Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19484 del 23/01/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19484 Anno 2018
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: CRISCUOLO ANNA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
BELLINAZZO ARRIGO nato il 13/06/1949 a LUGO
ANDRIGHETTI GABRIELE nato il 16/08/1952 a LIZZANO IN BELVEDERE
ASTOLFI LUIGI ETTORE nato il 11/02/1936 a BAGNACAVALLO
FRABETTI ANDREA nato il 08/09/1964 a OSTELLATO
avverso la sentenza del 17/05/2016 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA CRISCUOLO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore STEFANO TOCCI
che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per le statutizioni civili
relativamente agli imputati ANDRIGHETTI Gabriele e FRABETTI Andrea e rigetto
nel resto dei ricorsi.
Uditi i difensori, avv. FRIGNANI Sauro, in difesa della PC CLARA SPA (già AREA
SPA) che chiede l’inammissibilità dei ricorsi, il risarcimento dei danni e la
conferma della provvisionale nei confronti del solo imputato BELLINAZZO Arrigo
(vi è rinuncia alla costituzione di PC per ANDRIGHETTI, ASTOLFI e FRABETTI)
come da conclusioni scritte che deposita unitamente alla nota spese;
l’avv. GIUNTA Fausto Biagio, in difesa di ANDRIGHETTI Gabriele, che insiste per
raccoglimento del ricorso; l’avv. MASON Sandro, quale sost. proc. dell’avv.
BOLOGNESI Dario in difesa di BELLINAZZO Arrigo, che insiste per l’accoglimento
dei motivi di ricorso e l’avv. RAMBALDI Marcello, in difesa di FRABETTI Andrea,
che si associa alla richiesta del PG in relazione alle statuizioni civili e insiste nei
motivi di ricorso.

Data Udienza: 23/01/2018

RITENUTO IN FATTO
1. In parziale riforma della sentenza emessa in data 08/02/2014 dal
Tribunale di Ferrara nei confronti di Bellinazzo Arrigo, Andrighetti Gabriele,
Frabetti Andrea e Astolfi Luigi Ettore, la Corte di appello di Bologna ha dichiarato
non doversi procedere nei confronti del Bellinazzo, dell’Andrighetti e del Frabetti
per il reato di corruzione, loro ascritto al capo 2), perché estinto per intervenuta
prescrizione; ha assolto tutti gli imputati dal reato di cui al capo 4)
dell’imputazione (artt. 110-56-640 bis cod. pen.) perché il fatto non sussiste; ha

perché il fatto non sussiste e, revocate le statuizioni civili a carico di Andrighetti
nei confronti della Provincia di Ferrara per intervenuta revoca della costituzione
di parte civile, ha rideterminato la pena inflitta per il delitto di peculato di cui al
capo 1) in anni 5 di reclusione per il Bellinazzo e l’Andrighetti ed in anni 4 di
reclusione per l’Astolfi, confermando nel resto la sentenza appellata.
Gli imputati Bellinazzo, Andrighetti ed Astolfi sono stati ritenuti responsabili
del delitto di peculato, contestato al capo 1) dell’imputazione, per essersi
appropriati della somma di 940.308,88 euro della società pubblica Area spa, di
cui il Bellinazzo era direttore generale, destinandola al finanziamento di una
ricerca per il riciclo delle materie plastiche post uso per la realizzazione di
manufatti stradali, senza alcun utile per la società, in quanto dei 4 brevetti
ottenuti dalla ricerca, 3 venivano cointestati all’Andrighetti e all’Astolfi ed il
quarto alla società RIUSA EU srl, costituita dal Bellinazzo, dall’Andrighetti e
dall’Astolfi.
Rinviando per la più puntuale ricostruzione della vicenda alla sentenza di
primo grado, la Corte di appello ha precisato che l’idea ed il progetto, elaborati
dal Frabetti, geometra della Provincia di Ferrara, e dall’Andrighetti, ingegnere
capo e funzionario della Provincia di Ferrara, erano stati sottoposti al Bellinazzo,
direttore generale di Area spa, interessato al progetto ed impegnatosi a
finanziare la ricerca; ha precisato, altresì, che Area spa era società a totale
capitale pubblico, partecipata da 17 comuni della provincia di Ferrara, che si
occupava della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
I giudici di merito hanno così ricostruito la sequenza dei fatti: il 4 novembre
2005 il Bellinazzo aveva sottoscritto un contratto di collaborazione con
l’Andrighetti ed il Frabetti di durata biennale per completare la ricerca e di durata
decennale dall’inizio della commercializzazione del prodotto per gli sviluppi
economici del progetto, che prevedeva clausole contrattuali, particolarmente
favorevoli per i proponenti (a fronte dei guadagni certi previsti per i privati, quelli
per la società erano subordinati alla prosecuzione della collaborazione con i due
ideatori, ai quali si garantiva la possibilità di sviluppare la ricerca; i brevetti

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assolto Andrighetti Gabriele dai reati di peculato, contestati ai capi 6) e 8),

sarebbero rimasti di esclusiva proprietà dei privati, ai quali veniva corrisposta la
somma di 5 mila euro ciascuno per presentare la domanda di brevetto); la
conclusione del contratto non era stata portata a conoscenza del Cda di Area
spa, che il successivo 11 novembre si era limitato a prendere atto della proposta
di collaborazione dell’Andrighetti e del Frabetti, dando mandato al direttore
generale di definire il contratto; il 28 febbraio 2006 fu stipulato il contratto di
collaborazione, avente ad oggetto lo studio e lo sviluppo industriale di un
impianto prototipo per la trasformazione delle plastiche ottenute dai rifiuti e di

stradali, secondo il contenuto dei brevetti di Andrighetti e Frabetti: nel contratto
si prevedeva che, nel caso di mancata prosecuzione della collaborazione alla
scadenza dei due anni, il materiale tecnico sarebbe stato riconsegnato ai privati,
che avrebbero riconosciuto alla società pubblica il 25% dei brevetti e dei modelli.
Si era accertato, tuttavia, che in pari data il Bellinazzo ed i due progettisti
avevano concluso un ulteriore contratto, tenuto segreto, sequestrato
all’Andrighetti e rinvenuto nel computer del Fra betti, in base al quale il Bellinazzo
entrava a titolo personale nell’affare, ottenendo il riconoscimento del 20% degli
utili futuri collegati alla commercializzazione dei prodotti in cambio dell’impegno
a reperire le risorse finanziarie necessarie per tutta la fase di sviluppo della
ricerca: in detta convenzione è stata individuata la conclusione di un accordo
illecito, atteso che le risorse erano solo di Area spa, mentre i profitti dei privati e
del Bellinazzo.
Il successivo 14 dicembre 2016 il Cda di Area spa aveva autorizzato il
Bellinazzo a costituire una società a responsabilità limitata, in cui Area spa
doveva detenere il 51% del capitale per la gestione della fase produttiva del
progetto, invece, il 16 luglio 2007 il Bellinazzo aveva costituito la RIUSA. EU srl,
in cui Area spa non aveva alcuna partecipazione, ed il 20 luglio 2007 un’altra
società con la moglie (la @box srl), destinata a fornire consulenze a società in
rapporti commerciali con Area spa: circostanze del tutto ignote al Cda di Area
spa. Inoltre, in data 21 agosto 2007 il Bellinazzo aveva stipulato per conto di
Area spa un nuovo contratto con Andrighetti e Frabetti, destinato a sostituire
quello del 2005 di prossima scadenza, ma inserendovi una rilevante modifica,
che comportava l’esclusione di ogni ritorno economico per Area spa, che, pur
continuando a finanziare il progetto di ricerca ed a corrispondere ai privati un
compenso pari al 5% dei costi sostenuti, veniva definitivamente estromessa dagli
sviluppi economici dei risultati della ricerca: di tale contratto il Bellinazzo non
riferì nulla al Cda nella seduta del 12 settembre 2007, limitandosi a riferire dei
risultati positivi, che consigliavano di procedere con la sperimentazione e la
realizzazione di un prototipo per la realizzazione dei manufatti da utilizzare come

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un impianto per la produzione degli elementi plastici da utilizzare nei rilevati

sottofondo stradale: il Cda aveva deliberato in tal senso, autorizzando il
Bellinazzo a stipulare un contratto di appalto con la G.B. Evolution srl. Tuttavia, il
Bellinazzo autonomamente coinvolse una società di leasing, che acquisì la
proprietà dell’impianto e se ne disfece, vendendolo ad un rottamatore, che lo
trasferì in Romania perché formalmente acquistato da una società rumena, ma
dalle indagini era emerso che l’impianto si trova ancora nella disponibilità degli
imputati.
Una volta realizzato l’impianto, il Bellinazzo stipulò un contratto tra la srl

lavorare, escludendo ancora una volta la società pubblica, che aveva finanziato il
progetto proprio per destinarvi i rifiuti plastici in vista di un riutilizzo; il 4
febbraio 2009 sempre Riusa.Eu srl aveva stipulato un accordo quadro con altre
società per ottenere finanziamenti per la produzione sperimentale per un triennio
ed il 19 febbraio 2009 aveva presentato domanda di brevetto relativa al cd
rilevato stradale.
Respinte le eccezioni preliminari, la Corte di appello ha ritenuto configurabile
il peculato per distrazione delle somme destinate afinanziare la ricerca, disposte
dal Bellinazzo, in qualità di direttore generale della società pubblica, ma in
realtà, destinate atutelare un proprio interesse personale, come risultava dalla
sequenza delle condotte descritte e dall’intervento a titolo personale nell’affare;
ha ritenuto, altresì, sussistente, sebbene ai soli fini civili, il delitto di corruzione
estinto per intervenuta prescrizione.

2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso i difensori degli imputati, che
ne chiedono l’annullamento per i motivi di seguito illustrati.
Ricorso Bellinazzo
2.1 erronea applicazione della legge penale, insussistenza della condotta
tipica dell’art. 314 cod. pen. ed errata qualificazione giuridica dei fatti.
Si deduce che il capo di imputazione descrive una condotta non riconducibile
alla fattispecie tipica del peculato, ma i giudici hanno superato tale difficoltà
ricorrendo alla figura del peculato per distrazione, ormai eliminata dal testo della
norma e che per essere rilevante deve, comunque, tradursi in un’appropriazione,
insussistente nella fattispecie. Si segnala infatti, che, sebbene il finanziamento
non abbia prodotto utili per la società pubblica, è certo che il ricorrente non si è
appropriato delle risorse erogate, in quanto spese in nome e per conto di Area
spa per una ricerca, di cui la società era titolare. Si evidenzia peraltro, che i beni
immateriali, come le opere dell’ingegno, non possono essere oggetto di peculato;
che la formulazione del capo di imputazione è incompatibile con la natura
istantanea del peculato, in quanto il reato sarebbe stato commesso dal febbraio

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RIUSA.Eu srl e la società della moglie per la consegna dei materiali plastici da

2006 a tutto il 2009, quasi fosse un reato permanente, e che il medesimo fatto
ovvero la stipula della convenzione del 28 febbraio 2006 è contestato due volte a
titolo di peculato nel capo 1) e di corruzione propria nel capo 2) con violazione
del principio del ne bis in idem sostanziale e conseguente assorbimento della
prima condotta nel reato di corruzione, ormai estinto per prescrizione;
2.2 erronea applicazione della legge penale, insussistenza dell’evento
offensivo dell’art. 314 cod. pen., sussistenza della causa di giustificazione di cui
all’art. 51 cod. pen. o in subordine, della causa di esclusione della colpevolezza

Si deduce che nella vicenda in oggetto i giudici non hanno tenuto conto delle
modifiche normative, che hanno riguardato le

società cd in house,

ed in

particolare delle restrizioni imposte sia dal decreto Bersani di. 223/06 conv. in I.
248/06 che dalla finanziaria 2008 (che vietava alle amministrazioni pubbliche la
costituzione di società aventi ad oggetto attività di produzione di beni e servizi
non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità
istituzionali né di assumere o mantenere partecipazioni anche minoritarie in tali
società), alla luce delle quali va letta la costituzione della società RIUSA EU con
Andrighetti e Frabetti in proprio anziché per conto di Area spa. Si sostiene,
pertanto, che il ricorrente non avrebbe potuto dare attuazione alla delibera del
Cda del 14 dicembre 2016, che lo autorizzava a costituire una società con
maggioranza di capitale spettante ad Area spa, e che, sempre in ossequio a tale
normativa,fu stipulato il nuovo contratto con Andrighetti e Frabetti, che riservava
loro la commercializzazione dei risultati della ricerca, inibita ad Area: ne deriva la
non configurabilità del peculato per carenza di offensività della condotta, non
essendovi una diminuzione patrimoniale per la società né un danno al buon
andamento della P.A. in presenza di una ricerca, che aveva una pubblica utilità.
Si assume che in ogni caso la condotta del ricorrente dovrebbe ritenersi
scriminata ex art. 51 cod. pen., in quanto il contratto del 2 marzo 2009 tra @box
srl e Riusa Eu è unicamente tra privati ed il contratto del 28 febbraio 2006 fu
stipulato dal ricorrente su mandato del Cda di Area spa; i contratti erano ufficiali,
leciti ed in forma scritta, non atti segreti, ed i soggetti coinvolti hanno sempre
agito nell’esercizio di un diritto;
2.3 erronea applicazione della legge penale, insussistenza del reato di
peculato per carenza della qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico
servizio in capo al ricorrente, in quanto solo in relazione alla funzione pubblica
svolta da Area spa – raccolta e smaltimento dei RSU- il ricorrente era incaricato
di pubblico servizio, mentre tale qualifica non può ritenersi sussistente in
relazione all’attività di ricerca relativa al riutilizzo di rifiuti speciali quali il

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ex art. 47 cod. pen.

materiale plastico, non rientrante nell’oggetto tipico della società e nel servizio
pubblico espletato;
2.4 manifesta illogicità della motivazione in ordine alla responsabilità del
ricorrente per il capo 1) e per il capo 2), ritenuta ai soli effetti civili: si deduce
che la motivazione è illogica, contraddittoria e fondata su una inadeguata
valutazione delle prove. In particolare, si censura la mancata valutazione di
attendibilità del Presidente Volpi e di altri testi e la mancata considerazione dei
poteri dello stesso e del Cda rispetto a quelli del ricorrente, che, in qualità di

Cda e del Presidente, come risulta dai verbali del Cda prodotti. A differenza di
quanto ritenuto dai giudici, da tutti i verbali risulta che il Bellinazzo agiva in base
a delibere del Cda rese all’unanimità su proposta del Presidente e che la ricerca
era nota a tutti e non voluta o patrocinata dal solo ricorrente, cui la carica fu
rinnovata nel gennaio 2009, ritenendo che avesse ben operato ed anche dopo il
suo licenziamento, nel marzo 2009, la società eseguì i pagamenti relativi alla
ricerca. Da tali elementi si sarebbe dovuto ricavare che la società aveva investito
nel 2005 ingenti somme nella ricerca in oggetto per poi trovarsi, per effetto delle
restrizioni normative, di cui si è detto, a non poterla proseguire e sfruttare,
costituendo Riusa srl, cosicché si decise che la ricerca fosse sostenuta dal solo
ricorrente per rimediare al buco di bilancio creato senza più prospettive di
guadagno. Illogica è la valutazione dei contratti operata in sentenza, in quanto
nessun brevetto risulta intestato al ricorrente né lo stesso è coinvolto
nell’acquisto del prototipo dalla società di leasing né la società era interessata
alla titolarità dei brevetti,ma solo alla futura commercializzazione dei prodotti
oltre all’impiego dei rifiuti plastici quale materia prima secondaria. Si sottolinea

che i soldi spesi non sono mai stati oggetto di appropriazione; che il ricorrente
agì con trasparenza, non avendo nulla da nascondere per essere la vicenda nota
in azienda; che la costituzione della Riusa in proprio e non per conto di Area spa
fu conseguenza dei limiti normativi; che la natura peggiorativa del contratto del
2007 rispetto a quello del 2005 è solo supposta, non risultando dimostrato
l’asserito svantaggio per Area ed è irrilevante il riferimento al contratto con la
@box srl perché rimasto senza effetti, non avendo la società operato con Riusa.
Quanto al reato di corruzione, fondato sulla convenzione del 28 febbraio
2006, si segnala la singolarità di un accordo corruttivo scritto e firmato dalle
parti, che, peraltro, non era a svantaggio di Area spa, ma un contratto con
oggetto futuro, teso a sfruttare la ricerca nell’interesse della società ed a tutelare
l’idea verso l’esterno;
2.5 erronea applicazione della legge penale in relazione alla commisurazione
della pena ed al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche: si sostiene

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direttore generale non aveva potere di spesa generale ed agiva su delega del

che la Corte di appello ha lasciato invariata la pena base per il delitto di peculato,
nonostante il proscioglimento per i reati di corruzione e tentata truffa aggravata,
facendo erroneo riferimento all’ammontare del denaro di cui l’imputato si
sarebbe appropriato, nonostante la mancata appropriazione di somme, alla
protrazione della condotta nel tempo, nonostante la natura istantanea del reato,
ed all’interesse pubblico leso, nonostante lo stesso fosse precluso dai limiti
normativi nazionali ed europei. Si contesta la sproporzione della pena inflitta ed
il diniego delle attenuanti generiche, fondato sull’unico precedente del ricorrente,

2.6 erronea applicazione di legge relativamente alle statuizioni civili per
avere la Corte di appello ingiustamente respinto la richiesta di revoca della
provvisionale e di sospensione dell’esecuzione della stessa, specie in mancanza
di un danno sofferto dalla parte civile Area spa, a carico del cui Cda la stessa
sentenza ravvisa responsabilità per omesso controllo con conseguente
ripartizione di responsabilità dell’onere risarcitorio.

3. Ricorso Andrighetti
3.1 erronea applicazione dell’art. 314 cod. pen. e travisamento delle
risultanze processuali relative alla qualificazione del fatto come peculato per
distrazione.
Si deduce che entrambe le sentenze di merito hanno disatteso i principi
affermati da questa Corte per delimitare l’area di tipicità tracciata dagli artt. 314
e 323 cod. pen., non essendo inquadrabile il fatto contestato all’imputato nel
peculato, potendo al più rilevare quale abuso d’ufficio o infedeltà patrimoniale, in
quanto difettano la cd distrazione appropriativa e gli elementi strutturali della
condotta tipica di cui all’art. 314 cod. pen.
Ricordato che il peculato per distrazione richiede la violazione del titolo di
possesso del denaro o del bene, destinato ad uno scopo diverso da quello
consentito, le sentenze non affrontano il profilo della violazione del vincolo di
bilancio e di destinazione contabile dei fondi utilizzati per il progetto plastica,
dando per scontato che furono distratti, mentre invece, i verbali e le delibere del
Cda attestano che nessuna somma destinata da Area spa ad altri fini fu distolta
dagli imputati per essere destinata al progetto plastica. Si sostiene che le
delibere assembleari sono oggetto di travisamento; che mancanoi presupposti
del peculato per distrazione ovvero la previa disponibilità di somme di danaro da
parte del Bellinazzo suscettibile di distrazione, atteso che il direttore generale
non aveva potere autonomo di spesa, spettante per statuto al Cda, che autorizzò
la spesa per il fine specifico cui fu destinata; manca l’appropriazione del danaro
pubblico per fini privati; vi è connessione istituzionale dell’attività di ricerca sulla

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nonostante l’assenza di poteri di spesa;

plastica con i fini dell’ente, in quanto rispondente ad un interesse e ad esigenze
funzionali della società, che agiva in collaborazione con altri soggetti pubblici
come l’Università di Ferrara.
Si sostiene che erroneamente la Corte di appello ha valorizzato il conflitto di
interesse del direttore generale con quello della società, che al più potrebbe
rilevare come ipotesi di infedeltà patrimoniale o di corruzione ex artt. 2634 e
2635 c.c. ed altrettanto erroneamente ha ritenuto sussistente il peculato in
mancanza dell’appropriazione della somma di 940 mila euro,non conseguita dagli

gestorio con un atto appropriativo e finendo per equipararli, in tal modo
snaturando la condotta tipica del peculato: in mancanza dell’appropriazione delle
somme erogate per finanziare il progetto, si potrebbe al più ravvisare
l’approfittamento dell’attività di ricerca condotta dalla P.A., bene immateriale che
non può essere oggetto di appropriazione e quindi di peculato;
3.2 violazione degli artt. 15 e 16 cod. pen. e artt. 2634 e 2635 c.c. quali
disposizioni speciali: si sostiene che pacificamente Area spa è assoggettabile, in
quanto società in house, al diritto penale societario con conseguente prevalenza
del delitto di infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 c.c. sulla norma penale. Si
contesta la valutazione della Corte di appello che ha respinto tale impostazione
sulla sola considerazione della qualifica di pubblico ufficiale del Bellinazzo,
invece, non risolutiva, stante la presenza di altri elementi specializzanti nella
norma civilistica, che meglio descrivono il fatto contestato al capo 1);
3.3 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 133 e 62
bis cod. pen.: si deduce l’illegittimo rilievo attribuito nella determinazione della
penaall’entità della somma sottratta, nonostante la mancata appropriazione della
stessa da parte degli imputati, ed il peso attribuito alle finalità di lucro
perseguite, del tutto legittime per qualunque operatore economico. Si contesta il
diniego delle attenuanti generiche, richieste in ragione del convincimento
dell’imputato di rapportarsi ad un operatore economico privato, come provato
dalla formalizzazione dell’accordo con il Bellinazzo e l’Astolfi;
3.4 violazione dell’art. 322 ter cod. pen. e vizio di motivazione in relazione
alla confisca dei brevetti e dell’impianto 130, erroneamentequalificati dalla Corte
di appello profitto e prodotto del reato. Si deduce che la Corte di appello ha
trascurato che l’impianto era rimasto nella disponibilità della società per quasi 2
anni ed è stato confiscato solo perché il ricorrente lo ha riacquistato sul libero
mercato a seguito della decisione di Area spa di non pagare i canoni di leasing,
cosicché l’acquisto lecito recide ogni nesso pertinenziale con l’illecito contestato;
anche per i brevetti manca il nesso pertinenziale poiché gli elementi tecnici,
oggetto dei brevetti, non sono presenti nell’impianto 130;

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imputati, ma destinata a finanziare il progetto plastica, confondendo un atto

3.5 violazione di legge in relazione agli artt. 159 cod. pen. e 6, comma 6,
d.l. 74/12: si sostiene che il reato era prescritto prima della sentenza di primo
grado con conseguente illegittimità delle statuizioni civili, in quanto
erroneamente la Corte di appello, pur riconoscendo l’errore commesso dal
Tribunale circa due rinvii concessi per termini a difesa, ha ritenuto corretto il
calcolo della sospensione prevista per gli eventi sismici che interessarono l’Emilia
Romagna nel 2012. Si deduce che l’art. 6, comma 6, d.l. 74/12 chiarisce che la
sospensione nella fase delle indagini preliminari opera in presenza di attività da

concreto intralcio provocato nel singolo procedimento, con conseguente disparità
di trattamento laddove si applicassero regimi diversi a due procedimenti privi di
incombenze processuali solo in ragione del diverso collocamento territoriale:
esclusa, pertanto, l’operatività della sospensione nel periodo 12 agosto 2012-7
novembre 2012 (data in cui si è svolta la prima udienza a seguito del rinvio
disposto il 18 luglio 2012), il reato risulterebbe prescritto prima della pronuncia
della sentenza di primo grado: in caso contrario, si ripropone la questione di
legittimità costituzionale della disciplina in oggetto per contrasto con l’art. 3
Cost.
4. Ricorso Frabetti
4.1 inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 157 cod. pen. e vizio di
motivazione. Si deduce l’erroneità del computo del termine prescrizionale con
riguardo al periodo di sospensione dello stesso in applicazione della I. 134/12,
che estendeva al comune di Ferrara la normativa introdotta dal d.l. 74/12 per il
sisma che interessò l’Emilia. Si sostiene che è illogica l’interpretazione della
Corte di appello, secondo la quale la sospensione decorreva dal 12 agosto 2012
anziché dal 7 novembre 2012, data dell’udienza in cui il Tribunale sospendeva il
corso della prescrizione, trattandosi di effetto ex lege, in quanto per altri processi
pendenti dinanzi al Tribunale di Ferrara per i quali non era tenuta udienza nel
periodo tra il 12 agosto e il 31 dicembre 2012 non operava la sospensione con
conseguente disparità di trattamento. Si sostiene che è illogico ritenere operante
la sospensione in un periodo in cui non era prevista né si svolse alcuna attività
processuale, dovendo invece, ritenerla operante solo dal 7 novembre 2012,
quando fu dichiarata dal Tribunale, non potendo applicarsi retroattivamente la
sospensione con interpretazione sfavorevole per il ricorrente e violativa dei
principi del diritto interno e di quelli affermati anche dalla Corte europea. Ne
discende che, espunto detto periodo di sospensione, il reato di corruzione era
prescritto durante il giudizio di primo grado alla data del 27 novembre 2013;
4.2 erronea applicazione degli artt. 319, 319 bis e 321 cod. pen. e vizio di
motivazione per avere la Corte di appello confermato la responsabilità del

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svolgere; che l’art. 159 cod. pen. dilata l’intervallo temporale in proporzione al

ricorrente ai soli fini civili, trascurando le argomentazioni difensive e con
motivazione scarna e insufficiente. Si deduce che la Corte di appello ha fondato il
giudizio sulla partecipazione del ricorrente alla iniziale trattativa contrattuale,
sfociata nell’accordo non ufficiale del 28 febbraio 2006, ed alla successiva
novazione contrattuale del 21 agosto 2007, trascurando che il Frabetti non
risponde del peculato contestato ai correi e ritenuto il principale obiettivo degli
stessi, a differenza dei quali, il ricorrente non conseguiva alcun vantaggio dalla
corruzione, non risultando intestatario di alcun brevetto. Si evidenzia che la

Frabetti si dissociò dal progetto dell’Andrighetti, ma riduce tale condotta ad un
mero ripensamento, inidoneo ad escludere il dolo, nonostante l’inefficacia
dell’accordo illecito, che non ebbe alcun seguito,ed il ricorrente fosse convinto di
concludere un contratto lecito con il Bellinazzo in proprio né risulta coinvolto
nelle vicende successive;
4.3 violazione di legge ed erronea applicazione dell’art. 187 comma 2, cod.
pen. e vizio di motivazione per essere ingiustificata la condanna al risarcimento
dei danni e al pagamento della provvisionale in solido con i correi, nonostante la
differenza di posizione e nonostante l’assenza di un danno per Area spa
direttamente ricollegabile al reato contestato al capo 2), derivando il danno dalla
mancata intestazione dei brevetti ad Area spa, cui è estraneo il ricorrente;
4.4 violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, stante
l’intervenuta revoca della costituzione di parte civile nei confronti del ricorrente,
con atto depositato il 2 dicembre 2016.

5. Il ricorso Astolfi articola motivi coincidenti con quelli enunciati nel ricorso
Andrighetti, sorretti da argomentazioni analoghe a quelle già esposte al punto 3,
alle quali si rinvia, sia quanto all’erronea applicazione dell’art. 314 cod. pen., al
travisamento delle risultanze processuali ed all’erronea qualificazione del fatto di
cui al capo 1) come peculato per distrazione (punto 3.1), sia quanto alla
violazione degli artt. 133 e 62 bis cod. pen. ed al relativo vizio di motivazione per
l’applicazione di una pena superiore di un terzo al minimo edittale ed al diniego
delle attenuanti generiche (punto 3.3), sia quanto alla violazione dell’art. 322 ter
cod. pen. e vizio di motivazione sul nesso di pertinenzialità tra i brevetti
confiscati e il reato di peculato (punto 3.4), con le uniche precisazioni relative
alla posizione del ricorrente, anziano ricercatore del settore chimico, ed
all’interesse eminentemente scientifico perseguito, in quanto, dopo il
pensionamento, aveva cercato di realizzare il progetto da tempo coltivato diretto
ad individuare un procedimento per il riutilizzo delle sostanze plastiche,
riuscendo a brevettare procedure ideate negli anni precedenti al 2005, non in

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stessa Corte territoriale riconosce che, dopo l’accordo del febbraio 2006, il

forza di accordi illeciti, ma solo in ragione della possibilità di uno sbocco
operativo concreto.

Con memoria depositata in data 1 settembre 2017 i difensori dell’Andrighetti
hanno ribadito gli argomenti posti a sostegno del ricorso, sottolineando
l’insussistenza del reato per mancanza della cd distrazione appropriativa anche
alla luce dell’orientamento di questa Sezione. Si ribadisce l’assenza di violazione
del titolo di possesso, in quanto i fondi utilizzati erano destinati proprio a

conferma dall’assoluzione dal tentativo di truffa ai danni della Regione poiché
dimostra che le risorse impiegate erano di Area spa proprio con detta finalità; si
ribadisce la sussistenza di una connessione istituzionale con le finalità dell’ente
pubblico del diverso utilizzo del bene o del danaro, rimasto pur sempre nella
disponibilità della P.A. Si segnala, inoltre, l’intervenuta transazione tra gli
imputati Andrighetti e Astolfi ed Area spa in forza della quale gli imputati hanno
corrisposto alla persona offesa la somma di 201 mila euro: la circostanza viene
evidenziata sia ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, sia ai fini
della rinuncia al quinto motivo di ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Con memoria pervenuta il 20 settembre 2016 il difensore del Bellinazzo
ribadisce l’erronea qualificazione del fatto, illustra ed arricchisce i motivi già
esposti, ribadendo che l’investimento fu deliberato dal Cda per uno specifico
interesse di Area e che lo stesso fu perseguito, cosicché non può ritenersi che il
ricorrente lo gestì al di fuori delle proprie attribuzioni, comportandosi uti dominus
con conseguente insussistenza di qualsiasi appropriazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del ricorso dell’Astolfi

perché proposto da difensore non iscritto nell’albo speciale dei difensori abilitati a
proporre ricorso per cassazione, come risulta dall’attestazione in atti.
Va in proposito ribadito che la sottoscrizione dei motivi di impugnazione da
parte di difensore non iscritto nell’albo speciale determina, ai sensi dell’art. 613
cod. proc. pen., l’inammissibilità del ricorso per cassazione (Sez. 3,n. 19203 del
15/03/2017, Mezei,Rv. 269690; Sez. 3, n. 48492 del 13/11/2013, Scolaro, Rv.
258000).
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle
ammende, equitativamente determinata in euro duemila.

11

finanziare la ricerca per il recupero del materiale plastico post uso, traendone

2. Sempre in via preliminare, va rilevata l’infondatezza dell’eccezione
processuale sollevata dai ricorrenti Andrighetti e Frabetti in ordine al calcolo del
termine prescrizionale del delitto di corruzione, in quanto l’interpretazione della
normativa speciale operata in sentenza è corretta e conforme a quanto ritenuto
sul punto da questa Corte (Sez. 6,n. 4105 del 01/12/2016, dep. 2017, Ferroni e
altro; Sez. 3 n. 5431 del 22/09/2016, dep. 2017, Galeano e altri).
Considerato, infatti, che l’art. 6, comma 6, del d.I.6 giugno 2012, n. 74,
convertito in legge 1 agosto 2012 n. 122,avente ad oggetto interventi urgenti in

territorio emiliano il 20 e 29 maggio 2012, ha previsto per il periodo sino al 31
dicembre 2012, la sospensione dei termini stabiliti per la fase delle indagini
preliminari nonché dei termini per proporre querela ed altresì, la sospensione dei
processi penali, in qualsiasi stato e grado, pendenti alla data del 20 maggio
2012, di competenza di uffici giudiziari aventi sede nei comuni interessati dal
sisma con corrispondente sospensione dei termini di prescrizione, ai sensi
dell’art. 6, comma 9, d.l. cit.; considerato inoltre, che i territori delle province di
Ferrara e Mantova erano stati inseriti tra quelli per i quali operava la sospensione
in forza della legge n. 134 del 2012, di conversione del d.l. n. 83 del 2012, con
effetto dal 12 agosto 2012, deve ritenersi correttamente calcolata da tale data la
sospensione del termine di prescrizione fino alla data del 31/12/2012, avuto
riguardo all’inequivoco tenore dell’art. 6 comma 9, d.l. cit., secondo il quale il
corso della prescrizione rimane sospeso per il tempo in cui il processo è sospeso
ai sensi del comma 6.
Presumendo una condizione di disagio conseguente all’evento sismico per
l’intero periodo contemplato dalla norma, è stata prevista una sospensione “ex
lege” dei processi pendenti presso uffici giudiziari aventi sede nei comuni
interessati dal sisma, come quello in oggetto, per l’intero periodo: pertanto,
come ritenuto dai giudici di merito, il provvedimento del giudice ha natura
meramente dichiarativa con conseguente esclusione del dedotto effetto
retroattivo di tale pronuncia.
I ricorrenti fanno, invece, riferimento alla diversa situazione disciplinata dal
comma 7 dell’art. 6 cit. che prevede, tra l’altro, alla lettera b), nei processi
penali in cui, alla data del 20/05/2012, una delle parti o dei loro difensori,
nominati prima di tale data, fosse residente nei comuni colpiti dal sisma,
l’obbligo a carico del giudice di disporre d’ufficio il rinvio del processo a data
successiva al 31/12/2012, ove risulti contumace o assente una delle parti o dei
loro difensori: si tratta quindi, di una norma, che ancora ad un diverso
parametro, quale la residenza delle parti o dei difensori in uno dei comuni
interessati dal sisma ed all’assenza delle parti o dei loro difensori, il rinvio

12

favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici, che hanno interessato il

”d’ufficio” delle udienze fissate in detto periodo, indipendentemente dalla sede in
cui doveva svolgersi l’attività giudiziaria (in tal senso Sez. 3, n. 5106 del
13/12/2013, dep. 2014, Stefanelli, Rv. 258002; Sez. 4, n. 36280
deI21/06/2012, Forlani, Rv. 253563; Sez. 6, n. 47272 del 05/11/2015, Paletta,
non massimata).
L’obbligatorietà del rinvio delle udienze, fissate in detto periodo, in presenza
delle condizioni indicate, trova ragione, anche in detto caso, nella considerazione
del disagio conseguente all’evento eccezionale verificatosi e prevede solo per tale

limitato al periodo in cui il processo è rinviato, del quale si invoca
impropriamente l’applicazione, atteso che, come già detto, nel caso di specie è
stato applicato l’art. 6, comma 6, d.l. cit., che ha riguardo alla sede di
svolgimento del processo ed all’impossibilità di trattare i processi presso gli uffici
giudiziari contemplati dalla normativa speciale.
Ne discende l’infondatezza del rilievo difensivo, secondo il quale il termine di
sospensione opererebbe solo dalla data di rinvio dell’udienza, trattandosi invece,
di sospensione obbligatoria prevista per l’intero periodo considerato dal
legislatore, operante per tutti i processi pendenti presso l’ufficio giudiziario
disagiato con le sole eccezioni previste al comma 8 dell’art. 6 (l’udienza di
convalida dell’arresto o del fermo; il giudizio direttissimo; la convalida dei
sequestri; i processi con imputati in stato di custodia cautelare; i processi a
carico di imputati minorenni). Risulta pertanto, inconferente la deduzione
difensiva circa la disparità di trattamento prevista per le diverse fasi processuali
o per i processi in cui non risultavano fissate udienze, in quanto l’art. 6, comma
6,d.l. cit. disciplina in modo uguale tutti i processi pendenti; peraltro, l’espressa
previsione della possibilità per le parti processuali interessate o per i rispettivi
difensori di rinunciare alla sospensione di cui al comma 7, contenuta nello stesso
comma 8, rende evidente la differenza delle situazioni disciplinate dai commi 6 e
7 della norma indicata, ancorate a parametri differenti, e dimostra la manifesta
infondatezza dei dubbi di costituzionalità sollevati.

3. Nel merito i ricorsi sono infondati.
Motivo comune ai ricorrenti Bellinazzo e Andrighetti è la contestazione della
qualificazione

giuridica

del

fatto

come

peculato,

insussistente

nella

prospettazione difensiva per mancanza dell’elemento essenziale
dell’appropriazione.
Preliminare, in quanto ad essa è correlata la configurabilità del reato, è la
verifica della qualità di pubblico ufficiale del Bellinazzo, contestata al punto 3 del
ricorso dalla difesa del ricorrente, ma ravvisata dai giudici di merito in ragione

13

ipotesi, non ricorrente nel caso in esame, un diverso regime prescrizionale,

della natura pubblica di Area spa, partecipata esclusivamente da enti territoriali,
e della natura pubblica del servizio svolto dalla stessa, avente ad oggetto la
raccolta e lo smaltimento dei RSU.
Questa Corte ha da tempo affermato che i soggetti inseriti nella struttura
organizzativa e lavorativa di una società per azioni possono essere considerati
pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l’attività della società
medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalità
pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici (specifica sul punto èSez. 6, n.

Corte ha riconosciuto la qualifica di incaricato di pubblico servizio
all’amministratore di una società per azioni, operante secondo le regole
privatistiche, ma partecipata da un consorzio di enti pubblici ed avente ad
oggetto la gestione di un servizio di pubblico interesse, quale la raccolta o lo
smaltimento dei rifiuti solidi urbani; conformi Sez. 6, n. 49759de1 27/11/2012,
Zabatta, Rv. 254201; Sez. 6, n. 1327 del 07/07/2015, dep.2016, Caianiello, Rv.
266265).
Posto che la natura del servizio reso è correlata dalla legge ad un criterio
oggettivo-funzionale, che prescinde dalla natura privata dell’ente e ha riguardo
solo alla connotazione pubblicistica dell’attività svolta; che il servizio pubblico è,
infatti, definito dal secondo comma dell’art. 358 cod. pen. in termini omologhi
alla funzione pubblica di cui all’art. 357 cod. pen., sebbene sia caratterizzato
dall’assenza dei poteri propri di quest’ultima (deliberativi, autoritativi o
certificativi), cosicché non è necessario che l’attività svolta sia direttamente
imputabile a un soggetto pubblico, essendo sufficiente che il servizio, anche se
concretamente attuato attraverso organismi privati, realizzi finalità pubbliche
(Sez. 6, n. 39359 del 07/03/2012, Ferrazzoli, Rv. 254337; Sez. 6, n. 6405 del
12/11/2015, dep. 2016, Minzolini, Rv. 265830), ai fini penali la qualifica
pubblicistica dell’agente deriva quindi, dall’effettivo esercizio di funzioni
nell’ambito di un pubblico ufficio o servizio e, nell’ambito delle attività
pubblicistiche, la qualifica di incaricato di pubblico servizio spetta soltanto a
coloro che svolgono compiti di rango intermedio tra le pubbliche funzioni e le
mansioni di ordine o materiali.
Pertanto, pur dovendo riconoscersi più correttamente al Bellinazzo la
qualifica di incaricato di pubblico servizio, il tentativo difensivo di connettere tale
qualifica unicamente alle funzioni di direttore generale della società e non
all’attività di ricerca, che non costituirebbe servizio pubblico, è destituito di
fondamento.
Come correttamente ritenuto dai giudici di merito, l’attività di ricerca
rientrava nell’oggetto sociale di Area ed era allo stesso strettamente connessa,

14

45908 de116/10/2013, Orsi, Rv. 257384, relativa a fattispecie nella quale la

trattandosi di attività promossa e finanziata in una prospettiva di miglioramento
del servizio e di risparmio di spesa, in quanto finalizzata a riciclare i rifiuti plastici
per produrre manufatti da utilizzare come sottofondi stradali, così da contenere
le spese di smaltimento.
In tal senso depone chiaramente la delibera del Cda dell’Il novembre 2005,
nella quale si precisa che “Area ha tra i propri fini statutari e tra i propri obiettivi
strategici anche quello di sviluppare attività di ricerca con particolare riguardo
all’ambito della salvaguardia ambientale, del recupero e della valorizzazione dei

dell’Andrighetti e del Frabetti “al fine di perseguire gli obiettivi aziendali di tutela
e prevenzione ambientale attraverso il riciclo del rifiuto plastico, sottraendolo
così allo smaltimento finale”.
Ne deriva che la decisione di investire nella ricerca e di finanziare il progetto
rispondeva alle finalità pubbliche dell’ente e che nel concludere contratti ed
autorizzare spese, disponendo delle risorse finanziarie della società, il Bellinazzo
agiva sì su delega del Cda, ma, in quanto direttore generale, con poteri autonomi
di gestione e di spesa, espressamente conferitigli con la delibera di incarico (pag.
4 sentenza di primo grado).

4. Tale precisazione consente di risolvere un primo profilo di censura,
relativo alla prospettata qualificazione del reato come truffa, correttamente
esclusa dai giudici di merito, in quanto i fondi destinati al progetto non furono
ottenuti dal Bellinazzo con artifici e raggiri, derivandogli dalla qualità e dalla
carica rivestita nella società pubblica il possesso, il potere di gestire le risorse
finanziarie e la disponibilità giuridica delle somme impegnate in nome e per
conto della società. D’altra parte é la stessa difesa del ricorrente a sostenere che
l’iniziativa era lecita e nota al Presidente ed al Cda, con la conseguenza che il
potere di spesa rientrava legittimamente nei poteri del direttore generale, al
quale si imputa, invece, di essersi appropriato dei fondi investiti per averli
distratti dalla finalità prevista, destinandoli a vantaggio proprio e degli ideatori
del progetto.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’elemento distintivo tra
il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell’art. 61 n. 9 cod.
pen., va individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o di
altra cosa mobile altrui, oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura
quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri,
avendone già il possesso o comunque, la disponibilità per ragione del suo ufficio
o servizio, e ravvisandosi invece, la seconda ipotesi quando il soggetto attivo,
non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad

15

rifiuti” e si manifesta l’interesse di Area spa allo sviluppo del progetto

artifici o raggiri per appropriarsi del bene (Sez. 6, n. 18177 del 03/03/2016,
Saccone e altro, Rv. 266985; Sez. 6, n. 15795 del 06/02/2014, Campanile, Rv.
260154; Sez. 6, n. 39010 del 10/04/2013, Baglivo, Rv. 256595).
Va quindi, attribuito rilievo centrale alla nozione di disponibilità o,
comunque, di possesso qualificato dalla ragione dell’ufficio o del servizio, che
deve intendersi fondato non solo sulla competenza funzionale specifica del
pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma anche su un rapporto
che consenta al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilità

anche la sola occasione per un tale comportamento (Sez. 6, n. 33254 del
19/05/2016, Caruso, Rv. 267525) e nel caso di specie è indubbio che il
Bellinazzo conseguì il possesso e la disponibilità delle risorse di Area spa in modo
legittimo, trovando gli stessi causa nelle ragioni di ufficio e non in una condotta
fraudolenta del ricorrente.
Peraltro, tenuto conto dell’ampiezza dei poteri di gestione e di spesa
attribuiti al Bellinazzo (pag. 83 della sentenza di primo grado), persino
confermata dal Frabetti (pag. 24 della sentenza impugnata), va ribadito che il
pubblico agente, titolare del potere di predeterminare insindacabilmente il
contenuto ed i beneficiari di un provvedimento di spesa, mediante l’adozione di
atti amministrativi di sua competenza, sottoposti da terzi a controlli meramente
formali, tali da non consentire un esame approfondito del titolo di pagamento,
come nella fattispecie, ha la “disponibilità”, rilevante ex art. 314 cod. pen., in
quanto la “destinazione” del denaro oggetto del provvedimento di spesa è
rimessa alla esclusiva decisione del soggetto dotato dei suddetti poteri: in tal
caso, come ritenuto da questa Corte, è configurabile il delitto di peculato (Sez. 6,
n. 20666 del 08/04/2016, De Sena, Rv. 268030; in motivazione Sez. 6, n. 50074
del 27/09/2016, Maione, Rv. 269524).
5. Tale premessa è essenziale per evitare confusioni e sviamenti dal tema in
esame, derivanti dalle omesse informazioni al Cda e dalle iniziative occulte del
ricorrente e degli ideatori del progetto, in quanto non incidono sul possesso e
sulla disponibilità giuridica del danaro da parte del Bellinazzo, quale direttore
generale di Area spa, ma costituiscono iniziative parallele, destinate ad occultare
l’appropriazione del denaro, di cui il ricorrente aveva il possesso e la disponibilità
in ragione del suo ufficio.
Ancora, tale premessa è essenziale per comprendere la centralità del ruolo
del Bellinazzo nella vicenda in esame, in quanto solo in ragione dei poteri
spettantigli e della libertà di gestione riconosciutagli, della posizione fiduciaria
ricoperta e della libertà assicuratigli nella fase esecutiva delle delibere del Cda, è

16

della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblicafunzione o nel servizio

stato possibile dirottare le ingenti risorse investite dalla società nel progetto di
ricerca per il conseguimento di interessi personali e privatistici, frustrando le
finalità istituzionali, che giustificavano l’investimento e che Area spa intendeva
perseguire.
Entrambe le sentenze di merito hanno attribuito rilievo alla sequenza
cronologica dei fatti, al contenuto dei contratti stipulati dal Bellinazzo ed alla
documentazione sequestrata per ricavare dal contrasto tra quanto ufficialmente
riferito dal Bellinazzo al Cda e quanto in realtà eseguito la finalità distrattiva

risorse di Area spa, progressivamente esclusa dalla partecipazione ai vantaggi
economici, connessi allo sfruttamento industriale del progetto. In sostanza,
secondo i giudici di merito, Area spa aveva interamente finanziato la ricerca
senza ricavarne alcun utile, in quanto non risultò proprietaria dei brevetti né del
prototipo realizzato per la produzione dei manufatti plastici, risultato in possesso
degli imputati, né ottenne la partecipazione agli utili della commercializzazione
dei prodotti, pur inizialmente prevista.
La difesa del Bellinazzo ha sostenuto che nel caso di specie si è confusa la
finalità pubblicistica dell’investimento di Area spa nella ricerca con le prospettive
di sfruttamento commerciale degli eventuali esiti positivi della ricerca, future,
incerte e mutate nel tempo; anche la difesa dell’Andrighetti ha dedotto che i
brevetti industriali non potevano che spettare agli ideatori del progetto e non
possono costituire oggetto del peculato, ma è agevole rilevare che tali
prospettive, costituenti la parte più appetibile del progetto, non a caso
costituente l’oggetto dell’accordo parallelo rispetto a quello ufficiale del 28
febbraio 2006, erano contemplate sin dalla fase iniziale del programma di
investimento come di diretto interesse della società, come risulta dalla delibera
del Cda dell’11/11/2005.
Dalla delibera in atti risulta che Area spa era stata contattata da Andrigetti e
Frabetti per la definizione di un rapporto contrattuale per lo sviluppo scientifico e
industriale della metodologia ideata dagli stessi con previsione di “eventuale
cessione in esclusiva ad Area del diritto di utilizzare il brevetto e di sfruttarlo
economicamente”: se ne ricava che era sin dall’inizio posta attenzione allo
sfruttamento economico dei risultati della ricerca e che, pur essendo previsto nel
contratto stipulato il 4 novembre 2005 in maggior misura (pag. 46 sentenza di
primo grado), anche nel contratto ufficiale del 28 febbraio 2006 era previsto che
“eventuali brevetti e modelli di utilità relativi all’oggetto del presente contratto (
con esclusione della parte già oggetto di domanda di brevetto, depositata da
Andrighetti e Frabetti) saranno di proprietà delle parti in egual misura” (pag. 48
sentenza primo grado, che significativamente richiama anche il contenuto ben

perseguita dal ricorrente e dai progettisti, risoltasi nell’appropriazione delle

diverso ed esplicito del contratto stipulato da Area spa con il Consorzio Ferrara
Ricerche nel quale si precisava che “la proprietà di qualunque eventuale risultato
inventivo, brevettabile o meno, derivante dall’attività di ricerca spetterà ad Area,
salvo i diritti di nominatività spettanti agli inventori ai sensi della vigente
legislazione”).
E’, quindi, documentalmente smentita la tesi dei ricorrenti ed espressamente
prevista dal contratto la prospettiva di studio, sviluppo scientifico ed industriale
di un impianto prototipo per la trasformazione delle materie plastiche e di un

di riciclo da utilizzare nei rilevati stradali, secondo la domanda di brevetto
depositata dagli ideatori, ma che sarebbe stato di proprietà di Area spa.
Documentale è anche il differente contenuto del contratto ufficiale del 28
febbraio 2006 e di quello parallelo ed occulto, stipulato tra il Bellinazzo,
l’Andrighetti ed il Frabetti, nel quale si palesava l’interesse personale del
Bellinazzo, al quale veniva garantito “il 20% degli utili futuri derivanti dalla
commercializzazione dei prodotti sia a livello nazionale che internazionale in
cambio dell’impegno a fornire le condizioni finanziarie necessarie per tutta la fase
relativa allo sviluppo della ricerca finalizzata all’industrializzazione dell’idea”:
contratto illecito e destinato a rimanere segreto con il quale il Bellinazzo
interveniva a titolo personale nell’affare e si assicurava un utile, garantendo ai
progettisti di procurare risorse economiche, provenienti unicamente da Area spa,
che continuò a finanziare il progetto senza ottenere alcun beneficio, anzi,
venendo progressivamente estromessa da ogni vantaggio, come sottolineato dai
giudici di merito.
Di tale contratto Area spa venne a conoscenza solo dopo il sequestro, tant’è
che nel dicembre 2016 il Cda, dopo aver appreso dei progressi della ricerca,
aveva incaricato il Bellinazzo di costituire una società a r.l. in cui Area spa
doveva detenere il 51% del capitale per la gestione della fase produttiva del
progetto rilevato stradale da materiale plastico; invece, il Bellinazzo costituì una
società, la Riusa.Eu srl, in cui Area spa non aveva alcuna partecipazione, ma di
cui erano soci il Bellinazzo, l’Andrighetti, schermato da una fiduciaria, e l’Astolfi,
così sostituendo nuovamente se stesso alla società nel cui interesse avrebbe
dovuto agire e le cui direttive avrebbe dovuto attuare.
I difensori dei ricorrenti hanno sostenuto che tale iniziativa era dovuta alle
restrizioni imposte dal decreto Bersani e dalla finanziaria del 2008, cosicché il
Bellinazzo avrebbe agito nell’interesse della società, ma la tesi, smentita dalle
risultanze processuali e dalle stesse dichiarazioni del Bellinazzo (pag. 81-82 della
sentenza di primo grado) e nuovamente riproposta in questa sede, è stata
concordemente respinta dai giudici di merito con argomentazione lineare e non

18

impianto specifico per la produzione dell’elemento costituito da materiale plastico

manifestamente illogica, osservando che non era stata mai avanzata dagli
imputatinel corso degli interrogatori né oggetto di comunicazioni odi discussione
in sede di Cda,non rinvenendosene traccia nella documentazione acquisita, ma
soprattutto, rilevando che detti limiti normativi, laddove effettivamente
considerati, avrebbero dovuto giustificare la revoca o la riduzione dei
finanziamenti piuttosto che la soluzione adottata dal Bellinazzo a titolo
personale, come argomentato dai giudici di appello, specie se raccordata al
successivo contratto stipulato il 21 agosto 2017, anch’esso non reso noto al Cda

Risulta pertanto, del tutto insostenibile la tesi difensiva del Bellinazzo,
secondo la quale il ricorrente avrebbe agito su mandato del Cda, stipulando
contratti leciti ed agendo nell’esercizio di un diritto.
Se quindi, con la costituzione di Riusa. Eu srl Area spa veniva estromessa
dalla società, che si sarebbe occupata della produzione industriale dei rilevati
plastici per sottofondi stradali, con la novazione del contratto del 2005, stipulata
con i progettisti, si sanciva la definitiva perdita di ogni prospettiva di ritorno
economico e di utile per Area spa, in quanto la società avrebbe continuato a
finanziare la ricerca ed a corrispondere ai progettisti il 5% dei costi sostenuti da
Area, ottenendo in cambio solo la documentazione tecnica in loro possesso,
necessaria allo sviluppo della sperimentazione (documentazione mai trasmessa
né utile ad alcun fine poiché i brevetti e i risultati della ricerca erano dei
progettisti), come ritenuto dai giudici di merito.
L’eliminazione definitiva degli eventuali vantaggi per Area spa, previsti nel
contratto iniziale, fu percepita anche dal legale della società, alle cui
contestazioni il Bellinazzo replicò, sostenendo unicamente che le condizioni erano
cambiate e bisognava modificare il contratto.
Come già detto, di tale contratto nulla fu riferito nel Cda del settembre
successivo dal Bellinazzo, che invece, si limitò a rappresentare i risultati
incoraggianti raggiunti, che consigliavano di procedere con la sperimentazione,
tant’è che il Cda autorizzò la realizzazione di un impianto prototipo di stampaggio
per sottofondi stradali, incaricando il direttore generale di stipulare un contratto
di appalto con la GB Evolution. Risulta che il prototipo fu costruito e realizzato,
ma neppure questo risultò di proprietà di Area spa, in quanto il Bellinazzo stipulò
un contratto di locazione di impianto di stampaggio, la cui proprietà spettava alla
GB Evolution e per essa ad una società di leasing, che aveva ricevuto la
provvista da Riusa. Eu srl e vendette l’impianto ad un rottamatore, ma, come
detto in precedenza (pag. 4), l’impianto risultò invece, nella disponibilità degli
imputati.

19

né al Presidente della società.

Ebbene, le intercettazioni riportate nella sentenza di primo grado (pag. 7172) provano che l’intento dei ricorrenti Bellinazzo e Andrighetti era quello di
appropriarsi del prototipo, sottraendolo ad Area spa (Bellinazzo ad Andrighetti:
“noi ci prendiamo la macchina”, “l’ipotesi è di portarci a casa la macchina da
qualche parte”, spiegandogli di aver prospettato al presidente Volpi la vendita
della macchina come un’opportunità per liberarsi di un costo rilevante, tacendo
ovviamente il loro interesse ad acquistarla), così confermando la ricostruzione
contenuta nelle sentenze di merito.

anche a fornire la plastica necessaria allo stampaggio dei primi mille blocchi
tramite Riusa. Eu srl e non tramite Area, stipulando quindi, un contratto con se
stesso nel giugno 2008, ed ancora nel marzo 2009 con la società della moglie
per alimentare la produzione, si ha riprova del fine esclusivamente personale
perseguito in modo tenace e pervicace dal ricorrente, in patente conflitto di
interessi, in quanto nel marzo 2009 era ancora direttore generale di Area spa,
società che aveva finanziato la ricerca e che veniva estromessa anche dal
conferimento dei rifiuti plastici necessari per la produzione dei manufatti, di cui si
occupava Riusa Eu srl e gli utili sarebbero stati divisi tra il Bellinazzo ed i
progettisti secondo l’accordo rinnovato.
Da tale sequenza risulta evidente che il Bellinazzo in accordo con
l’Andrighetti ha utilizzato il denaro di Area spa per finanziare un’attività di
ricerca, che gli avrebbe consentito guadagni personali, senza alcun utile per la
società, essendo il danaro destinato a consentire ai progettisti di completare la
ricerca, presentare le domande di brevetto e realizzare il prototipo, che avrebbe
garantito l’industrializzazione del progetto e le prospettive di sviluppo
commerciale del prodotto: associandosi agli stessi ed entrando nell’affare a titolo
personale, il Bellinazzo si sarebbe appropriato dei risultati della ricerca e dei
brevetti, uno dei quali intestato appunto alla società Riusa. Eu srl, che, a
differenza di quelli depositati nel novembre 2008 a nome di Andrighetti ed Astolfi
(che avevano ad oggetto parti dell’impianto), aveva ad oggetto “il blocco
modulare per opere civili” cioè il prodotto industriale commercializzabile ossia il
rilevato stradale (pag. 57 sentenza di primo grado).
E’ quindi, insostenibile la tesi dei ricorrenti secondo la quale le prospettive di
sviluppo commerciale del progetto erano future ed eventuali, essendo invece,
risultate concrete e reali, ma unicamente a vantaggio dei privati, determinati ad
appropriarsi della macchina per la produzione industriale del blocco modulare: di
particolare significatività è che l’Andrighetti stesso stimasse il valore della
macchina in misura corrispondente alle somme investite da Area spa per
finanziare la ricerca (“questa macchina che più o meno abbiamo valutato… pesa,

20

Se a tali passaggi si aggiungono le ulteriori iniziative del Bellinazzo dirette

dal punto di vista economico, un milione di euro”, v. pag. 58 della sentenza di
primo grado).
Pertanto, correttamente i giudici hanno valorizzato la pluralità di atti
dispostivi ed i contratti stipulati dal Bellinazzo, i cui contenuti, deteriori per la
società, sono stati illustrati, al fine di evidenziare che il ricorrente gestì le risorse
di Area spa in totale autonomia e libertà, come se fossero proprie, e con il fine
esclusivo di appropriarsi, insieme ai correi, dello stesso ed indirettamente dei

6. Gli elementi illustrati depongono, pertanto, per la esatta qualificazione
giuridica del fatto come peculato, in quanto il danaro erogato da Area spa,
ufficialmente ed effettivamente destinato a finanziare la ricerca e la realizzazione
del prototipo, fu in realtà dirottato a favore del ricorrente e dei correi,
appropriatisi dei risultati della ricerca in violazione del vincolo di destinazione
impresso al finanziamento dalla società pubblica.
I ricorrenti sembrano avere riguardo esclusivamente alla mancata
appropriazione del danaro, inteso in senso materiale, in quanto effettivamente
speso per finanziare la ricerca, ma, oltre a trascurare che la formulazione
dell’imputazione ha riguardo non solo alla materialità del danaro investito, ma
anche ai risultati della ricerca, contemplando espressamente i beni prodotti
dall’investimento, trascurano anche che in tema di peculato vanno valorizzati gli
interessi tutelati dalla norma, in quanto “la cosa mobile e/o il denaro oggetto
materiale del reato acquista rilevanza non soltanto di per sé, ma anche e,
soprattutto, in ragione della particolare funzione che le è stata assegnata
all’interno della pubblica amministrazione, con la conseguenza che sul piano
dell’offesa non può non considerarsi rilevante anche l’uso penalmente illecito
della cosa e cioè il togliere alla pubblica amministrazione la possibilità di disporre
della cosa per il perseguimento di pubbliche finalità” (Sez. 6, n. 1247 del
17/07/2013, dep. 2014, Boi, Rv. 258411).
Peraltro, la mera compresenza di una finalità pubblicistica non elide di per sé
la configurabilità del reato, qualora il perseguimento del pubblico interesse non
costituisca l’obiettivo principale dell’agente (Sez. 2, n. 23019 del 05/05/2015,
Adamo, Rv. 264280) e nel caso di specie la ricostruzione fattuale rende evidente
che la finalità della condotta degli imputati non fu certo quella di operare
nell’interesse di Area spa, come ritenuto dai giudici di merito.

7.

Deve,

conseguentemente,

ritenersi correttamente esclusa

la

configurabilità dell’ipotesi, peraltro, residuale, dell’abuso d’ufficio, proprio in
ragione dell’appropriazione del denaro, dei brevetti e del prototipo, in quanto

21

risultati della ricerca.

l’esercizio di un potere uti dominus da parte del soggetto agente, che sottrae il
bene alla disponibilità dell’ente, infrange ed interrompe indebitamente il
collegamento funzionale tra lo stesso e le ragioni dell’ufficio o del servizio,
legittimanti il possesso del danaro (Sez. 6, n. 13038 de110/03/2016 e Sez. 6, n.
38757 del 22/06/2016, Alibani e altri, Rv. 268094), sussistendo, invece, l’abuso
d’ufficio, quando si sia in presenza di una distrazione a profitto proprio, che si
concretizzi semplicemente in un uso indebito del bene, ma che non comporti la
perdita dello stesso e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell’avente

quanto avvenuto nella fattispecie.
Pertanto, senza neppure dover ricorrere al concetto di appropriazione per
distrazione, che, a differenza di quanto sostenuto dai ricorrenti, è ancora idoneo
ad integrare il peculato (le Sezioni Unite nella sentenza n. 19054 del
20/12/2012, dep. 2013, Vattani, hanno affermato che l’eliminazione della parola
“distrazione” dal testodell’art. 314 cod. pen., operata dalla legge n. 86 del 1990,
non ha determinato puramente e semplicemente il transito di tutte le condotte
distrattive poste in essere dall’agente pubblico nell’area di rilevanza penale
dell’abuso d’ufficio. Qualora, infatti, mediante la distrazione del denaro o della
cosa mobile altrui, tali risorse vengano sottratte da una destinazione pubblica ed
indirizzate al soddisfacimento di interessi privati, propri dello stesso agente o di
terzi, viene comunque integrato il delitto di peculato. La condotta distrattiva,
invece, può rilevare come abuso d’ufficio nei casi in cui la destinazione del bene,
pur viziata per opera dell’agente, mantenga la propria natura pubblica e non
vada a favorire interessi estranei alla p.a.; in senso conforme Sez. 6, n. 43133
del 13/07/2017, Di Gregorio e altro,Rv. 271379), nel caso di specie deve
ritenersi realizzata dai ricorrenti l’appropriazione, integrante il delitto di peculato,
in quanto il danaro erogato dall’ente, solo formalmente fu destinato allo scopo
ufficiale, ma in realtà fu utilizzato per soddisfare esclusivamente l’interesse dei
ricorrenti con negazione dei diritti della società pubblica, esclusione di ogni
finalità pubblica perseguita dalla stessa ed indebita affermazione della signoria
sul danaro e sui risultati dell’investimento, considerati a tal punto propri da
perdere ogni considerazione della destinazione dovuta o giustificata in base al
titolo del possesso. Risulta pertanto, correttamente ritenuto integrato il reato
contestato.

8. Altrettanto correttamente è stata esclusa la configurabilità dei reati di
infedeltà patrimoniale e di corruzione previsti dagli artt. 2634 -2635 cod. civ.,
riferibili alle società private ed inapplicabili nella fattispecie per la natura pubblica

22

diritto (Sez. 6, n. 12658 del 02/03/2016, Tripodi, Rv. 266871), a differenza di

di Area spa e la veste pubblica del Bellinazzo, elementi specializzanti e
prevalenti.

9. Infondata è anche l’eccezione relativa alla formulazione dell’imputazione,
contrastante con la natura istantanea del peculato, in quanto la continuazione,
non la permanenza, come sostenuto dalla difesa del Bellinazzo, risulta contestata
in fatto, atteso che l’addebito riguarda l’importo complessivo del finanziamento
ed abbraccia l’intero arco temporale in cui si è svolta la condotta e le somme

10.

Infondata è altresì, la dedotta violazione del divieto di

bis in idem

sostanziale per duplicazione della contestazione relativa alla illecita pattuizione
del 28 febbraio 2006, in quanto l’accordo risulta illustrato nel capo 1) al fine di
dar conto dell’interesse privatistico, che ispirava la condotta appropriativa del
Bellinazzo in concorso con gli ideatori del progetto, mentre nel capo 2) si
individua il contenuto illecito del patto privato, segreto e parallelo al contratto
ufficiale di collaborazione, stipulato in pari data, in forza del quale il Bellinazzo si
impegnava con l’Andrighetti ed il Frabetti a compiere atti contrari ai doveri di
ufficio, consistenti della stipula di convenzioni nelle quali si escludeva Area spa
da qualsiasi ritorno economico derivante dalla ricerca in cambio del 20% degli
utili, derivanti dallo sfruttamento economico della ricerca.
All’evidenza il contenuto dell’accordo e la natura segreta dello stesso
rendono insostenibile la prospettazione riduttiva del Bellinazzo circa l’asserita
liceità dell’accordo stipulato per iscritto.
La scrittura privata, illecita e parallela fu, infatti, rinvenuta nella borsa
dell’Andrighetti, custodita presso il suo ufficio, e nel computer dell’ufficio del
Frabetti, a riprova che fu predisposta da questi, che sottoscrisse anche l’accordo
del 21 agosto 2017, che sanciva la definitiva estromissione di Area spa dalle
prospettive economiche legate allo sfruttamento della ricerca.
Sebbene ai soli fini civili, correttamente i giudici di appello hanno ritenuto
sussistente il pieno coinvolgimento del Frabetti nell’accordo corruttivo, atteso
che, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, secondo
l’accordo anch’egli era destinatario del 39% degli utili, tant’è che, pur non
risultando intestatario di alcun brevetto, sottoscrisse anche il nuovo contratto a
riprova della permanenza dell’interesse nell’affare, cosicché, come ritenuto dai
giudici di merito, la dissociazione, di molto successiva al nuovo accordo, non
incide sul reato già perfezionatosi anche sul piano del dolo, in quanto la dedotta
ignoranza del ruolo del Bellinazzo nella società a totale partecipazione pubblica è

23

sono state progressivamente erogate.

oggettivamente smentita dalla duplice veste nella quale questi agiva nel
contratto di collaborazione ufficiale e nella convenzione privata.
Il ricorso del Frabetti, va pertanto, rigettato sul punto.
Tuttavia, l’intervenuta revoca della costituzione di parte civile di Area spa nei
confronti del Frabetti, con atto del 2 dicembre 2016, impone l’annullamento
senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, in
quanto la revoca di detta costituzione comporta l’estinzione del rapporto
processuale civile instaurato nel processo penale (Sez. 2, n. 43311 del

11.

Anche le censure del Bellinazzo in ordine al diniego delle attenuanti

generiche ed alla commisurazione della pena sono infondate, avuto riguardo
all’ampia giustificazione resa dai giudici di appello ed alla prevalenza accordata
alla gravità del fatto, alla centralità del ruolo, all’entità della somma sottratta alla
finalità pubblica ed alla protrazione della condotta nel tempo nonché alla
personalità del ricorrente, che, oltre ad aver pervicacemente perseguito il proprio
interesse personale, risulta gravato da un precedente per turbata libertà degli
incanti, ostativo al riconoscimento delle attenuanti.
Neppure in ordine al trattamento sanzionatorio si rilevano vizi di
motivazione, avendo i giudici fatto ampio riferimento ai suddetti elementi nella
rideternninazione della pena, ritenuta equa e rispondente ai criteri di cui all’art.
133 cod. pen.

12.

Infondata è, altresì, la censura relativa alle statuizioni civili ed alla

mancata revoca della provvisionale, giustificate dai giudici di appello in ragione
della gravissima perdita patrimoniale subita da Area spa, alla quale il ricorrente
si limita a contrapporre genericamente, in conformità alla propria linea difensiva,
la mancanza di un danno sofferto dalla parte civile, smentita da quanto accertato
nei giudizi di merito.

13. Parimenti infondate sono le censure dell’Andrighetti in ordine al diniego
delle attenuanti generiche a fronte della completa motivazione resa dai giudici di
merito, che hanno valorizzato gli stessi elementi considerati per il Bellinazzo (ad
eccezione del precedente penale), in ragione del ruolo propulsivo ed incisivo
svolto dal ricorrente nella vicenda.
Non può risultare censurabile la decisione sul punto per mancata
considerazione della transazione stipulata dal ricorrente (e dall’Astolfi) con Area
spa (oggi Clara spa) in data 7 giugno 2017, in quanto stipulata in epoca
successiva alla pronuncia della sentenza impugnata, prodotta con la memoria

24

08/10/2015, Visnnara).

depositata in data 1 settembre 2017, nella quale si precisa che la transazione
comporta la rinuncia al quinto (più correttamente quarto) motivo di ricorso, che,
avendo esclusivamente ricadute civilistiche, è superato per sopravvenuta
carenza di interesse (pag. 9 della memoria).

14.

Analogamente infondato è il motivo relativo al trattamento

sanzionatorio, avuto riguardo alle censure del ricorrente, che lamenta l’illegittimo
rilievo attribuito all’entità della somma sottratta, in mancanza di appropriazione,

sostanzialmente replicando censure di merito, senza confrontarsi con le
esaustive argomentazioni espresse dai giudici di merito, che le hanno disattese.

15. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e del solo Bellinazzo alla rifusione delle spese di
rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile Clara spa (già Area spa), che
si liquidano in euro 3.015,00 oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e
CPA.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Frabetti Andrea
limitatamente alle statuizioni civili.
Dichiara inammissibile il ricorso di Astolfi Luigi Ettore.
Rigetta i ricorsi di Bellinazzo Arrigo, Andrighetti Gabriele e, nel resto, il
ricorso di Frabetti Andrea.
Condanna tutti i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed il solo
Astolfi anche al versamento della somma di euro duemila in favore della cassa
delle ammende.
Condanna altresì,

Bellinazzo Arrigo alla rifusione delle spese di

rappresentanza e difesa della parte civile Clara spa, che liquida in euro 3.015,00,
oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA.
Così deciso, il 23/01/2018.

ed all’interesse di lucro perseguito, legittimo per ogni operatore economico,

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