Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19467 del 15/02/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19467 Anno 2018
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

Data Udienza: 15/02/2018

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MURACA STEFANIA nato il 14/02/1979 a CROTONE

avverso l’ordinanza del 23/06/2017 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;
Itia/sentite le conclusioni del PG ALFREDO POMPEO VIOLA
Il P.G. conclude chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata
per vizio di motivazione.
Udito il difensore

E

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 23/06/2017, il Tribunale di Catanzaro, in sede di
riesame ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., confermava il provvedimento
in data 05/06/2017, con il quale il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Catanzaro aveva applicato nei confronti di Stefania Muraca la
misura cautelare degli arresti domiciliari, avendo ritenuto la sussistenza a

in ordine ai reati di concorso esterno in associazione mafiosa,
malversazione ai danni dello Stato, riciclaggio e truffa, aggravati dalla
finalità di agevolare le attività illecite della locale di ‘Ndrangheta operante
nel territorio di Isola di Capo Rizzuto.
Il Tribunale basava la propria decisione sulla interpretazione delle
risultanze delle indagini riguardanti il c.d. Affaire Misericordia, esposte nel
decreto di fermo e nell’ordinanza applicativa della misura. Secondo la
ricostruzione accusatoria condivisa dai giudici del merito, era emerso dalle
dichiarazioni ritenute attendibili di collaboratori di giustizia che, mediante
l’attività svolta da svariati soggetti, fra i quali la Muraca, l’associazione
criminale di stampo mafioso denominata Arena aveva potuto intercettare
e incamerare per anni, con il sistema delle fatture gonfiate, cioè tese a
documentare prestazioni e costi in realtà inesistenti, ingenti flussi di denaro
pubblico erogati dallo Stato con finalità assistenziali ed umanitarie nei
confronti di immigrati. Tale risultato era stato raggiunto dall’associazione
accaparrandosi la gestione di imprese che fornivano servizi, fra i quali la
somministrazione di pasti all’interno di centri di accoglienza. In particolare,
secondo i giudici del merito Stefania Muraca aveva svolto l’attività
criminosa contestata con il ruolo di concorrente esterna, collaborando con
il padre, sodale dell’associazione criminosa, nella distrazione dei capitali;
nell’acquisizione di quote sociali di imprese con lo scopo di riciclare il
denaro destinato alla bacinella della cosca; nella predisposizione di
documenti falsi, per il tramite di imprese a lei riconducibili. Il Tribunale
riteneva che da alcuni documenti, riguardanti l’attività imprenditoriale della
Muraca, emergeva la sua consapevolezza circa il contributo fornito
all’associazione: era quindi infondata la tesi difensiva in base alla quale
l’indagata sarebbe stata uno strumento inconsapevole del padre.

2. L’avv. Pasquale Lepera, in difesa di Stefania Muraca, ha proposto
ricorso per cassazione con atto articolato in sette motivi.

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suo carico, in presenza di esigenze cautelari, di gravi indizi di colpevolezza

2.1. Con il primo motivo si deduce, richiamando l’art. 606, comma 1
lett. b), cod. proc. pen., violazione degli artt. 110 e 416-bis cod. pen. Nel
ricorso si sostiene che il Tribunale non ha valutato la mancanza di prova
dell’efficienza causale della condotta della Muraca e dell’elemento
soggettivo. Per configurare il concorso esterno è necessario un contributo
concreto, specifico, consapevole e volontario, la cui incidenza causale,
intesa quale idoneità al conseguimento del contributo al fine associativo,

massimo integrare la contiguità o la connivenza, avuto riguardo anche al
fatto che l’appartenenza al medesimo gruppo familiare o l’inserimento in
rapporti di affari non sono indice automatico di appartenenza
all’associazione criminosa.
2.2. Con il secondo motivo si deduce, richiamando l’art. 606, comma
1 lett. e), cod. proc. pen., vizio di motivazione. Nel ricorso si sostiene che
il Tribunale, in violazione dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di
legittimità, ha aderito acriticamente alla motivazione resa dal Giudice per
le indagini preliminari, senza valutare le osservazioni contenute nell’atto di
gravame.
2.3. Con il terzo motivo si deduce, richiamando l’art. 606, comma 1
relett. b), cod. proc. pen.>-cordinanza non ha considerato la mancanza di
gravi indizi di colpevolezza. Essi vanno valutati non solo alla luce del fatto
materiale ma tenendo anche in considerazione la sussistenza dell’elemento
soggettivo. Proprio con riferimento a quest’ultimo aspetto, il Tribunale ha
omesso qualsivoglia analisi, limitandosi: da un lato, a sovrapporre
illegittimamente la posizione dell’indagata a quella degli altri soggetti
coinvolti; dall’altro, a ritenere perfettamente omogenee le figure e le
condotte del padre e della figlia.
2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione degli artt. 110, 316-bis
cod. pen., 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv., con mod., dalla I. 12 luglio
1991, n. 203. Dopo il rilievo che il Tribunale ha recepito acriticamente le
conclusioni del Giudice per le indagini preliminari, nel ricorso si osserva che
per integrare il reato di malversazione è necessario che i finanziamenti
vengano erogati in condizioni di assoluto favore, perché l’iniziativa
sovvenzionata è funzionale al soddisfacimento di interessi pubblici. Nel
caso di specie, si è in presenza di un contratto di appalto originario, a cui
ne è seguito uno di subappalto stipulato dalla ditta La Vecchia Locanda. Ci
si trova di fronte ad un contratto di natura onerosa nel quale i finanziamenti
pubblici fungono da controprestazione, cioè compenso, del servizio

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va valutata ex post. Stando così le cose, il contributo dell’indagata può al

prestato a seguito della gara d’appalto. In conclusione, il finanziamento
perde la sua natura pubblica nel momento in cui viene corrisposto
all’appaltatore, che da quel momento è libero di disporne in autonomia. Ne
consegue l’irrilevanza penale della condotta contestata all’imputata.
2.5. Con il quinto motivo si deduce violazione degli artt. 648-bis cod.
pen. e dell’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv., con mod., dalla I. 12
luglio 1991, n. 203. Nel ricorso si sostiene che, in mancanza di elementi

quest’ultima il delitto di riciclaggio.
2.6. Con il sesto motivo si deduce violazione degli artt. 640, comma
2, cod. pen. e dell’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv., con mod.,
dalla I. 12 luglio 1991, n. 203. Il Tribunale ha ritenuto sussistenti i gravi
indizi di colpevolezza sulla base della condotta omissiva consistita nel non
aver comunicato alla Prefettura il subentro nel contratto di appalto, così
determinando l’omissione dei controlli da parte dell’appaltante. Nel ricorso
si sostiene, richiamandosi ai principi stabiliti dalla giurisprudenza di
legittimità, che si può configurare un atto di disposizione omissivo, purché
venga dimostrato il danno emergente o il lucro cessante. Nel caso di specie,
non si è dimostrato come da tali omissioni sia scaturito un danno
patrimoniale per la sfera pubblica.
2.7. Con il settimo motivo si deduce, richiamando l’art. 606, comma
1, lett. b), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione alla sussistenza
delle esigenze cautelari. La motivazione dell’ordinanza del Tribunale è
ancora una volta apparente, in quanto, pur in presenza di specifica
doglianza, fa discendere automaticamente le citate esigenze dalla
posizione processuale del padre dell’imputata. Quello che manca è,
secondo il ricorrente, la verifica sulla reale capacità della Muraca di
reiterare i reati contestate. le. Né diversamente depone l’intercettazione,
avente come protagonista Antonio Poerio, nella quale non solo si parla di
fatti passati ma non emerge mai il nome di Angelo Muraca. Alla luce del
compendio probatorio, si può dedurre esclusivamente che, da quando nel
2011 il Muraca è stato estromesso dal c.d. Affaire Misericordia, nessuna
ulteriore attività criminosa gli può essere addebitata; se a questo si
aggiunge il sequestro dei beni, è evidente come l’ipotesi di reiteratio
criminis sia improbabile. Conclusioni analoghe a proposito del pericolo di
inquinamento probatorio, rispetto al quale è mancata l’individuazione di
specifiche circostanze concrete: ancora una volta, il Tribunale ha tratto in

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idonei a dimostrare il dolo specifico dell’indagata, non si può addebitare a

maniera automatica, dalle posizioni degli altri indagati, elementi
pregiudizievoli alla Muraca.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di
riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a

argomentativo che collega gli indizi al giudizio di probabile colpevolezza
dell’indagato e, dall’altro, la valenza di tali indizi. Il controllo, stabilito a
garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e
gli apprezzamenti del giudice del merito circa l’attendibilità delle fonti né la
rilevanza e la concludenza del materiale probatorio. Occorre però che il
giudizio e gli apprezzamenti siano sostenuti da motivazione adeguata,
coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio dì
mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla
Corte di legittimità quando non risulti

prima facie

dal testo del

provvedimento impugnato (Cass. Sez. 1 sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep.
04.05.1998 rv. 210566; Cass. Sez. 2 sent. n. 56 del 7.12.2011 dep.
4.1.2012, rv. 251761; Cass. Sez. 4 sent. n. 26992 del 29.5.2013 dep.
20.6.2013, rv. 255460). In altri termini, in tema di misure cautelari
personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di
motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine
alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta
solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio
di legittimità e ai suoi limiti, se il giudice del merito abbia dato
adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la
gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la
congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi
indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. Fer. n. 47748
dell’11.8.2014, rv. 261400).

2. Ciò posto in astratto, occorre rilevare, con riferimento al caso in
esame, che il vaglio delle risultanze processuali operato dal Tribunale per
il riesame è lacunoso, perché afferma la sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza a carico di Stefania Muraca ma non approfondisce il tema

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verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato

relativo all’analisi degli elementi dimostrativi dell’elemento soggettivo dei
reati in capo a costei.
Deve rilevarsi, infatti, che l’ordinanza del Tribunale pone in primo
piano, in vari passaggi, il ruolo che, secondo l’impostazione accusatoria,
Angelo Muraca, padre di Stefania Muraca, avrebbe svolto come sodale
dell’associazione criminosa, ai fini di assicurare la percezione indebita di
fondi pubblici destinati alle imprese appaltatici di servizi connessi

all’accoglienza di migranti. L’ordinanza, poi, afferma che Angelo Muraca
era delegato ad operare sul conto corrente di Stefania Muraca. Inoltre,
l’ordinanza dà conto della tesi difensiva, in base alla quale Stefania Muraca
sarebbe stata inconsapevole strumento del padre, al quale dovrebbe
imputarsi l’effettiva gestione delle attività commerciali incriminate, che
solo apparentemente sarebbero riconducibili a Stefania Muraca.
A fronte di tale situazione, gravava sul Tribunale l’onere di spiegare
con adeguati argomenti come, avuto riguardo anche al rapporto parentale
fra i due che potrebbe deporre nel senso di un controllo del padre sulla
figlia, la significativa presenza di Angelo Muraca nella gestione delle attività
riconducibili a Stefania Muraca potesse consentire il superamento della
ricordata tesi difensiva. Quest’ultima, infatti, non può essere considerata
meramente assertiva, proprio alla luce delle illustrazioni della stessa
ordinanza circa il ruolo svolto negli affari oggetto di indagine da Angelo
Muraca. In proposito, non sono congruenti le osservazioni dell’ordinanza
circa la pluralità di atti gestori risultanti dalla documentazione raccolta e
riconducibili a Stefania Muraca, perché detta pluralità non è in sé stessa
incompatibile con l’ipotesi difensiva. Il Tribunale, quindi, avrebbe dovuto
appurare se all’elemento ora richiamato se ne potessero aggiungere altri,
idonei a convincere della consapevolezza della Muraca in ordine alle finalità
illecite degli atti alla stessa riconducibili.

3. Per le ragioni esposte, riguardanti il profilo indiziario, l’ordinanza
impugnata deve essere annullata e gli atti vanno trasmessi allo stesso
Tribunale di Catanzaro, che provvederà a nuovo esame senza incorrere nel
vizio riscontrato, provvedendo conseguentemente anche in ordine alle
valutazioni inerenti alle esigenze cautelari. Le censure riguardanti queste
ultime restano pertanto assorbite.

A-1

P. Q. M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al
Tribunale di Catanzaro, competente ex art. 309 cod. proc. pen., con
integrale trasmissione degli atti.

Così deciso in Roma il 15 febbraio 2018.

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