Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19468 del 15/02/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19468 Anno 2018
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:

COSCO Giuseppe, nato il 13/07/1980;

Avverso l’ordinanza n. 762/2017 del Tribunale di Catanzaro in data 13/06/2017;

Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Antonio Minchella;

Udito il Procuratore Generale, in persona del dott. Alfredo Pompeo Viola, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore, Avv. Gianni Russano, che ha insistito per l’accoglimento dei motivi
di ricorso;

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Data Udienza: 15/02/2018

RITENUTO IN FATTO
1. In data 13/06/2017 il Tribunale di Catanzaro rigettava l’istanza di riesame
proposta da Cosco Giuseppe, sottoposto a custodia cautelare in carcere in esecuzione
dell’ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Catanzaro in data 18/05/2017 per
associazione di tipo mafioso. Rilevava il Tribunale che la vicenda si inseriva nel più
ampio quadro delle attività di criminalità organizzata in Isola Capo Rizzuto, dove
varie inchieste e diversi processi avevano dimostrato la persistente presenza della
cosca mafiosa “Arena”, la quale, particolarmente radicata, aveva per anni condotto

esponenti apicali delle cosche avevano trovato un accordo di pacificazione al fine di
spartirsi, oltre ai tradizionali proventi illeciti (estorsioni, guardianie,
monopolizzazione di prodotti commerciali, imposizioni di ditte edili), gli ingenti
profitti derivanti dal danaro pubblico che occorreva per la gestione del centro di
assistenza ai migranti di Isola Capo Rizzuto; l’attività investigativa era consistita
nella captazione di conversazioni, nella raccolta di informazioni e nella acquisizione di
dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia; quell’attività investigativa aveva
portato alla luce le mire espansionistiche della cosca “Arena” su altri territori quali
quello di Catanzaro e quello di Borgia e Roccelletta di Borgia: qui, in particolare,
venivano ripercorse le lunghe vicende che avevano condotto dapprima alla
formazione di una consorteria locale e poi ad una faida cruenta che aveva visto
contrapposte due fazioni, una facente capo ai fratelli Cossari e l’altra capeggiata da
Catarisano Leonardo; si era trattato di una contrapposizione costellata di omicidi e
tentati omicidi reciproci e, proprio in un tentato omicidio dell’anno 2008 ai danni di
appartenenti alla famiglia Cossari, veniva coinvolto il Cosco Giuseppe,
conseguentemente condannato e ritenuto uno dei sodali più affidabili del Catarisano.
Nel dettaglio, il GIP del Tribunale di Catanzaro aveva riportato che il collaboratore di
giustizia Moscato Raffaele riferiva di avere intrattenuto una relazione amicale con lo
stesso e con Valeo Roberto detto “killerino” nel corso della detenzione carceraria: il
Valeo gli aveva descritto la predetta cosca e la sua organizzazione, facendo cenno ai
soggetti di vertice ed indicando anche il Cosco come elemento affiliato; il Valeo aveva
fornito dati che consentivano di identificare come elementi di vertice del clan tali
Abbruzzo Salvatore e Gualtieri Francesco, rivelando di avere ricevuto danaro
dall’Abbruzzo per il suo sostentamento in carcere (dato poi risultato confermato da
attività di intercettazioni di conversazioni), di essere stato da quello invitato ad un
comportamento sereno poiché la faida si stava ricomponendo, di avere – al pari del
Cosco – la dote di “Trequartino” e di attendere un ulteriore “avanzamento” poiché la
cosca “Catarisano” si era rivelata predominante. Inoltre il collaboratore di giustizia
Moscato riportava che anche il Cosco gli aveva parlato della sua cosca, indicando il
suo vertice ed i rapporti con la cosca “Arena” di Isola Capo Rizzuto e con la cosca

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un’azione cruenta per affermare la sua supremazia sul territorio, fino a quando gli

”Grande Aracri” di Cutro nonché con la cosca “Farao-Marincola” (dato confermato
dalla partecipazione di Abbruzzo Salvatore e Gualtieri Francesco al matrimonio del
figlio di Castellano Vito, capo della locale di Cirò facente capo alla consorteria “FaraoMarincola”).
Anche il collaboratore di giustizia Pulice Gennaro, esponente della cosca
“Iannazzo-Da Ponte-Cannizzaro” di Lamezia Terme, aveva riferito di avere appreso
da Cossari Salvatore dell’esistenza della cosca di Catarisano ed aveva fatto i nomi di
Abbruzzo e Gualtieri come esponenti di vertice e sicari.

criminale di Soverato, aveva riferito di un incontro dell’esponente di rilievo della
criminalità di Soverato con Nicola Grande Aracri, capo della cosca di Cutro, per una
questione relativa alla spartizione territoriale di determinate attività estorsive: in
quella circostanza erano stati presenti anche due esponenti della criminalità
organizzata di Roccelletta di Borgia che erano identificati appunto nell’Abbruzzo e nel
Gualtieri; il dato trovava riscontro in una intercettazione ambientale del dì
02/08/2012, nel corso della quale il Grande Aracri riferiva ad altro soggetto del
sodalizio circa quell’incontro e il suo esito, riportando di avere affidato la conduzione
di ulteriori trattative al soggetto di Roccelletta di Borgia identificabile nel Salvatore
Abbruzzo. Veniva così confermata l’esistenza di una cosca in Roccelletta di Borgia,
anche perché il 22/10/2012 avveniva un altro incontro al vertice presso l’abitazione
del Grande Aracri e ad esso partecipavano proprio Abbruzzo Salvatore e Gualtieri
Francesco: il tema era quello della distribuzione di parte dei proventi illeciti ai
detenuti ed alle loro famiglie nonché quello di provvedere al comportamento
inadeguato di un esponente criminale di Vallefiorita e di gestire i proventi possibili
dal parco eolico di Girifalco.
Anche il collaboratore di giustizia Mirarchi Santino, gravitante soprattutto nel
traffico di droga in Catanzaro Lido, aveva riferito della cosca di Roccelletta di Borgia
ed indicato in Abbruzzo Salvatore l’esponente di rilievo unitamente a Gualtieri
Francesco e Nando Caterisano; aveva riferito di incontri al vertice tra questo gruppo
e quello di Vallefiorita, che aveva stretto rapporti sempre più intensi.
Queste informazioni sull’esistenza della cosca di Roccelletta di Borgia venivano poi
ritenute confermate da una serie di intercettazioni ambientali, riportate in atti; da
questo dato e dal fatto che il Cosco era stato condannato per un delitto rientrante
negli obbiettivi della cosca si traeva la piena partecipazione alla associazione
mafiosa, con messa a disposizione stabile della propria opera; in particolare, la figura
del Cosco era stata indicata come affiliato da Mirarchi Santo (che lo indicava come
persona a conoscenza delle questioni che si agitavano nel gruppo) e da Moscato
Raffaele (per averlo appreso in carcere dal Valeo e dal Cosco stesso); inoltre era
stato condannato con il Valeo per un tentato omicidio commesso nell’ambito della
faida con il gruppo dei Cossari e risultava la sua frequentazione con altri indagati.
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Inoltre il collaboratore di giustizia Fiorentino Francesco, già gravitante nel contesto

2. Avverso detta ordinanza propone ricorso l’interessato a mezzo del difensore
avv. Gianni Russano.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge censurando la mancata
valutazione di una corposa documentazione prodotta e la mancata valutazione
autonoma da parte del giudice, che aveva riportato le ragioni del fermo senza
procedere al raffronto tra le stesse e le ragioni difensive.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione,
sostenendo che l’imputazione provvisoria pretende una condotta perdurante dal 2006

Roccelletta era stata sconosciuta in passato e il Cosco era rimasto detenuto dal 2008
al 2015, senza avere contatti con alcuno degli indagati, senza che sia coinvolto in
intercettazioni ambientali, senza che sia noto un suo sostentamento in carcere da
parte della cosca, senza che abbia partecipato ai summit; ed ancora, le dichiarazioni
dei collaboranti erano generiche e contraddittorie ed alcuni di loro non avevano mai
fatto riferimento al ricorrente, il quale aveva avuto soltanto rapporti di lavoro con il
Gualtieri ed al quale non era stata applicata dal Tribunale di Catanzaro una misura di
prevenzione proprio perchè non erano stati rinvenuti elementi di pericolosità
qualificata; inoltre le informazioni dei collaboranti Moscato e Mirarchi sul conto del
Cosco erano palesemente tratte dai giornali. Lamenta che tutte queste circostanze
erano state dedotte dinanzi al Tribunale del riesame, che invece non le aveva
esaminate ed aveva preferito una sorta di richiami per relationem sulla specifica
figura del ricorrente, giungendo a conclusioni apodittiche sulla piena disponibilità
verso la cosca basandosi su di una asserita “dote” che non implica ruoli e ignorando
l’assenza del ricorrente da qualsiasi captazione.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione circa le
esigenze cautelari, ritenute sussistenti in relazione a tutti gli indagati in modo
indistinto e generico richiamando la presunzione di legge ed ignorando l’assenza di
notizie su di lui e l’epoca dei fatti.

3. In udienza le parti hanno concluso per come riportato in epigrafe.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere accolto nei termini di seguito esposti.
È anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di sindacabilità da parte di
questa Corte Suprema dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame sulla libertà
personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in tema di
misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio
di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla
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ma vuota di indicazioni circa ruolo e funzioni del ricorrente; peraltro la cosca di

consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, alla Corte
Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio
di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato
adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del
quadro indiziario e della permanenza delle esigenze cautelari a carico dell’indagato,
controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli
elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Si è anche precisato che la richiesta di

sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti
formali indicati nell’art. 292 cod. proc. pen., ed ai presupposti ai quali è subordinata
la legittimità del provvedimento coercitivo: ciò premesso, si è evidenziato che la
motivazione della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale,
deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di
cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare
contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente
all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di
colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; conforme, dopo la
novella dell’art. 606 cod. proc. pen., Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova,
Rv. 237012).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 cod. proc. pen.) e delle
esigenze cautelari (art. 274 cod. proc. pen.) è, quindi, rilevabile in sede di legittimità
soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o nella manifesta
illogicità della motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo
“all’interno” del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità non può, infatti,
riguardare la ricostruzione dei fatti e sono inammissibili le censure che, pur
formalmente investendo la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una
diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, dovendosi in
sede di legittimità accertare unicamente se gli elementi di fatto sono corrispondenti
alla previsione della norma incriminatrice e le statuizioni sono assistite da
motivazione non manifestamente illogica (Sez. 5, sent. n. 46124 del 08/10/2008,
Pagliaro, Rv. 241997; Sez. 6, sent. n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178).

2. Il primo motivo di ricorso non può essere accolto: con esso si lamenta la
mancata considerazione, da parte del Tribunale del Riesame, della produzione
difensiva documentale, rispetto alla quale il giudice non aveva effettuato un raffronto
reale tra dette argomentazioni e le ragioni dell’iniziale provvedimento di fermo
dell’indagato.
Tuttavia, è doveroso rilevare che, pur se risulta rispettato il canone
dell’autosufficienza del ricorso, l’impugnazione non precisa però l’incidenza di dette
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riesame – mezzo di impugnazione, sia pure atipico – ha la specifica funzione di

argomentazioni rispetto all’oggetto del procedimento: va considerato che quella della
“incidenza a favore” è una valutazione che non può essere realizzata in via diretta da
questa Corte qualora la parte non rappresenti la rilevanza della documentazione e la
finalità specifica della produzione documentale stessa.

3. Il secondo motivo di ricorso è invece fondato e deve essere accolto, risultando

esso anche assorbente rispetto alla terza doglianza.
Con questo motivo il ricorrente lamenta una incongrua motivazione in ordine al

Si legge nell’ordinanza impugnata che questa connotazione di affiliato del Cosco
derivava precipuamente dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Moscato e dal
collaborante Mirarchi (circa il quale difetta una sintesi efficace di dette dichiarazioni).
In particolare, il Moscato avrebbe riferito di una serie di circostanze apprese nel
corso di una detenzione che avrebbero reso evidente l’affiliazione del ricorrente alla
cosca mafiosa del Catarisano, in astratto perdurata sin da quando il ricorrente stesso
aveva compiuto un tentato omicidio nell’anno 2008 proprio nell’ambito di una faida
tra consorterie criminali. Unico elemento caratterizzante riportato era la dote di
“Treq ua rti no”.
Sul punto, è bene ribadire che, in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta
di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica
compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che
uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del
quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione
dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi: in altri termini, la
partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di
attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità
di tipo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza nel senso indicato,
purché si tratti di indizi gravi e precisi – tra i quali, esemplificando, i comportamenti
tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale,
l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo, oltre a
molteplici, e però significativi facta concludentia -, idonei senza alcun automatismo
probatorio, a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con
puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato
dall’imputazione (Sez. U. n. 33748 del 12/07/2005, Rv. 231670).
Nella fattispecie, esaminate e comparate le dichiarazioni cui si è fatto riferimento,
e considerato che il provvedimento in esame verte sulla ricostruzione di un quadro di
predominio mafioso su di un determinato territorio, all’esito della lettura
dell’ordinanza non si riesce a comprendere quale fosse esattamente il ruolo e la
funzione del ricorrente, a quali periodi si riferisce la sua asserita attività criminale
mafiosa e quale sia la connotazione di attualità di questa funzione. Più nel
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ruolo ed alla posizione specifica dell’indagato nell’ambito della cosca di riferimento.

particolare, resta difficile comprendere se il ricorrente abbia rivestito ruoli particolari
negli ultimi anni (considerato che dal 2008 al 2015 è rimasto detenuto), se abbia
ricevuto forme di sostentamento dalla cosca nel mentre era ristretto in carcere e
quali siano state le frequentazioni con altri indagati alle quali l’ordinanza fa cenno
senza scendere, però, in particolari.
Non si tratta di dettagli di secondo rilievo: in effetti, le conclusioni possono, entro
limiti di ragionevolezza, soffrire di una certa “fluidità”, giacchè, in linea generale,
anche per i collaboratori di giustizia può essere complesso conoscere le vicende

ritenuto come indicativo della sincerità con la quale le dichiarazioni stesse vengono
fornite); tuttavia – oggettivamente – l’ordinanza impugnata sembra riportare notizie
sulla cosca più che sul ricorrente, il quale appare soltanto lambito dalla motivazione;
il Tribunale trae conforto nella sua conclusione dal fatto che il ricorrente aveva
riportato condanna per tentato omicidio commesso nel 2008, ma non si confronta con
il fatto di non riportarne menzione in alcuna conversazione intercettata o in altre
indagini.
In definitiva, l’ordinanza impugnata non riporta alcuna indicazione di condotta
specifica o di fatto, di comportamento o evento o dialogo o conversazione concreti e
inseribili in un contesto di coinvolgimento nella gestione o adesione o partecipazione
o conoscenza interessata ad una specifica attività o interesse riconducibile alla vita
ed all’evoluzione di uno specifico sodalizio mafioso. La questione giuridica che si pone
è pertanto se possa dirsi sussistere la gravità indiziaria del delitto di partecipazione
mafiosa idonea, ai sensi dell’art. 273 cod.proc.pen., a giustificare una misura
cautelare personale sulla base di una serie di affermazioni – pur provenienti da
soggetti ritenuti attendibili – che si limitino alla obiettivamente generica attestazione
di appartenenza ad un sodalizio. Osserva il Collegio che l’ordinanza impugnata ha
offerto una ricostruzione seria di un quadro indiziario, ma non ha posto in risalto la
gravità di detto quadro.
In altri termini, è solo il riferimento a condotte o comportamenti o fatti specifici
(sia evidente, condotte/comportamenti/fatti che certo non necessariamente debbono
avere autonoma rilevanza penale, ma tuttavia debbono significare appunto una
forma, o un indizio logico, di consapevole intento di contribuire al perseguimento
degli interessi del sodalizio) che permette di sciogliere il quesito necessario sulla
rilevanza penale del ruolo svolto e, quindi, sulla qualificazione giuridica adeguata di
un tale accertato ruolo.
In definitiva, è ormai consolidato l’orientamento per il quale la convergenza di
plurime attendibili dichiarazioni che si limitino ad affermare la conosciuta
appartenenza ad un sodalizio criminoso configura meri indizi di colpevolezza non
idonei all’adozione di misura cautelare personale ai sensi dell’art. 273 cod.proc.pen.
La convergenza di plurime attendibili dichiarazioni che attestino la conosciuta
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interne e le dinamiche della cosche (tanto che, talora, il dato di incertezza può essere

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332
‘Roma, n
appartenenza al sodalizio criminoso configura la gravità indiziaria imposta dalla
norma richiamata solo quando almeno una di tali attendibili dichiarazioni indichi
specifici comportamenti o fatti che possano ritenersi, sul piano logico, significativi di
un consapevole apporto al perseguimento degli interessi del sodalizio, e che debbono
essere oggetto di specifica motivazione proprio in ordine a tale loro significatività
(Sez. 6, n. 40520 del 25.11.2011, Rv 251063).
Nella fattispecie, l’ordinanza impugnata non riesce a sciogliere il nodo.
Ne consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo

atti.
A cura della Cancelleria, sarà trasmessa copia del provvedimento al Direttore
dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp.att.c.p.p.

P.Q.M

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro,
competente ex art. 309 cod.proc.pen., con integrale trasmissione degli atti .
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore
dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp.att.cod.proc.pen.

Così deciso il 15 febbraio 2018.

esame al Tribunale del Riesame di Catanzaro, cui vanno trasmessi integralmente gli

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