Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19490 del 09/02/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19490 Anno 2018
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: RICCIARELLI MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Errico Riccardo, nato il 14/04/1964 a Napoli
Torchio Anna Palmina, nata il 20/02/1965 a Torino

avverso la sentenza emessa in data 27/01/2017 dalla Corte di appello di Torino

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pietro
Molino, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
udito il difensore, Avv. Enrico Tardy, per Errico, che insiste nel ricorso, chiedendo
l’annullamento della sentenza e segnalando l’intervenuta prescrizione;
udito il difensore, Michele Galasso, per Torchio, che si riporta al ricorso
chiedendone l’accoglimento e segnalando l’intervenuta prescrizione.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27/1/2017 la Corte di appello di Torino, in riforma di
quella del Tribunale di Torino del 2/3/2016, ha assolto Amodeo Giovanni dal

Data Udienza: 09/02/2018

reato di cui all’art. 319-quater cod. pen. a lui ascritto, mentre ha affermato la
penale responsabilità di Errico Riccardo per il reato di cui agli artt. 319 e 320
cod. pen. e quella di Torchio Anna Palmina per quello di cui agli artt. 319, 320,
321 cod. pen., in relazione all’erogazione tra il dicembre 2009 e l’aprile 2010 di
somme da parte di quest’ultima all’Errico, perché, quale funzionario di A.F.C.
Torino -Servizi cimiteriali- e incaricato di pubblico servizio, indirizzasse clientela
interessata alla costruzione di tombe di famiglia e opere di manutenzione delle
stesse.

i predetti a risarcire il danno cagionato alla parte civile.

2. Ha proposto ricorso Errico Riccardo tramite i suoi difensori.
2.1. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione al canone di giudizio «dell’al di là
di ogni ragionevole dubbio».
La Corte si era basata su un unico elemento costituito dalla intercettazione
di una conversazione intercorsa il 15/4/2010 tra la Torchio e il marito Rizzello,
che non avrebbe potuto essere posta da sola alla base del giudizio di penale
responsabilità, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale espresso in materia
di «droga parlata», anche a fronte di una vasta mole di intercettazioni.
Inoltre sarebbe stata necessaria una motivazione rafforzata, trattandosi di
riforma di sentenza assolutoria, dovendo la Corte acquisire nuovo materiale
probatorio o in alternativa dare dimostrazione della superfluità di ulteriori
accertamenti.
Non avrebbero potuto valorizzarsi qualità esteriori del narrato, anche
considerando la diversità di tono tra la conversazione utilizzata, sprezzante verso
l’Errico, e altre intercorse proprio tra la Torchio e l’Errico.
Inoltre contraddittoriamente la Corte aveva abbandonato la linea
dell’interpretazione letterale del dialogo, con riguardo al passaggio in cui si
faceva riferimento all’interruzione da tempo delle dazioni, che era stato inteso
come relativo a poco tempo prima, al fine di superare l’illogicità del racconto.
Indebitamente erano stati utilizzati in guisa di riscontri la constatazione di
rapporti confidenziali tra la Torchio e l’Errico e una diversa vicenda relativa a
rapporti tra la Torchio ed altro soggetto, che era stata tuttavia definita con
archiviazione.
2.2. Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione ai sensi dell’art.
606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non avendo la Corte disposto la nuova
audizione di Palumbo Annamaria, agli effetti dell’art. 6 C.E.D.U., in quanto prova
dichiarativa decisiva in merito alle mansioni dell’Errico.

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La Corte ha irrogato all’Errico e alla Torchio la pena di giustizia e condannato

Dalla testimonianza della Palumbo era invero dato ricavare non tanto che
l’Errico non avesse rapporti con il pubblico ma che non aveva contatti con coloro
che dopo l’accesso all’ufficio accoglienza ricevevano e compilavano l’apposito
modulo per la scelta del marmista di fiducia.
La Corte non aveva tenuto conto di ciò e neppure del fatto che la stessa
Torchio aveva segnalato che altri avevano contatti con i postulanti, il che
escludeva la possibilità dell’accordo corruttivo.
2.3. Con successiva memoria il difensore dell’Errico ha presentato un motivo

giudizio «dell’oltre ogni ragionevole dubbio», avendo ribaltato l’assoluzione sulla
base di una mera diversa lettura del materiale probatorio.
Avrebbe dovuto essere rinnovata l’istruzione dibattimentale, con l’audizione
del Rizzello e della Palumbo.
Ai sensi dell’ora vigente art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. è divenuta
regola la rinnovazione di prove dichiarative.
Inoltre era mancato un idoneo vaglio critico della telefonata per accertarne
la consistenza.
In realtà l’ipotesi di un racconto inventato aveva la stesso valore probatorio
dell’ipotesi di uno sfogo sincero della Torchio.

3. Ha proposto ricorso Torchio Anna Palmina tramite il suo difensore.
3.1. In primo luogo denuncia, con trattazione unitaria, violazione del canone
di giudizio «dell’oltre ogni ragionevole dubbio», vizio di motivazione, mancanza
di motivazione rafforzata per il caso di riforma di sentenza assolutoria.
La Corte si era basata sulla sola conversazione tra la Torchio e il marito del
15/4/2010, senza ravvisare un ragionevole dubbio, che era stato invece
prospettato dal primo Giudice.
A sostegno dell’assunto secondo cui la conversazione fosse volta a dare
giustificazione al marito di ammanchi, a fronte di somme erogate di nascosto
dalla Torchio ad associazioni animaliste, contro il volere dell’uomo, militavano la
conferma di dazioni siffatte, proveniente da documentazione prodotta e dai testi,
compreso lo stesso Rizzello, dichiaratosi consapevole dell’effettiva destinazione,
pur avendo finto di assecondare le menzogne della moglie.
Tali elementi costituivano il supporto logico dell’esigenza della Torchio di
ingannare il marito circa la destinazione di somme di denaro.
D’altro canto nella specie vi era un unico elemento, che avrebbe imposto
particolare rigore e cautela, a fronte della riconosciuta necessità di una vasta
mole di intercettazioni e dell’obbligo di motivazione rafforzata gravante sul
Giudice in caso di riforma di sentenza assolutoria.

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nuovo, deducendo vizio di motivazione per mancato rispetto del canone di

Si trattava infatti di verificare se sussistesse un plausibile movente di
mendacio, tema in ordine al quale la Corte aveva formulato una motivazione
illogica e contraddittoria, incorrendo anche nel travisamento della prova.
La Corte aveva omesso di considerare che dalle dichiarazioni di Penengo e
Camino era dato desumere che il Rizzello non era un fervente attivista ed era
dunque ragionevolmente contrario a versamenti anche rilevanti, quali quelli
documentati.
Inoltre, con riguardo alla Penengo la Corte aveva sostenuto che costei

della Torchio risultavano documentalmente.
Sempre relativamente alla Penengo la Corte non aveva considerato che ella
aveva sostenuto che la Torchio non raccontava tutto al marito, mentre la Camino
aveva riferito che il marito non era d’accordo sulle spese, talvolta esagerate.
Con riguardo all’assunto della Corte secondo cui il teste aveva sì confermato
di aver appreso dalla Torchio che qualche volta mentiva al marito, ma lo aveva
fatto in un periodo successivo al clamore suscitato sulla stampa dalla vicenda, la
ricorrente deduce un profilo di travisamento della prova, in quanto dalle
dichiarazioni della teste era dato comprendere che la Torchio aveva fatto le sue
confidenze anche ma non solo dopo il clamore mediatico.
Del resto anche il Rizzello aveva confermato le menzogne a giustificazione di
ammanchi, per esborsi ad associazioni animaliste.
La Corte, nel reputare contraddittorie le dichiarazioni del Rizzello, aveva
inoltre ignorato le spiegazioni da lui fornite circa le ragioni per cui, dopo le
originarie menzogne, non credeva alla nuova spiegazione degli ammanchi,
essendo stata fornita una giustificazione non verificabile, a fronte della quale non
arrivavano i nuovi clienti che avrebbero dovuto essere propiziati dalle dazioni.
Tutte le argomentazioni della Corte a sostegno del proprio assunto erano da
reputarsi inconferenti, a fronte dell’accertata esistenza di plausibili moventi del
mendacio.
i n°Itreter a stata indebitamente ignorata la tesi difensiva secondo cui scopo
della conversazione era non solo quello di giustificare ammanchi ma anche quello
di spiegare con il doppio gioco dell’Errico il fatto che, a fronte delle dazioni, nuovi
lavori non arrivassero attraverso quel canale.
Un autonomo vizio si annidava inoltre nella parte della motivazione dedicata
alla circostanza, risultante dalla conversazione intercettata, che la Torchio non
dava più il denaro da tempo: in questo caso era stato contraddittoriamente
utilizzato un diverso canone interpretativo, volto a collocare le dazioni almeno
fino al febbraio, cioè in epoca comunque vicina, al fine di evitare un giudizio di
fittizietà dell’intera conversazione.

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avrebbe parlato di esborsi di 50/10 euro, in realtà riferibili ai suoi, quando quelli

Illogico e contraddittorio era infine anche il riferimento ai pretesi riscontri
desumibili dai rapporti confidenziali con l’Errico e dai rapporti con altro
funzionario, tale Lombardo, a fronte della disposta archiviazione del
procedimento riguardante tale profilo della vicenda.
3.2. Con ulteriore motivo deduce violazione di legge ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 6 C.E.D.U, 111 e 117
Cost, e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc.
pen., in relazione alla mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per

In particolare la decisione avrebbe dovuto ritenersi il frutto dell’esclusione
del ragionevole dubbio in ordine alla sussistenza di plausibili motivi di mendacio,
con diverso apprezzamento delle deposizioni dei testi suindicati, e in particolare
di quella del Rizzello, di cui era stata esclusa la credibilità, senza la previa
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in violazione dei principi di oralità e
immediatezza.
3.3. Con l’ultimo motivo denuncia violazione di legge ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. b), cod. proc. Pen., in relazione agli artt. 132, 133 e 323-bis cod.
pen.
La Corte aveva ridotto la pena per le attenuanti generiche non nella
massima estensione e negato l’attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen., in
relazione al protrarsi dei rapporti illeciti, di cui tuttavia non v’era tracia, fermo
restando che era stato confermato che l’Errico non aveva inviato clienti.
Né si sarebbe potuto parlare di non minima entità delle somme promesse e
percepite.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Deve in primo luogo rilevarsi che è pervenuta rinuncia alla costituzione di
parte civile ad opera del procuratore speciale della società A.F.C. s.p.a.
Già su tali basi deve annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata
relativamente alle statuizioni civili in favore di detta società.

2. In secondo luogo va rimarcato che il fatto è stato contestato come
riferibile al periodo aprile/maggio 2010 e che la Corte ha ritenuto di collocarlo
fino all’aprile 2010, con dazioni risalenti ad epoca di poco anteriore.
In ogni caso risulta decorso da allora il termine massimo di prescrizione del
reato, pari ad anni sette e mesi sei.
D’altro canto deve escludersi che i motivi di ricorso possano reputarsi
inammissibili, in quanto incentrati su profili meritevoli di considerazione e

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l’escussione dei testi Penengo, Camino e Rizzello.

approfondimento, con riguardo al tema della necessità o meno di rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale, a quello della necessità di una motivazione
rafforzata e a quello della adeguatezza e logicità della motivazione.
Da ciò discende che la sentenza impugnata deve essere annullata senza
rinvio anche a fini penali, in quanto il reato rispettivamente ascritto ai due
ricorrenti è estinto per intervenuta prescrizione.

3. Atteso il venir meno della parte civile e delle statuizioni in favore di essa,

un proscioglimento pieno ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., dovendosi
peraltro tener conto che la causa estintiva prevale su eventuali vizi di
motivazione e che il presupposto per un più ampio proscioglimento deve
emergere in modo incontestabile, in modo che la valutazione possa dirsi
appartenere al genere della constatazione, cioè a quello della percezione «ictu
oculi» (Cass. Sez. U. n. 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, rv. 244273-244275).

4. Ciò posto, deve in primo luogo osservarsi come nel caso di riforma in
sede di appello di sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado debba
previamente procedersi alla rinnovazione di prove orali decisive, tali dovendosi
considerare «quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno
determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l’assoluzione e che, pur
in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso
materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull’esito del
giudizio, nonché quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo
valore, siano, invece, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti – da sole o
insieme ad altri elementi di prova – ai fini dell’esito della condanna» (Cass. Sez.
U. n. 27620 del 28/4/2016, Dasgupta, rv. 267487 e 267491).
Tale principio, destinato ad assicurare il pieno rispetto del contraddittorio,
correlato all’oralità e immediatezza della prova -in conformità con gli arresti della
Corte europea dei diritti dell’uomo (Dan contro Moldavia del 5/7/2011)-, e ora
specificamente evocato dall’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., introdotto
dalla legge 103 del 2017, impone dunque di ricostruire il fondamento della
sentenza di assoluzione e di confrontarlo con gli elementi valorizzati dal giudice
di appello: in tale ottica deve concludersi che non può reputarsi decisiva una
prova orale che il primo Giudice abbia ignorato o a sua volta reputato
inverosimile.
Su tali basi risultano infondati i rilievi formulati nei due ricorsi, incentrati
sulla necessità della rinnovazione di prove orali costituite dalle deposizioni rese
dai testi Rizzello, Penengo e Camino ovvero dalla teste Palumbo.

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in questa sede si tratta solo di verificare se ricorrano o meno i presupposti per

E’ sufficiente al riguardo osservare che la Penengo e il Camino, per quanto
risulta dalle deduzioni difensive, hanno reso dichiarazioni in ordine alla passione
della Torchio per gli animali e in ordine alle sue erogazioni in favore di
associazioni animaliste, non gradite a suo marito; il Rizzello ha parlato della
conversazione del 15 aprile 2010, dalla quale è stata desunta la prova del patto
corruttivo, accreditando peraltro la versione difensiva secondo cui sua moglie,
cioè la Torchio, effettuava cospicue erogazioni ed anche nel caso in esame aveva
cercato di fornirgli una giustificazione rispetto ad ammanchi di denaro che egli

contatti che l’Errico avrebbe potuto o meno avere con coloro che intendevano
avvalersi di servizi cimiteriali.
Sta di fatto che il primo Giudice ha reputato sostanzialmente inverosimili le
deduzioni difensive, ritenendo tuttavia insufficiente una prova fondata solo su
una conversazione telefonica, mentre la Corte ha motivatamente valorizzato tale
conversazione, rilevando come non fossero ravvisabili elementi idonei a
smentirne il significato accusatorio e come semmai potessero individuarsi
riscontri idonei ad asseverarlo.
Ciò non significa che gli elementi difensivamente invocati non fossero
rilevanti, ma solo che gli stessi non possedevano, nel confronto tra le due
sentenze di merito, quella connotazione di decisività che avrebbe imposto la
rinnovazione di quelle prove orali, al fine di giungere ad un esito diverso da
quello cui era pervenuto il primo Giudice.

5. Un diverso angolo visuale è stato peraltro evocato dai ricorrenti in
relazione alla necessità che la sentenza di appello, che intenda ribaltare il
giudizio di primo grado, debba essere sostenuta da una motivazione rafforzata: è
stato invero affermato che in questo caso la sentenza di condanna deve
«dimostrare puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli
argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai
contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi
corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della
decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore
considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati»
(il principio, espresso da Cass. Sez. 6 n. 6221 del 20/4/2005, dep. nel 2006,
Aglieri, rv. 233083, è analogamente formulato da Cass. Sez. U. n. 33748 del
12/7/2005, Mannino, rv. 231679, secondo cui «il giudice di appello che riformi
totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti
del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i
più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle

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sapeva essere dovuti a quel tipo di erogazioni; la Palumbo ha parlato del tipo di

ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma
del provvedimento impugnato»).

6. A ben guardare tale tema, strettamente correlato alla necessità che una
condanna si fondi sul superamento di ogni ragionevole dubbio, va valutato nel
caso in esame solo al limitato fine di stabilire se la motivazione della sentenza
impugnata, letta alla luce di quella di primo grado e delle censure della difesa,
formulate nei due ricorsi, consenta o meno di ravvisare il presupposto per un più

di motivazione, in quanto, a fronte del maturare del termine di prescrizione, non
potrebbe disporsi un annullamento con rinvio ai fini di un nuovo giudizio.

7. Va sul punto osservato che la Corte territoriale ha valutato il fondamento
della sentenza di assoluzione, rilevando per contro come la conversazione
intercettata, ritenuta dal primo giudice insufficiente, fosse idonea a disvelare un
patto corruttivo, delineato sotto il profilo temporale e sotto il profilo funzionale, a
fronte dell’inverosimiglianza dell’ipotesi alternativa, rappresentata dall’assunto di
un falso racconto reso dalla Torchio al marito per coprire erogazioni da lei fatte
in favore di associazioni ambientaliste.
D’altro canto deve aggiungersi che l’interpretazione della conversazione da
parte della Corte non può dirsi manifestamente illogica, avuto riguardo alle
espressioni pronunciate e all’uopo valorizzate, fermo restando che «in tema di
intercettazioni di intercettazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio
adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato,
costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la
quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si
sottrae al sindacato di legittimità» (Cass. Sez. U. n. 22471 del 26/2/2015,
Sebbar, rv. 263715).
Da ciò discende che la Corte ha individuato un elemento idoneo a
rappresentare compiutamente una condotta corruttiva, delineata anche sotto il
profilo temporale, in relazione a dazioni indicate come ripetute mensilmente,
seppur nell’attualità cessate,

8. A ben guardare tale elemento non risulta contrastato dal primo Giudice,
che l’ha semplicemente reputato insufficiente, peraltro senza puntuale
motivazione.
D’altro canto gli argomenti difensivi, su cui si fondano i ricorsi, non muovono
dal presupposto che l’interpretazione della conversazione sia del tutto arbitraria
ma sono volti a prospettare l’insufficienza di un’unica conversazione, tanto più

ampio proscioglimento, non potendosi di per sé attribuire rilievo ad un mero vizio

con riguardo alla posizione dell’Errico, estraneo al colloquio, o mirano ad indicare
un diverso angolo visuale, incentrato sulla possibilità di cogliere l’interesse della
Torchio a mentire, con la conseguenza che in tale prospettiva gli elementi esterni
alla conversazione potrebbero dirsi idonei ad offrire lo spunto per l’attribuzione
all’unico colloquio rilevante un significato diverso da quello apparente, così da
alimentare un ragionevole dubbio.
Il primo ordine di argomenti è infondato, in quanto le conversazioni
intercettate possono anche da sole costituire prova della responsabilità di taluno,

reato e siano attentamente valutate sotto il profilo logico e probatorio (Cass.
Sez. 5, n. 4572 del 17/7/2015, dep. nel 216, Ambroggio, rv. 265747).
Quanto alle ulteriori censure, deve rimarcarsi che sono stati individuati
plurimi profili rispetto ai quali la motivazione sarebbe carente o illogica o
addirittura incorrerebbe in un travisamento della prova (si considerino i motivi di
ricorso riguardanti l’assenza di idonea motivazione in ordine al valore attribuibile
alle dichiarazioni della teste Palumbo in merito al ruolo esterno dell’Errico o quelli
incentrati sull’esame delle dichiarazioni dei testi Penengo e Cammino, al fine di
dimostrare il travisamento del riferimento fatto dalla prima a modesti importi
erogati e quello del riferimento fatto dal secondo a quanto confidato dalla
Torchio non solo dopo ma anche prima del clamore mediatico della vicenda; si
considerino inoltre le censure mosse con riguardo agli elementi indicati dalla
Corte a riscontro).
Ma in nessun caso si prospettano ragioni dirimenti, tali per cui, di fronte ad
un elemento connotato da specifica capacità evocativa, possa dirsi che ricorra
con evidenza una causa di proscioglimento più ampio, in ragione della radicale
inidoneità di quell’elemento a suffragare la tesi accusatoria.
In altre parole è solo la sincronica valutazione degli elementi acquisiti che
dovrebbe condurre ad un alternativo apprezzamento della vicenda e alla
svalutazione del significato altrimenti attribuibile alla conversazione incriminata
del 15/4/2010 tra la Torchio e il Rizzello.

9. Tutto ciò peraltro contraddice l’assunto che la causa estintiva possa
essere superata non dalla prospettazione di un dubbio bensì da un quadro
valutativo evidente, tale da consentire una mera constatazione «ictu oculi».
Ne discende che, a fronte della rilevata causa estintiva, non vi è margine per
il riconoscimento di una più ampia ragione di proscioglimento ai sensi dell’art.
129 cod. proc. pen., con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere
annullata senza rinvio agli effetti penali a causa del maturare della prescrizione
del reato a ciascuno dei ricorrenti ascritto.

9

pur estraneo al colloquio, ove le stesse indichino il soggetto come autore di un

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata ai fini penali perché i reati sono
estinti per prescrizione e agli effetti civili per intervenuta rinuncia alla
costituzione di parte civile.

Il Consigliere estensore
Massimo Ricc . relli
e

Così deciso il 9/2/2018

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