appello sulla sua ritenuta partecipazione alla associazione
contestata al capo A della rubrica per sostenere che dalla stessa emerge solo
la prova del concorso nei reati fine ma non quella del reato associativo e che
ciò è ricavabile dal mero raffronto testuale tra il materiale probatorio, le
intercettazioni telefoniche versate in atti e la sentenza impugnata. Illustra
con dettagliati riferimenti al tenore delle intercettazioni l’assunto da lui
propugnato ponendo in evidenza che dalle stesse non emergono gli elementi
tipici e propri del reato ex art. 74 dPR 309/90; egli compare solo nelle
intercettazioni da aprile ad agosto 2002, non vi è prova di consegne d’
denaro, dell’utilizzo da parte sua di basi logistiche o che comunque abbia
messo a disposizione dell’associazione un impegno permanente e
continuativo; eventualmente avrebbe potuto essere ritenuto cliente di
Gabriele Salvatore. 2) Lamenta poi violazione dell’art. 59 cod.pen. per essere
stata ritenuta sussistente l’aggravante di cui all’art. 74, co. 4, associazione
armata, in mancanza di prova della conoscibilità da parte sua della presenza
di armi; nonché in relazione all’aggravante di cui al terzo comma del numero
delle persone.

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consapevolezza di agire a supporto di una struttura associativa. La donna ben
potrebbe aver creduto di operare a favore di un singolo, il solo Gabriele
Salvatore realizzando la sua condotta una ipotesi di favoreggiamento come si
era sostenuto nei moitvi di appello a cui non si è fornita risposta. 4)
Violazione dell’art. 597, co.3, cod.proc.pen. in quanto la corte di appello dopo
aver ridotto la pena ad anni 8 in relazione alla concessione delle attenuanti
generiche, ha poi determinato la pena finale in anni 9 per effetto della
continuazione, operando dunque a tale titolo un aumento di un anno mentre
nel giudizio di primo grado era stato pari a 6 mesi di reclusione. La pena deve
pertanto essere rideterminata in anni 5 e mesi 8 di reclusione.

SCHETTINO Luciano (capo a )
Inosservanza di legge in relazione al resto associativo ex art. 74 dPR 309/90
per mancata individuazione del vincolo associativo, di una struttura dotata di
una sia pur minima organizzazione, della consapevolezza del vicendevole
ausilio; lo Schettino aveva collegamenti unicamente con Ugon Gabriele e si
era trattato di un acquisto per uso personale dal predetto o quando non
trovava disponibilità presso di lui, da altri fornitori; mancanza di motivazione
in relazione alle plurime censure che si erano formulate con l’appello
limitandosi la Corte alla pedissequa ripetizione delle conversazioni già
riportate nella sentenza di primo grado; ad esempio, nell’episodio del c.d.
coca-party, si era chiarito che i termini che si erano ritenuti riferiti a droga
erano in realtà riferiti a donne; inosservanza di legge in relazione alla
aggravante di cui all’art. 74, co.6, per la quale non si è tenuto conto che le
armi erano nella disponibilità di Ugon Gabriele ed erano richieste solo da
Gabriele Salvatore, perciò non sarebbe stato possibile estendere ad altri
l’aggravante; mancanza di motivazione anche in relazione alla interpretazione
della telefonata del 21.5.2012 dove il riferimento alla azienda era all’azienda
sanitaria presso la quale l’imputato lavorava.
PAPA Raffaele (capo a)
Contesta la ritenuta responsabilità per il reato associativo, unica imputazione
a suo carico dopo la intervenuta assoluzione da parte della Corte di appello
dal reato ex art. 73 contestato al capo AP. Gli indizi da cui la Corte ha ritenuto
di ricavare la prova attengono solo ad alcuni comportamenti, tre per la
precisione asseritamente al medesimo addebitabili in quanto risultanti da
intercettazioni che però secondo il Tribunale del riesame erano prive di
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NERI Luciano (capo a)
Con un primo diffuso motivo contesta la responsabilità per il reato associativo
di cui al capo A rilevando che la motivazione, che lo ha ritenuto responsabile
con il ruolo di distributore nella zona di Bologna, pur formalmente
ineccepibile, non è sostenuta da sufficienti dati fattuali; si ritiene che il
medesimo fosse abituale acquirente di considerevoli quantitativi di
stupefacente ma in realtà il comportamento ripetitivo è stato illogicamente
desunto da due soli scambi illeciti risultanti dalle conversazioni; si trascura
che ogni spacciatore deve necessariamente avere contatti con correi e
fornitori senza che ciò costituisca prova della appartenenza ad una
associazione, per la cui sussistenza è necessario un quid pluris che dimostri la
consapevolezza di operare quale aderente all’associazione; anche la
disponibilità alla custodia di droga per conto di Ugon Ciro è stata fraintesa non
tenendosi conto che vi è stato contatto solo con Gabriele Salvatore e non si è
chiarito quando la custodia sarebbe stata offerta, se quando il sodalizio era
già attivo o prima; manca ogni prova dell’elemento soggettivo cioè della
consapevolezza di operare in un contesto associativo e della stabile adesione
al programma comune. Contesta poi la sussistenza dell’aggravante della
disponibilità di armi mancando la prova che le armi fossero, come sostenuto
dal ricorrente, nella disponi. Deduce altresì violazione di legge e difetto di
motivazione in relazione agli artt. 133 e 62 bis cod.pen.

riscontri tanto da giustificare l’annullamento dell’ordinanza cautelare. Si tratta
in ogni caso di meri indizi atti al più a sostenere una accusa di
favoreggiamento.

PICONE Massimo (capi a, ab , ac, ah )
1)Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla ritenuta
responsabilità per il reato associativo la cui prova non sarebbe fornita dai
quattro reati fine contestati, essendosi trattato di mero approvvigionamento,
non essendosi in particolare fornita la prova sull’elemento soggettivo del reato
che richiede il dolo specifico; su tale profilo la Corte ha omesso di tenere
conto della giurisprudenza di questa Corte che il ricorrente diffusamente
richiama e di fornire adeguata motivazione non avendo evidenziato da dove
si ricavi l’adesione del Picone al pactum sceleris ; 2) illogicità di motivazione
relativamente all’imputazione di cui alla lettera AH con cui gli si è contestato
l’acquisto di 110 gr. di cocaina; secondo il ricorrente non vi è prova che si
trattasse di cocaina ed anzi, essendo la prova costituita solo da intercettazioni
telefoniche, non vi è ragione per cui doveva trattarsi della consegna di una
sostanza diversa dall’ hashish come nelle contestazioni sub AB) ed AC); ne
deriva l’applicazione della legge normativa precedente alla legge n.49/2006
che stabiliva una pena da 1 a sei anni e pertanto il reato sarebbe prescritto;
3) intervenuta prescrizione dei reati sub AB) ed AC) avvenuti il 1 e il 5 giugno
2002.
PIZZO Stefania (capo a)
Si duole della condanna per il reato associativo basata su un materiale
probatorio del tutto insufficiente in quanto consistente in intercettazioni
telefoniche mai riscontrate da attività della pg.
UGON Ciro (capi a, bn)
Violazione di legge e difetto di motivazione per aver ribadito la sussistenza
della ipotesi di reato di cui all’art. 74 dPR 309/90 senza rivisitazione del caso e
per mancata considerazione dei motivi di appello; si sarebbe dovuto prendere
atto che Ugon era solo un tossicodipendente che ha avuto contatti solo con
Gabriele.
DE CARO Francesco (capi b, cg, da)
1)Inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche per violazione dell’art. 267,
co. 3, e dell’art. 268; la durata delle intercettazioni disposte con i decreti di
urgenza del pm aventi nn.2485/2002 e 2187/2002 è stata fissata in 40
giorni, e per tale durata i decreti sono stati convalidati dal gip; ciò comporta
violazione dell’art. 267, co.3 che stabilisce un termine di durata di 15 giorni;
ne deriva la inutilizzabilità delle intercettazioni; inoltre i verbali mancano
della sottoscrizione dell’operante di pg che avrebbe proceduto alla redazione
degli stessi e alle operazioni di ascolto, in violazione degli artt. 135
cod.proc.pen. e 89 disp. att.; 2) mancanza di motivazione sulla ritenuta
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PETRONE Salvatore (capi a, t)
Carenza di motivazione della sentenza impugnata

BARTOLO Francesco (capi b, dl, fi)
Mancanza di motivazione sulla richiesta di concessione di attenuanti
generiche.
DE GENNARO Giosuè (capi b, ce, cu, da, db, df, es, en, fp, fn), BARTOLO
Francesco (capo b), LAZZARI Vincenzo (capo a)
Con un primo motivo si dolgono che non sia stato riconosciuto l’assorbimento
dei reati ex art.73 agli stessi rispettivamente contestati nel reato associativo
sub capo b) o a) così come era avvenuto da parte del pm con la richiesta di
rinvio a giudizio; difetto di motivazione con riferimento alla determinazione
della pena; difetto di motivazione con riferimento al giudizio di comparazione
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responsabilità per il reato ex art. 74, contestato al capo B) e per quelli ex art.
73 di cui ai capi CG e DA. Quanto al reato associativo il ricorrente contesta
che nella specie sussistesse la prova di un reato associativo e che si sia
ritenuta la sua appartenenza a tale associazione sulla base di soli due episodi
criminosi, peraltro dal medesimo contestati, laddove il De Caro è sempre
rimasto a Palermo e neppure conosce gli altri appartenenti al sodalizio
criminoso con cui non ha avuto alcun contatto; nessun contributo specifico a
tale associazione è stato fornito da De Caro e non si comprende l’attribuzione
al medesimo, neppure dal punto di vista formale, del ruolo di acquirente e/o
rivenditore all’ingrosso nella associazione capeggiata dal De Gennaro; il
ricorrente ha avuto contatti solo con Cataldo Domenico la cui appartenenza
alla associazione è stata ritenuta sufficiente a farne ritenere parte anche il De
Caro; ma, sostiene il ricorrente, se anche si dovessero ritenere provate le
singole condotte delittuose, si tratterebbe di accordi circoscritti alle singole
fattispecie come tali non idonei a provare la ritenuta partecipazione alla
associazione in assenza di qualsivoglia altro elemento indicatore; tanto più
che già il Tribunale del riesame aveva annullato l’ordinanza di custodia
cautelare per mancanza di sufficienti indizi e nessun altro elemento di prova è
intervenuto successivamente oltre a quelli sottesi alla emanazione della
ordinanza custodiale; 3) 4) insussistenza di prova dei reati di cui ai capi CG
e DA, prova che si è ritenuto di poter desumere dal contenuto di
conversazioni di significato non univoco e spesso intercorse tra altri soggetti;
per il capo CG si è ritenuto che la parola “bancali” usata nelle conversazioni si
riferisse a sostanza stupefacente, mentre ciò non era tanto più che il De Caro
svolgeva attività di imprenditore nel settore agricolo; nessuna prova vi era
della effettiva consegna anch’essa desunta solo dal contenuto di telefonate
tra altri soggetti che nulla avevano di illecito; per il capo DA vi è stata solo
una richiesta di Cataldo a Cafiero di effettuare una consegna al “compagno
mio” da cui è stato ricavato che Cafiero doveva consegnare dello stupefacente
al De Caro, non si comprende in che modo individuato quale destinatario della
merce; forzata concatenazione delle conversazioni interpretate in chiave
illecita” telefonate ; 5) mancato riconoscimento della attenuante di cui al
quinto comma, negata solo sulla base del dato quantitativo; 6) mancato
riconoscimento delle attenuanti generiche; 7) carenza di motivazione sul
trattamento sanzionatorio, apparendo eccessiva la pena conclusivamente
determinata in otto anni.

All’esito dell’udienza del 21 febbraio 2014, fissata per la decisione dei ricorsi,
la deliberazione della sentenza, avuto riguardo alla molteplicità delle questioni
da decidere, è stata differita, ai sensi dell’art. 615 primo comma,
cod.proc.pen., al 12 marzo 2014.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi proposti da Gabriele Salvatore, Caianiello Flora,
Cascella
Antonietta, Lazzari Vincenzo, Paesano
Gaetano, Papa Raffaele, Petrone
Salvatore, Pizzo Stefania, Ugon Ciro, Bartolo Francesco, Cafiero Ferdinando,
De Caro Francesco, De Gennaro Giosuè, Galloro Giuliano, lova Salvatore,
Munerotto Narciso sono inammissibili per le ragioni appresso specificate.
GABRIELE Salvatore ha presentato dichiarazione di rinuncia al ricorso dallo
stesso personalmente redatta e sottoscritta e ciò preclude la disamina delle
censure che erano state formulate.
I ricorsi di CASCELLA Antonietta, PAESANO Gaetano, PETRONE Salvatore,
PIZZO Stefania, SCHETTINO Luciano, UGON Ciro, GALLORO Giuliano, IOVA
Salvatore sono inammissibili per difetto di specificità trattandosi di ricorsi che
si limitano ad enunciare un preteso difetto di motivazione della sentenza
impugnata senza però formulare specifiche contestazioni ed evidenziare le
pretese lacune. Secondo il combinato disposto degli artt. 591, co. 1 lett. c) e
581, co.1, lett. c), l’impugnazione deve invece contenere, a pena di
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delle circostanze che avrebbe trovato giustificazione nel carattere rudimentale
della associazione di cui al capo b); Con un secondo motivo lamentano il
difetto di motivazione in relazione alle attenuanti generiche negate per Bartolo
e De Gennaro e che per Lazzari avrebbero dovuto essere concesse con
giudizio di prevalenza; al riguardo pongono in evidenza come l’associazione di
cui i medesimi sono stati ritenuti responsabili è stata riconosciuta dagli stessi
giudici come qualcosa di più piccolo rispetto ad altre associazioni che operano
nella stessa realtà; inoltre i fatti contestati al Bartolo, De Gennaro e Lazzari
erano precedenti alla legge 5.12.2005 n.251 che ha reso obbligatorio
l’aumento per la recidiva per i reati di cui all’art. 407, co.2,Iett. a
CAFIERO Ferdinando (capi b, da)
Violazione di legge e difetto di motivazione. Al Cafiero è stato attribuito un
ruolo di corriere in relazione a contestazione ex art. 73 dPR 309/90 senza
spiegare perché non avrebbe potuto essersi trattato del trasporto di ortaggi
come sostenuto dal ricorrente; si lamenta della pena eccessivamente afflittiva
e del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche
GALLORO Giuliano (capi b, cg, ee)
Mancanza di motivazione per quanto riguarda la determinazione della pena. I
IOVA Salvatore (capi b, bt, bu, bz, ca, cc)
Difetto di motivazione sul mancato proscioglimento ex art. 129 cod.proc.pen.
MUNEROTTO Narciso (capi ad, al)
Mancanza di motivazione sulla richiesta di concessione di attenuanti generiche
con criterio di prevalenza e sulla concessione della attenuante di cui all’art.73,
co.5.

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inammissibilità, l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di
fatto che sorreggono la richiesta. La sanzione trova la sua ragion d’essere nella
necessità di porre il giudice della impugnazione in grado di individuare i capi e i
punti del provvedimento che si intendono censurare e presuppone che le
censure stesse siano formulate con riferimento specifico alla situazione oggetto
di giudizio e non già con formulazioni che, per la loro genericità, si attagliano a
qualsiasi situazione.
La sanzione di inammissibilità trova applicazione anche quando il ricorrente
nel formulare le proprie doglianze nei confronti della decisione impugnata
trascura di prendere nella dovuta considerazione le valutazioni operate dal
giudice di merito e sottopone alla Corte censure che prescindono da quanto
tale giudice ha già argomentato; sotto tale profilo risultano parimenti
inammissibili i ricorsi di CAIANIELLO Flora, i cui motivi sono generici perché
non tengono conto delle argomentazioni sviluppate in sentenza alle
pagg.74,75,76; di PAPA Raffaele per il quale la sentenza impugnata motiva
a pag. 151 e di CAFIERO Ferdinando valendo a chiarire la natura illecita delle
sue attività le pagg. 198 e 199 della sentenza.
Il ricorso di LAZZARI Vincenzo è inammissibile per manifesta infondatezza dei
motivi proposti. Sostiene il ricorrente, e la questione è sollevata anche
nell’interesse di DE GENNARO e BARTOLO, che i reati fine avrebbero dovuto
essere assorbiti nel reato associativo; al riguardo è sufficiente osservare che
secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte i reati fine non sono assorbiti
nel reato associativo ma mantengono la propria individualità e con esso
concorrono; né possono invocarsi in contrario le scelte eventualmente
operate dal pubblico ministero in ordine ad altre imputazioni per le quali il
predetto organo ha evidentemente ritenuto l’assenza di elementi sufficienti
per sostenere il giudizio. Quanto al trattamento sanzionatorio, le attenuanti
generiche sono state valutate con giudizio di prevalenza, mentre della
recidiva non si è tenuto conto a prescindere dalla sua obbligatorietà o meno.
Anche BARTOLO Francesco e DE GENNARO Giosuè eccepiscono la mancanza
di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche,
ma il motivo è inammissibile sia per la genericità della censura sia in quanto i
ricorrenti trascurano di considerare che dal verbale dell’ udienza
rispettivamente del 17.4 e 2.5.2012 risulta che gli stessi hanno rinunciato a
“tutti i motivi ad eccezione di quelli relativi alla rideterminazione della pena”,
rinuncia dunque comprensiva anche dei motivi aventi ad oggetto la
concessione di eventuali attenuanti o la esclusione di aggravanti, come si
evince dalla verbalizzazione di altre rinunce (ad es. Cataldo Domenico) ove si
specifica che la rinuncia non riguarda la concessione delle attenuanti
generiche.
primo motivo
DE CARO
Il ricorso è inammissibile. Il
Francesco.
manifestamente infondato in quanto non tiene conto della deroga all’art. 26
cod.proc.pen. per i delitti di criminalità organizzata di cui alla legge n. 203 del
1991, come già puntualmente e condivisibilmente osservato dalla Corte di
appello alle pagg. 208, 209; dove pure è stato già precisato che la mancata
sottoscrizione del verbale delle operazioni in remoto, quanto pure sussistente,
è vizio la cui deduzione resta preclusa dalla scelta dell’imputato di accedere al
rito abbreviato. La responsabilità del ricorrente per il reato associativo e per i

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due reati “fine” di cui ai capi CG e DA risulta congruamente motivata. Il capo
CG riguardava la cessione di 50 kg di hashish e il coinvolgimento del De Caro
risulta dimostrato dai contatti tra Cataldo, titolare della ditta di trasporti che si
occupava dei trasporti illeciti e l’autista Galloro dai quali risultava che la
“consegna” era stata fatta a De Caro; analogamente la sentenza riporta
dettagliatamente lo sviluppo dell’operazione cui si riferisce la contestazione del
capo DA rispetto alla quale parimenti De Caro risultava acquirente; stante la
contiguità temporale tra i due episodi è pacifica la loro valenza indiziaria ai fini
della dimostrazione del reato associativo contestato al ricorrente quale
distributore nella zona di Palermo, ruolo confermato da altre conversazioni
intercettate che lo indicano anche in altre occasioni quale destinatario di altre
partite di stupefacenti, per i quali si rende necessario effettuare consegne sotto
la “copertura” di un carico lecito; ne risulta un quadro che i giudici di merito
hanno fondatamente ritenuto, a prescindere dalle valutazioni espresse in sede
di riesame, prova della partecipazione al reato associativo, stante i frequenti e
stabili rapporti intercorrenti tra i prevenuti in ordine alla gestione dello scopo
associativo, essendo in particolare De Caro designato a effettuare la
distribuzione in Sicilia per il tramite di Cataldo; quanto alla consapevolezza di
aver a che fare con una struttura associativa la sentenza ha messo in luce
come la cripticità dei dialoghi, la consapevolezza della necessità di una
“copertura ” e le stesse modalità operative rivelassero l’esistenza di una
organizzazione dotata di mezzi di trasporto e di persone in grado di assicurare
al De Caro un continuo e cospicuo rifornimento. Del tutto generica è la
censura relativa alla mancata concessione dell’attenuante di cui al quinto
comma, alla luce dei rilievi già formulati dalla sentenza a pag. 224. Le
attenuanti generiche sono state concesse. Inammissibile anche la censura
sulla quantificazione della pena rientrando la relativa determinazione nella
valutazione discrezionale del giudice di merito nella specie congruamente
motivata.
MUNEROTTO Narciso – Il ricorso è inammissibile in quanto le attenuanti
generiche sono state concesse con regime di prevalenza e per quanto
riguarda la qualificazione del fatto in termini di lieve entità, ex art. 73, co. 5,
d.P.R 309/90, non è censurabile il difetto di motivazione da parte
dell’impugnata sentenza atteso che vi è stata rinuncia ai motivi di appello
tranne quelli relativi alla determinazione della pena.
Quanto agli altri ricorsi, si rileva quanto segue.
PICONE Massimo – Dei tre motivi di ricorso dal medesimo proposti, risulta
fondato il terzo, con il quale il ricorrente ha chiesto la dichiarazione di
estinzione per prescrizione relativamente ai reati di cui ai capi AB) e AC); si
tratta di contestazioni relative alla detenzione di hashish, per fatti avvenuti
nel giugno 2002, per le quali deve trovare applicazione la disciplin
sanzionatoria di cui al d.P.R. 309/90 nel testo della c.d. legge IervolinoVassalli secondo cui la pena era fissata nella misura da 1 a 6 anni di
reclusione, oltre la multa. Per effetto dei termini di prescrizione di cui alla c.d.
legge ex Cirielli, applicabile in quanto più favorevole e non essendo il
procedimento già pendente in appello alla data di entrata in vigore della legge
medesima, il termine massimo di prescrizione è di 7 anni e mezzo, periodo
ampiamente decorso alla data della presente decisione.

7

./

13

Gli altri motivi sono invece inammissibili. E’ evidente che le censure con le
quali il Picone contesta da un lato la ritenuta adesione al reato associativo e
dall’altro l’oggetto del reato di cui al capo AH) sollecitano questa Corte ad
una diversa valutazione delle risultanze processuali di cui la Corte di appello
ha fornito puntuale indicazione e corretta valutazione. Basta al riguardo il
rinvio alla dettagliata motivazione di cui alle pagg. 155-162, del tutto ignorata
dal ricorrente.
I ricorsi di CASABURI Raffaele, MARTINIELLO Narciso, NERI Luciano e
SCHETTINO Luciano sono fondati per quanto riguarda l’aggravante della
associazione armata.
Questa Corte (sez. Il 8.7.2013 n.44667 Rv.257611) ha di recente affermato
il principio secondo cui in tema di associazione a delinquere finalizzata allo
spaccio di stupefacenti, l’aggravante prevista dal comma quarto dell’art. 74
d.P.R. n. 309 del 1990 può essere riconosciuta in capo ai partecipi del sodalizio
solo se può postularsi una loro colpevolezza anche in relazione a tale aspetto
che richiede, in base a quanto previsto dal comma secondo dell’art. 59 cod.
pen., quantomeno un coefficiente di prevedibilità concreta da parte loro della
disponibilità delle armi da parte dell’associazione. E’ stato ribadito che, ai fini
dell’ascrivibilità dell’aggravante dell’essere l’associazione armata, vale il
principio secondo il quale l’aggravante in questione va valutata a carico
dell’agente secondo il disposto dell’art. 59, comma secondo, c.p.
(analogamente si è ritenuto quanto alla sussistenza dell’aggravante inerente
alla consegna delle sostanze stupefacenti a persona di minore età: Cass. sez.VI
29 gennaio 2008 n.20663, Cassoni e altro; sez.VI 9 luglio 2010 n.41306, A.) e
che non è possibile desumere la consapevolezza dell’esistenza dell’armamento
o, in alternativa, la sua colpevole misconoscenza in base alle semplici
dimensioni del traffico di stupefacenti gestito dalla organizzazione (Cass. sez.I
8 giugno 1994 n.9370, Morabito). Il regime di imputazione soggettiva delle
circostanze aggravanti previsto dall’art. 59 c.p., comma 2, come modificato
dalla L. 7 febbraio 1990, n. 3, art. 11, ha inteso escludere che per l’operatività
delle circostanze sia sufficiente la loro obiettiva esistenza, ritenendo invece
necessaria l’esistenza di un coefficiente psicologico di imputazione all’autore,
seppure richiedendo un legame meno intenso rispetto a quello necessario per
gli elementi essenziali del reato. Ne consegue che per attribuire l’evento
aggravato al soggetto agente debba necessariamente postularsi la sua
“colpevolezza” anche in relazione alla circostanza contestata, che per essere
accollata all’agente deve ancorarsi a un coefficiente di prevedibilità concreta.
Nel caso di specie non risulta che i giudici di merito si siano attenuti a tale
principio atteso che la motivazione fornita sul punto dalla Corte di appello, cui
pure la questione era stata devoluta con gli appelli, pur avendo dato
correttamente dimostrazione che le armi non erano destinate all’uso
esclusivamente personale del soggetto che le deteneva (Gabriele Ugo) in
quanto talvolta avevano seguito il trasporto di stupefacente e che di tale
detenzione erano sicuramente a conoscenza anche il fratello Gabriele
Salvatore e Ugon Ciro, peraltro condannati anche per il reato specifico, non
fornisce sufficiente giustificazione in ordine agli elementi che consentano di
ricondurre agli attuali ricorrenti la consapevolezza di una tale detenzione.

Per il resto i motivi sono invece inammissibili. Quanto al motivo con cui
Casaburi, Martiniello, Neri e Schettino contestano la sussistenza del reato
associativo, deve premettersi, poiché tutti i ricorrenti evocano in maniera più o
meno approfondita la mancanza di prova del reato associativo, che la
sussistenza dell’associazione di cui al capo A) è stata dai giudici di merito
correttamente accertata e congruamente motivata. Ed infatti sulla base
dell’analisi complessiva delle fonti di prova puntualmente indicate, tra cui non
vanno dimenticate le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia riscontrate dalle
indagini svolte nei confronti dei singoli imputati, è stata ritenuta l’esistenza di
una associazione basata su rapporti consolidati tra sodali, ivi compresi
acquirenti, rivenditori e distributori dello stupefacente con disponibilità di un
deposito in cui era stata sistemata la sostanza stupefacente, le cui chiavi erano
di volta in volta consegnate ai partecipanti, e di luoghi di custodia delle armi,
con messa a disposizione di mezzi comuni e di documenti contraffatti;
l’associazione si avvaleva di un rudimentale sistema di contabilità e della
piena disponibilità dei partecipanti allo svolgimento della illecita attività del
sodalizio. Orbene, gli elementi di fatto di volta in volta messi in evidenza dalla
Corte di appello con specifico riferimento ai singoli imputati, correttamente
sono stati ritenuti prova della partecipazione al reato associativo specie ove si
tenga presente che ai fini della configurabilità dell’associazione finalizzata al
traffico illecito di sostanze stupefacenti, non è richiesto un patto espresso fra
gli associati, potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalità esecutive
dei reati-fine e dalla loro ripetitività, dalla natura dei rapporti tra i loro autori,
dalla ripartizione di compiti e ruoli fra i vari soggetti in vista del
raggiungimento del comune obiettivo di effettuare attività di commercio di
stupefacenti (sez. VI 24.9.2012 n. 9061 Rv. 255312). A ciò si aggiungono le
dettagliate motivazioni in fatto fornite alle pagg. 78-94 per Casaburi dove
vengono riferite le numerose intercettazioni da cui risultano i contatti stabili e
frequenti con gli altri partecipi al fine di acquisire la sostanza che egli
provvedeva poi a rivendere nella zona di Modena; alle pagg. 135-141 per
Martiniello il cui ruolo di stabile acquirente e rivenditore per la zona di Parma
risulta dalle numerose conversazioni che testimoniano una continuità e stabilità
di contatti con Gabriele e altri tale da non poter essere ricondotta a semplici
acquisti, ma indicativi di un inserimento nella organizzazione; alle pagg. 165178 per Schettino laddove attraverso l’enunciazione delle moltissime
intercettazioni risulta che il ruolo di partecipe si desume dalle numerosissime
telefonate di approvvigionamento di sostanze stupefacenti che, proprio per la
sua frequente richiesta e per le quantità, non poteva, neppure sul piano logico,
essere destinata al solo consumo personale, come peraltro chiaramente
desumibile ad esempio da una telefonata in cui Gabriele gli dice “vogliono 500 ,b eans, me li devi preparare”; le eccezioni del medesimo Schettino sulla natura
conviviale del “coca party” e sul ruolo dal medesimo rivestito alla ASL sono
sconfinamenti nel merito inammissibili in questa sede; alle pagg. 143-146 pe
Neri laddove attraverso l’enunciazione delle moltissime intercettazioni risulta
che il ruolo di distributore delle sostanze stupefacenti nella zona di Bologna si
evince dai numerosissimi contatti specie con Gabriele Salvatore, ma anche con
altri partecipi, che lo considerava un referente abituale, tanto da essere
14

informato anche della sua assenza per ferie e da indicarlo nella contabilità;
nonché dalla accertata disponiblità a fungere da deposito del Gabriele.
Sulla aggravante del numero delle persone la sentenza motiva sulla
conoscibilità di tale circostanza da parte di tutti gli associati a pag. 72.
Sul calcolo della pena per Casaburi, la sentenza ha chiarito a pag.98.
Resta da precisare che non può essere dichiarata la prescrizione del reato di
cui al capo AV) contestato al medesimo Casaburi, ostandovi l’intervenuto
passaggio in giudicato su tale capo, non interessato in alcun modo dal ricorso
del medesimo imputato. Infatti, come questa Corte ha già avuto modo di
rilevare (sez. IV 6.11.2012 n. 49817), nel caso di impugnazione da parte un
imputato di più imputazioni al medesimo ascritte, pur essendo formalmente
unico il documento che rappresenta l’impugnazione e il procedimento che ne
consegue, la stessa deve considerarsi concettualmente distinta ed autonoma
per quanto riguarda i singoli reati, cioè i vari capi della sentenza. Con la
conseguenza che l’ammissibilità o inammissibilità della stessa deve essere
valutata in relazione ai singoli capi cui si riferisce.
LONGOBARDI Assunta II quarto motivo è fondato atteso che effettivamente il
giudice di secondo grado ha determinato l’aumento per la continuazione in
misura di un anno, laddove in primo grado tale aumento era stato determinato
in sei mesi e ciò ha comportato una reformatio in peius rispetto alla pena
inflitta in primo grado; alla rideternninazione della pena può procedere questa
Corte, trattandosi di un semplice calcolo matematico che porta alla pena di
anni 5 e mesi 8 di reclusione, così come anche dalla difesa rappresentato.
I restanti motivi sono inammissibili. Sulla sussistenza della associazione vale
quanto sopra rilevato con riferimento agli altri ricorrenti; mentre per quanto
riguarda la partecipazione della Longobardi logicamente la stessa è stata
motivata dalla Corte di appello sulla base della partecipazione al viaggio
Napoli-Modena con Cascella Antonetta per effettuare una consegna di droga a
Casaburi Raffaele e con il ruolo di intestataria di numerosi vaglia utilizzati dal
gruppo per incassare i proventi degli stupefacenti, funzione che la corte ha
correttamente rilevato essere essenziale nella vita della associazione e tale da
denotare l’appartenenza piena alla medesima. E’ evidente che una volta
ritenuta l’adesione alla associazione on vi è spazio per il reato di
favoreggiamento e la mancanza di specifica motivazione da parte della corte di
appello trova ragione in tale incompatibilità.
2.Conclusivamente deve essere annullata senza rinvio la sentenza impugnata
nei confronti di Picone Massimo relativamente ai reati di cui ai capi ab) e ac)
per essere i detti reati estinti per intervenuta prescrizione; gli atti vanno
trasmessi Lgii-attr ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuova
determinazione della pena in ordine alle residue imputazioni; deve rigettarsi
nel resto il ricorso del Picone. L’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata opera anche nei confronti di Longobardi Assunta limitatamente
alla determinazione della pena nella misura di 6 anni di reclusione, co
rideterminazione di detta pena in 5 anni e 8 mesi di reclusione; nel resto il
ricorso della Longobardi va rigettato. La sentenza va annullata ancora nei
confronti di Casaburi Raffaele, Neri Luciano, Schettino Luciano e Martiniello
Narciso relativamente alla questione concernente l’aggravante di cui all’art.
15

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Picone Massimo
relativamente ai reati di cui ai capi ab) e ac) per essere i detti reati estinti
per intervenuta prescrizione e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione
della Corte di appello di Napoli per nuova determinazione della pena in ordine
alle residue imputazioni; rigetta nel resto il ricorso del Picone,
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Longobardi
Assunta limitatamente alla determinazione della pena nella misura di 6 anni di
reclusione e ridetermina detta pena in 5 anni e 8 mesi di reclusione; rigetta
nel resto il ricorso della Longobardi.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Casaburi Raffaele, Neri
Luciano, Schettino Luciano e Martiniello Narciso relativamente alla questione
concernéte l’aggravante di cui all’art. 74, co. 4, DPR 309/90 con rinvio per
nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Napoli;
rigetta nel resto i ricorsi di Casaburi, Neri, Schettino e Martiniello.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Bartolo Francesco, Cafiero Ferdinando, De
Caro Francesco, De Gennaro Giosuè, Galloro Giuliano, lova Salvatore, Lazzari
Vincenzo, Munerotto Narciso, Paesano Gaetano, Papa Raffaele, Petrone
Salvatore, Pizzo Stefania, Ugon Ciro, Caianiello Flora, Cascella Antonietta
che condanna al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al
versamento in favore della cassa delle ammende della somma di 1000 euro;
dichiara altresì inammissibile per rinuncia il ricorso di Gabriele Salvatore che
condanna al pagamento delle spese processuali nonché al versamento di euro
300,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 12.3.2014.

74, co. 4, DPR 309/90 con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione
della Corte di appello di Napoli; nel resto i ricorsi di Casaburi, Neri, Schettino
e Martiniello vanno rigettati. Sono da dichiarare inammissibili i ricorsi di
Gabriele Salvatore, Bartolo Francesco, Cafiero Ferdinando, De Caro Francesco,
De Gennaro Giosuè, Galloro Giuliano, lova Salvatore, Lazzari Vincenzo,
Munerotto Narciso, Paesano Gaetano, Papa Raffaele, Petrone Salvatore,
Pizzo Stefania, Ugon Ciro, Caianiello Flora, Cascella Antonietta con
condanna dei medesimi al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al
versamento in favore della cassa delle ammende della somma di 1000 euro;
la sanzione in favore delle cassa delle ammende è di euro 300,00 per
Gabriele in considerazione della intervenuta rinuncia al ricorso.

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