Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19486 del 01/02/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19486 Anno 2018
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: RICCIARELLI MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Bumbaca Francesco, nato il 21/09/1976 a Locri
Costanzo Francesco, nato il 06/07/1971 a Torino
D’Agostino Girolamo, nato il 28/08/1951
Pannunzi Alessandro, natol’11/04/1972 a Roma
Sergi Paolo, nato il 18/09/1942 a Platì

avverso la sentenza del 26/02/2016 della Corte di appello di Reggio Calabria

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, M.
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi di Bumbaca e
Pannunzi e per l’inammissibilità dei ricorsi di Costanzo, D’Agostino e Sergi;
udito il difensore, Avv. Calabrese Francesco per Sergi, che ha insistito nel ricorso
chiedendone l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore, Avv. Giacomo Tana per D’Agostino, che ha insistito nel ricorso
chiedendone l’accoglimento;

Data Udienza: 01/02/2018

udito il difensore, Avv. Paolo Tomassini, anche in sost. dell’Avv. Emidio
Tomassini, per Pannunzi e Bumbaca, che ha insistito nel ricorso chiedendone
l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 26/2/2016 la Corte di appello di Reggio Calabria ha
parzialmente riformato quella pronunciata dal Tribunale di Locri in data

condannati in primo grado per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990
contestato al capo A) e il Bumbaca anche per il reato di cui all’art. 390 cod. pen.
contestato al capo R), di Sergi Paolo, condannato in primo grado per la
partecipazione alla medesima associazione e per il reato di detenzione e
trasporto di stupefacenti di cui al capo E), di D’Agostino Girolamo, condannato
per la partecipazione a detta associazione, e di Costanzo Giuseppe, condannato
per il reato di tentata importazione di stupefacenti, di cui al capo N): la Corte in
particolare ha prosciolto il Bumbaca dal reato sub R), ha escluso nei confronti del
Pannunzi l’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 74, ravvisando quella di cui al
comma 2, ha riconosciuto nei confronti di Bumbaca e Pannunzi il vincolo della
continuazione con i reati giudicati con sentenza della Corte di appello di Reggio
Calabria del 1/10/2007, nei confronti di Sergi Paolo il vincolo della continuazione
con i reati giudicati con sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del
13/6/2007, nei confronti di Costanzo Giuseppe il vincolo della continuazione con i
reati giudicati con sentenza della Corte di appello di Torino del 9/5/2011, ha
infine rideterminato le pene, computando nei confronti di Bumbaca, Pannunzi,
Sergi e Costanzo l’aumento per la continuazione con

í reati separatamente

giudicati.

2.

Hanno proposto ricorso con atti separati, ma di identico contenuto

Bumbaca Francesco e Pannunzi Alessandro.
2.1. Con il primo motivo deducono violazione di legge ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in relazione all’art. 649 cod. proc. pen.
La Corte aveva erroneamente negato l’operatività del divieto di secondo
giudizio, a fronte del rilievo che i fatti contestati nel presente processo, relativo
all’indagine denominata Stupor Mundi, erano da ricondursi nell’orbita del delitto
associativo già oggetto di precedente giudizio nell’ambito del procedimento
denominato IGRES, definito con sentenza irrevocabile.
Già in fase di indagini era stata esclusa nei confronti dei ricorrenti la gravità
indiziaria in ordine all’ipotesi associativa prospettata nel nuovo procedimento,

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25/11/2011 nei confronti di Bumbaca Francesco e di Pannunzi Alessandro,

che si avvaleva del quadro di indagine del procedimento originario, e inoltre era
stata ravvisata agli effetti dell’art. 297 cod. proc. pen. la connessione qualificata
tra l’ipotesi di reato di cui al capo B) e quelle oggetto del procedimento IGRES,
riguardanti l’associazione dedita al narcotraffico e tre operazioni di importazione
di stupefacenti.
In primo grado il Tribunale di Locri aveva ritenuto che il reato sub B) fosse
riconducibile alla medesima operazione di cui al capo D) del precedente
procedimento e aveva ravvisato la preclusione derivante ex art. 649 cod. proc.

Inoltre lo stesso Tribunale aveva affermato che l’ipotesi sub B) era da
ricondursi al quadro associativo di cui al procedimento IGRES, poi sostituito dal
subentro del gruppo di Ciminà a seguito di nuove valutazioni compiute da
Marando Rosario, con conseguente esistenza di struttura ed operatività che
esulavano da quelle riconducibili alla famiglia Pannunzi.
Senonché sia il Tribunale sia successivamente la Corte di appello avevano
ravvisato la penale responsabilità del Bumbaca e del Pannunzi sulla base di un
dato formale, costituito dall’arco temporale chiuso della contestazione dell’ipotesi
associativa formulata nel procedimento IGRES che contemplava il periodo
dall’agosto 2000 al gennaio 2002: in tale ottica il capo B), consumato il
12/11/2002, era stato incluso nell’alveo del delitto associativo contestato nel
processo Stupor Mundi, quale riscontro della partecipazione dei ricorrenti al
nuovo sodalizio, riferito all’arco temporale che andava dal novembre 2002
all’anno 2004.
Ma in realtà al di là dei profili connessi alle esigenze di indagine, che
avevano determinato l’originaria formazione di un nuovo fascicolo, in
concomitanza con il sequestro di un cospicuo quantitativo di cocaina, eseguito il
12/11/2002, culmine dell’ipotesi di reato di cui al capo B), non era dato
comprendere sul piano sostanziale come fosse concepibile che un’associazione si
fosse esaurita prima del perfezionamento di un reato fine, dovendosi ritenere
che la ricostruzione probatoria del fatto associativo smentisse il dato temporale
contenuto nell’imputazione formulata nel procedimento IGRES.
Inoltre

in tale procedimento era stato riconosciuto il vincolo della
)
continuazione tra l’ipotesi associativa e i tre reati fine, compreso quello legato
all’operazione Namibia, poi confluita nella fase finale nel capo B) del
procedimento Stupor Mundi.
In ogni caso avrebbe dovuto valorizzarsi anche il favor rei, tale da imporre il
riconoscimento della causa di improcedibilità anche in presenza di una prova
insufficiente o contraddittoria.

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pen. dal precedente giudicato.

2.2. Con il secondo motivo deducono vizio di motivazione ai sensi dell’art.
606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione alla configurabilità
dell’intraneità dei ricorrenti.
La Corte aveva contraddittoriamente fatto leva sul dato formale costituito
dalla contestazione chiusa nel processo IGRES, dando rilievo ad una fase iniziale
propulsiva della condotta associativa della vecchia associazione anche nell’affare
Namibia, ma poi considerando lo strascico finale di quella vicenda come base per
l’avvio della nuova contestazione associativa del presente procedimento,

Il titolo della partecipazione alla nuova associazione era costituito peraltro
solo dal concorso nella realizzazione nell’operazione di cui al capo B), per cui era
intervenuta declaratoria di improcedibilità.
La sentenza impugnata predicava una sorta di ultrattività associativa,
quando lo stesso Marando aveva poi mutato organizzazione di riferimento in
relazione al centro propulsore costituito dal duo Polifroni/Spagnolo, alla base dei
nuovi progetti delittuosi, cui i ricorrenti sarebbero rimasti estranei.
Inoltre illogicamente era stata prospettata la degradazione di Bumbaca e
Pannunzi a semplici partecipi, in relazione ad un episodio delittuoso che avevano
contribuito decisivamente a realizzare.
Come risultava anche dalla motivazione utilizzata in sede di determinazione
della pena la Corte aveva omesso di indicare in che termini vi sarebbe stato
l’esordio della partecipazione alla nuova associazione e la scomparsa del loro
contributo.

3. Ha presentato ricorso Sergi Paolo tramite il suo difensore.
3.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione
ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riguardo al
capo E), in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen., 73 d.P.R. 309 del 1990 e 546
cod. proc. pen..
La Corte, a fronte delle doglianze formulate nell’atto di appello, aveva
omesso di fornire un supporto all’assunto che il personaggio chiamato dagli altri
Bambolo fosse da individuarsi proprio nel ricorrente, non potendosi a tal fine
valorizzare risultanze mutuate dal procedimento IGRES.
D’altro canto il riferimento alle conversazioni, in cui un soggetto utilizzando
un codice alfabetico comunicava un recapito telefonico, non avrebbe potuto
costituire conferma dell’identificazione, non essendo stato prospettato che il
numero telefonico fosse riconducibile alla persona fisica del Sergi, ciò
determinando anche una violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole
dubbio.
(
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dall’ottobre 2002 all’anno 2004.

3.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di
motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. con
riguardo al delitto associativo sub A), in relazione agli artt. 192, 649 cod. proc.
pen. e 74 d.P.r. 309 del 1990.
La Corte aveva formulato un erroneo giudizio, da un lato affermando che la
contestazione associativa costituiva filiazione dell’associazione oggetto di
accertamento nel processo IGRES, così da esentare i giudici di merito dalla
ricerca dei presupposti per la configurabilità del necessario pactum sceleris, e

tratta da una rivalutazione di vicenda processuale con riguardo alla quale era
stata pronunciata sentenza assolutoria per il capo B).
In realtà il sodalizio costituiva un’evoluzione di quello precedente, con
introduzione di soggetti aventi funzione propulsiva ed apicale, cosicché avrebbe
dovuto autonomamente ricostruirsi la sussistenza di una stabilità di rapporti tale
da integrare la specifica fattispecie associativa, tanto più che a carico del Sergi
era stato ravvisato un unico reato fine.
Era d’altro canto incongruo il tentativo di dare forza alla ricostruzione,
attraverso la valorizzazione dell’episodio di cui al capo B), dal quale il Sergi era
stato assolto, non essendo stato ravvisato un apprezzabile contributo del
predetto, con conseguente violazione dell’art. 649 cod. proc. pen.
Anche sotto tale profilo peraltro era stato dato rilievo ad un pregresso status
personologico ed a contatti e relazioni semmai esistite in un’epoca precedente,
ma non reiterate nell’ambito dell’indagine oggetto di giudizio.

4. Ha presentato ricorso D’Agostino Girolamo, tramite il suo difensore.
Con l’unico articolato motivo deduce violazione di legge e vizio di
motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in
relazione agli artt. 192 cod. proc. pen. e 74 d.P.R. 309 del 1990.
La Corte aveva omesso di fornire una valutazione critica degli elementi
indiziari, riproducendo le risultanze, ma senza consentire una verifica del
percorso compiuto per giungere al giudizio di colpevolezza in relazione all’ipotesi
associativa, in realtà fondato essenzialmente sul ruolo di corriere svolto dal
ricorrente in relazione all’episodio di cui al capo E), per il quale era intervenuta
definitiva sentenza di condanna.
Ma non si trattava di elemento decisivo in assenza di prova della
consapevole adesione del soggetto al programma delittuoso del sodalizio e della
stabile disponibilità ad attuarlo.
La Corte si era basata sulle risultanze delle conversazioni intercettate, che
peraltro riguardavano l’episodio sub B) in relazione al quale era emerso il rifiuto

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dall’altro ritenendo che la prova della partecipazione al sodalizio potesse essere

del ricorrente a collaborare, non essendo comunque stato spiegato in che modo i
contatti finalizzati alla commissione di tale reato potessero qualificare la
partecipazione anche psicologica al sodalizio anziché rilevare ai fini del mero
concorso nel singolo reato.
Quanto alla condanna per il fatto di cui al capo E), la Corte aveva omesso di
apprezzarne la rilevanza ai fini della fattispecie associativa.
Neppure le risultanze di P.G. erano idonee a comprovare la partecipazione al
reato associativo, al di là della prova del singolo fatto delittuoso.

carico del ricorrente per reato in materia di narcotraffico commesso in concorso
con Sergi, posto che si trattava di fatto semmai riconducibile al programma di
altra associazione e idoneo ad indicare il ricorrente come corriere professionista,
non costretto da alcun vincolo associativo.
Richiama numerosi arresti di legittimità volti a scolpire la distinzione tra
partecipazione a sodalizio e concorso nel reato, fermo restando che nel caso di
specie l’ipotesi alternativa avrebbe dovuto essere esclusa al di là di ogni
ragionevole dubbio, nel senso parimenti risultante da numerose massime della
giurisprudenza di legittimità.

5. Ha proposto ricorso Costanzo Giuseppe.
5.1. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione alla sua identificazione come
utilizzatore di utenze pubbliche di Volpiano.
Il ricorrente era stato individuato, in quanto ritenuto l’utilizzatore di utenze
pubbliche di Volpiano, sulla base del riconoscimento della voce rispetto a quella
udita nel corso di altre conversazioni c.d. «campione».
Relativamente a queste ultime, in primo luogo era stato erroneamente
affermato che le utenze con cui le stesse erano state effettuate erano intestate al
ricorrente, posto che relativamente a due conversazioni risultava che l’utenza
era solo ritenuta in uso al predetto.
Quanto ad altre due conversazioni, in una di esse, nel corso di un dialogo tra
due soggetti, indicati come il ricorrente e sua sorella, si era affermato che si
facesse riferimento al terzo fratello Alberto, mentre dalla trascrizione emergeva
la menzione di tale Alberta, fermo restando che l’interlocutore maschile teneva
un atteggiamento non consono a rapporti familiari e tra fratelli.
L’ulteriore conversazione del 19 marzo 2004 era stata associata ad
un’attività di osservazione e controllo, in forza della quale tale Polito era stato
individuato presso l’abitazione del Costanzo, ma in realtà l’unica attività di

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Indebitamente era stata poi valorizzata sentenza di condanna pronunciata a

osservazione era riferibile al 5 febbraio, non potendo dunque confermare quella
del 19 marzo.
La Corte dunque aveva formulato la propria valutazione, omettendo di
considerare le osservazioni difensive e con travisamento della prova.
Indebitamente inoltre si era fatto riferimento alla circostanza che il
ricorrente, stando alle risultanze di diversa pronuncia di condanna, era stato
protagonista di numerosi episodi di traffico di stupefacenti con Polito e Spagnolo,
ciò che tuttavia non avrebbe potuto valorizzarsi al fine di rafforzare l’operata

5.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione al
principio sancito dall’art. 533 cod. proc. pen. agli effetti dell’art. 606, comma 1,
lett. e), cod. proc. pen.
Non era stato rispettato il canone «dell’al di là di ogni ragionevole dubbio»,
non potendosi dire che l’identificazione della voce del ricorrente fosse stata
effettuata con certezza.
5.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione
in ordine all’esclusione della desistenza volontaria.
La Corte aveva motivato sulla configurabilità del tentativo punibile, ma non
aveva esaminato il dedotto tema della desistenza volontaria e non aveva
considerato al riguardo le dichiarazioni rese dal teste D’Ercole, da cui risultava
che alla fine Spagnolo non era stato d’accordo sull’acquisto per questioni di soldi.
Dopo le iniziali difficoltà dunque l’azione era stata rinviata ma di seguito
l’affare era stato reputato non conveniente.
Di qui la configurabilità della libera desistenza, in quanto la decisione dello
Spagnolo esplicava effetti a favore di tutti i concorrenti.
5.4. Con il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 62-bis, 114, 81 e
133 cod. pen.
La Corte non aveva considerato la condotta successiva dell’agente e non
aveva motivato sull’esclusione dell’ipotesi di cui all’art. 114 cod. pen. e sul
diniego delle attenuanti generiche, irrogando una pena eccessiva a titolo di
continuazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi di Pannunzi Alessandro e Bumbaca Francesco sono infondati.

2.1. Il primo motivo deduce il tema della preclusione derivante dal divieto di
nuovo giudizio.

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identificazione nel presente processo.

Va sul punto osservato che il principio sancito dall’art. 649 cod. proc. pen.
assume nell’ordinamento il significato di fondamentale garanzia non solo ai sensi
dell’art. 4 del Protocollo 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, ma anche in base alla Costituzione (Si
rinvia all’ampia analisi del tema contenuta nella sentenza n. 200 del 2016 della
Corte costituzionale).
La verifica in merito alla configurabilità della preclusione deve essere
condotta dunque avendo sempre di mira la tutela di un diritto fondamentale e

quella che, in presenza di eventuali margini di incertezza, risulta più favorevole
all’imputato.
Il divieto di bis in idem impone in particolare una comparazione tra il fatto in
senso storico-naturalistico, che ha formato oggetto di decisione irrevocabile e
quello per il quale il processo è stato promosso e risulta ancora pendente.
Come ricordato dalla Corte costituzionale (nella citata sentenza n. 200 del
2016), sulla scorta di un fondamentale arresto della Corte di cassazione (Cass.
Sez. U., n. 34655 del 28/6/2005, Donati, rv. 231799), il fatto deve essere preso
in esame nelle sue componenti di condotta, evento e nesso di causalità e in
relazione alle circostanze di tempo, di luogo e di persona.
Secondo quanto si è già avuto modo di rilevare in altra occasione (Cass.
Sez. 6, n. 48691 del 5/10/2016, Maesano, rv. 268226), con riguardo ad un reato
associativo l’analisi è sicuramente meno agevole, in quanto viene in
considerazione un accordo tra più persone che si correla ad un assetto
organizzativo e ad un programma criminale, destinato per giunta a protrarsi nel
tempo.
Dovendosi attribuire rilievo al profilo storico-naturalistico, deve aversi
riguardo essenzialmente all’esistenza di un riconoscibile sodalizio, che sia
chiamato a realizzare un programma criminale, nonché alla protratta
partecipazione di un soggetto a quella strutturata consorteria: all’esistenza del
sodalizio ed al fatto che esso sia in condizione di operare si correla la perdurante
integrazione del reato, che con riguardo al singolo imputato assume rilievo in
relazione al profilo della sua partecipazione, come tale idonea ad influire sulla
esistenza, permanenza in vita ed operatività del gruppo criminale.
2.2. Poiché il reato associativo deve ritenersi permanente, in relazione al
protrarsi dell’attività associativa e del contributo del partecipe, assume specifico
rilievo, al fine di verificare la configurabilità o meno della preclusione, in caso di
nuovo esercizio dell’azione penale che si incentri su una contestazione avente ad
oggetto il contributo arrecato ad un determinato sodalizio, anche il periodo cui la
contestazione è riferita.

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optando per la soluzione che risulta più idonea a scongiurarne la violazione, cioè

Il profilo storico-naturalistico non può infatti considerarsi assorbito una volta
per tutte da un’iniziale contestazione.
Al riguardo, è noto come nel caso di un reato permanente, abbia rilievo il
tenore della contestazione, a seconda che la stessa assuma fisionomia di
contestazione chiusa, con indicazione di una precisa data finale, ovvero di
contestazione aperta, con indicazione generica della data dell’accertamento o
comunque del protrarsi nell’attualità della condotta contestata: nel primo caso
l’accertamento ha ad oggetto il periodo precisamente contemplato, mentre nel

di primo grado, corrispondentemente determinandosi la preclusione derivante
dalla formazione del giudicato, nel senso che solo il profilo storico-naturalistico
incluso nel periodo oggetto di accertamento potrà dirsi coperto dal divieto di
nuovo di giudizio.
Un siffatto meccanismo -di creazione giurisprudenziale- ha di recente avuto
l’autorevole avallo della Corte costituzionale (Corte cost. n. 53 del 2018, che ha
in effetti riconosciuto la validità del principio per cui la contestazione influenza il
giudicato, ferma restando, nel caso di reato permanente, la possibilità di
riconoscere il vincolo della continuazione tra i fatti oggetto di separate condanne,
riguardanti frammenti diversi di una condotta riconducibile ad un reato
permanente).
Poiché peraltro ciò che conta è l’effettivo contenuto dell’accertamento, la
data indicata nella contestazione può non assumere rilievo decisivo, ove possa
dirsi che l’accertamento abbia in concreto avuto un’estensione non
corrispondente a quella indicata: ciò può verificarsi rispetto alla data finale
indicata nell’imputazione, in quanto, se del caso, il Giudice si sia comunque
spinto oltre la stessa, senza che sul punto siano state formulate eccezioni di
natura processuale, oppure rispetto al momento iniziale, in quanto lo stesso non
sia stato indicato con precisione e l’accertamento finisca per delineare a monte il
profilo storico-naturalistico della condotta, in termini tali che la verifica assuma
carattere espansivo, estendendosi sul piano logico anche a periodi non
specificamente ricompresi nell’imputazione (come nella sostanza era accaduto
nel caso preso in considerazione da Cass. Sez. 6, n. 48691 del 5/10/2016,
Maesano, cit.).
2.3. Va da ultimo osservato come il principio dettato dall’art. 649 cod. proc.
pen. e il valore di garanzia ad esso sotteso (letti alla luce di Corte cost. n. 200
del 2016) postulano che, a fronte di un unitario profilo storico-naturalistico, non
rilevi l’eventuale configurabilità, di un concorso formale tra reati, dovendosi
ritenere dunque sussistente la preclusione anche quando si proceda
separatamente e successivamente per un reato diverso in relazione al quale

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/)

secondo può aver riguardo anche alla condotta che si protrae fino alla sentenza

possa dirsi che il dato storico-naturalistico che lo contraddistingue in unità di
tempo, di luogo e circostanze, sia stato già sottoposto ad accertamento
giudiziale.
2.4. Ciò posto, i ricorrenti hanno cercato di dimostrare che il fatto
associativo di cui al capo A), contestato nel presente processo, denominato
«Stupor Mundi», dovesse reputarsi interamente ricompreso nell’accertamento
compiuto in un separato processo, denominato «IGRES», conclusosi con la
condanna dei predetti per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990, anche

ingenti quantitativi di cocaina, contestati in quell’occasione ai capi B), C) e D).
Hanno a tal fine osservato che il Tribunale aveva pronunciato sentenza di
proscioglimento con riguardo al fatto contestato nel processo «Stupor Mundi» al
capo B), avendo ritenuto lo stesso coperto dal giudicato formatosi con riguardo
alla condanna pronunciata nel processo «IGRES» per la tentata importazione di
cui al capo D) e dato rilievo al fatto che sempre il Tribunale aveva ritenuto che la
vicenda associativa riguardante i due ricorrenti si fosse risolta nel quadro di
indagine di cui al processo «IGRES», come confermato anche dalla circostanza
che a suo tempo il G.I.P. avesse escluso la gravità indiziaria per il reato
associativo di cui al procedimento «Stupor Mundi» e avesse ravvisato per contro
la connessione qualificata di cui all’art. 297 cod. proc. pen. a fini cautelari con
riguardo al fatto contestato in «Stupor Mundi» al capo B), unico reato fine
oggetto di imputazione in questo processo a carico dei due ricorrenti.
Hanno inoltre rilevato che, al di là del dato formale della data della
contestazione del fatto associativo, che nel processo «IGRES» era indicata fino al
gennaio 2002 e in «Stupor Mundi» dall’ottobre 2002 al 2004, avrebbe dovuto
darsi rilievo al fatto che in realtà Marando Rosario aveva dato vita nella seconda
metà del 2002 ad una diversa associazione, non più facente capo al Pannunzi e
al Bumbaca, relativamente ai quali non erano stati accertati autonomi contributi,
oltre il novembre 2002, con la conclusione dell’operazione di importazione di cui
al capo B), contrassegnata dal sequestro di 170 chilogrammi di cocaina, eseguito
dalle forze dell’ordine nella notte tra il 12 e il 13 novembre, operazione che era
maturata nel quadro operativo della pregressa associazione e per la quale era
stato ravvisato dal Tribunale il divieto di secondo giudizio rispetto alla fattispecie
tentata, contestata nel processo «IGRES» al capo D).
2.5. Tali argomenti, secondo quanto premesso, sono privi di fondamento.
In primo luogo devono reputarsi irrilevanti le valutazioni formulate dal
G.I.P., che sono riferite o al quadro indiziario o all’applicabilità dell’art. 297 cod.
proc. pen., trattandosi di aspetti che da un lato vanno confrontati con il dato

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allora contestato al capo A), nonché per i reati di tentativo di importazione di

probatorio valutato dai Giudici di merito e dall’altro non influiscono in alcun modo
sul tema della preclusione da giudicato.
In secondo luogo deve ritenersi del tutto inconferente l’assunto che la
vicenda si sia sviluppata nel quadro di indagine del procedimento «IGRES» e che
la nascita di un nuovo procedimento abbia avuto solo lo scopo di favorire
l’indagine sul nuovo quadro associativo, che si andava delineando in base ai
rapporti intessuti da Marando Rosario con soggetti fino ad allora sconosciuti.
In realtà ,si tratta di aspetto che di per sé non concerne in alcun modo
l’oggetto delle separate imputazioni e quello del connesso accertamento

naturalistici delle condotte, con la pregressa disponibilità del materiale probatorio
idoneo a consentirne l’accertamento.
2.6. Assume dunque rilievo la verifica dell’effettivo accertamento nei due
distinti processi e in particolare l’eventuale capacità espansiva dell’accertamento
effettuato nel processo «IGRES» rispetto a quello effettuato dai Giudici di merito
nel processo «Stupor Mundi».
Al riguardo deve rimarcarsi che non è stata dedotta la specifica estensione
dell’accertamento riguardante l’associazione esaminata nel processo «IGRES»
oltre la data del gennaio 2002, ma si è prospettato che la ritenuta connessione,
l’affermato vincolo della continuazione con i reati fine e la natura degli stessi,
l’ultimo dei quali riferito ad epoca fino al novembre 2002, di per sé implicasse la
connessa estensione dell’accertamento della condotta associativa fino a tale
data, con completo assorbimento della condotta, anche associativa, contestata ai
ricorrenti nel processo «Stupor Mundi».
2.7. Si tratta di prospettiva per più ragioni erronea, che per giunta non
considera l’effettivo contenuto di quanto accertato nel presente processo.
In particolare deve ritenersi fuorviante la premessa, costituita dalla
preclusione derivante da giudicato, riconosciuta dal Tribunale con riguardo
all’ipotesi di importazione di cui al capo B).
Ed invero l’accertamento del reato associativo implica la verifica di un fatto
non coincidente con quello che integra il reato fine, pur originato da un
determinato quadro associativo, ben potendosi immaginare che l’esecuzione di
un reato segua il suo corso, pur a fronte del venir meno di un più ampio
sodalizio.
Occorre dunque prendere in considerazione non un profilo astratto ma la
concretezza dell’accertamento compiuto.
In tale ottica si rileva che, per quanto rappresentato, il processo «IGRES»
ha delineato un’associazione dedita al narcotraffico, incentrata sullo stabile
rapporto intercorrente tra Pannunzi Alessandro (e il padre Roberto) e il Bunnbaca

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processuale: in altre parole non deve confondersi l’oggetto dei profili storico-

da un lato, capaci di procurarsi sostanze stupefacenti anche dalla Colombia, e il
platese Marando Rosario, con altri soggetti gravitanti nella sua sfera, dall’altro,
nel quadro di un’intesa che contava sul contributo dei «siciliani», rappresentati
da Miceli Salvatore.
Il sodalizio tra tali soggetti o gruppi di soggetti aveva propiziato almeno tre
operazioni, l’ultima delle quali, la c.d. operazione Namibia, si era sviluppata nel
corso del 2002, finché i Pannunzi nei mesi di settembre e ottobre 2002 avevano
dovuto prendere atto dell’incapacità del Miceli e dei suoi accoliti di prendere in

Nel processo «IGRES» l’operazione aveva formato oggetto di contestazione
come tentativo, in quanto non era stato dato conto della definitiva sorte della
droga proveniente dalla Namibia.
Ma in realtà proprio nel corso dell’indagine riguardante tale operazione, che
si avvaleva di attività di intercettazione, erano venuti in evidenza i contatti di
Marando Rosario con soggetti calabresi, in particolare il gruppo di Ciminà,
facente capo in varia guisa a Spagnolo Antonio e Polifroni Giancarlo, che si
avvalevano di soggetti operanti sul territorio, come Polito Bruno, Morabito
Giuseppe e molti altri.
Il mancato trasferimento della droga in Sicilia e la rottura dei rapporti con il
Miceli avevano propiziato, secondo quanto emerge dalle sentenze di merito, la
nuova intesa tra Pannunzi Alessandro e Marando Rosario, fondata sull’apporto
dei calabresi di Ciminà, in forza della quale era stato organizzato il trasferimento
della droga dalla Spagna -dove il Pannunzi l’aveva temporaneamente occultata e
dov’egli dimorava-, alla Calabria.
Tale fase aveva continuato a formare oggetto di indagine nell’ambito del
procedimento iniziale, anche se in concreto era stato registrato il mutamento di
strategia, con l’inclusione del nuovo gruppo calabrese.
Sta di fatto che l’operazione era stata organizzata in modo da far giungere la
droga in Italia, finché nella notte tra il 12 e il 13 novembre l’autocarro condotto
da Pelle Maurizio, nel quale l’ingente quantitativo era trasportato, era stato
intercettato e fermato, con conseguente sequestro della droga ed arresto del
conducente.
Tale episodio aveva suggerito sul piano strategico di dare vita ad un
separato procedimento, nel quale proseguire la verifica delle condotte attribuibili
al gruppo di cui era venuta in evidenza l’operatività.
Sul piano processuale l’operazione di importazione, sfociata nel sequestro di
170 chilogrammi, aveva formato oggetto del capo B), rispetto al quale il
Tribunale ha nondimeno ritenuto ravvisabile la preclusione rispetto al capo D),
contestato nel processo «IGRES», riguardante il tentativo di importazione della

12

L

carico la droga che avrebbe dovuto essere trasferita in Sicilia.

droga destinata originariamente al Miceli, anche se l’epoca era genericamente
indicata fino al novembre 2002.
Non si tratta in questa sede di sindacare la correttezza o meno di tale
assunto, che deve ritenersi irrevocabile, quanto piuttosto di stabilire se con
riguardo al reato associativo possa dirsi che sia stato compiuto nel processo
«IGRES» un accertamento comunque idoneo ad assorbire la verifica dei profili
storico-naturalistici, sui quali si fonda la contestazione del reato associativo nel
processo «Stupor Mundi».

deve darsi risposta negativa.
Lo stesso Tribunale infatti ha rilevato come l’operazione di importazione, pur
concepita originariamente in un diverso quadro operativo, avesse avuto uno
sbocco diverso, propiziato da un nuovo tipo di intesa, intervenuta con il gruppo
di Ciminà, che si era fatto carico del trasferimento della droga in Calabria.
Deve dunque escludersi che l’accertamento del reato di importazione,
compiuto nel processo «IGRES», che non aveva in alcun modo riguardato il
concreto sviluppo della sottostante trama associativa e la concreta dinamica
delle relazioni, emersa nel processo «Stupor Mundi», potesse comportare di per
sé, al di là del dato comunque rilevante, costituito dall’indicazione della data,
fissata al gennaio 2002, l’estensione dell’accertamento del reato associativo fino
alla data di quell’operazione di importazione.
Al contrario deve ritenersi che la contestazione del reato associativo nel
processo «Stupor Mundi» si fondi su profili storico-naturalistici diversi, che vanno
al di là del mero dato temporale e valgono semmai a conferire a quest’ultimo
una connotazione di ontologica differenziazione.
A tal fine deve attribuirsi rilievo al fatto che, sia pur in termini di tendenziale
continuità sotto il profilo temporale ma di sostanziale discontinuità sotto quello
strutturale, sia stata configurata un’associazione che la Corte territoriale ha
ritenuto connotata da novazione soggettiva nonché da un diverso assetto
strategico.
Ciò implica che, anche a prescindere dal diverso profilo temporale preso in
considerazione dalle due imputazioni, in alcun modo l’accertamento dell’assetto
organizzativo del sodalizio oggetto di contestazione nel processo «IGRES» possa
dirsi idoneo ad assorbire quello riguardante il programma e l’assetto operativo
del sodalizio oggetto di contestazione nel processo «Stupor Mundi», attesa
l’ontologica diversità dei profili storico-naturalistici di riferimento.
Ed invero la chiave di volta per interpretare la vicenda va ravvisata
nell’osservazione secondo cui la diversa intesa è maturata proprio nella fase di
realizzazione di un reato fine, concepito quando vigeva un diverso assetto di

13

2.8. A tale quesito, sulla base di quanto emerge dalle sentenze di merito,

relazioni: in tal modo perde rilievo l’analisi non solo del reato associativo ma
anche del reato fine sub D), compiuta nel processo «IGRES», che non può dirsi
idonea ad assorbire quanto in prosieguo concepito e concretamente fatto dai
soggetti coinvolti, alla luce del diverso assetto dei loro rapporti, venuto alla luce
e giudizialmente accertato solo nel processo «Stupor Mundi», assetto da
utilizzare invece per qualificare sotto il profilo giuridico la continuità del
contributo associativo arrecato dai due ricorrenti.
2.9. Concludendo sul punto, deve dunque ritenersi che sotto nessun profilo

giudicato, in quanto il contributo associativo oggetto della contestazione sub A)
non può dirsi oggetto di accertamento nel processo «IGRES», né con riguardo al
profilo temporale né, soprattutto, con riguardo al profilo strutturale, non
potendosi far riferimento neppure al mero accertamento del reato fine sub D),
costituente espressione di una fase operativa, non idonea ad esaurire il
contributo associativo oggetto di contestazione nel processo «Stupor Mundi».

3. Il secondo motivo contenuto nei due ricorsi è parimenti infondato.
3.1. La Corte non ha fatto leva tanto sul fatto che la contestazione del reato
associativo nel processo «IGRES» fosse di tipo chiuso, quanto invece sul dato
cruciale, rappresentato dallo strutturarsi di un nuovo assetto, propiziato dal
convergente contributo offerto da due maglie di preesistente tessuto
organizzativo, che si sono intrecciate in modo da creare un nuovo equilibrio
operativo, cui è da ricondursi lo sviluppo e l’esito dell’operazione culminata
nell’introduzione in Italia e nel trasferimento in Calabria di 170 chilogrammi di
cocaina, fino al sequestro, avvenuto nella notte tra il 12 e il 13 novembre 2002.
Nella descrizione di tale sviluppo della vicenda la Corte ha attribuito un
rilievo centrale al ruolo svolto da Marando Rosario, vero perno del nuovo
equilibrio, cioè il soggetto che, già in contatto con il Pannunzi e il Bumbaca, ha
saputo individuare un nuovo centro propulsivo degli illeciti traffici, coinvolgendo
il gruppo di Ciminà, a sua volta in grado di agire sul territorio italiano con suoi
esponenti gravitanti anche in aree della Lombardia e del Piemonte.
3.2. A ben guardare la Corte ha preso atto del venir meno delle intese che
avevano contrassegnato la fase, in cui le operazioni erano caratterizzate dal
ruolo strategico del Pannunzi, in funzione di accordi con i siciliani, e ha rilevato
come l’azione del Marando fosse valsa a porre per suo tramite in collegamento
due realtà parallelamente operative, in modo da creare i fondamentali
presupposti per la realizzazione di imprese criminose più proficue.
In tale prospettiva è stato dato conto di come, dopo l’iniziale arresto
dell’operazione avente ad oggetto la cocaina, che dalla Namibia avrebbe dovuto

14

sia ravvisabile rispetto al reato associativo la preclusione derivante dal separato

sbarcare in Sicilia, il Marando, alla luce di contatti, in quella fase emersi, con il
duo Spagnolo-Polifroni, fosse stato in grado di avvalersi dello stretto
collegamento con il Pannunzi, al fine di dare un nuovo indirizzo e una nuova
destinazione alla droga, che nel frattempo il Pannunzi aveva fatto giungere in
Spagna.
In tal modo, secondo la ricostruzione della Corte, era venuto in evidenza un
nuovo assetto, propiziato, al suo nascere, proprio dal nuovo sviluppo conferito
all’importazione di quel quantitativo di cocaina.

proposta dai Giudici di merito, la pregressa consuetudine di rapporti tra il
Pannunzi, coadiuvato dal Bumbaca, e il Marando, l’uno e l’altro in grado di
coinvolgere soggetti di cui potevano avvalersi, ciò che aveva costituito la base
per l’operatività di un nuovo assetto, di cui il Pannunzi e il Bumbaca avevano
piena contezza, tanto da aver intrattenuto contatti diretti con gli emissari dello
Spagnolo e del Polifroni, come il Morabito, e da aver messo in campo le loro
capacità operative, per favorire il buon esito di un affare di imponente rilievo e
impegno, destinato a far assumere a quei nuovi soggetti il ruolo di protagonisti.
I Giudici di merito hanno peraltro segnalato come anche il Pannunzi e il
Bumbaca avessero seguito le fasi attraverso le quali si era svolto il trasferimento
della droga, rimanendo in contatto con il Marando ed esprimendo dapprima
compiacimento per quello che sembrava un successo e poi vivo rammarico per il
fallimento.
3.3. In tale quadro/ deve ritenersi che la motivazione della sentenza
impugnata sia tutt’altro che illogica o contraddittoria, in quanto ha valorizzato il
significato cruciale del ruolo del Marando e il nuovo equilibrio tra i gruppi,
culminato nell’impegno per la riuscita di un’operazione che di per sé implicava
convergenza di interessi e vincolo solidaristico, con l’utilizzo anche di
quell’assetto di relazioni e disponibilità che, avendo concorso a formare la trama
organizzativa del sodalizio esaminato nel processo «IGRES», aveva trovato
espressione all’interno di una diversa cornice operativa.
Non è dunque ravvisabile ultrattività associativa a fronte di un diverso
assetto, bensì il transito di un frammento di quella rete all’interno di un nuovo
quadro organizzativo.
D’altro canto non è ravvisabile alcun profilo di contraddittorietà nel diverso
/
ruolo attribuito all’interno del sodalizio al Pannunzi e al Bumbaca, a fronte
dell’individuazione di un nuovo centro propulsivo, tale da far assumere una
posizione di minor rilievo ai due ricorrenti, che pur avevano giocato un ruolo
strategico nel consolidamento del nuovo assetto.

-I

15

In quella cruciale fase era stata messa a frutto, secondo la ricostruzione

In definitiva / deve ritenersi che la Corte non illogicamente abbia inteso che
uno stratificato sistema di relazioni, già ritenuto idoneo a costituire la base di un
sodalizio dedito al narcotraffico, si fosse compenetrato in un diverso quadro
operativo, ruotante intorno al gruppo di Ciminà, così da dar vita ad uno specifico
sodalizio, protagonista di una serie di operazioni, a partire da quella, invero
cruciale e qualificante, pur originariamente ispirata dalla pregressa associazione
e non andata a buon fine in quel contesto, avente ad oggetto il trasferimento in
Calabria di kg. 170 di cocaina, proveniente dalla Spagna.

tra il concorso di persone e la partecipazione ad associazione dedita a
narcotraffico, essendo stato dato conto del significato associativo del contributo
esaminato.
3.4. Risulta generico e comunque manifestamente infondato l’ultimo rilievo
difensivo, riguardante la pena, posto che la Corte, ritenendo più grave il reato
già giudicato, ha computato l’aumento a titolo di continuazione per il reato
giudicato in questa sede, sottolineando come il ruolo dei due ricorrenti, cruciale
all’esordio, fosse poi venuto meno, il che costituisce idonea giustificazione della
pena irrogata, a fronte del contributo attribuito ai ricorrenti, tale da aver in
qualche guisa propiziato il nuovo assetto, anche se i predetti erano poi scomparsi
dalla scena.

4. Il ricorso presentato nell’interesse dì Sergi Paolo è inammissibile.
4.1. Il primo motivo risulta aspecifico, in quanto si risolve nella sostanziale
riproposizione di doglianze riguardanti l’identificazione del Sergi nel soggetto
conosciuto come «il Bambolo», cui la Corte ha fornito adeguata e tutt’altro che
illogica risposta.
E’ stato infatti rilevato come le indagini si fossero sviluppate in continuità
con quelle che avevano contrassegnato il procedimento denominato «IGRES»
(così chiamato proprio dall’anagramma del cognome del ricorrente), nel cui
ambito il Sergi era venuto in evidenza come attivo partecipe del sodalizio,
essendo spesso indicato da altri sodali come «il Bambolo».
Posto che non erano risultati altri soggetti chiamati con lo stesso nomignolo
e che peraltro sulla base della ricostruzione delle relazioni intrattenute dal Sergi
con altri personaggi era stato possibile dare una specifica consistenza al sodalizio
individuato nell’indagine «IGRES», la Corte ha ritenuto che del tutto
legittimamente si fosse fatto riferimento nel quadro dell’indagine «Stupor Mundi»
alle risultanze sulla cui base si era pervenuti all’identificazione del Sergi, che
peraltro, come notato dalla Corte (cfr. pag. 119), era stato ascoltato per anni

16

Di qui) l’infondatezza anche dell’assunto difensivo incentrato sulla diversità

conversare con varie utenze e riconosciuto nel soggetto indicato come «il
Bambolo».
D’altro canto la Corte, richiamando l’analisi del Tribunale, ha osservato come
la condotta del soggetto identificato nel Sergi avesse conservato le medesime
caratteristiche, in relazione ai ripetuti contatti con gli affiliati e
all’intermediazione negli illeciti traffici, nonché all’utilizzo di un codice per la
comunicazione di numeri telefonici, codice che era stato decifrato nel corso di un
diverso procedimento -in cui era parimenti coinvolto il Sergi-, caratterizzato dalla

In questo caso/ risulta rilevante il fatto in sé dell’utilizzo del codice, quale
elemento idoneo a distinguere una specifica modalità operativa del Sergi, a
conferma della sua compiuta identificazione.
Vane risultano dunque le censure formulate con riguardo al riconosciuto
coinvolgimento del Sergi nell’operazione di importazione di cocaina di cui al capo
E), culminata nel sequestro di ben 62 chilogrammi di sostanza stupefacente, che
era trasportata da D’Agostino Girolamo.
4.2. Manifestamente infondato risulta il secondo motivo, riguardante la
ritenuta partecipazione al sodalizio.
Innanzi tutto va rimarcato che la Corte ha fatto riferimento al quadro
associativo emerso dal processo «IGRES», che vedeva l’attivo coinvolgimento
anche del Sergi, ma ha poi ribadito la sussistenza del sodalizio, dando conto
della novazione soggettiva e strategica che lo aveva caratterizzato, alla luce del
subentro del gruppo di Ciminà, fermo restando il ruolo di cerniera che aveva
continuato a svolgere Marando Rosario.
La Corte ha ampiamente esaminato le risultanze probatorie, per giungere
alla coerente conclusione che era stato realizzato un quadro operativo efficiente,
capace di ordire plurime operazioni, nel quale era transitata quella trama
organizzativa, coinvolgente fra l’altro anche il Sergi, che era stata accertata nella
separata sentenza, passata in giudicato.
Deve dunque escludersi che vi sia stata una sbrigativa riproposizione di
argomenti basati sulla pregressa analisi, che è stata invece compiutamente
inverata alla stregua delle specifiche risultanze di causa, che hanno consentito di
rilevare la persistenza dei collegamenti illeciti esistenti tra il Sergi e il Marando,
nonché tra il Sergi e altri soggetti dediti al narcotraffico, sia quali fornitori sia
quali acquirenti di rilevanti partite, come quella di cui al capo E), la cui
importazione era stata propiziata proprio dal ricorrente.
In secondo luogoi deve osservarsi che la Corte non ha affatto compiuto una
valutazione destinata a contraddire l’assoluzione del Sergi dal reato sub B),
pronunciata dal Tribunale.

17

corrispondenza dei numeri alle lettere che formavano la parola «Berlusconi».

Al contrario si è dato conto di come le conversazioni coinvolgenti il Sergi e i
comportamenti a lui attribuibili, risalenti al periodo in cui era in corso
l’organizzazione del trasferimento della partita di 170 chilogrammi, siano state
ritenute dal Tribunale da un lato inidonee a suffragare un coinvolgimento
causalmente efficiente del ricorrente in quell’operazione ma dall’altro rilevanti al
fine di comprovare la diretta partecipazione del Sergi alla trama associativa,
fatta di costanti contatti con i sodali, finalizzati all’approvvigionamento di grosse
partite.

concludenza dei contatti in funzione della prova del vincolo associativo, a
prescindere dal coinvolgimento nello specifico reato fine di cui al capo B).
Di qui la necessitata conclusione dell’inammissibilità del ricorso.

5. Il ricorso presentato nell’interesse di D’Agostino Girolamo è inammissibile,
perché interamente volto a prospettare percorsi alternativi, inerenti al merito
delle risultanze probatorie, e destinato a risolversi in assertive affermazioni di
dissenso, non accompagnate da specifica critica dell’analisi e degli argomenti
sviluppati dalla Corte territoriale.
5.1. I giudici di merito hanno in realtà dato rilievo al fatto che uno dei
soggetti stabilmente risultati in contatto con coloro che presiedevano in varia
guisa all’illecito traffico era proprio il D’Agostino, il quale aveva palesato la
propria stabile disponibilità a cooperare nella veste di corriere.
In tale quadro non è stato fatto riferimento solo all’episodio di cui al capo E),
per il quale il D’Agostino è stato separatamente giudicato, in conseguenza del
sequestro del cospicuo carico di cocaina, pari a 62 chilogrammi, che il predetto
stava trasportando su incarico dei sodali, nel quadro di un’operazione propiziata
da una specifica iniziativa del Sergi, di concerto con il Marando.
Il contesto di relazioni ed intese emerse in occasione di tale vicenda è stato
posto in collegamento anche con la pregressa importazione di 170 chilogrammi
di cocaina, proveniente dalla Spagna, che forma oggetto del capo B).
5.2. Per quanto si tratti di episodio che non è stato contestato al D’Agostino,
nondimeno è stato ricavato dal materiale probatorio ad esso riferibile il riscontro
della stabile disponibilità del ricorrente nell’interesse del gruppo.
Ed infatti è stato rilevato che il Marando e il Sergi avevano contezza della
possibilità di avvalersi del D’Agostino e che il D’Agostino aveva effettuato un
viaggio che le forze dell’ordine avevano ritenuto sospetto.
In quel frangente era in corso l’organizzazione del trasporto del cospicuo
quantitativo fornito da Pannunzi e in origine era stato fatto riferimento a Pelle

18

Né sono stati formulati specifici rilievi volti a censurare l’effettiva

Maurizio, il quale si era perfino portato nel milanese in attesa di poter trasferire
la droga sul suo autocarro.
Ma un ritardo nell’operazione aveva reso vani quei preparativi e nel
frattempo il Marando aveva pensato di rivolgersi al D’Agostino.
Senonché quest’ultimo nella zona di Ventimiglia in data 27 ottobre 2002 era
stato fermato dalle forze dell’ordine, che avevano sottoposto il suo autocarro ad
una lunga e attenta perquisizione: nella circostanza non era stato rinvenuto
nulla, ma il D’Agostino aveva temuto di essere sottoposto a mirati controlli, per

Marando: costui con rammarico ne aveva convenuto, tanto che nel corso di una
conversazione, usando il solito linguaggio criptico, aveva affermato di aver visto
«l’avvocato», il quale non si era preso la difesa, precisando «non se la può
prendere anzi..».
In aggiunta a tutto ciò la Corte ha rilevato altresì come nell’ulteriore fase di
organizzazione della medesima operazione il Marando avesse avuto modo di
interloquire nuovamente con il D’Agostino in data 8/11/2002, allorché la
situazione si era finalmente sbloccata e si trattava di definire i dettagli del
trasporto: nella circostanza, secondo quanto ricostruito dalla Corte, il D’Agostino,
cui il Marando aveva ricordato quel problema di cui gli aveva parlato, aveva
risposto che «..si può risolvere..non ci sono problemi..», episodio tutt’altro che
illogicamente interpretato come manifestazione di illimitata disponibilità verso i
sodali.
5.3. In definitiva la Corte, avvalendosi a conferma di tali risultanze anche di
quanto accertato a carico del D’Agostino in una separata sentenza di condanna,
con cui era stato accertato lo svolgimento da parte sua del ruolo di corriere
sempre in connessione con Sergi, ha ritenuto che potesse dirsi comprovata la
stabile partecipazione del D’Agostino a quella rete organizzativa incentrata sul
Sergi e sul Marando che era confluita nel sodalizio costituitosi con la strategica
partecipazione del gruppo di Ciminà.
Può anzi sottolinearsi come proprio la partecipazione di soggetti come il
Sergi e il D’Agostino valga a confermare quanto in precedenza rilevato con
riguardo a Pannunzi e Bumbaca circa l’inclusione in tale sodalizio di una maglia di
tessuto organizzativo destinato a comporre una nuova trama.
A ben guardare dunque la Corte ha dato conto della consapevole
partecipazione del ricorrente non a isolati fatti delittuosi ma ad un programma
associativo stabile, a fianco di soggetti con i quali aveva rapporti consolidati e
collaudati di reciproco affidamento.
5.4. D’altro canto non corrisponde al vero che la mancata partecipazione del
D’Agostino all’operazione di trasporto di 170 chilogrammi di droga stesse a

19

cui aveva ritenuto di non poter effettuare l’operazione di cui gli aveva parlato il

dimostrare la sua estraneità al sodalizio: in realtà i Giudici di merito hanno
spiegato come in quella occasione il D’Agostino avesse indicato le più che
comprensibili ragioni per cui era opportuno che non si occupasse del trasporto,
avendo appena subito un lungo e meticoloso controllo, tale da indurlo a ritenere
di essere oggetto di specifiche attenzioni da parte delle forze dell’ordine.
Per contro nell’ambito della stessa operazione il D’Agostino aveva avuto
modo di manifestare, secondo quanto in precedenza rilevato, la sua vicinanza e
disponibilità al Marando.

valorizzato e valutato, compresa la separata sentenza di condanna, che pur
riferita ad un diverso ambito associativo, ha nondimeno confermato la stabile
disponibilità del ricorrente ad offrire il suo contributo quale corriere, fermo
restando che ben può registrarsi la concomitante partecipazione a sodalizi
diversi, destinati alla realizzazione di propri programmi correlati ad autonome
strategie (sul punto Cass. Sez. 5, n. 44537 del 10/3/2015, Barilari, rv. 264684).
Discende da tutto ciò la già rilevata inammissibilità del ricorso.

6. Infine risulta inammissibile anche il ricorso presentato nell’interesse di
Costanzo Giuseppe.
6.1.

1

primi due motivi, tra loro strettamente connessi, sono inammissibili,

perché genericamente formulati e manifestamente infondati.
Contrariamente ai reiterati assunti del ricorrente, i Giudici di merito hanno in
realtà debitamente motivato in ordine all’identificazione del Costanzo come il
soggetto che si avvaleva di utenze pubbliche di Volpiano.
Al riguardo ) è stato fatto riferimento al confronto con conversazioni
sicuramente riferibili al Costanzo in quanto effettuate con utenze a lui in uso,
come quella n. 339/1938071 (sentenza del Tribunale a pag. 502 segg., ma
anche altrove, pag. 539), particolarmente rilevante, perché utilizzata in un
colloquio avvenuto alle 2,30 del 5/2/2004, alla presenza di Spagnolo Domenico,
con il non meglio identificato Giuseppe, o come quella n. 3385347779,
contattata dal Polito Bruno e risultata formalmente intestata a soggetto in
rapporto di stretta frequentazione con il Costanzo, e soprattutto quella
n.3383141035, alla quale lo aveva contattato la sorella nella conversazione del
14 aprile 2004 (nella quale si parla del comune fratello Alberto, anche se la
trascrizione invocata dal ricorrente fa riferimento a tale Alberta) e che
certamente il Costanzo aveva utilizzato in una chiamata a Sky del 16 aprile
2004, nel corso della quale il predetto aveva chiesto notizie in merito ad un
abbonamento a suo nome.

(

20

5.5. Tutto il materiale probatorio acquisito è stato dunque debitamente

A ciò è stato aggiunto il riferimento fatto da Polito Bruno in una
conversazione del 18 marzo agli auguri per San Giuseppe e la circostanza che in
occasione di un appostamento lo stesso Polito Bruno in data 5/2/2004 fosse
stato visto parcheggiare all’altezza di via Commenda 3 del comune di Volpiano,
dove abitava il Costanzo.
A fronte di ciò le doglianze del ricorrente risultano generiche, perché non si
confrontano con tutti i profili su cui la motivazione si fonda, a cominciare dalla
telefonata a Sky, e reiterano censure sulle quali la Corte si è non illogicamente

D’altro canto gli argomenti risultano manifestamente infondati, in quanto
prospettano assertivamente l’inadeguatezza delle valutazioni e non ne
considerano la convergente concludenza, fermo restando che non è ravvisabile
alcun travisamento della prova, a fronte di quanto dichiarato dal teste Floresta in
merito alla data in cui il Polito fu visto in via Commenda, posto che la Corte ha al
contrario reputato irrilevante che ciò non fosse avvenuto il 19 marzo, essendo di
per sé significativo che proprio il Polito, personaggio chiave nell’operazione di cui
al capo N), fosse stato visto presso l’abitazione del Costanzo, a conferma di tutte
le restanti risultanze, convergenti nell’identificazione del ricorrente come il
soggetto che era in contatto proprio con il Polito e con gli altri soggetti
interessati all’illecita attività di importazione di stupefacenti.
All’evidenza generico risulta, alla luce di quanto osservato dalla Corte e di
cui si è dato conto, la doglianza relativa al mancato rispetto del canone dell’oltre
ogni ragionevole dubbio, di cui al contrario i Giudici di merito hanno
correttamente tenuto conto, pervenendo all’identificazione del Costanzo, come
protagonista dell’operazione, in termini di motivata certezza.
6.2. Il terzo motivo risulta manifestamente infondato.
Esso si incentra sul fatto che erroneamente era stata negata la
configurabilità di una desistenza volontaria.
Va sul punto osservato che la Corte si è avvalsa dell’analisi del Tribunale che
ha ampiamente dato conto della non ravvisabilità di una desistenza volontaria, a
fronte delle risultanze probatorie acquisite e valutate.
La Corte in particolare ha rilevato come il gruppo facente capo fra l’altro a
Polito Bruno, a Costanzo Giuseppe e a Spagnolo Domenico fosse in contatto con
tale Giuseppe, non meglio identificato, che curava l’operazione dalla Spagna.
Ha inoltre sottolineato come l’organizzazione avesse predisposto ogni cosa
per l’importazione del quantitativo di cocaina, tanto da aver inviato anche il
soggetto, tale «Cicanero», che avrebbe dovuto materialmente operare come
corriere.

21

pronunciata.

Ha ancora sottolineato che l’arrivo della droga era atteso per il 4/5 febbraio
e che peraltro a causa di un inconveniente il corriere non era partito, con
conseguente ritardo di un giorno, tale tuttavia da compromettere i programmi
degli acquirenti.
Secondo la ricostruzione della Corte vi era stato un contatto tra il Giuseppe
e il Costanzo, seguito da una conversazione tra il Giuseppe e Spagnolo
Domenico, il quale aveva potuto parlare anche con il soggetto direttamente
coinvolto nella fornitura, indicato come l’uomo con gli occhiali, programmando a

resa dei conti non era stato chiarito se l’affare fosse andato a buon fine con
l’importazione della droga.
A fronte di ciò il ricorrente ha dedotto che la Corte aveva confuso il piano
della ravvisabilità di un tentativo punibile con quello della configurabilità della
desistenza e non aveva tenuto conto né di quanto Spagnolo Domenico aveva
concordato con il Giuseppe né di quanto era emerso dalla deposizione resa dal
teste D’Ercole, secondo cui l’operazione non sarebbe andata a buon fine per un
mancato accordo sul prezzo.
Si tratta di due profili che sono del tutto inidonei a sovvertire il giudizio
formulato nelle sentenze impugnate.
In primo luogo va rimarcato come sia il Tribunale sia la Corte abbiano posto
in luce che il gruppo degli acquirenti e importatori aveva compiuto quanto
occorreva per il buon fine dell’operazione, programmata per il 4/5 febbraio, data
ritenuta da loro in quel momento essenziale, avendo solo alla presa d’atto del
ritardo Spagnolo Domenico concordato di programmare una nuova operazione
per la settimana successiva.
Orbene, l’insieme delle condotte tenute dal Costanzo e dagli altri era di per
sé idoneo a rendere configurabile un tentativo di importazione, non essendo
stato posto in dubbio che il fornitore disponesse della droga e che fossero
sopravvenuti contrattempi nella fase della concreta esecuzione dell’operazione,
tale da determinarne un ritardo reputato in quel frangente non tollerabile.
Ma tale ricostruzione consente di rilevare che il fallimento dell’operazione a
quella data non era dipeso da una volontaria desistenza degli
acquirenti/importatori, bensì da problemi ad essi estranei, indipendenti dalla loro
volontà.
Era stata solo la presa d’atto dell’impossibilità di realizzare l’obiettivo
nell’immediatezza ad indurre Spagnolo Domenico a programmare una nuova
operazione.
Ma tale accordo non può dirsi il frutto di una desistenza, bensì la
conseguenza dell’inconveniente verificatosi.

22

quel punto una nuova operazione per la settimana successiva, anche se poi alla

Ciò significa che già alla data del 4/5 febbraio era ravvisabile il tentativo
punibile di importazione dello stupefacente, per la quale i destinatari avevano
predisposto tutte le attività occorrenti, non essendo a quel punto da loro dipeso il
non tollerabile ritardo dell’operazione, che in concreto l’aveva al momento
compromessa.
In altre parole /deve escludersi che il rinvio concordato dallo Spagnolo fosse
configurabile alla stregua di una desistenza, posto che la condotta
finalisticamente rivolta all’obiettivo non aveva conseguito il risultato per ragioni

programmazione di un’operazione ulteriore e più che mai essendo irrilevante che
questa nuova operazione fosse stata o meno definita nei giorni successivi.
Ed invero la desistenza postula l’interruzione volontaria della condotta volta
al perfezionamento del delitto, non essendo dunque configurabile per il solo fatto
che non sia reiterata la condotta idonea allo scopo, quando la stessa sia stata già
finalisticamente rivolta all’obiettivo e questo non sia stato raggiunto per ragioni
non dipendenti dalla previa volontaria interruzione di quella condotta.
Nel caso di specie deve dunque ritenersi irrilevante, a fronte del fallimento
dell’operazione inizialmente programmata, il mancato sviluppo della successiva
operazione prevista in luogo di quella non andata a buon fine per cause
indipendenti dalla volontà dell’agente.
Nel contempo non può dirsi ravvisabile alcun vizio di motivazione in
relazione all’invocata deposizione del teste D’Ercole, peraltro generica e confusa,
nei termini rappresentati dal ricorrente, rispetto agli elementi concordemente
valutati dal Tribunale e dalla Corte: premessi i limiti di deducibilità del
travisamento della prova, in presenza di una doppia valutazione conforme nei
due gradi di giudizio (Cass. Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. nel 2017, La
Gumina, 269217), deve comunque rilevarsi che il ricorrente non ha in alcun
modo provato l’idoneità dell’elemento probatorio invocato a disarticolare la
trama argomentativa dei Giudici di merito (Cass. Sez. 6, n. 5146 del 16/1/2014,
Del Gaudio, rv. 258774), posto che secondo il ricorrente quell’elemento avrebbe
influito sulla spiegazione delle ragioni per cui in prosieguo di tempo l’operazione
non era andata a buon fine, aspetto, come detto, irrilevante, a fronte del
tentativo punibile già ravvisabile in assenza di una desistenza volontaria
correlata al fallimento dell’operazione inizialmente programmata.
6.3. Il quarto motivo risulta infine per più ragioni inammissibile.
In primo luogo esso è volto essenzialmente a prospettare una diversa
valutazione di merito, eccedente i limiti dello scrutinio di legittimità, in ordine al
trattamento sanzionatorio e al diniego delle attenuanti generiche, a fronte della
pena non arbitrariamente determinata ai fini dell’aumento per la continuazione

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indipendenti dalla volontà dei soggetti agenti, essendo irrilevante a tal fine la

con gravi analoghi reati separatamente giudicati, nel quadro di un giudizio
incentrato sulla professionalità palesata e sull’imponenza del traffico nel quale
anche il ricorrente è risultato coinvolto.
In secondo luogo tale motivo risulta genericamente formulato con riguardo
all’asserito comportamento tenuto dopo la condanna.
Infine lo stesso s’appalesa manifestamente infondato, oltre che aspecifico, in
relazione alla configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen.: va sul
punto segnalato il carattere meramente assertivo dell’affermata marginalità del

direttamente interessati all’acquisizione della droga; inoltre va sottolineato come
il reato sub N) vedesse coinvolti in concorso tra loro più di tre soggetti, agli
effetti dell’art. 73, comma 6, d.P.R. 309 del 1990, con la conseguenza che, a
fronte di tale ragione di aggravamento, l’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen.
avrebbe dovuto reputarsi in radice non applicabile (Cass. Sez. 3, n. 19096 del
19/4/2012, Jabonero, rv. 252399).

7. In conclusione devono essere rigettati i ricorsi di Pannunzi Alessandro e di
/
Bumbaca Francesco e dichiarati inammissibili quelli di Sergi Paolo, di D’Agostino
Girolamo e di Costanzo Giuseppe.
Tutti i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese
processuali; Sergi, D’Agostino e Costanzo, in ragione dei profili di colpa sottesi
alla causa dell’inammissibilità, anche a quello della somma di euro 2.000,00
ciascuno in favore della cassa delle ammende.

P. Q. M.

Rigettki ricorsi di Pannunzi Alessandro e Bumbaca Francesco, che condanna
al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Costanzo Giuseppe, D’Agostino Girolamo e
Sergi Paolo, che condanna al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al
versamento della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 1/2/2018

Il Consigliere estensore
Massimo Ricc . relli

Il Pr idente
me

o

contributo fornito dal ricorrente, che in realtà risultava uno dei soggetti

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