Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19457 del 08/04/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 19457 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIACOVELLI FRANCO N. IL 03/07/1968
avverso la sentenza n. 2110/2009 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
16/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per r

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 08/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Brescia, con sentenza del 16.11.2012 ha riformato
parzialmente, dichiarando la prescrizione delle violazioni contestate fino al luglio
2003 e rideterminando la pena originariamente inflitta, la decisione con la quale,
in data 12.11.2008, il Tribunale di Bergamo aveva riconosciuto

Franco

1-bis d.l. 463\83, per omesso versamento all’INPS delle ritenute previdenziali ed
assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti nei periodi dal
luglio al novembre 2002 e dal marzo 2003 al luglio 2004.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il
proprio difensore di fiducia, Avv. G. Carlo RAVASIO.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di
motivazione, lamentando la mancanza del necessario presupposto per l’inizio
dell’azione penale rappresentato da una valida contestazione della violazione da
parte dell’istituto previdenziale.
Assume, a tale proposito, che la raccomandata acquisita agli atti non
sarebbe stata mai da lui ricevuta, posto che la firma del destinatario non era la
sua e corrispondeva esattamente a quella dell’ufficiale postale e che, ciò
nonostante, i giudici del merito si sarebbero unicamente basati sull’affermazione
del funzionario INPS il quale, escusso come testimone, aveva dichiarato che la
pratica era stata regolarmente condotta.

3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta il mancato riconoscimento della
circostanze attenuanti generiche, rilevando che lo stesso sarebbe stato
erroneamente giustificato dai giudici del gravame sulla base dei soli precedenti
penali, peraltro risalenti nel tempo.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento de ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile.
Si ritiene opportuno richiamare, preliminarmente, quanto già osservato da
questa Corte in una precedente decisione (Sez. III n. 12267, 15 marzo 2013, non

1

GIACOVELLI responsabile del reato di cui agli artt. 81 cpv cod. pen. e 2, comma

massimata) concernente una questione analoga a quella sollevata dal ricorrente
con il primo motivo di ricorso.
Si richiamava, in quell’occasione, quanto affermato dalle Sezioni Unite penali
di questa Corte (SS.UU. n. 1855, 18 gennaio 2012), le quali avevano ricordato
come l’art. 2, comma 1-bis, secondo periodo, legge 638\1983 (introdotto dall’art.
1 d.lgs. 211\1994), modificando i termini e l’operatività della causa di non
punibilità già prevista dalla normativa previgente, abbia introdotto, prima
dell’invio della comunicazione della notizia di reato, la possibilità di definire il

di lavoro, mediante la contestazione o notifica dell’accertamento della violazione,
che non costituisce una condizione di procedibilità del reato, cosicché può ben
ritenersi che il pubblico ministero eserciti ritualmente l’azione penale per il reato
in questione anche se non si sia perfezionato il procedimento per la definizione in
sede amministrativa, così come esercita l’azione penale per i fatti costituenti
reato di cui sia venuto a conoscenza

aliunde

rispetto ai meccanismi di

informazione previsti dagli art. 347 e 331 cod. proc. pen.
Conseguentemente, osservano ancora le Sezioni Unite, la possibilità per il
datore di lavoro di evitare l’applicazione della sanzione penale attraverso il
procedimento definitorio dianzi descritto resta connessa all’adempimento
dell’obbligo imposto all’ente previdenziale dal menzionato art. 2, comma

1-bis di

rendergli noto, nelle forme previste dalla norma, l’accertamento delle violazioni e
le modalità ed i termini per eliminare il contenzioso in sede penale, con la
conseguenza che l’esercizio di tale facoltà può essere precluso solo dalla
scadenza del termine di tre mesi previsto dall’art. 2, comma 1-bis, ultimo
periodo, a decorrere dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto
accertamento delle violazioni, oppure da un atto equipollente che ne contenga
tutte le informazioni in modo da assicurare concretamente l’accesso a tale causa
di non punibilità.
Sulla base di tale meccanismo, si aggiunge, grava in primo luogo sull’ente
previdenziale l’obbligo di assicurare la regolarità della contestazione o della
notifica dell’accertamento delle violazioni e di attendere il decorso del termine di
tre mesi, in caso di inadempimento, prima di trasmettere la notizia di reato al
pubblico ministero. Quest’ultimo dovrà poi accertare che all’indagato sia stata
concretamente reso possibile esercitare la facoltà di fruire della causa di non
punibilità, rendendo eventualmente edotto l’ente previdenziale in caso di esito
negativo della verifica, cosicché possa adempiersi all’obbligo di contestazione o
di notifica dell’accertamento delle violazioni imposto dal più volte menzionato
art. 2, comma 1-bis.
Analoghi obblighi di verifica vengono individuati dalle Sezioni Unite rispetto

2

contenzioso in sede amministrativa, nel termine concesso a tale scopo al datore

al giudice di entrambi i gradi di merito, cui spetta di accogliere, in caso di esito
negativo, una eventuale richiesta di rinvio da parte dell’imputato, allo scopo di
consentigli di provvedere al versamento delle ritenute, tenendo conto che la
legge già prevede la sospensione del decorso della prescrizione per il periodo di
tre mesi concesso al datore di lavoro per il versamento, il che giustifica un rinvio
del dibattimento anche in assenza di una espressa previsione normativa.
La effettiva possibilità di esercizio della facoltà per l’imputato di effettuare il
versamento omesso, si rileva ancora, presuppone che l’avviso dell’accertamento

riferisce l’omesso versamento delle ritenute ed il relativo importo, la indicazione
della sede dell’ente presso il quale deve essere effettuato il versamento entro il
termine di tre mesi concesso dalla legge e l’avviso che il pagamento consente di
fruire della causa di non punibilità, il che richiede, nell’ambito della verifica cui
sono chiamati il giudice o il pubblico ministero, che in caso di omessa notifica
dell’accertamento l’imputato sia stato raggiunto in sede giudiziaria da un atto di
contenuto equipollente all’avviso dell’ente previdenziale e come tale viene
individuato il decreto di citazione a giudizio, ma a condizione che contenga gli
elementi essenziali del predetto avviso, con la conseguenza che va ritenuto
tempestivo, ai fini del verificarsi della causa di non punibilità, il versamento delle
ritenute previdenziali effettuato dall’imputato nel corso del giudizio, quando
risulti che lo stesso non abbia ricevuto dall’ente previdenziale la contestazione o
la notifica dell’accertamento delle violazioni o non sia stato raggiunto, nel corso
del procedimento penale, da un atto che contenga gli elementi essenziali
dell’avviso di accertamento. Infine, trovandosi il procedimento in sede di
legittimità, senza che l’imputato sia stato posto in grado di fruire della causa di
non punibilità, deve disporsi l’annullamento della sentenza con rinvio al fine di
consentirgli di fruire della facoltà concessa dalla legge.

5. Nella richiamata sentenza n. 12267\2013 si ricordava anche come ulteriori
contributi interpretativi fossero stati offerti da altre pronunce di questa Corte
nelle quali, con riferimento alla prova dell’avvenuta comunicazione
dell’accertamento dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali da parte
dell’INPS, si era osservato che detta comunicazione è a forma libera e non
richiede particolari formalità (Sez. III n. 30566, 2 agosto 2011; Sez. III n. 26054, 6
luglio 2007; Sez. III n. 9518, 10 marzo 2005), con la conseguenza che può
ritenersi valida anche la spedizione a mezzo raccomandata.
Si è ulteriormente stabilito che la presenza della corretta indicazione del
destinatario della contestazione di accertamento della violazione degli obblighi
contributivi e dell’indirizzo ove effettuare il recapito sulla lettera raccomandata

3

inviato dall’ente al datore di lavoro contenga l’indicazione del periodo cui si

mediante la quale viene eseguita la comunicazione, porta ad escludere che
possa assumere rilievo l’impossibilità di risalire all’identità dell’effettivo
consegnatario in mancanza di concreti e specifici dati obiettivi che consentano di
ipotizzare che la comunicazione non sia stata portata alla sua conoscenza senza
sua colpa (Sez. III n.30241, 29 luglio 2011, non massimata).
La libertà di forma che caratterizza la comunicazione suddetta esclude,
quindi, che la stessa debba presentare i requisiti formali della notificazione e, in
particolare, la spedizione mediante raccomandata offre comunque garanzie più

spedizione del plico, della consegna esclusiva al destinatario o a un suo delegato
e della possibilità di ritiro in caso di assenza, presso l’ufficio postale.
Per tali ragioni, anche il mancato ritiro e la «compiuta giacenza» possono
essere oggetto di valutazione per quanto riguarda la prova dell’avvenuta
comunicazione dell’accertamento dell’omesso versamento, valutazione che deve
in primo luogo riguardare la corretta indicazione dell’indirizzo di destinazione del
plico.
Tali osservazioni sono state successivamente ribadite (cfr. Sez. III n. 3144, 23
gennaio 2014; Sez. III n. 2859, 22 gennaio 2014; Sez. III n. 47113, 27 novembre
2013; Sez. III n. 47111, 27 novembre 2013; Sez. III n. 18100, 14 maggio 2012,
tutte non massinnate).

6. Alla luce delle considerazioni sopra evidenziate deve pertanto ribadirsi il
principio secondo il quale,

la

esatta indicazione del destinatario e

dell’indirizzo di recapito sulla raccomandata con la quale viene inviata
la contestazione della violazione degli obblighi contributivi consente di
escludere ogni rilievo sull’impossibilità di risalire all’identità
dell’effettivo consegnatario in assenza di concreti e specifici dati
obiettivi tali da far ipotizzare che la comunicazione non sia stata
portata a sua conoscenza senza sua colpa, poiché deve presumersi che
il soggetto che sottoscrive l’avviso di ricevimento sia comunque
persona abilitata alla ricezione per conto del destinatario del plico, che
viene peraltro consegnato dall’ufficiale postale secondo precise
formalità.

7. Ciò posto deve rilevarsi che, nella fattispecie, contrariamente a quanto
sostenuto in ricorso, i giudici del merito non hanno basato la loro decisione sulle
sole dichiarazioni rese in dibattimento dal funzionario INPS circa la regolare
trattazione della relativa pratica.
Tale affermazioni vengono infatti indicate quale conferma delle precedenti

4

che sufficienti circa il recapito al destinatario in ragione della certificazione della

considerazioni, avendo la Corte territoriale dato atto della avvenuta
constatazione della presenza, in atti, della lettera raccomandata con ricevuta di
ritorno recante, oltre alla firma dell’addetto al recapito, anche altra sigla,
evidentemente di colui che ha ricevuto il plico.
All’esito di tale verifica, la Corte del merito ha dato atto della circostanza che
il teste escusso non aveva riferito di alcuna irregolarità constata nella
comunicazione dell’infrazione e del fatto che mai, in precedenza, il ricorrente
aveva negato di essere a conoscenza del debito previdenziale né, tanto meno,

di ricevuta.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di osservazioni del tutto pertinenti,
giuridicamente corrette e perfettamente allineate ai principi dianzi richiamati che
portano pertanto ad escludere radicalmente la sussistenza dei vizi denunciati.

8. A conclusioni identiche deve pervenirsi per ciò che concerne il secondo
motivo di ricorso.
Invero, riguardo all’onere motivazionale sul mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche, si è affermato che il giudice non è tenuto a
prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti
dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a
quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego (v. Sez. Il n. 3609,
1 febbraio 2011; Sez. VI n. 34364, 23 settembre 2010) con la conseguenza che la
motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di
sindacato in sede di legittimità, neppure quando difetti uno specifico
apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore
dell’imputato (Sez. VI n. 42688, 14 novembre 2008; Sez. VI n. 7707, 4 dicembre
2003).
Nel caso in esame i giudici del merito hanno valorizzato, a tale scopo, i
precedenti penali dell’imputato, che avevano portato al riconoscimento della
recidiva specifica e tale valutazione, alla luce dei richiamati principi, risulta più
che sufficiente per ritenere adeguatamente assolto l’obbligo di motivazione.

9. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla
declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile
a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere
delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della
Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei
motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e,

5

aveva contestato l’effettiva ricezione della raccomandata o disconosciuto la firma

pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui
all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more
del procedimento di legittimità (cfr., da ultimo, Sez. Il n.28848, 8 luglio 2013)

P.Q.M.

spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso in data 8.4.2014

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA