Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19465 del 15/02/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19465 Anno 2018
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma;

nei confronti di: COLANTONI Renato, nato il 23/12/1973;

Avverso l’ordinanza n. 2299/2017 del Tribunale di Roma in data 18/07/2017;

Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Antonio Minchella;

Lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. Pietro Molino, che
ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;

-Udit-e-i-l-el-iferrserre—Acco,

Data Udienza: 15/02/2018

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RITENUTO IN FATTO
1. In data 18/07/2015 il Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione,
dichiarava inefficace e temporaneamente sospesa l’esecuzione della pena di cui alla
sentenza in data 09/06/2016 del Tribunale di Roma a carico di Colantoni Renato
(riportante una condanna ad anni tre e mesi otto di reclusione ed C 14.000 di multa),
il quale aveva appunto chiesto la sospensione anzidetta al fine di chiedere ed
ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale. Rilevava il giudice che la condanna

evidente il mancato coordinamento tra l’art 656 cod.proc.pen. e l’art 47 Ord.Pen., il
quale ora prevedeva un limite numerico del termine temporale pari a quattro anni;
pertanto operava una interpretazione ritenuta costituzionalmente orientata nel senso
di seguire l’orientamento deflattivo della recente legislazione penitenziaria e
consentire la richiesta del beneficio ex art 47 Ord.Pen. dalla libertà per chi avesse
subìto una condanna superiore altre anni di detenzione, ma non superiore ai quattro.

2. Avverso detta ordinanza propone ricorso il Procuratore della Repubblica presso
il Tribunale di Roma, deducendo con motivo unico, ex art. 606, comma 1 lett. b) e c),
cod.proc.pen., erronea applicazione di legge e inosservanza di norme: sostiene che
l’interessato era già detenuto quando aveva fatto la sua richiesta al giudice
dell’esecuzione, ma poteva certamente richiedere l’affidamento in prova al servizio
sociale nella sua condizione detentiva, mentre differentemente doveva considerarsi la
condizione del condannato che aveva fruito della sospensione dell’esecuzione e quella
del condannato che muoveva le sue istanze dal carcere; inoltre notava che
l’esecuzione rimessa al P.M. è priva di spazi di discrezionalità per cui detto Ufficio non
poteva fare altro che rispettare i termini di legge, mentre era il Tribunale di
Sorveglianza a disporre di discrezionalità valutativa per le pene superiori ai tre anni
di detenzione, per cui non sarebbe stato possibile al P.M. una applicazione
interpretativa dell’art 656 cod.proc.pen.

3. Con memoria versata in atti, l’avv. Antonio Barbieri, difensore di Colantoni
Renato ha richiamato i precedenti della Corte di Cassazione circa il limite numerico
degli anni di detenzione di cui all’art 656 cod.proc.pen., contrastando altro
orientamento recente e contrario a quello condiviso dal Tribunale di Roma,
opponendosi così all’accoglimento del ricorso del P.M.

4. Il P.G. chiede l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2

superava il limite dei tre anni di cui all’art 656, comma 5, cod.proc.pen., ma che era

1. Il ricorso deve essere accolto nei termini di seguito esposti.
Il Collegio non condivide il precedente di legittimità secondo il quale «in tema di
esecuzione di pene brevi, in considerazione del richiamo operato dall’art. 656,
comma quinto, cod. proc. pen. all’art. 47 ord. pen., ai fini della sospensione
dell’ordine di esecuzione correlata ad una istanza di affidamento in prova ai sensi
dell’art. 47, comma terzo bis, ord. pen., il limite edittale non è quello di tre anni, ma
di una pena da espiare, anche residua, non superiore a quattro anni» (Sez. 1,
Sentenza n. 51864 del 31/05/2016, Fanini, Rv. 270007).

interpretazione evolutiva dell’art. 656, comma 5, secondo periodo, cod. proc. pen.,
estendendone l’applicazione a tutti i casi previsti dall’art. 47 ord. pen., «pur in
mancanza del dato formale di una sua esplicita modifica che, tenendo conto del
recente inserimento del comma 3-bis nell’art. 47 ord. pen., introduca il richiamo
specifico dell’ipotesi prevista da tale nuovo comma nel testo letterale della
disposizione del codice di rito».
Il canone dell’interpretazione evolutiva, che affida al giudice la capacità di creare
diritto seguendo il passo dello sviluppo della società, è, di per sé, controverso in
ambito civile (è escluso in ambito processuale: Sez. U, n. 15144 del 11/07/2011,Rv.
617905; è ammesso nel settore delle controversie tributarie da Sez. 5, n. 30722 del
30/12/2011, Rv. 621046; è ammesso in quello della tutela dei soggetti deboli: Sez.
6, n. 19017 del 16/09/2011,Rv. 620058 e di promozione di categorie svantaggiate.
Sez. U, n. 8486 del 14/04/2011 Rv. 616792), mentre è tradizionalmente escluso nel
settore penale poiché si scontra sia con il principio costituzionale della riserva di
legge, sia con quello della separazione dei poteri (in questo senso si vedano i
paragrafi n. 11 e n. 12 della sentenza n. 230 del 2012 della Corte Costituzionale).
Nella giurisprudenza di legittimità, il detto canone interpretativo è stato, infatti,
sempre escluso sulla base del rilievo che «l’interpretazione estensiva della legge è
consentita perché non amplia, ma discopre l’intero contenuto della norma;
l’interpretazione evolutiva è invece vietata perché snatura la funzione del giudice da
organo di applicazione in quello di formazione della legge» (Sez. 3, n. 2230 del
11/01/1980, Pasculli, Rv. 144357; a proposito dell’art. 54 cod. pen.: Sez. 3, n.
10772 del 07/10/1981, Potenziani, Rv. 151195), fatta salva la necessità di
interpretare secondo il criterio storico-evolutivo determinate clausole a contenuto
etico-sociale (sul comune senso del pudore, si veda Sez. 3, n. 5308 del 03/02/1984,
Rossellini, Rv. 164642).

2. A norma dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., il Pubblico Ministero deve
provvedere alla determinazione della pena da espiare, a mente dell’articolo 656,
comma 4-bis, cod. proc. pen., computando le detrazioni previste dall’articolo 54 ord.
pen. e il periodo di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile, e se la pena che
3

È bene evidenziare che l’indicata decisione fa dichiarata applicazione del criterio di

risulta non supera il limite di tre anni, ovvero quattro anni nei casi previsti
dall’articolo 47-ter, comma 1, ord. pen. o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94
d.P.R. n. 309/1990, è tenuto a sospendere l’esecuzione.
Tanto premesso, è doveroso richiamare l’attenzione su alcuni elementi che
consentono di escludere la possibilità di procedere all’indicata interpretazione
evolutiva dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. Innanzitutto, a differenza dei casi
previsti dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., l’ipotesi introdotta all’art. 47, comma
3-bis, ord. pen., non può avere un’applicazione «automatica» da parte dell’organo

del Tribunale di Sorveglianza.
Infatti, «l’affidamento in prova può, altresì, essere concesso al condannato […]
quando abbia serbato, quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della
richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una misura cautelare
ovvero in libertà, un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2».
È, in effetti, richiesto che il Tribunale di sorveglianza compia, sulla base dei dati
dell’osservazione anche extra-muraria, una valutazione del comportamento tenuto
dal condannato nell’anno precedente, non potendo attribuirsi al Pubblico Ministero un
potere sostitutivo, neppure in via preliminare, di tale potestà giurisdizionale, del tutto
estraneo al suo ruolo istituzionale.
La discrezionalità del provvedimento giurisdizionale, agganciata a elementi
valutativi compendiati in relazioni di osservazione o informazioni di polizia, è di
ostacolo a una, anche solo sommaria, delibazione da parte dell’organo
dell’esecuzione all’atto dell’emissione dell’ordine di carcerazione poiché il potere di
sospenderne l’emissione, in vista della decisione del giudice competente, è di stretta
interpretazione.

3. Deve, infine, osservarsi che il Legislatore è recentemente intervenuto (art. 1,
commi 82 e 85, legge 23 giugno 2017, n. 103, recante «Modifiche al codice penale,
al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario») nel settore
dell’ordinamento penitenziario, dettando alcune disposizioni che sono logicamente
inconciliabili con la proposta interpretazione evolutiva dell’art. 656 cod. proc. pen.
La legge delega ha, infatti, autorizzato il Governo a emanare uno o più decreti
delegati che involgono il tema oggetto del giudizio, nel rispetto di specifici criteri di
delega (art.1, comma 85, lett. c). Tra essi spicca, per la sua specifica rilevanza, la
«revisione della disciplina concernente le procedure di accesso alle misure
alternative, prevedendo che il limite di pena che impone la sospensione dell’ordine di
esecuzione sia fissato in ogni caso a quattro anni […]».
L’intervento del Legislatore delegante corrobora, ad avviso del Collegio,
l’interpretazione restrittiva dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.

4

dell’esecuzione penale, essendo richiesta una specifica valutazione di merito da parte

È evidente, infatti, che il criterio di delega, volto a elevare a quattro anni il limite
di pena per la sospensione obbligatoria dell’ordine di carcerazione, sarebbe superfluo
nell’ottica dell’interpretazione evolutiva propugnata nel ricorso.

4. Tanto premesso, nel caso di specie l’interpretazione evolutiva effettuata non
poteva invece essere adottata: da ciò consegue l’annullamento senza rinvio
dell’ordinanza impugnata.
Si dispone la comunicazione al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di

Si terrà conto della decisione intervenuta, nelle more, da parte della Corte
Costituzionale n° 41 del 06/02/2018.

P.Q.N1

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone la comunicazione al Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale di Roma per quanto di competenza.

Così deciso il 15 febbraio 2018.

Roma per quanto di competenza.

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